La spia (parte 3)
di
Ripe (with decay)
genere
tradimenti
Un pacchetto regalo fa la sua comparsa sulla libreria dell’ingresso. Un fiocco lega i manici e un biglietto pende di lato. Un’occasione speciale. L’ho già intravisto senza fiocco e biglietto augurale in un angolo della cabina armadio, senza farci caso. Improvvisi interrogativi mi attraversano la mente: quale occasione speciale festeggia? Computo le date e un sudore freddo mi ghiaccia le ascelle. Ma non ho dimenticato nulla. Allora subentra il dubbio: e se fosse qualcun altro di inatteso il destinatario di tanta attenzione? Quando compie gli anni mio fratello, quando l’architetto? Scartabello gli archivi della memoria ma sono altrettanto sicuro che i loro compleanni non cadano in questo periodo. Ma quando li compie mio fratello lo dovrò pur sapere. Non riesco a ricordare esattamente. Non riesco a ricordare niente. Oppure non è una data di nascita che devo recuperare, ma qualcosa che io non so e non posso sapere. Una ricorrenza speciale come la prima volta che hanno scoperto di provare un sentimento reciproco, o che sono usciti insieme, o si sono baciati, o hanno scopato. La tentazione di sollevare un lembo del biglietto e sbirciare la minuta calligrafia di mia moglie è tanto impellente da provocare un tremore incontrollato alla mano.
Come un voyeur a notte inoltrata mi siedo al computer e consulto le prove per inchiodare il colpevole. Ma ad apparire sulla porta con mia sorpresa è la solita scena della visita dell’amica, lo scambio di cortesie, l’oretta tra donne che ucciderebbe un uomo di noia. Ma questa volta un clima di festa irrompe nella monotonia.
La visitatrice. È lei la destinataria del dono. Tiro un sospiro di sollievo. Compleanno? Mi accorgo di non saperlo. In realtà non so nulla di questa donna. Solo che è più grande di mia moglie e si frequentano ormai da - da quanto? da una vita. E l’amica, non meno foriera di ammiccamenti ai bagordi, tira fuori una bottiglia. Spumante. O forse (un poco me ne intendo) champagne. Si abbracciano, si congratulano, e via in cucina. Per fortuna le telecamere non sono dotate di microfono, altrimenti potrei sanguinare dalle orecchie ad ascoltare civettuole sciocchezze. È vero che nessun uomo può restare troppo a lungo senza di esse, ma non è ciò che mi preme svelare in questo momento. “C'era un pacco regalo qui. Compleanno?” le chiedo di sfuggita. Solleva appena il capo dalle faccende evitando di guardarmi negli occhi, poi un lampo di astuzia le modella un sorriso sornione. “Sì” mi risponde, grata di quella sponda che le offro. “Sì, era proprio per un compleanno”.
E capisco all’istante che mente. Mente con disarmante spudoratezza. Che abbia intuito qualcosa? Di nuovo fremo, mi si ghiaccia il sudore addosso, tremo di paura. Se avesse già scoperto ciò che ritenevo perfettamente occultato? Quali conseguenze potrebbero derivarne? Coglierebbe subito la palla al balzo per intentare la causa di divorzio? Immagino il suo amante prendere possesso della casa, dei figli, della famiglia. Come in un incubo lo immagino rapirmi l’identità, spossessarmi del nome, del volto, sostituirsi come un sosia.
Va bene. Sto al gioco e fingo che il regalo sia destinato alla migliore amica. Ma questo non toglie la possibilità di una tresca e allora prometto a me stesso di non lasciar perdere alcun dettaglio, di non recriminare l’intentato. Chiuso nel mio ufficio, mentre svolgo con diligenza i compiti attribuiti al ruolo di dirigenza che occupo, non perdo d’occhio il monitor collegato al circuito chiuso.
Per alcuni giorni non accade nulla. Non si fanno più vivi i miei due principali indiziati, e neppure l’amica. Controllo mia moglie come passa le ore nella casa vuota prima dell’arrivo dei ragazzi. Quando lavora da remoto le signore che si occupano della casa non si fanno vedere. Trascorre tutta la mattinata davanti al portatile. Poi mangia da sola, si distrae con una lunga chiamata alla madre – solo con lei può divagare così tanto al telefono. Seduta sul divano, le gambe distese sul poggiapiedi, guarda distrattamente la tivù. Arriva addirittura ad appisolarsi durante lo zapping. E quasi anch'io insieme a lei.
Ma il giorno dopo, in cui non dovrebbe essere in smart, scopro a mia insaputa che è rimasta a casa. Ci siamo.
Il cuore mi si ferma nel petto, torna a battere come un tam-tam. Alle 9:34 entrano due persone. Sono di nuovo gli idraulici. I miei sospetti sono immediatamente fugati dalla presenza dell’apprendista. Poi quando li lascia da soli a lavorare nel bagno dimostrano senza reticenze il disappunto di avere a che fare con mia moglie. Dovrei risentirmi ma non riesco a trattenere un sorriso. È una donna puntigliosa e insolente, che pretende la perfezione dagli altri ma pratica la massima indulgenza nei confronti dei propri errori. Quando se ne vanno decido di spegnere ma eseguendo un ultimo sopralluogo la scopro a cambiarsi d’abito. Se fino ad allora era stata in déshabillé, cambia completamente registro e si mette in tiro. La seguo spogliarsi, indossare i collant, la minigonna, la camicia sul petto nudo tenuta aperta all'incrocio del seno, calzare delle scarpe alte aperte in punta. E con inquietudine mi accorgo che in mezzo alle gambe è pronta all’uso.
Così mi concentro sulla telecamera di sicurezza. E alle 11:57 lei si precipita alla porta, apre ad un uomo che entra e diventa visibile: è mio fratello. Si abbracciano, si baciano. Lo fa con tutti. Forse lo ha fatto anche con gli idraulici. Pranzano insieme. Parlano senza sosta. Dopo il caffè mi aspetto che accada quello che deve accadere. Ma inaspettatamente mia moglie si accascia sulle braccia conserte, abbandona il capo. Da come sussulta capisco che sta singhiozzando. E poiché nulla accade, se non l’accorato conforto che lui prova a darle, capisco anche che la situazione è peggiore di quanto temessi. Se in mezzo non c’è un terzo incomodo, allora le cose si complicano. Alle 14:25 se ne va. Davanti alla porta si abbracciano, si baciano. Mio fratello la trattiene con molta dolcezza. E allora capisco che è animato solo di buone intenzioni, che al cospetto di sua cognata è integro e rispettoso. Accomiatato, lei si appoggia all’uscio e vi rimane a lungo.
Quando lo scopro è quasi per caso.
Ho una riunione quella mattina e la fretta mi rende maldestro e nervoso. Cerco il mio tight prediletto – è tagliato su misura dalla sartoria più rinomata, l’ho pagato a caro prezzo ma quando lo indosso faccio sempre la mia figura – e non trovandolo dove ricordavo di averlo lasciato le getto un grido, ma è impegnata con i ragazzi oppure è chiusa in bagno. Allora metto a soqquadro la cabina armadio, frugo ovunque anche dal suo lato. Mi prende la smania di mancare in qualcosa, di fare tardi o non presentarmi all’altezza. Spostando tutto ciò che mi è di intralcio mi imbatto nel pacco regalo.
Protendo le dita oltre il bordo di cartone aperto come una bocca pronta a mordere. Ho quasi timore di infilare la mano. Trascino il pacchetto da una maniglia, lo espongo meglio alla luce. Dovrebbe essere vuoto, non lo è.
Quelle forme strane che scorgo e che suscitano perplessità dopo un esame sommario si rivelano essere qualcosa che non avrei mai sospettato. Lo estraggo con la cautela di un restauratore e lo studio.
Quel qualcosa è un grosso cazzo di neoprene rigido e flessibile, collegato da una cintura per fissarlo alla vita. Sarà lungo il doppio del mio. Sono così sbalordito che quasi non mi accorgo dei passi strascicati sul pavimento mentre entra nella camera e si avvicina. “Pà?” mi chiama. C’è sconcerto nella voce. Prima che si affacci dentro la cabina sono già in piedi e ancora fingo di cercare. Lei fotografa la posizione in cui mi ha trovato e sembra farsi più sospettosa. “Cosa stai cercando?”. È come se avessi dovuto nascondere qualcosa di mio, di compromettente e vergognoso. Ma è la scoperta a rendermi compromesso e pieno di vergogna.
Mi giro e ancora fingo di cercare qualcosa che abbia ancora importanza per me. “Il mio tight preferito. Ho riunione oggi”.
È la riunione più lunga ed estenuante della mia carriera. Ascolto la metà di ciò che viene divulgato e capisco la metà di ciò che ho sentito. La mia vita è finita vorrei gridare. Ma come, per causa di chi? Penso alla sua migliore amica, ai suggerimenti erotici per soddisfare l’amante insaziabile. Penso a mio fratello, al suo aplomb e sensibilità nei confronti di una donna affranta. Altro che consigli per non lasciare naufragare un matrimonio e una famiglia! Altro che rispetto dei legami di sangue!
Forse il sospetto si è trasformato in qualcosa di più.
Ispeziono le microcamere. A tratti mi sembra di scorgere dei piccoli mutamenti di posizione, ma si tratta di illusioni infondate.
Eppure qualcosa è davvero cambiato. Sulla scena del crimine regna la pace. Lunedì non viene nessuno. E così venerdì.
Lunedì, venerdì, lunedì. Niente.
Poi venerdì torna l’amica. Trascorrono un’ora burrascosa in cucina. Mia moglie siede contrita, l’altra si appoggia al piano della cucina, le braccia conserte, visibilmente contrariata. E dopo quando se ne va la sostituisce mio fratello.
Mi prende un crampo allo stomaco. È un pervertito? Adora aprire le natiche? Mio Dio, mai avrei pensato di formulare interrogativi simili.
Vanno insieme in camera. Entrano nella cabina armadio. 15:55. Alle 16:02 ne escono. Il regalo è stato mostrato. Forse tra breve scoprirò come si usa. Si abbracciano. Lei abbandona il capo sul suo petto, lui le accarezza i capelli. Rimangono così cinque minuti. Poi tornano all’ingresso, mio fratello va via. Qualcosa è andato storto?
Come un voyeur a notte inoltrata mi siedo al computer e consulto le prove per inchiodare il colpevole. Ma ad apparire sulla porta con mia sorpresa è la solita scena della visita dell’amica, lo scambio di cortesie, l’oretta tra donne che ucciderebbe un uomo di noia. Ma questa volta un clima di festa irrompe nella monotonia.
La visitatrice. È lei la destinataria del dono. Tiro un sospiro di sollievo. Compleanno? Mi accorgo di non saperlo. In realtà non so nulla di questa donna. Solo che è più grande di mia moglie e si frequentano ormai da - da quanto? da una vita. E l’amica, non meno foriera di ammiccamenti ai bagordi, tira fuori una bottiglia. Spumante. O forse (un poco me ne intendo) champagne. Si abbracciano, si congratulano, e via in cucina. Per fortuna le telecamere non sono dotate di microfono, altrimenti potrei sanguinare dalle orecchie ad ascoltare civettuole sciocchezze. È vero che nessun uomo può restare troppo a lungo senza di esse, ma non è ciò che mi preme svelare in questo momento. “C'era un pacco regalo qui. Compleanno?” le chiedo di sfuggita. Solleva appena il capo dalle faccende evitando di guardarmi negli occhi, poi un lampo di astuzia le modella un sorriso sornione. “Sì” mi risponde, grata di quella sponda che le offro. “Sì, era proprio per un compleanno”.
E capisco all’istante che mente. Mente con disarmante spudoratezza. Che abbia intuito qualcosa? Di nuovo fremo, mi si ghiaccia il sudore addosso, tremo di paura. Se avesse già scoperto ciò che ritenevo perfettamente occultato? Quali conseguenze potrebbero derivarne? Coglierebbe subito la palla al balzo per intentare la causa di divorzio? Immagino il suo amante prendere possesso della casa, dei figli, della famiglia. Come in un incubo lo immagino rapirmi l’identità, spossessarmi del nome, del volto, sostituirsi come un sosia.
Va bene. Sto al gioco e fingo che il regalo sia destinato alla migliore amica. Ma questo non toglie la possibilità di una tresca e allora prometto a me stesso di non lasciar perdere alcun dettaglio, di non recriminare l’intentato. Chiuso nel mio ufficio, mentre svolgo con diligenza i compiti attribuiti al ruolo di dirigenza che occupo, non perdo d’occhio il monitor collegato al circuito chiuso.
Per alcuni giorni non accade nulla. Non si fanno più vivi i miei due principali indiziati, e neppure l’amica. Controllo mia moglie come passa le ore nella casa vuota prima dell’arrivo dei ragazzi. Quando lavora da remoto le signore che si occupano della casa non si fanno vedere. Trascorre tutta la mattinata davanti al portatile. Poi mangia da sola, si distrae con una lunga chiamata alla madre – solo con lei può divagare così tanto al telefono. Seduta sul divano, le gambe distese sul poggiapiedi, guarda distrattamente la tivù. Arriva addirittura ad appisolarsi durante lo zapping. E quasi anch'io insieme a lei.
Ma il giorno dopo, in cui non dovrebbe essere in smart, scopro a mia insaputa che è rimasta a casa. Ci siamo.
Il cuore mi si ferma nel petto, torna a battere come un tam-tam. Alle 9:34 entrano due persone. Sono di nuovo gli idraulici. I miei sospetti sono immediatamente fugati dalla presenza dell’apprendista. Poi quando li lascia da soli a lavorare nel bagno dimostrano senza reticenze il disappunto di avere a che fare con mia moglie. Dovrei risentirmi ma non riesco a trattenere un sorriso. È una donna puntigliosa e insolente, che pretende la perfezione dagli altri ma pratica la massima indulgenza nei confronti dei propri errori. Quando se ne vanno decido di spegnere ma eseguendo un ultimo sopralluogo la scopro a cambiarsi d’abito. Se fino ad allora era stata in déshabillé, cambia completamente registro e si mette in tiro. La seguo spogliarsi, indossare i collant, la minigonna, la camicia sul petto nudo tenuta aperta all'incrocio del seno, calzare delle scarpe alte aperte in punta. E con inquietudine mi accorgo che in mezzo alle gambe è pronta all’uso.
Così mi concentro sulla telecamera di sicurezza. E alle 11:57 lei si precipita alla porta, apre ad un uomo che entra e diventa visibile: è mio fratello. Si abbracciano, si baciano. Lo fa con tutti. Forse lo ha fatto anche con gli idraulici. Pranzano insieme. Parlano senza sosta. Dopo il caffè mi aspetto che accada quello che deve accadere. Ma inaspettatamente mia moglie si accascia sulle braccia conserte, abbandona il capo. Da come sussulta capisco che sta singhiozzando. E poiché nulla accade, se non l’accorato conforto che lui prova a darle, capisco anche che la situazione è peggiore di quanto temessi. Se in mezzo non c’è un terzo incomodo, allora le cose si complicano. Alle 14:25 se ne va. Davanti alla porta si abbracciano, si baciano. Mio fratello la trattiene con molta dolcezza. E allora capisco che è animato solo di buone intenzioni, che al cospetto di sua cognata è integro e rispettoso. Accomiatato, lei si appoggia all’uscio e vi rimane a lungo.
Quando lo scopro è quasi per caso.
Ho una riunione quella mattina e la fretta mi rende maldestro e nervoso. Cerco il mio tight prediletto – è tagliato su misura dalla sartoria più rinomata, l’ho pagato a caro prezzo ma quando lo indosso faccio sempre la mia figura – e non trovandolo dove ricordavo di averlo lasciato le getto un grido, ma è impegnata con i ragazzi oppure è chiusa in bagno. Allora metto a soqquadro la cabina armadio, frugo ovunque anche dal suo lato. Mi prende la smania di mancare in qualcosa, di fare tardi o non presentarmi all’altezza. Spostando tutto ciò che mi è di intralcio mi imbatto nel pacco regalo.
Protendo le dita oltre il bordo di cartone aperto come una bocca pronta a mordere. Ho quasi timore di infilare la mano. Trascino il pacchetto da una maniglia, lo espongo meglio alla luce. Dovrebbe essere vuoto, non lo è.
Quelle forme strane che scorgo e che suscitano perplessità dopo un esame sommario si rivelano essere qualcosa che non avrei mai sospettato. Lo estraggo con la cautela di un restauratore e lo studio.
Quel qualcosa è un grosso cazzo di neoprene rigido e flessibile, collegato da una cintura per fissarlo alla vita. Sarà lungo il doppio del mio. Sono così sbalordito che quasi non mi accorgo dei passi strascicati sul pavimento mentre entra nella camera e si avvicina. “Pà?” mi chiama. C’è sconcerto nella voce. Prima che si affacci dentro la cabina sono già in piedi e ancora fingo di cercare. Lei fotografa la posizione in cui mi ha trovato e sembra farsi più sospettosa. “Cosa stai cercando?”. È come se avessi dovuto nascondere qualcosa di mio, di compromettente e vergognoso. Ma è la scoperta a rendermi compromesso e pieno di vergogna.
Mi giro e ancora fingo di cercare qualcosa che abbia ancora importanza per me. “Il mio tight preferito. Ho riunione oggi”.
È la riunione più lunga ed estenuante della mia carriera. Ascolto la metà di ciò che viene divulgato e capisco la metà di ciò che ho sentito. La mia vita è finita vorrei gridare. Ma come, per causa di chi? Penso alla sua migliore amica, ai suggerimenti erotici per soddisfare l’amante insaziabile. Penso a mio fratello, al suo aplomb e sensibilità nei confronti di una donna affranta. Altro che consigli per non lasciare naufragare un matrimonio e una famiglia! Altro che rispetto dei legami di sangue!
Forse il sospetto si è trasformato in qualcosa di più.
Ispeziono le microcamere. A tratti mi sembra di scorgere dei piccoli mutamenti di posizione, ma si tratta di illusioni infondate.
Eppure qualcosa è davvero cambiato. Sulla scena del crimine regna la pace. Lunedì non viene nessuno. E così venerdì.
Lunedì, venerdì, lunedì. Niente.
Poi venerdì torna l’amica. Trascorrono un’ora burrascosa in cucina. Mia moglie siede contrita, l’altra si appoggia al piano della cucina, le braccia conserte, visibilmente contrariata. E dopo quando se ne va la sostituisce mio fratello.
Mi prende un crampo allo stomaco. È un pervertito? Adora aprire le natiche? Mio Dio, mai avrei pensato di formulare interrogativi simili.
Vanno insieme in camera. Entrano nella cabina armadio. 15:55. Alle 16:02 ne escono. Il regalo è stato mostrato. Forse tra breve scoprirò come si usa. Si abbracciano. Lei abbandona il capo sul suo petto, lui le accarezza i capelli. Rimangono così cinque minuti. Poi tornano all’ingresso, mio fratello va via. Qualcosa è andato storto?
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