Matilde e la scopata con l'host

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Matilde mi aveva contattato qualche giorno prima per un breve soggiorno di lavoro, tre notti soltanto. Io gestivo un appartamento su Airbnb e avevo subito risposto, inviandole le istruzioni per l’arrivo, i consigli su come muoversi in città. Fin dalle prime battute della chat avevo percepito qualcosa di diverso: i suoi messaggi, pur pratici, erano sempre puntuali, cordiali, con una sfumatura leggera che lasciava spazio a un filo di sintonia.

Quando si era presentata alla porta, avevo avuto la conferma. Nonostante fosse vestita in modo sportivo — jeans chiari, scarpe comode, una giacca leggera — aveva un portamento che non poteva essere ignorato. Capelli biondi raccolti con naturalezza, gambe lunghe che si muovevano con sicurezza, uno sguardo limpido ma attento. Una bellezza sobria, che non cercava di imporsi ma che finiva per dominare lo spazio.

Le avevo consegnato le chiavi, mostrandole ogni angolo dell’appartamento: il salotto luminoso, la cucina ordinata, la camera da letto con lenzuola fresche di bucato. Lei aveva ascoltato con attenzione, facendo poche domande ma osservando tutto con cura. Alla fine avevo proposto un caffè veloce. Ci eravamo seduti pochi minuti al tavolo, parlando del più e del meno, e poi ero andato via. Ma mentre richiudevo la porta dietro di me, ero rimasto con la netta sensazione che quella donna mi sarebbe rimasta in testa.

Nei giorni seguenti, i nostri scambi erano stati limitati a qualche messaggio pratico: un consiglio su un ristorante, un’indicazione su come spostarsi. Sempre brevi, sempre formali, ma con quell’impercettibile leggerezza che teneva vivo un filo invisibile.

La sera prima della sua partenza, mi aveva scritto:
«Avrei bisogno di fare il check-out molto presto, alle 7. Devo partecipare a una conferenza. Spero non sia un disturbo.»

Avevo risposto:
«Per lei, anche alle 6. Ma mi rovinerà il sonno…»

Lei aveva replicato con un messaggio breve e un sorriso accennato in emoji. Ed era bastato per farmi attendere l’indomani con un’ansia diversa dal solito.


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Alle 7 in punto, bussavo alla porta con un sacchetto di brioche appena prese e due caffè fumanti. Quando la porta si era aperta, per un attimo ero rimasto senza parole.

Non più la donna sportiva e pratica che avevo accolto il primo giorno, ma una figura elegante e raffinata, pronta per affrontare il suo ruolo pubblico. Indossava un tailleur grigio chiaro, giacca avvitata che sottolineava i fianchi, camicetta bianca aperta quanto bastava per lasciar intravedere il seno, gonna al ginocchio che abbracciava le gambe fasciate da collant velati, tacchi medi che aggiungevano grazia al suo portamento. Profumava di pulito e di femminilità discreta, ma irresistibile.

«Addirittura la colazione?» aveva detto, con un sorriso composto.
«È un servizio che riservo alle ospiti più speciali» avevo risposto, con un tono leggermente più ambiguo di quanto avrei dovuto.

Lei aveva alzato un sopracciglio, senza togliersi il sorriso. Ci eravamo seduti in cucina, io che spingevo verso di lei il sacchetto con le brioche, lei che si versava il caffè. La sua eleganza contrastava con la semplicità di quella colazione improvvisata.

«Magari fossero tutte come lei le mie clienti» avevo detto, fissandola con più insistenza del necessario.
Lei aveva replicato, rapida: «Per fortuna non lo sono. Altrimenti non avrebbe più tempo di gestire l’appartamento.»

Era rimasta formale, ma dietro il tono severo avevo scorto un sorriso nascosto. Più parlavamo, più mi prendevo libertà: un complimento velato, un commento ironico, una battuta che sfiorava il limite. Lei rispondeva sempre con prontezza, ma ogni tanto abbassava lo sguardo sulla tazza, come per mascherare un’emozione.

La tensione cresceva. Io premevo, lei resisteva, ma senza chiudere mai del tutto la porta.


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Al momento dei saluti, l’aria era densa. Avevo aperto la porta, pronto a lasciarla andare, ma il corpo mi aveva tradito: mi ero girato di scatto, guardandola dritto negli occhi, e avevo tentato di baciarla.

Lei si era divincolata appena, facendo un passo indietro. Ma poi si era fermata, osservandomi con quel sorriso che non avevo ancora visto, più intimo, più audace.
«E perché no…» aveva sussurrato.

Era stata lei a tornare verso di me.

Il bacio era esploso all’improvviso, carico di tutta la tensione accumulata. Le nostre lingue si erano intrecciate con foga, le mani avevano cercato i corpi, senza più misura. L’avevo stretta forte, e lei aveva ceduto, premendosi contro di me.

In pochi istanti eravamo finiti in camera da letto. La giacca era scivolata a terra, la camicetta si era aperta sotto le mie mani, lasciando libero il seno, pieno e sodo sotto il pizzo bianco. Le mie labbra avevano percorso il suo collo, mentre le dita sollevavano la gonna sempre più su.

Le sue gambe mi avevano avvolto, i collant sottili che graffiavano leggermente la mia pelle, e il calore che cresceva tra noi era ormai incontenibile. Avevo scostato la seta delle mutandine e mi ero immerso in lei con un colpo deciso.

Il suo gemito, forte e improvviso, aveva riempito la stanza. Non era più la donna elegante, padrona di sé, ma un corpo che si lasciava trascinare. Le mie spinte erano diventate sempre più rapide, sempre più profonde, mentre lei graffiava la mia schiena e mi stringeva le anche con forza.

«Ancora… più forte» aveva sussurrato tra i denti, perdendo il controllo di quel “lei” che pure ci eravamo imposti.

Il ritmo era feroce, animalesco, e quando i suoi gemiti si erano trasformati in un grido, io avevo perso ogni freno. Siamo venuti insieme, travolti da un orgasmo che aveva scosso i nostri corpi fino all’ultimo spasmo.


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Il silenzio dopo era stato irreale. Matilde aveva respirato a lungo, gli occhi socchiusi, poi aveva scattato verso l’orologio.

«Oddio, è tardissimo…»

Si era rivestita in fretta, rimettendosi in ordine con la grazia nervosa di chi è abituata a non perdere il controllo. Io ero rimasto nudo, ancora senza fiato, a osservarla.

Alla porta, prima di andarsene, si era voltata di nuovo verso di me, con un sorriso sottile, complice.
«Mi è piaciuto molto il soggiorno… soprattutto la parte finale. Tornerò presto.»

E mi aveva lasciato lì, con il profumo che le restava addosso e la promessa non detta di un ritorno.
scritto il
2025-09-30
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