Una sera a teatro (parte 2) - Versione maschile
di
Shadowline
genere
tradimenti
All’intervallo resto qualche minuto seduto, lasciando che la sala si svuoti. Mia moglie si alza per andare al bagno, e anche la sconosciuta accanto a me si dirige nella stessa direzione con il marito. Io approfitto del momento per sciogliere la tensione respirando a fondo, ma non serve: il pensiero di lei, delle sue gambe, della sua mano che mi ha respinto e poi esitato, non mi lascia in pace.
Quando esco a mia volta e raggiungo il bar del teatro, la ritrovo lì. È sola, con un bicchiere in mano, lo sguardo che vaga nella folla. I nostri occhi si incrociano ancora una volta. Questa volta non distoglie lo sguardo. Le sorrido appena, lei mi risponde con un mezzo sorriso che dura un istante, ma abbastanza da darmi coraggio.
Mi avvicino, con la scusa più naturale possibile.
«Intenso il primo atto, vero? Quasi ipnotico.»
Lei annuisce, porta il bicchiere alle labbra.
«Pirandello sa scavare nell’anima più di chiunque altro. A volte quasi troppo.»
Le sue parole sono semplici, ma il tono ha una vibrazione che riconosco. Restiamo così, vicini, immersi nel brusio della gente che ride e chiacchiera. Nessuno ci nota.
A un certo punto, le indico con un cenno del capo una porta laterale, semibuia, da cui passano solo gli addetti. È rimasta socchiusa. «Credo ci sia meno confusione lì.» Non dice nulla, ma dopo un istante posa il bicchiere e mi segue.
Il corridoio è stretto, l’illuminazione fioca. Sento il cuore martellare mentre camminiamo rapidi, come due complici. Poco più avanti, troviamo una rientranza: un angolo cieco accanto a una porta tecnica, usata raramente. È lì che mi fermo, afferrandola per un polso e attirandola a me.
Non c’è spazio per esitazioni. La spingo contro il muro, la mia bocca sulla sua con un bacio furioso, affamato. Lei all’inizio irrigidisce il corpo, poi si abbandona di colpo, le mani che mi artigliano la giacca. Le sollevo la gonna con gesti rapidi, sfacciati, e trovo la sua pelle calda sotto le dita.
Il tempo sembra collassare: la tiro verso di me, abbasso appena la cerniera dei pantaloni, e la penetro con una spinta secca, senza preamboli. Il suo respiro si spezza in un gemito soffocato contro la mia spalla.
Il ritmo è selvaggio, incontrollato. Ogni affondo rimbomba dentro il corridoio stretto, le mie mani che la tengono schiacciata contro il muro, la sua bocca che cerca di non gridare. Il contrasto tra il brusio del pubblico a pochi metri e la violenza del nostro atto segreto rende tutto più eccitante, proibito.
Lei si muove con me, disperatamente, come se non potesse fermarsi. Le cosce tremano, il corpo si tende contro il mio. Sento i suoi gemiti spezzati, i suoi graffi sulle mie spalle, e il suo sesso che pulsa e mi stringe mentre la porto sempre più vicino all’orlo.
Quando l’orgasmo la travolge, lo percepisco in ogni fibra: il suo corpo che trema contro il mio, le contrazioni che mi avvolgono, il respiro che si spezza in un lamento soffocato. È il segnale che mi trascina oltre, e con poche spinte violente la riempio, affondando fino in fondo, mentre l’eco dei nostri corpi uniti rimbalza muto in quell’angolo nascosto del teatro.
Restiamo schiacciati l’uno all’altra, sudati, il cuore in gola. Poi, quando il respiro torna regolare, ci sistemiamo in fretta, ognuno col cuore ancora in gola. Lei abbassa la gonna, io chiudo la cerniera, il respiro ancora corto. Ci guardiamo un attimo, senza parole: negli occhi, però, c’è tutto.
Rientriamo tra la folla, mischiandoci con naturalezza. Nessuno sospetta nulla. Quando le luci della sala si abbassano di nuovo e il pubblico torna ai propri posti, anche noi ci sediamo accanto ai nostri partner come se nulla fosse accaduto.
Il sipario si apre sul secondo atto, e l’atmosfera drammatica dello spettacolo torna a catturare tutti. Io, però, mi sento incredibilmente leggero, carico, soddisfatto. Lei rimane composta, con lo sguardo fisso sul palco, ma colgo un fremito delle sue gambe accavallate che parla più di mille parole.
Mentre l’orchestra accompagna le voci degli attori, un pensiero mi martella in testa: chissà se riuscirò a resistere per tutto il resto dello spettacolo senza cercare ancora la sua pelle.
Quando esco a mia volta e raggiungo il bar del teatro, la ritrovo lì. È sola, con un bicchiere in mano, lo sguardo che vaga nella folla. I nostri occhi si incrociano ancora una volta. Questa volta non distoglie lo sguardo. Le sorrido appena, lei mi risponde con un mezzo sorriso che dura un istante, ma abbastanza da darmi coraggio.
Mi avvicino, con la scusa più naturale possibile.
«Intenso il primo atto, vero? Quasi ipnotico.»
Lei annuisce, porta il bicchiere alle labbra.
«Pirandello sa scavare nell’anima più di chiunque altro. A volte quasi troppo.»
Le sue parole sono semplici, ma il tono ha una vibrazione che riconosco. Restiamo così, vicini, immersi nel brusio della gente che ride e chiacchiera. Nessuno ci nota.
A un certo punto, le indico con un cenno del capo una porta laterale, semibuia, da cui passano solo gli addetti. È rimasta socchiusa. «Credo ci sia meno confusione lì.» Non dice nulla, ma dopo un istante posa il bicchiere e mi segue.
Il corridoio è stretto, l’illuminazione fioca. Sento il cuore martellare mentre camminiamo rapidi, come due complici. Poco più avanti, troviamo una rientranza: un angolo cieco accanto a una porta tecnica, usata raramente. È lì che mi fermo, afferrandola per un polso e attirandola a me.
Non c’è spazio per esitazioni. La spingo contro il muro, la mia bocca sulla sua con un bacio furioso, affamato. Lei all’inizio irrigidisce il corpo, poi si abbandona di colpo, le mani che mi artigliano la giacca. Le sollevo la gonna con gesti rapidi, sfacciati, e trovo la sua pelle calda sotto le dita.
Il tempo sembra collassare: la tiro verso di me, abbasso appena la cerniera dei pantaloni, e la penetro con una spinta secca, senza preamboli. Il suo respiro si spezza in un gemito soffocato contro la mia spalla.
Il ritmo è selvaggio, incontrollato. Ogni affondo rimbomba dentro il corridoio stretto, le mie mani che la tengono schiacciata contro il muro, la sua bocca che cerca di non gridare. Il contrasto tra il brusio del pubblico a pochi metri e la violenza del nostro atto segreto rende tutto più eccitante, proibito.
Lei si muove con me, disperatamente, come se non potesse fermarsi. Le cosce tremano, il corpo si tende contro il mio. Sento i suoi gemiti spezzati, i suoi graffi sulle mie spalle, e il suo sesso che pulsa e mi stringe mentre la porto sempre più vicino all’orlo.
Quando l’orgasmo la travolge, lo percepisco in ogni fibra: il suo corpo che trema contro il mio, le contrazioni che mi avvolgono, il respiro che si spezza in un lamento soffocato. È il segnale che mi trascina oltre, e con poche spinte violente la riempio, affondando fino in fondo, mentre l’eco dei nostri corpi uniti rimbalza muto in quell’angolo nascosto del teatro.
Restiamo schiacciati l’uno all’altra, sudati, il cuore in gola. Poi, quando il respiro torna regolare, ci sistemiamo in fretta, ognuno col cuore ancora in gola. Lei abbassa la gonna, io chiudo la cerniera, il respiro ancora corto. Ci guardiamo un attimo, senza parole: negli occhi, però, c’è tutto.
Rientriamo tra la folla, mischiandoci con naturalezza. Nessuno sospetta nulla. Quando le luci della sala si abbassano di nuovo e il pubblico torna ai propri posti, anche noi ci sediamo accanto ai nostri partner come se nulla fosse accaduto.
Il sipario si apre sul secondo atto, e l’atmosfera drammatica dello spettacolo torna a catturare tutti. Io, però, mi sento incredibilmente leggero, carico, soddisfatto. Lei rimane composta, con lo sguardo fisso sul palco, ma colgo un fremito delle sue gambe accavallate che parla più di mille parole.
Mentre l’orchestra accompagna le voci degli attori, un pensiero mi martella in testa: chissà se riuscirò a resistere per tutto il resto dello spettacolo senza cercare ancora la sua pelle.
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