La Nube e la Cima
di
Yuko
genere
sentimentali
Il sole, alto nella volta, sorveglia le verticali torri arancioni che erompono da prati costellati di larici.
Nubi bianche si muovono nel cielo, sfilacciate dallo zefiro, volubili come pensieri inconsistenti: cambiano forma, si dissolvono volteggiando tra le cime di dolomia, riprendono sostanza.
Una nube, bianca come l'innocenza, si attarda attorno all'arcigna cima della Roda di Vael.
La severa parete rossa osserva incuriosita mentre gli strali del vento flagellano il lembo di candido vapore. La nube si nasconde negli anfratti della roccia per sfuggire alle raffiche, la cima si apre ad accoglierla e proteggerla.
Impassibile la parete resiste alle torture del turbine. Fischiano le correnti, frustando le creste, ma la roccia resiste, incurante, e custodisce la sua candida compagna.
Finalmente la brezza desiste e scappa a martoriare le altre lande, se la prende con le cime dei larici che, pazienti, si piegano, scricchiolando per sopportare la spinta.
Resta un alito bonario e la bianca cortina si lascia ammansire corteggiando l'apice roccioso.
Una lingua bianca e inconsistente serpeggia sulle ruvide superfici di dolomia, ne solletica i fianchi, ne esplora i pertugi più reconditi. Si infila nei diedri, si estende sugli spigoli, accarezza i pilastri, sfiora le placche. La montagna sorride ai giochi della soffice presenza, spirito curioso senza padrone: “Piccola nube, mi farai impazzire.”
Ma il cirro non si ferma, danza tra i torrioni, fa cantare le creste, pettina le stelle alpine e si spalma sui prati.
Poi si allarga in strati di nebbia assumendo proporzioni gigantesche, si distende lentamente, avvolge la cima in una coltre protettiva, la ammanta di grazia, la veste da sposa: “Cima rocciosa, io e te andremo a nozze.”
Un alito fresco modella le forme dei vapori, stringhe di tulle rivestono la croda evidenziandone le forme, strisce di candore serpeggiano tra tetti e strapiombi, indugiando sui terrazzi, addolcendo ogni asperità.
“Sarò il tuo vestito, ti proteggerò dal sole estivo, lenirò le sofferenze del gelo, quando le cascate si trasformano in immobili colate azzurre. Io ti accarezzerò tutta la vita, ti prenderò le mani e ti insegnerò a ballare. Leggera, tu farai giochi di danza e la tua staticità vibrerà per le emozioni.”
La cima si distende, allunga i suoi crinali fino ai boschi, per abbracciare il bianco spiritello. Allarga le pendici, inalbera la vetta: “Giovane velo, io ti ospiterò tra le mie braccia. Ti proteggerò nella tormenta. Canterai del profumo dei fiori e su di me sopporterò la violenza dei temporali. Resta tra le mie rocce, in me trova rifugio, purché sempre le tue carezze lambiscano i miei fianchi.”
Nubi bianche si muovono nel cielo, sfilacciate dallo zefiro, volubili come pensieri inconsistenti: cambiano forma, si dissolvono volteggiando tra le cime di dolomia, riprendono sostanza.
Una nube, bianca come l'innocenza, si attarda attorno all'arcigna cima della Roda di Vael.
La severa parete rossa osserva incuriosita mentre gli strali del vento flagellano il lembo di candido vapore. La nube si nasconde negli anfratti della roccia per sfuggire alle raffiche, la cima si apre ad accoglierla e proteggerla.
Impassibile la parete resiste alle torture del turbine. Fischiano le correnti, frustando le creste, ma la roccia resiste, incurante, e custodisce la sua candida compagna.
Finalmente la brezza desiste e scappa a martoriare le altre lande, se la prende con le cime dei larici che, pazienti, si piegano, scricchiolando per sopportare la spinta.
Resta un alito bonario e la bianca cortina si lascia ammansire corteggiando l'apice roccioso.
Una lingua bianca e inconsistente serpeggia sulle ruvide superfici di dolomia, ne solletica i fianchi, ne esplora i pertugi più reconditi. Si infila nei diedri, si estende sugli spigoli, accarezza i pilastri, sfiora le placche. La montagna sorride ai giochi della soffice presenza, spirito curioso senza padrone: “Piccola nube, mi farai impazzire.”
Ma il cirro non si ferma, danza tra i torrioni, fa cantare le creste, pettina le stelle alpine e si spalma sui prati.
Poi si allarga in strati di nebbia assumendo proporzioni gigantesche, si distende lentamente, avvolge la cima in una coltre protettiva, la ammanta di grazia, la veste da sposa: “Cima rocciosa, io e te andremo a nozze.”
Un alito fresco modella le forme dei vapori, stringhe di tulle rivestono la croda evidenziandone le forme, strisce di candore serpeggiano tra tetti e strapiombi, indugiando sui terrazzi, addolcendo ogni asperità.
“Sarò il tuo vestito, ti proteggerò dal sole estivo, lenirò le sofferenze del gelo, quando le cascate si trasformano in immobili colate azzurre. Io ti accarezzerò tutta la vita, ti prenderò le mani e ti insegnerò a ballare. Leggera, tu farai giochi di danza e la tua staticità vibrerà per le emozioni.”
La cima si distende, allunga i suoi crinali fino ai boschi, per abbracciare il bianco spiritello. Allarga le pendici, inalbera la vetta: “Giovane velo, io ti ospiterò tra le mie braccia. Ti proteggerò nella tormenta. Canterai del profumo dei fiori e su di me sopporterò la violenza dei temporali. Resta tra le mie rocce, in me trova rifugio, purché sempre le tue carezze lambiscano i miei fianchi.”
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