Notte di passione in Versilia

di
genere
etero

Continuazione del racconto di Matilde25

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La pineta era silenziosa, interrotta solo dal frinire dei grilli e dal rumore ovattato delle onde in lontananza. Il vino della cena ancora mi scaldava il sangue, ma non era quello a farmi vibrare le mani: era lei, Matilde, davanti a me, con quegli occhi che ardevano di un desiderio trattenuto troppo a lungo.

Appena ci trovammo abbastanza lontani dai bungalow, la presi e la baciai con una forza che non le lasciò scelta. Lei rispose subito, divorandomi la bocca come se mi avesse aspettato tutta la sera. Le mani correvano veloci: io che le sollevavo il vestito, lei che infilava le dita sotto la mia camicia, graffiando leggermente.

Le spinsi la schiena contro un tronco, i nostri respiri mescolati, i bacini che già si cercavano. Poi senza dire una parola la trascinai più dentro la pineta, fino a quando non ci lasciammo cadere su un tappeto di aghi di pino. Matilde era accesa, si mise subito a carponi, sollevando il vestitino fino alla vita e mostrando senza esitazioni il suo corpo nudo.

Il mio cuore martellava mentre mi liberavo in fretta dei pantaloni. Mi inginocchiai dietro di lei e, con un gesto deciso, le scostai le natiche. Era già bagnata. La penetrai con un solo colpo, profondo, che ci fece gemere entrambi.

Il suono della sua voce, rauco e rotto, mi fece perdere la testa. Le mie mani affondavano nei suoi fianchi, guidando ogni spinta, mentre il suo corpo ondeggiava contro di me. Sentivo il calore della sua pelle, il profumo salmastro dei pini mescolarsi al suo odore di donna eccitata.

Fu allora che notai un’ombra. Qualcosa che si muoveva appena più in là, dietro un albero. Lo sguardo si abituò al buio: un ragazzo, giovane, immobile, la mano che si muoveva sotto i pantaloni. Ci stava guardando.

Il sangue mi esplose nelle vene. Invece di fermarmi, aumentai il ritmo, affondando dentro Matilde con più forza, con più rabbia, quasi a voler mostrare al nostro spettatore clandestino di chi fosse quel corpo piegato a terra.

Anche lei se ne accorse. Girò appena la testa, vide quella sagoma, e invece di spaventarsi mi guardò con un sorriso breve, malizioso. Poi spinse i fianchi all’indietro con più decisione, come a dirmi: “Scopami più forte, fallo per lui.”

E io obbedii. Ogni colpo rimbombava nei nostri corpi, il suono umido delle nostre spinte copriva il frinire dei grilli. La sua pelle sudata brillava sotto la luna, i suoi capelli le cadevano disordinati sul viso. I suoi gemiti si facevano sempre più forti, quasi urlati, e quel ragazzo li ascoltava tutti, la mano che si muoveva sempre più frenetica.

Mi chinai su di lei, affondando ancora, e iniziai a baciarle la schiena, le spalle, mentre con una mano le stringevo un seno, pizzicandole il capezzolo duro. Lei ansimava, piegata in avanti, le mani aggrappate alla terra. Ogni volta che entravo dentro di lei gemeva un “sì” spezzato, come se non volesse più smettere.

Le spinte diventarono più brevi, più veloci, e sentivo il suo corpo tremare sotto di me. “Sto venendo…” ansimò, quasi un sussurro rotto. Le presi i fianchi con entrambe le mani e affondai ancora più a fondo, sentendola vibrare tutta, la figa che mi stringeva come una morsa. Venne urlando, piegata in avanti, un orgasmo violento che la fece tremare.

Io non resistei oltre: con un colpo secco mi spinsi fino in fondo e venni dentro di lei, gemendo forte, il corpo che si scagliava contro il suo. Restammo uniti così, io che la riempivo e lei che gemeva ancora, sfinita e accaldata, mentre i nostri respiri si fondevano con l’eco del mare.

Alle nostre spalle, il ragazzo era ormai piegato in due, la mano che si muoveva frenetica, il respiro corto. L’ultima immagine che vidi, prima di crollare esausto accanto a Matilde, fu il suo corpo che si scuoteva nell’orgasmo, testimone segreto del nostro peccato.

La pineta ci aveva avvolti come un teatro naturale, e noi avevamo recitato il nostro spettacolo proibito davanti a un solo spettatore, in una notte che non avremmo mai dimenticato.
scritto il
2025-09-25
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