La finestra di fronte

di
genere
etero

osservare anche lui la mia esitazione.

Allungai la mano. Premetti il pulsante del campanello.

Un istante di silenzio, poi udii la sua voce, per la prima volta: bassa, ferma, scivolò nell’altoparlante.

"Sali"

Il portone scattò. Lo spinsi ed entrai, l’odore freddo del condominio mi avvolse. Presi l’ascensore, il suo lento salire sembrava non finire mai. Ogni piano che passava era un brivido in più, un punto di non ritorno.

Il corridoio era silenzioso. Mi avvicinai alla porta. Lei era lì dietro, ad aspettarmi: potevo percepire la sua presenza, pur non vedendola.

La porta si è socchiusa piano, lasciando filtrare una lama di luce calda. Matilde era effettivamente lì, con la stessa camicetta che avevo intravisto dalle finestre, i capelli sciolti che ricadevano sulle spalle. Non disse nulla: mi fissava, con quello sguardo che mescolava sfida e vulnerabilità, come se stessimo ancora comunicando con i nostri cartelli.

Io non parlai. Non serviva più.

Quando varcai la soglia, il rumore della porta che si chiudeva alle mie spalle era già il suono di una resa. La stanza profumava di vino rosso e di pelle calda. Ci avvicinammo subito come due magneti, lentamente ma senza esitazioni.

E in un attimo, tutto il gioco diventò carne, mani, labbra, desiderio.

Sentii il calore del suo respiro sul mio viso, e un attimo dopo le nostre labbra si scontrarono violentemente. Non fu un bacio gentile: era il risultato di tutte le notti passate a fissarci da lontano. La baciai con foga, e lei per tutta risposta mi afferrò per i capelli, tirandomi a sé, mordendo il mio labbro con forza.

Feci scivolare le mani sui suoi fianchi, stringendo la curva dei glutei sopra la stoffa leggera della gonna, che quella sera indossava magnificamente, invece dei soliti leggings. Lei gemeva piano, ma non era un lamento: era un incoraggiamento. Iniziai a farla indietreggiare, senza smettere di baciarla, finché le sue gambe non incontrarono il tavolo del soggiorno.

Si sedette di colpo, e io di rimando mi chinai su di lei. Aprii in fretta la sua camicetta, un bottone dopo l’altro, scoprendo il reggiseno che già conoscevo grazie al nostro gioco a distanza. Lo abbassai con un gesto rapido, e i suoi seni scivolarono fuori, tesi, con i capezzoli già induriti.

Li baciai, li succhiai, li leccai, li mordicchiai; e lei gemeva volta per volta sempre più forte, piegandosi all’indietro, mentre le mani mi artigliavano le spalle.

"Da quanto tempo lo volevi?" sussurrò, con il fiato spezzato.

Sollevai la testa, guardandola negli occhi. "Dalla prima sera che ti ho vista. Mi sono trattenuto sin troppo a lungo."

Lei sorrise, con un ghigno che era per metà ironia e per metà resa e, allargando le gambe, mi invitò a prendere ciò che avevo desiderato per settimane.

Le sollevai la gonna fino alla vita, scoprendo l’intimo sottile. Feci scivolare le dita lungo la stoffa, sentendo già il calore che trapelava. Lei sollevò il bacino, quasi impaziente, e io le sfilai lentamente le mutandine, godendomi ogni centimetro che scoprivo.

Il suo profumo mi travolse. Chinai la testa e iniziai a leccarla, appassionatamente, per farle capire che non avevo nessuna intenzione di lasciarla respirare. Lei inarcò subito la schiena, il respiro spezzato che diventava un gemito continuo. Affondai i polpastrelli nelle sue cosce, la lingua che entrava in lei, risaliva, tornava a indugiare sul suo clitoride.

"Dio…" ansimò "ancora, non fermarti…"

Continuai. La leccai con avidità, con rabbia, con la fame accumulata da settimane. Finché il suo corpo non iniziò a tremare, le gambe a stringermi la testa, la voce rotta che si trasformava in un grido sommesso. La scosse un orgasmo violento, quasi improvviso, e io la sentii cedere sotto la mia bocca.

Ma non era finita. Non per me.

Mi alzai, slacciandomi con un gesto veloce i pantaloni, e senza darle il tempo di recuperare la penetrai in un unico affondo. Lei spalancò gli occhi e graffiandomi la schiena con forza, esalò un gemito strozzato che era sia protesta e sia piacere puro.

Iniziai a muovermi dentro di lei, lento all’inizio, poi sempre più forte, più profondo, spingendola contro il tavolo che scricchiolava sotto i nostri corpi. Lei mi stringeva con le gambe attorno ai fianchi, mi mordeva la spalla, mi sussurrava insulti che diventavano gemiti.

"Maledetto… oh Dio, continua così…"

Ogni parola era una lama e una carezza insieme.

Aumentai il ritmo, spingendo fino a perdermi. Sentivo il mio piacere montare, ma volevo portarla con me. A un tratto la sollevai di peso, la feci girare e la piegai sul tavolo. La presi da dietro, le mani che le stringevano i fianchi, la mia bocca che tornava a mordere le sue spalle nude.

Lei gridava senza più trattenersi, il corpo che cedeva a ogni colpo. Finché la sentii irrigidirsi di nuovo, un secondo orgasmo la attraversò tutta. E quest'ultimo mi travolse a mia volta: affondai ancora due, tre volte, e poi esplosi dentro di lei, stringendola con tutte le forze che mi erano rimaste.

Rimanemmo poi così, piegati e ansimanti, i corpi uniti, il sudore e i nostri umori che si mescolavano irrimediabilmente.

Alla fine lei si staccò piano, si sistemò la gonna con mani ancora tremanti e mi guardò. Gli occhi ardevano ancora, ma la voce era calma, come se avesse deciso di chiudere il cerchio del nostro gioco con un tocco di ironia.

"Tutto questo… non era nei cartelli!"

Poi sorrise, si infilò di nuovo la camicetta, e senza aggiungere altro mi accompagnò alla porta.

Io uscii da quella porta con un'unica consapevolezza: che dopo quella notte nessun foglio, nessun cartello sarebbe più bastato.
scritto il
2025-10-01
6 0 5
visite
6
voti
valutazione
6.8
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

Matilde e la scopata con l'host
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.