La gita in pedalò

di
genere
trio

Le vacanze in Versilia erano diventate una tradizione. La stessa spiaggia ogni anno, gli stessi stabilimenti, lo stesso gruppo di amici. Quest’estate eravamo in tre coppie: io con mia moglie, Matilde con il marito, e Vanessa col marito – professore universitario, uomo rispettato, ma che in vacanza si portava dietro lo stesso tono severo e autoritario con cui probabilmente trattava i suoi studenti.

Era quasi imbarazzante osservarlo. Vanessa non poteva aprire bocca senza che lui le correggesse qualcosa: “Non dire così”, “Parla piano”, “Non ti sdraiare sotto il sole a quest’ora, ti fa male”. Una catena continua di ammonimenti, come se lei fosse un’adolescente da sorvegliare, invece che una donna adulta, desiderabile, con un corpo che non potevi non guardare. Quel contrasto mi faceva ribollire dentro: vedevo come lei abbassava lo sguardo, come si rassegnava a quella voce dura, e pensavo a quanto avrebbe potuto essere luminosa se solo fosse stata lasciata libera.

Eppure, per quanto Vanessa mi intrigasse, la mia attrazione più forte era per Matilde. Lei era diversa: un’energia naturale che emanava in ogni gesto, quel modo di muoversi che sembrava casuale ma che inevitabilmente attirava gli sguardi. Un bikini nero semplice, quasi castigato, ma che addosso a lei diventava l’emblema della sensualità. Le gambe lunghe, sempre accavallate con naturalezza, i seni appena velati dal tessuto, la schiena liscia che brillava di gocce quando rientrava dal mare. E quel sorriso: diretto, complice, che mi dava l’impressione che capisse fin troppo bene quanto la desiderassi.

In spiaggia, con mia moglie accanto, mi scoprivo a rubare attimi. Matilde che si chinava a raccogliere la crema caduta dalla sacca, lasciando intravedere l’incavo perfetto tra le cosce. Vanessa che tornava dall’acqua, il costume colorato appiccicato alla pelle, e il professore che la fulminava con lo sguardo come a dire “stai composta”. Io li osservavo entrambi, sì, ma con Matilde era diverso. Lei aveva quell’aura naturale di donna che non deve fare nulla per accendere il desiderio, e più cercavo di scacciare il pensiero, più cresceva.

Ero diventato un abile ladro di immagini mentali: la goccia di sudore che le scendeva lungo la pancia piatta, i movimenti delle sue gambe nella sabbia, il modo in cui si sistemava i capelli. Scene che mi portavo dietro fino alla sera, mentre fingevo di ascoltare le conversazioni leggere intorno al tavolo, ma in realtà avevo la mente altrove, intrappolata in fantasie che non riuscivo a soffocare.

Quella mattina, poco prima di pranzo, venne fuori l’idea del pedalò. Una proposta buttata lì, forse da me stesso, forse da Matilde – non ricordo bene, so solo che fu immediatamente accolta da un “no” secco dal professore e dal marito di Matilde, entrambi poco inclini a scottarsi sotto il sole di mezzogiorno. Mia moglie li seguì, con la scusa della fame. Restammo così in tre: io, Matilde e Vanessa.

“Beh, almeno un aperitivo diverso ce lo concediamo,” dissi sorridendo, già immaginando il potenziale di quell’occasione. Caricammo sul pedalò una bottiglia di prosecco e un sacchetto di patatine, e ci avviammo verso la riva.

Lì iniziò già un gioco che sembrava innocente, ma che io sentivo crescere dentro come una brace sotto la cenere. Spingere il pedalò in acqua fu un pretesto continuo di contatti: Matilde che rideva cercando di non bagnarsi, Vanessa che si piegava in avanti, lasciandomi intravedere il seno dal costume scollato, io che fingevo di darmi da fare ma in realtà godevo di ogni sfioramento, di ogni centimetro di pelle che si avvicinava troppo.

Quando finalmente ci allontanammo dalla spiaggia, con la gente che diventava solo un punto indistinto alle nostre spalle, mi resi conto che quell’uscita non era un semplice giro in mare. Era la mia fantasia che prendeva corpo: io, solo con loro due, in mezzo al blu, il prosecco già pronto a sciogliere i freni, e quell’atmosfera sospesa, dove tutto sembrava possibile.

Il pedalò scivolava piano verso il largo, con quel cigolio regolare dei pedali che si mischiava agli schizzi d’acqua. Il sole di mezzogiorno picchiava forte, e il prosecco che avevamo portato sembrava già una buona scusa per fermarci e lasciarci andare a qualche risata.

«Questa è la nostra mini crociera privata,» dissi scherzando mentre versavo nei bicchieri di plastica.
Matilde rise, prendendo il suo con un movimento fluido che fece ondeggiare il seno sotto il bikini. Vanessa, accanto a lei, lo sollevò in aria e fece un brindisi improvvisato: «Alla libertà dal controllo dei nostri mariti per almeno un’ora!»

Le risate furono fragorose, ma nel mio stomaco era come se avessi appena inghiottito fuoco. Guardarle lì, libere, rilassate, senza occhi giudicanti addosso, era già di per sé una tentazione.

Dopo qualche sorso, la bottiglia ci aveva già sciolti. Matilde allungò le gambe nude sul bordo del pedalò, lasciandole ciondolare nell’acqua. Le sue cosce brillavano bagnate di spruzzi, e ogni tanto incrociava il mio sguardo, consapevole di quell’effetto. Vanessa, al contrario, si era sdraiata di lato, appoggiata al braccio, il costume colorato che tirava un po’ troppo sui fianchi. La posizione lasciava intravedere le curve senza sforzo, come un invito involontario.

Un’onda improvvisa fece sobbalzare il pedalò. Matilde perse l’equilibrio e si aggrappò al mio braccio, il corpo che mi cadde addosso per un attimo. Sentii la sua pelle calda contro la mia e un profumo leggero, misto di crema solare e salsedine. «Scusa!» rise, ricadendo al suo posto. Ma quello sfioramento mi aveva già acceso dentro, e nei suoi occhi intravidi un lampo che diceva che se n’era accorta.

Vanessa, intanto, prese una patatina e me la porse direttamente alle labbra: «Su, assaggia questa, è la mia preferita.» Non c’era niente di apertamente malizioso, ma il gesto, visto il contesto, ebbe un sapore diverso. Mentre la prendevo con le labbra, lei sorrise appena, lasciando che le sue dita sfiorassero le mie.

Il prosecco, il sole, la libertà lontano dalla spiaggia: tutto contribuiva a creare un’atmosfera sospesa, quasi irreale. Le risate continuavano, ma sotto c’era un silenzio più profondo, fatto di sguardi che si incrociavano più a lungo del necessario, di mani che sfioravano bottiglie e gambe senza ritirarsi subito.

E in quell’equilibrio precario, mentre il pedalò ondeggiava piano, io mi resi conto che stavo letteralmente seduto in mezzo a due fantasie proibite, e che il confine tra gioco e desiderio si stava facendo sempre più sottile.

Il pedalò oscillava appena, ancorato a qualche decina di metri dalla riva. Il sole di mezzogiorno filtrava attraverso l’acqua, riflettendosi sui loro corpi sdraiati a pochi centimetri da me. All’inizio non avevo neppure capito cosa stesse succedendo: il prosecco, le risate, le battute un po’ maliziose. Poi il silenzio, improvviso, e quello scambio di sguardi che sembrava parlare più di qualsiasi parola.

Quando mi sono girato, le ho viste. Matilde e Vanessa, vicinissime, le labbra che si cercavano incerte, poi decise. Un bacio che all’inizio aveva il sapore di un gioco, ma che si stava trasformando in qualcosa di molto più serio. Le loro mani erano già in movimento, scivolavano sulle cosce, tra i seni, incuranti della mia presenza.

Mi sono sentito mancare il respiro. Era la fantasia che da anni mi tenevo dentro, vederle così, insieme. Ho lasciato scivolare via il costume, ho iniziato a masturbarmi senza neppure accorgermene, ipnotizzato da quella scena.

Matilde, voltandosi di colpo, mi ha colto sul fatto. Ma invece di fermarsi, ha sorriso, con quell’aria sfacciata che la rende irresistibile. Ha preso la mia mano e l’ha posata sul fianco di Vanessa, spingendola piano verso di me. Vanessa ha avuto un attimo di esitazione, quasi un “no” sussurrato, ma ormai il suo corpo parlava un’altra lingua: si stava muovendo, stava già cedendo.

E allora mi sono buttato dentro quell’uragano. Ho affondato la bocca tra i seni di Vanessa, leccandola e mordicchiandola, mentre con la mano stringevo il culo di Matilde. Le loro gambe si intrecciavano alle mie, non sapevo più dove finivo io e dove iniziavano loro.

I costumi erano ormai spariti. Matilde cavalcava il corpo di Vanessa, le sfiorava i capezzoli con la lingua, mentre io le penetravo con due dita, sentendola bagnata, caldissima. Vanessa gemeva, la testa riversa all’indietro, gli occhi chiusi, e con una mano mi stringeva il cazzo, iniziando a masturbarmi con una foga che non mi aspettavo.

Poi è stato un attimo: Matilde si è inginocchiata davanti a me, le labbra che scivolavano lente lungo la mia erezione, mentre Vanessa, dietro di lei, le apriva le gambe e la leccava senza pietà. Mi spingevo dentro la bocca di Matilde, guardandola godere sotto la lingua dell’amica. Uno spettacolo che mi stava facendo perdere completamente il controllo.

Non potevo più aspettare. Ho afferrato Vanessa per i fianchi, l’ho piegata in avanti sul pedalò e l’ho scopata da dietro, con colpi profondi, sentendo il suo corpo arrendersi al mio ritmo. Matilde accanto, con i seni scoperti, mi baciava e mi graffiava la schiena, eccitata nel vederci uniti così.

Vanessa gemeva piegata in avanti, mentre la prendevo da dietro con spinte sempre più forti. Il suo corpo vibrava sotto di me, i capelli scompigliati che le cadevano sul volto. Ogni affondo la faceva gemere più forte, e le mie mani la stringevano ai fianchi senza lasciarle scampo.

Matilde, accanto, non si limitava a guardare. Le aveva preso i seni, li stringeva tra le dita, le baciava il collo con una foga che mi faceva impazzire. I loro gemiti si mescolavano, e il suo sguardo, fisso su di me, era di una complicità sconvolgente: mi stava dando Vanessa, ma sapevo che voleva essere la prossima.

Quando non ho più resistito, l’ho mollata e ho preso Matilde con un gesto deciso, tirandola sopra di me. Lei non ha esitato: si è calata sul mio cazzo in un solo movimento, fino a prendermi tutto dentro. Un gemito ci è esploso entrambi in gola. Le mani le stringevano il culo, guidando i suoi movimenti, mentre lei cavalcava come se fosse impazzita. I suoi seni rimbalzavano a pochi centimetri dal mio viso, e ogni colpo era più violento del precedente.

Vanessa, intanto, si era sdraiata di lato, le gambe tremanti, una mano già sul clitoride. Ma Matilde non le ha permesso di fare da sola: si è chinata su di lei, continuando a scoparmi, e ha fatto scivolare la mano fra le sue cosce, spingendo le dita dentro la sua figa bagnata. La stava masturbando con forza, mentre io la scopavo senza tregua.

La scena era folle: io che affondavo dentro Matilde, Matilde che si muoveva sopra di me gemendo, e al tempo stesso con l’altra mano faceva tremare Vanessa, facendola godere. Le due si guardavano negli occhi, si baciavano a tratti, i gemiti che diventavano sempre più alti.

Era un crescendo senza fine. Matilde mi stringeva dentro come una morsa, il respiro spezzato, i gemiti che diventavano quasi urla. Io non riuscivo più a trattenermi: l’ho tirata a fondo contro di me, ho affondato con un ultimo colpo secco e sono venuto dentro di lei, forte, sentendo il suo corpo impazzire in un orgasmo devastante. Ha urlato, stringendomi spasmodicamente, mentre con la mano continuava a frustare il clitoride di Vanessa.

Quella scarica ha acceso anche Vanessa, che si è inarcata di colpo, le gambe che tremavano, le dita che affondavano sui seni di Matilde. Ha avuto un orgasmo violento, urlando a sua volta, bagnando la mano dell’amica, mentre il suo corpo si contraeva sotto i nostri occhi.

Le due, strette una all’altra, continuavano a toccarsi, le dita ancora dentro, masturbate a vicenda, fino a venirsi addosso quasi insieme, bagnate, urlanti, con il pedalò che ondeggiava sempre più sotto quella foga. Io le tenevo strette, ancora dentro Matilde, mentre le guardavo scoppiare una nell’altra, la pelle arrossata, il respiro corto, i corpi incandescenti.

Era stato un tripudio di gemiti, di carne e di piacere puro, lì, in mare aperto, lontano da occhi indiscreti, ma con l’adrenalina di poter essere scoperti da un momento all’altro.


scritto il
2025-09-24
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