Prigioniera di una leggenda
di
Yuko
genere
sentimentali
Nel misterioso giardino di rose di re Laurino, sulle terrazze in quota del Catinaccio, nascosto tra pareti e protetto da dirupi accessibili solo a pochi, sono nate tante leggende, ma fra queste una è stata da tempo dimenticata e solo i camosci e qualche vecchio larice la ricorda.
Frammenti di un'antica vicenda si sono tramandati in qualche fiaba per bambini senza che nessuno sappia più riferire l'origine di poche dicerie romanzate.
In occasione delle seconde nozze del re del Catinaccio tra i molti invitati spiccava una principessa, figlia dei regali dell'Alto Adige. Una ragazza dalla pelle chiara e le gote velatamente rosee, spesso incorniciate in una indomita chioma di lunghissimi capelli neri che la principessa, molto timida e schiva, utilizzava sovente per nascondersi il volto.
Il figlio delle prime nozze di re Laurino, Teodorico, l'aveva subito notata, additandola al padre che, tutto infervorato dagli invitati e dai festeggiamenti, aveva liquidato la questione con la scusa di non trovarsi in ottimi rapporti con i signori della contea limitrofa. Per suo figlio, comunque, aveva in mente ben altro e poi probabilmente la ragazza era già destinata in sposa ad altri nobili.
Ma per il principe delle dolomiti la questione non era finita lì, anche perché la propria sposa l'avrebbe voluta scegliere lui stesso.
Dolasilla, così si chiamava la figlia di Similde, regina dell'Alto Adige, aveva infine incontrato Teodorico nel bellissimo giardino di rose di re Laurino e fra i due era nato l'amore.
Il principe ereditario aveva invano tentato di convincere il padre, che mai però aveva accettato di prendere seriamente in conto i desideri del figlio, preso dai propri festeggiamenti e attaccato alle vecchie tradizioni di famiglia, ma quando si accorse che i due si incontravano durante la notte, punì il figlio imprigionandolo in una cella nei boschi oltre il passo Nigra e litigando con la regina Similde. I reali dell'Alto Adige lasciarono il giorno dopo la reggia del Rosengarten, ma non trovarono più la loro figlia: la principessa era fuggita nella notte per cercare nei boschi il proprio amato e non fu più trovata. Le uniche traccie rintracciate dai pastori nei pascoli sotto il Catinaccio furono le sue vesti piegate in ordine sul bordo di un laghetto proprio sopra uno stretto colle chiamato la fossa dei lupi, luogo lugubre in cui veniva cacciato il lupo, che infestava la zona.
Si diffuse la spiegazione che la principessa fosse stata sbranata dai predatori e le ricerche furono interrotte.
Solo Teodorico continuò a vagare per il regno sperando di ritrovare la sua amata, ma senza alcun successo.
Nella disperazione si spinse a cercare la principessa anche in piena notte, proprio nel covo dei lupi e si narra che avesse tentato di stipulare un patto con il capo branco, nell'idea che Dolasilla, troppo bella e sensibile per essere sacrificata, fosse stata catturata dai predatori e trasformata con un incantesimo in lupa per diventare la regina degli animali selvatici.
Prove a favore di queste ipotesi erano la questione dei vestiti intatti, il mancato reperimento di tracce del corpo sbranato e la confessione di Sittlieb, una valchiria che viveva nei boschi a quei tempi, dotata, secondo alcuni, di poteri magici.
Ma la maga era mal vista a corte, in quanto nemica di re Laurino a causa delle molte denunce che la donna aveva esposto contro i cattivi comportamenti del re, che vessava la popolazione e sfruttava i contadini.
Qualche cacciatore aveva anche affermato di aver visto, nelle notti di Luna piena, una lupa venire a dissetarsi nel laghetto sopra la fossa dei lupi, un animale che portava al collo una catenina d'oro con il simbolo dei regnanti dell'Alto Adige, una falce di Luna, ma questa leggenda non fu mai confermata da prove concrete. Col tempo i lupi erano stati tutti uccisi e solo recentemente in alto Adige sono stati reintrodotti alcuni esemplari, ma la leggenda della regina dei lupi ormai era praticamente scomparsa e dimenticata.
Gli ultimi raggi del sole baciarono le cime dei larici. Una carezza, un arrivederci alla mattina successiva, e, con la riservatezza tipica dell'astro a ogni tramonto, la luce rossastra si dissolse nel verde cupo delle conifere che si apprestano a consegnarsi al vento della sera.
Andrea era assorto nei suoi pensieri, cercando di cogliere un significato, un messaggio a lui diretto, nel vivace sussurro che la brezza serale sublimava dalle cime delle fronde.
Aveva scoperto quel posto assolutamente per caso.
Una solitaria passeggiata nei boschi l'aveva condotto per mano a scoprire un laghetto del tutto anonimo e invisibile anche sulle cartine geografiche. Una pigra distesa di ninfee riposava indolente su una superficie d'acqua scura come inchiostro. Mentre il fondale muschioso assorbiva ogni luce, la tenue delimitazione tra il mondo liquido e l'atmosfera vibrava vivace di riflessi cangianti, come se il bacino fosse ripieno di argenteo mercurio invece che di acqua.
L'immobilità austera delle ninfee contrastava con le continue vibrazioni delle immagini luminose che svelavano la frenetica attività di insetti, anfibi e piccole bolle d'aria provenienti da un fondale turbolento di vita.
Il lago stesso fermentava di energia vitale.
Quel luogo, solo in apparenza addormentato, in realtà brulicava di esuberante fertilità.
Due tipi di corolle colonizzavano la conca acquosa: ninfee fucsia dai carnosi petali variegati di sfumature d'avorio e più rari fiori color panna, che ripetevano in miniatura i più numerosi fiori rosati. Andrea era attratto dai primi.
L'effimera instabilità della superficie d'appoggio non sembrava minimamente turbare la sensazione di sicurezza che ostentavano i calici fucsia, saldamente poggiati sulle ampie foglie verde smeraldo a forma di cuore.
Quel posto tramandava sicurezza e vitalità, trasudava energie positive. Un lago zen, tra i boschi che fanno da vassalli alle alte e austere pareti dolomitiche.
Il solitario escursionista si concentrò sui particolari degli apparati floreali. Vi trovava qualche chiara riminiscenza che a lui risultava nota e ben radicata.
Sì, in qualche modo quei fiori gli ricordavano chiaramente la vulva femminile, con tutti i particolari ben proporzionati eppure con una struttura completamente invertita.
La regione più interna del ricettacolo ospitava un nutrito sciame di stami sfacciatamente giallo zafferano. La peluria era spessa e corposa e il colore era troppo intenso per essere casuale. Un organo genitale che implorava morsi, garantendo una molteplicità di aromi. L'imperiosità di questo apparto pilifero veniva edulcorata dalla delicatezza dei petali che suggeriva la morbidezza umida delle piccole ancelle a guardia dell'atrio vaginale. Cedevolezza e arrendevole superficie liscia.
Un perentorio richiamo sessuale clamorosamente intelligibile nell'inversione delle strutture.
Eppure così esplicito, una volta trovata la chiave di lettura.
Sulla superficie in cui i riflessi argentei contendevano il primato alle ombre oscure, in sostanza stavano in bella posa poche decine di vulve, come tante ninfe svestite adagiate sulle vellutate foglie di smeraldo in pose oscene a mostrare la propria più intima nudità.
Già: ninfe e ninfee. Come mai il solitario camminatore non aveva mai percepito questa palese omonimia?
Eppure, una volta riconosciuto il simbolismo tra fiore di pianta e fiore di donna, tutto prendeva forma e chiarezza.
Quel posto effervescente di vita manifestava il volto pornografico dell'ubertosità femminile, culla e metafora della primordiale femminilità.
Andrea accettò pacatamente la folgorazione del simbolismo, con contenuto compiacimento.
Quel lago, quell'energia vitale aveva trovato il modo di comunicare con l'uomo e il viandante del crepuscolo assaporava appieno la sinergia e la simbiosi col mondo di Iside.
Fu solo allora che il turista si accorse che qualcuno lo stava osservando, chissà da quanto tempo.
Andrea si sentì di colpo vulnerabile e in balia delle forze della natura, riconoscendo il muso di un lupo che, assolutamente immobile, lo fissava con sguardo penetrante.
L'animale stava fermo e guardingo, forse lui stesso più preoccupato della presenza dell'umano.
Andrea fissò i suoi occhi in quelli gialli e neri della bestia.
Nessuno dei due osava fare il primo gesto.
Il turista venuto dalla Toscana si ricordò di aver ascoltato notizie sul reinserimento recente del canide, ricevendo rassicurazioni generiche sul carattere timido del mammifero. Ma la realtà poteva essere tragicamente diversa da quanto millantato da qualche superficiale animalista.
Eppure Andrea non si sentiva in pericolo. Il lupo lo stava scrutando e studiando, probabilmente animato da una analoga curiosità.
L'animale, per primo, si mosse, abbassando di poco il capo, senza perdere il contatto visivo con l'uomo, forse per verificare qualcosa.
Il primate restò statuario: percepì di essere sotto accurata verifica.
L'esame proseguiva.
Il lupo guardò alle proprie spalle riprendendo subito il contatto con il suo contendente, ma questo era rimasto nella stessa posizione.
L'animale, rassicurato, si abbassò leccando alcune volte la superficie acquosa, ma quando riprese il controllo visivo con l'uomo, ancora lo trovò immobile.
Fu allora che si sentì un sommesso mugolio e due cuccioli intimoriti sbucarono da un cespuglio di felci.
Uno dei due si avvicinò alla mammella della madre, succhiando poco convinto, mentre il secondo iniziò a bere dal lago.
Andrea rimase sopraffatto dalla meraviglia e dallo stupore, mentre i due piccoli cominciarono a giocare tra di loro, assaltandosi e rotolando sul sottobosco di aghi di pino, nel più categorico silenzio.
La mamma invece vegliava su di loro, mantenendo il contatto visivo con l'estraneo.
La famigliola si dissetò ancora nella frescura, poi la lupa accennò a un piccolo inchino, retrocesse lentamente di alcuni passi, poi si voltò repentina e scomparve nell'ombra dove già i due lupacchiotti si erano dissolti. Nel rapido movimento del corpo un inaspettato luccichio dorato sorprese lo sguardo di Andrea, come se una specie di catenina o un ciondolo si fosse veramente trovato al collo della lupa.
L'umano rimase da solo, trattenendo ancora il respiro, mentre il suo animo ribolliva per le emozioni che quel posto magico avevano potuto evocare nel suo animo malinconico.
Il buio ormai incombeva, ma Andrea non voleva staccarsi ancora da quel posto che gli stava regalando sensazioni ineffabili. L'escursionista si era convinto che quel laghetto zen gli stesse in qualche modo parlando e avesse ancora qualche mistero da svelargli.
Non successe però più nulla.
Alcune stelle di prima grandezza cominciarono a punteggiare un cielo blu cobalto. Forse Deneb, o Vega, pensò il toscano, dotato di una generica preparazione da astrofilo.
Il pensiero di dover affrontare il ritorno a casa con la sola luce del cellulare si fece strada in una mente non ancora del tutto appagata.
Stava per ritornare sulla sterrata quando la sua attenzione fu attratta da una macchia scura al bordo del lago. Un nutrito gruppo di farfalline nere si stava riunendo in un volo vorticoso.
Nulla di ché. Lui aveva già visto quelle alucce color fumo di Londra con una macchiolina arancione per parte, volare in gruppo per accalcarsi su macchie di umidità o gruppo di fiori, ma questo assembramento era particolarmente corposo.
Si mise a osservare, mentre nuovi insetti raggiungevano continuamente lo stormo.
Era un fenomeno curioso, del tutto insolito e Andrea decise di fermarsi.
Fortunatamente, pensò, quella sera c'era la Luna piena che cominciava già a filtrare tra i fitti rami degli abeti illuminando il bordo del laghetto di ninfee, quello opposto al bosco da cui era comparsa la lupa con i due lupacchiotti.
Più nuove farfalle si riunivano alle altre e più l'ammasso prendeva una fisionomia definita e compatta.
Una forma cilindrica si stava sagomando sotto gli occhi increduli dell'uomo.
Un restringimento nella parte centrale e la suddivisione in due prolungamenti della base del cumulo di lepidotteri assunsero le sembianze di un corpo femminile che danzava leggero sfiorando la superficie increspata del lago che cominciava a brillare dei riflessi giallognoli della Luna, ormai oltre la cima delle conifere.
Su quella superficie liquida animata da cristalli luminosi sempre in movimento, nel volo delle farfalle si formarono due braccia sottili e un volto con capelli lunghissimi.
La donna accennava sicuri passi di danza lambendo la superficie dell'acqua, muovendosi con cura tra le ninfee che sembravano accendersi di luce propria e a ogni tocco nell'acqua si formavano realmente cerchi concentrici di piccole onde, a riprova della concretezza della danzatrice nello stagno zen.
Le foglie delle piante acquatiche disegnavano un tappeto di cuori neri che si stagliavano sulla superficie dorata colpita dalla luce radente dell'astro della notte, mentre i fiori apparivano illuminati internamente da un bagliore dorato della stessa tonalità degli stami al loro interno, facendo brillare i petali di luce rosata variegata di venature fucsia.
Tutto il lago sembrava in vivo fermento, un ribollire di scaglie color topazio e lanterne cinesi dai colori tenui, mentre la danza della ballerina portava a compimento il proprio mutamento.
Andrea seguiva il fenomeno a bocca aperta, muto e incapace di proferire alcun suono, come se la voce gli si fosse imprigionata nella stretta contrattura che provava allo stomaco.
Nello stupore che con ostinazione resisteva allo sgomento, la bocca si muoveva in parole senza verbo; le mani sollevate, con le dita aperte come un goffo direttore d'orchestra, ondeggiavano piano, quasi a incitare la danzatrice a terminare la sua trasformazione. L'uomo stava soffrendo nella propria carne le doglie di questa metamorfosi che la sua ragione si rifiutava di accettare.
Tra il sogno e il terrore di essere preda di allucinazioni, l'uomo si arrese all'evidenza quando le tinte delle farfalline cedettero ai caldi raggi lunari sfumando verso un colore ambrato, poi più tenue fino alla tonalità di una pelle umana con i riflessi di bronzo tipici dell'estremo oriente, enfatizzati dalle sfumature d'avorio della dea Selene.
Solo i capelli restavano neri come la notte, ricamati da una delicata trama color rame che scintillava come una coroncina appoggiata poco sopra la fronte. Un ciondolo dorato saltava al collo della ragazza di farfalle.
La giovane ballava ruotando su se stessa su un piede solo, saltellando con leggerezza sulla distesa del laghetto e sembrava che a ogni passo di danza la sua pelle diventasse più consistente e omogenea.
I capelli le ricadevano come lunghissimi graffi della notte fino a dietro le ginocchia, simili a un vestito, una sottile vestaglia di seta aperta sul davanti che mostrava un corpo nudo dalle forme perfette.
Un piccolo seno dai capezzoli scuri ondeggiava sensuale a ogni movimento del leggiadro corpo, mentre una stretta vita si apriva in due fianchi tondi e armonici che sfumavano lungo gambe forti, ma aggraziate.
La Luna ormai alta cominciò a illuminare il volto della donna, facendo brillare il ciondolo dai riflessi dorati al suo collo. Zigomi alti e occhi allungati confermarono le origini orientali suggerite dai riflessi bronzini della pelle.
Le fronde degli abeti finalmente si mossero nella brezza, in una sinfonia che si plasmò sul frinire discreto dei grilli, rendendo percepibile anche all'inaspettato spettatore la musica su cui la ragazza stava assecondando i passi di danza già dal primo assembramento di farfalle.
La situazione raggiunse un apice di perfezione, tra la musica finalmente percepibile, la danza della ragazza il cui corpo sensuale aveva completato la sua metamorfosi e la luce della Luna che, vitalizzando la superficie del lago di miriadi di brillamenti, sembrava aver creato un tappeto di lumini galleggianti, come sulla superficie di un lago vietnamita durante la festa delle lanterne di Hoi An.
“Dio mio” riuscì proferire Andrea, incapace di dare voce alla tempesta di sensazioni e sentimenti che ingarbugliava il suo corpo e continuava a straziargli lo stomaco.
Alzò gli occhi al di sopra del capo della misteriosa danzatrice proprio nel momento in cui una meteora attraversò la volta celeste con una scia luminosa e una silente esplosione, riportando lo sguardo verso la figura sul lago proprio mentre le mani della donna lo invitavano a raggiungerla con un delicato inchino che portò la punta dei capelli a toccare la superficie dorata dell'acqua.
Balbettando ragioni irrazionali, sentendo la mente dissiparsi in un vortice di sensazioni e fiabe, l'uomo si tolse una scarpa, poi zoppicò cercando, senza riuscirci, di togliere anche l'altra, ma già i suoi piedi riconobbero la frescura dell'acqua in cui le gambe incominciarono a sommergersi.
“Aiutami, principessa!” Ringhiò in un sussurro allungando le braccia verso la ballerina e questa, con un passo deciso raggiunse il fiorentino sollevandolo sulla superficie liquida, come uno spettatore che risale sul palco accompagnato dalla conduttrice di uno spettacolo.
La sensazione di inaspettata consistenza della mano che lo aveva tratto in salvo fece gemere di terrore l'uomo ancora incredulo, ma quando, vicino alla donna misteriosa, ne sentì il fresco sentore di mughetto e il calore di un braccio che lo invitava reggendolo per la schiena, l'incredulità lo lasciò definitivamente ed egli, razionalmente, decise di arrendersi alla poesia della leggenda.
Il fortuito viandante della notte stava veramente in piedi sulla tremula superficie acquosa che tratteneva il suo peso.
I capelli della ragazza di farfalle lo avvolsero, sospinti dal vento; il fiorentino potè scorgere le rifrazioni della luna tra i delicati crini mossi dalla brezza, e la ragazza alla fine parlò.
Un suono dolce e delicato uscì dalle sua labbra socchiuse, mentre due occhi così scuri da non poter distinguere le pupille al loro centro, si animavano di gioia e curiosità percependo incrinato un incantesimo che durava da secoli.
Una parola o forse una sequenza di vocaboli incomprensibili interrogarono l'uomo che, ancora confuso, si faceva guidare in una sommessa danza dalle braccia della donna che ormai lo avvolgevano.
Andrea non capì nulla di quanto l'antica regina dei lupi gli stava pronunciando, ma si accorse del seno nudo e sodo che gli premeva sul petto, delle areole scure che si stagliavano sotto i suoi occhi e dell'espressione accogliente e sorridente della ragazza orientale.
Rinunciò a rispondere frasi senza senso e allungò le proprie braccia per avvolgere la giovane, insinuandosi tra i capelli sottili e una schiena morbida e flessuosa.
La ragazza si abbandonò a quell'abbraccio finalmente umano inarcando il dorso ed esponendo il seno sotto gli occhi del suo compagno di danza; pronunciò ancora alcune parole socchiudendo gli occhi e piegò il capo di lato come per stringere lo sconosciuto signore in un abbraccio più serrato, guancia contro guancia.
“Dolce amore, piccola fata” sussurrò infine Andrea assediando di baci il collo lungo e fresco che la ragazza gli esponeva.
Il giovane corpo si abbandonò tra le braccia del toscano che si prese cura di quelle membra leggere e flessibili, baciandone le braccia, le spalle e le ascelle.
La ragazza aprì le labbra esalando un gemito, un anelito convulso e Andrea coprì di baci quelle labbra che diventavano più vermiglie a ogni effusione che l'escursionista concedeva a quella pelle tiepida e vibrante.
Le loro lingue si incontrarono, fresche di notte e desiderio, si abbracciarono, si inseguirono cercandosi e assaporandosi, mentre le febbrili mani dell'uomo presero i seni della giovane strizzandone i capezzoli.
I gemiti della fata si spegnevano nella gola dell'uomo quando questo si accorse che entrambi stavano affondando nella liquida superficie.
“Maremma maiala!” Esclamò Andrea, e con rapidi balzi, tenendo con un solo braccio la leggera ragazza, il toscano riguadagnò la riva.
“Miseria ladra, c'è mancato poco!”
Si rivolse alla giovane che invece di rispondergli, restava ancora col capo piegato all'indietro e la bocca socchiusa, le braccia larghe in un abbraccio incompreso, aspettando qualcosa.
Andrea di colpo si sentì proiettato in una realtà che poco si conciliava con la situazione presente.
“Senta, signorina, io non so cosa m'è preso. In effetti manco la conosco, ma quando l'ho vista lì a danzare sul lago che sembrava quasi che mi chiamasse, insomma mi è andato di volta il cervello... Signorina?”
La ragazza rimaneva immobile, anzi sembrava quasi perdere consistenza. Muoveva le labbra come un pesce fuori dall'acqua, ma nessun suono ne usciva. E rimaneva lì, in attesa di qualcosa, mentre sembrava diventare più trasparente.
“Signorina?”
Andrea prese una delle mani della principessa sentendola molle e fredda e si spaventò. Cosa avrebbe dovuto fare ora?
Le dita della giovane cominciarono a scurirsi e a disgregarsi mentre dalla bocca uscivano parole incomprensibili.
“Signorina! Cosa succede? Che devo fare?”
Dalle dita delle mani cominciarono a staccarsi alcune farfalline, come pure dalla punta dei capelli e, come Andrea controllò immediatamente, anche dalla punta dei piedi. La ragazza fatta di farfalle stava dissolvendosi nuovamente in lepidotteri volanti sotto gli occhi impotenti del turista.
Dalla sua bocca cominciarono a uscire parole con voce più forte, mescolate a voli di alcune farfalline.
La Luna era al vertice in quel momento, e anche i riflessi sul lago erano molto diminuiti a causa dell'angolazione del satellite.
“Baciami!” Finalmente urlò la ragazza, come se avesse terminato un repertorio di vocaboli in vari idiomi che ancora non avevano intercettato l'interlocutore.
Il maschio capì tutto all'istante. Si gettò subito sul corpo esangue della ballerina tempestandone di baci il collo, le tempie, i capelli, la bocca e la ragazza sembrò riprendere consistenza interrompendo la sciamata delle farfalline.
Andrea, rinvigorito, si avventò sul seno di quel corpo evanescente, baciandolo, strizzandolo, succhiandone i capezzoli e mordendoli con passione, e la ragazza ricominciò a gemere, riprendendo peso e consistenza. L'uomo proseguì, inginocchiandosi tra le cosce della giovane, le piantò le dita sul sedere e si spinse con la propria bocca sulla vulva che gli si offriva dinnanzi.
Cominciò a baciare e poi a leccare, infilandosi tra le labbra della giovane che ora gemeva rumorosamente. Le sue mani si posarono sulla nuca del fiorentino, spingendoselo più contro il delta di peli scuri, mentre lentamente le si piegavano le ginocchia.
Presto la ragazza si ritrovò sdraiata sull'erba con le cosce aperte tra le quali Andrea si affannava in baci e carezze. Un profumo di resine selvatiche e fiori di campo, scorze di agrumi e frutti tropicali sublimava dalla vulva della giovane.
Questa ebbe un primo orgasmo, dirompente, violento, che la scosse dai fianchi alla vita, inarcandole la schiena mentre le unghie si impiantavano nel cuoio capelluto dell'uomo.
Lui sollevò la bocca dalla culla umida della donna che ansimava sollevando il seno a ogni respiro.
Le punte delle dita delle mani e i delicati piedi avevano ripreso le loro fattezze e il colore e il corpo, nel suo insieme aveva di nuovo peso e consistenza.
“Amami, Andrea, subito. Ti prego, amami adesso!”
La ragazza, le ginocchia piegate, allargò le cosce allungando le braccia verso lo stupito escursionista della notte.
“Come fai a sapere come mi chiamo?”
“Amami, amami subito!” Urlò invece la ragazza con un tono imperioso che sapeva di minaccia.
“Entra dentro di me, ti prego.” Riprese dopo, con un tono più conciliante, “possiedimi, liberami dall'incantesimo, adesso!” Il tono implorante assunse carattere di urgenza.
Ancora una volta, il fiorentino afferrò la circostanza e mentre sullo stagno iniziò qualche remoto gracidare di rane, lui subito si slacciò la cintura dei pantaloni. Con rabbia strappò la cerniera sbarazzandosi dell'indumento. Liberò un membro già turgido di sangue e si buttò sul corpo della giovane che sembrava sconvolta dai sussulti di un pianto lamentoso.
La mano di lei gli indirizzarono la punta direttamente nell'entrata della vulva e con una spinta lui le fu dentro interamente.
L'entrata fu accolta con un roco sospiro della regina dei lupi che avvolse con le braccia la schiena maschile e con le gambe lo circondò per stringerlo di più al proprio corpo.
Andrea cominciò un violento movimento di spinta; ad ogni suo colpo il seno della ragazza sussultava accompagnato da un roco grido di piacere e di dolore.
Il pertugio femminile si bagnava rapidamente facilitando le escursioni del membro maschile e aumentando il piacere della coppia.
La ragazza strideva stringendo i muscoli pelvici e infossando le unghie nella schiena del suo amante, e presto Andrea rallentò sentendo prossimo l'orgasmo.
Ma anche lei trattenne il respiro, contraendo la schiena e buttando indietro il capo, come in uno spasimo mortale subito seguito da una violenta spinta del bacino contro i lombi del maschio mentre un lungo lamento prendeva voce dalle sue labbra. Un urlo seguì, che echeggiò nella notte, una specie di lugubre ululato che subito dopo si frammentò in corte grida, ritmate con violenti movimenti del bacino intorno alla verga che ancora la riempiva e la dilatava. Anche l'uomo si lasciò andare con un gemito simile, mentre sentiva il liquido vitale lasciare i propri fianchi e inondare il ventre della ragazza.
Riempita di caldo umore, l'orgasmo della ragazza si prolungò riacquistando vigore, con nuova urla selvagge, rantoli ringhianti e una rinnovata stretta delle cosce intorno al bacino dell'uomo.
Il doppio orgasmo si protrasse per un tempo che sembrava infinito, reiterato a ogni spinta dell'uomo e a ogni contrazione della donna, finchè i due si ritrovarono d'improvviso al buio. La Luna, nel lento moto terrestre, era stata celata da un cespuglio di mugo.
La principessa esalò un lungo alito lamentoso come svuotandosi di un'energia rimasta repressa per secoli mentre il maschio sedava il proprio respiro affannoso.
Quando Andrea si riprese da un misterioso torpore in cui era caduto senza accorgersene, una ragazza nuda, in carne e ossa, lo stava guardando, seduta sul bordo dello stagno di ninfee, una mano appoggiata sull'erba, un dolce sorriso che le allungava gli occhi, ridotti a due sottili fessure nell'ombra della notte. Un manto di capelli neri le scivolava su una spalla coprendo un seno.
“Cosa è successo? Dove siamo?” Si chiese il toscano, guardandosi intorno spaesato.
La ragazza si alzò in piedi per prima e i suoi capelli si distribuirono lungo il corpo affiorando intorno alle cosce, la catenina dorata le pendeva dal collo insinuandosi tra i seni; tese una mano all'ombra che stava seduta, del tutto incurante di trovarsi completamente nuda di fronte alla persona che fino a poco prima era un estraneo.
“Eroe senza spada e senza destriero”, cominciò a sussurrare la principessa in un italiano perfetto, “tu stanotte mi hai liberata da un incantesimo che mi ha incatenata per secoli. Regina dei lupi di notte, il mio corpo si dissolveva in farfalle di giorno, rendendomi inaccessibile a ogni aiuto umano fino al tramonto successivo in cui le farfalle si riunivano trasformandomi solo per alcuni istanti in donna per poi riprendere le sembianze di lupa. E solo nelle notti di Luna piena mi fu consentito di mantenere di poco più a lungo le mie sembianze umane, per ballare nei riflessi lunari su questo lago di ninfee dove la mia anima di principessa riposava racchiusa dai boccioli rosati, alla corte dei lupi, sotto lo sguardo attento degli abeti. Finché fosse giunto un giorno un guerriero da mondi lontani per spezzare questa catena che alla leggenda mi teneva avvinta. Ora a te io dono il mio corpo e il mio cuore!”
“Ma io”, rispose bofonchiando Andrea sempre più stupefatto, “io per la verità non ho fatto nulla, davvero!”
La ragazza gli sorrise piegando la testa di lato e i suoi capelli, rapiti dal vento, furono sollevati mescolandosi alla notte, come un antico vessillo. La Luna, superato il mugo, riprese a brillare sul ciondolo d'oro e sui capezzoli della giovane, bagnati da gocce di rugiada.
Allungò una mano verso Andrea e il suo sorriso si trasformò in una sommessa risata: “Dammi qualcosa per coprirmi”, sussurrò incoraggiante, “non vedi che sono tutta nuda?”
Frammenti di un'antica vicenda si sono tramandati in qualche fiaba per bambini senza che nessuno sappia più riferire l'origine di poche dicerie romanzate.
In occasione delle seconde nozze del re del Catinaccio tra i molti invitati spiccava una principessa, figlia dei regali dell'Alto Adige. Una ragazza dalla pelle chiara e le gote velatamente rosee, spesso incorniciate in una indomita chioma di lunghissimi capelli neri che la principessa, molto timida e schiva, utilizzava sovente per nascondersi il volto.
Il figlio delle prime nozze di re Laurino, Teodorico, l'aveva subito notata, additandola al padre che, tutto infervorato dagli invitati e dai festeggiamenti, aveva liquidato la questione con la scusa di non trovarsi in ottimi rapporti con i signori della contea limitrofa. Per suo figlio, comunque, aveva in mente ben altro e poi probabilmente la ragazza era già destinata in sposa ad altri nobili.
Ma per il principe delle dolomiti la questione non era finita lì, anche perché la propria sposa l'avrebbe voluta scegliere lui stesso.
Dolasilla, così si chiamava la figlia di Similde, regina dell'Alto Adige, aveva infine incontrato Teodorico nel bellissimo giardino di rose di re Laurino e fra i due era nato l'amore.
Il principe ereditario aveva invano tentato di convincere il padre, che mai però aveva accettato di prendere seriamente in conto i desideri del figlio, preso dai propri festeggiamenti e attaccato alle vecchie tradizioni di famiglia, ma quando si accorse che i due si incontravano durante la notte, punì il figlio imprigionandolo in una cella nei boschi oltre il passo Nigra e litigando con la regina Similde. I reali dell'Alto Adige lasciarono il giorno dopo la reggia del Rosengarten, ma non trovarono più la loro figlia: la principessa era fuggita nella notte per cercare nei boschi il proprio amato e non fu più trovata. Le uniche traccie rintracciate dai pastori nei pascoli sotto il Catinaccio furono le sue vesti piegate in ordine sul bordo di un laghetto proprio sopra uno stretto colle chiamato la fossa dei lupi, luogo lugubre in cui veniva cacciato il lupo, che infestava la zona.
Si diffuse la spiegazione che la principessa fosse stata sbranata dai predatori e le ricerche furono interrotte.
Solo Teodorico continuò a vagare per il regno sperando di ritrovare la sua amata, ma senza alcun successo.
Nella disperazione si spinse a cercare la principessa anche in piena notte, proprio nel covo dei lupi e si narra che avesse tentato di stipulare un patto con il capo branco, nell'idea che Dolasilla, troppo bella e sensibile per essere sacrificata, fosse stata catturata dai predatori e trasformata con un incantesimo in lupa per diventare la regina degli animali selvatici.
Prove a favore di queste ipotesi erano la questione dei vestiti intatti, il mancato reperimento di tracce del corpo sbranato e la confessione di Sittlieb, una valchiria che viveva nei boschi a quei tempi, dotata, secondo alcuni, di poteri magici.
Ma la maga era mal vista a corte, in quanto nemica di re Laurino a causa delle molte denunce che la donna aveva esposto contro i cattivi comportamenti del re, che vessava la popolazione e sfruttava i contadini.
Qualche cacciatore aveva anche affermato di aver visto, nelle notti di Luna piena, una lupa venire a dissetarsi nel laghetto sopra la fossa dei lupi, un animale che portava al collo una catenina d'oro con il simbolo dei regnanti dell'Alto Adige, una falce di Luna, ma questa leggenda non fu mai confermata da prove concrete. Col tempo i lupi erano stati tutti uccisi e solo recentemente in alto Adige sono stati reintrodotti alcuni esemplari, ma la leggenda della regina dei lupi ormai era praticamente scomparsa e dimenticata.
Gli ultimi raggi del sole baciarono le cime dei larici. Una carezza, un arrivederci alla mattina successiva, e, con la riservatezza tipica dell'astro a ogni tramonto, la luce rossastra si dissolse nel verde cupo delle conifere che si apprestano a consegnarsi al vento della sera.
Andrea era assorto nei suoi pensieri, cercando di cogliere un significato, un messaggio a lui diretto, nel vivace sussurro che la brezza serale sublimava dalle cime delle fronde.
Aveva scoperto quel posto assolutamente per caso.
Una solitaria passeggiata nei boschi l'aveva condotto per mano a scoprire un laghetto del tutto anonimo e invisibile anche sulle cartine geografiche. Una pigra distesa di ninfee riposava indolente su una superficie d'acqua scura come inchiostro. Mentre il fondale muschioso assorbiva ogni luce, la tenue delimitazione tra il mondo liquido e l'atmosfera vibrava vivace di riflessi cangianti, come se il bacino fosse ripieno di argenteo mercurio invece che di acqua.
L'immobilità austera delle ninfee contrastava con le continue vibrazioni delle immagini luminose che svelavano la frenetica attività di insetti, anfibi e piccole bolle d'aria provenienti da un fondale turbolento di vita.
Il lago stesso fermentava di energia vitale.
Quel luogo, solo in apparenza addormentato, in realtà brulicava di esuberante fertilità.
Due tipi di corolle colonizzavano la conca acquosa: ninfee fucsia dai carnosi petali variegati di sfumature d'avorio e più rari fiori color panna, che ripetevano in miniatura i più numerosi fiori rosati. Andrea era attratto dai primi.
L'effimera instabilità della superficie d'appoggio non sembrava minimamente turbare la sensazione di sicurezza che ostentavano i calici fucsia, saldamente poggiati sulle ampie foglie verde smeraldo a forma di cuore.
Quel posto tramandava sicurezza e vitalità, trasudava energie positive. Un lago zen, tra i boschi che fanno da vassalli alle alte e austere pareti dolomitiche.
Il solitario escursionista si concentrò sui particolari degli apparati floreali. Vi trovava qualche chiara riminiscenza che a lui risultava nota e ben radicata.
Sì, in qualche modo quei fiori gli ricordavano chiaramente la vulva femminile, con tutti i particolari ben proporzionati eppure con una struttura completamente invertita.
La regione più interna del ricettacolo ospitava un nutrito sciame di stami sfacciatamente giallo zafferano. La peluria era spessa e corposa e il colore era troppo intenso per essere casuale. Un organo genitale che implorava morsi, garantendo una molteplicità di aromi. L'imperiosità di questo apparto pilifero veniva edulcorata dalla delicatezza dei petali che suggeriva la morbidezza umida delle piccole ancelle a guardia dell'atrio vaginale. Cedevolezza e arrendevole superficie liscia.
Un perentorio richiamo sessuale clamorosamente intelligibile nell'inversione delle strutture.
Eppure così esplicito, una volta trovata la chiave di lettura.
Sulla superficie in cui i riflessi argentei contendevano il primato alle ombre oscure, in sostanza stavano in bella posa poche decine di vulve, come tante ninfe svestite adagiate sulle vellutate foglie di smeraldo in pose oscene a mostrare la propria più intima nudità.
Già: ninfe e ninfee. Come mai il solitario camminatore non aveva mai percepito questa palese omonimia?
Eppure, una volta riconosciuto il simbolismo tra fiore di pianta e fiore di donna, tutto prendeva forma e chiarezza.
Quel posto effervescente di vita manifestava il volto pornografico dell'ubertosità femminile, culla e metafora della primordiale femminilità.
Andrea accettò pacatamente la folgorazione del simbolismo, con contenuto compiacimento.
Quel lago, quell'energia vitale aveva trovato il modo di comunicare con l'uomo e il viandante del crepuscolo assaporava appieno la sinergia e la simbiosi col mondo di Iside.
Fu solo allora che il turista si accorse che qualcuno lo stava osservando, chissà da quanto tempo.
Andrea si sentì di colpo vulnerabile e in balia delle forze della natura, riconoscendo il muso di un lupo che, assolutamente immobile, lo fissava con sguardo penetrante.
L'animale stava fermo e guardingo, forse lui stesso più preoccupato della presenza dell'umano.
Andrea fissò i suoi occhi in quelli gialli e neri della bestia.
Nessuno dei due osava fare il primo gesto.
Il turista venuto dalla Toscana si ricordò di aver ascoltato notizie sul reinserimento recente del canide, ricevendo rassicurazioni generiche sul carattere timido del mammifero. Ma la realtà poteva essere tragicamente diversa da quanto millantato da qualche superficiale animalista.
Eppure Andrea non si sentiva in pericolo. Il lupo lo stava scrutando e studiando, probabilmente animato da una analoga curiosità.
L'animale, per primo, si mosse, abbassando di poco il capo, senza perdere il contatto visivo con l'uomo, forse per verificare qualcosa.
Il primate restò statuario: percepì di essere sotto accurata verifica.
L'esame proseguiva.
Il lupo guardò alle proprie spalle riprendendo subito il contatto con il suo contendente, ma questo era rimasto nella stessa posizione.
L'animale, rassicurato, si abbassò leccando alcune volte la superficie acquosa, ma quando riprese il controllo visivo con l'uomo, ancora lo trovò immobile.
Fu allora che si sentì un sommesso mugolio e due cuccioli intimoriti sbucarono da un cespuglio di felci.
Uno dei due si avvicinò alla mammella della madre, succhiando poco convinto, mentre il secondo iniziò a bere dal lago.
Andrea rimase sopraffatto dalla meraviglia e dallo stupore, mentre i due piccoli cominciarono a giocare tra di loro, assaltandosi e rotolando sul sottobosco di aghi di pino, nel più categorico silenzio.
La mamma invece vegliava su di loro, mantenendo il contatto visivo con l'estraneo.
La famigliola si dissetò ancora nella frescura, poi la lupa accennò a un piccolo inchino, retrocesse lentamente di alcuni passi, poi si voltò repentina e scomparve nell'ombra dove già i due lupacchiotti si erano dissolti. Nel rapido movimento del corpo un inaspettato luccichio dorato sorprese lo sguardo di Andrea, come se una specie di catenina o un ciondolo si fosse veramente trovato al collo della lupa.
L'umano rimase da solo, trattenendo ancora il respiro, mentre il suo animo ribolliva per le emozioni che quel posto magico avevano potuto evocare nel suo animo malinconico.
Il buio ormai incombeva, ma Andrea non voleva staccarsi ancora da quel posto che gli stava regalando sensazioni ineffabili. L'escursionista si era convinto che quel laghetto zen gli stesse in qualche modo parlando e avesse ancora qualche mistero da svelargli.
Non successe però più nulla.
Alcune stelle di prima grandezza cominciarono a punteggiare un cielo blu cobalto. Forse Deneb, o Vega, pensò il toscano, dotato di una generica preparazione da astrofilo.
Il pensiero di dover affrontare il ritorno a casa con la sola luce del cellulare si fece strada in una mente non ancora del tutto appagata.
Stava per ritornare sulla sterrata quando la sua attenzione fu attratta da una macchia scura al bordo del lago. Un nutrito gruppo di farfalline nere si stava riunendo in un volo vorticoso.
Nulla di ché. Lui aveva già visto quelle alucce color fumo di Londra con una macchiolina arancione per parte, volare in gruppo per accalcarsi su macchie di umidità o gruppo di fiori, ma questo assembramento era particolarmente corposo.
Si mise a osservare, mentre nuovi insetti raggiungevano continuamente lo stormo.
Era un fenomeno curioso, del tutto insolito e Andrea decise di fermarsi.
Fortunatamente, pensò, quella sera c'era la Luna piena che cominciava già a filtrare tra i fitti rami degli abeti illuminando il bordo del laghetto di ninfee, quello opposto al bosco da cui era comparsa la lupa con i due lupacchiotti.
Più nuove farfalle si riunivano alle altre e più l'ammasso prendeva una fisionomia definita e compatta.
Una forma cilindrica si stava sagomando sotto gli occhi increduli dell'uomo.
Un restringimento nella parte centrale e la suddivisione in due prolungamenti della base del cumulo di lepidotteri assunsero le sembianze di un corpo femminile che danzava leggero sfiorando la superficie increspata del lago che cominciava a brillare dei riflessi giallognoli della Luna, ormai oltre la cima delle conifere.
Su quella superficie liquida animata da cristalli luminosi sempre in movimento, nel volo delle farfalle si formarono due braccia sottili e un volto con capelli lunghissimi.
La donna accennava sicuri passi di danza lambendo la superficie dell'acqua, muovendosi con cura tra le ninfee che sembravano accendersi di luce propria e a ogni tocco nell'acqua si formavano realmente cerchi concentrici di piccole onde, a riprova della concretezza della danzatrice nello stagno zen.
Le foglie delle piante acquatiche disegnavano un tappeto di cuori neri che si stagliavano sulla superficie dorata colpita dalla luce radente dell'astro della notte, mentre i fiori apparivano illuminati internamente da un bagliore dorato della stessa tonalità degli stami al loro interno, facendo brillare i petali di luce rosata variegata di venature fucsia.
Tutto il lago sembrava in vivo fermento, un ribollire di scaglie color topazio e lanterne cinesi dai colori tenui, mentre la danza della ballerina portava a compimento il proprio mutamento.
Andrea seguiva il fenomeno a bocca aperta, muto e incapace di proferire alcun suono, come se la voce gli si fosse imprigionata nella stretta contrattura che provava allo stomaco.
Nello stupore che con ostinazione resisteva allo sgomento, la bocca si muoveva in parole senza verbo; le mani sollevate, con le dita aperte come un goffo direttore d'orchestra, ondeggiavano piano, quasi a incitare la danzatrice a terminare la sua trasformazione. L'uomo stava soffrendo nella propria carne le doglie di questa metamorfosi che la sua ragione si rifiutava di accettare.
Tra il sogno e il terrore di essere preda di allucinazioni, l'uomo si arrese all'evidenza quando le tinte delle farfalline cedettero ai caldi raggi lunari sfumando verso un colore ambrato, poi più tenue fino alla tonalità di una pelle umana con i riflessi di bronzo tipici dell'estremo oriente, enfatizzati dalle sfumature d'avorio della dea Selene.
Solo i capelli restavano neri come la notte, ricamati da una delicata trama color rame che scintillava come una coroncina appoggiata poco sopra la fronte. Un ciondolo dorato saltava al collo della ragazza di farfalle.
La giovane ballava ruotando su se stessa su un piede solo, saltellando con leggerezza sulla distesa del laghetto e sembrava che a ogni passo di danza la sua pelle diventasse più consistente e omogenea.
I capelli le ricadevano come lunghissimi graffi della notte fino a dietro le ginocchia, simili a un vestito, una sottile vestaglia di seta aperta sul davanti che mostrava un corpo nudo dalle forme perfette.
Un piccolo seno dai capezzoli scuri ondeggiava sensuale a ogni movimento del leggiadro corpo, mentre una stretta vita si apriva in due fianchi tondi e armonici che sfumavano lungo gambe forti, ma aggraziate.
La Luna ormai alta cominciò a illuminare il volto della donna, facendo brillare il ciondolo dai riflessi dorati al suo collo. Zigomi alti e occhi allungati confermarono le origini orientali suggerite dai riflessi bronzini della pelle.
Le fronde degli abeti finalmente si mossero nella brezza, in una sinfonia che si plasmò sul frinire discreto dei grilli, rendendo percepibile anche all'inaspettato spettatore la musica su cui la ragazza stava assecondando i passi di danza già dal primo assembramento di farfalle.
La situazione raggiunse un apice di perfezione, tra la musica finalmente percepibile, la danza della ragazza il cui corpo sensuale aveva completato la sua metamorfosi e la luce della Luna che, vitalizzando la superficie del lago di miriadi di brillamenti, sembrava aver creato un tappeto di lumini galleggianti, come sulla superficie di un lago vietnamita durante la festa delle lanterne di Hoi An.
“Dio mio” riuscì proferire Andrea, incapace di dare voce alla tempesta di sensazioni e sentimenti che ingarbugliava il suo corpo e continuava a straziargli lo stomaco.
Alzò gli occhi al di sopra del capo della misteriosa danzatrice proprio nel momento in cui una meteora attraversò la volta celeste con una scia luminosa e una silente esplosione, riportando lo sguardo verso la figura sul lago proprio mentre le mani della donna lo invitavano a raggiungerla con un delicato inchino che portò la punta dei capelli a toccare la superficie dorata dell'acqua.
Balbettando ragioni irrazionali, sentendo la mente dissiparsi in un vortice di sensazioni e fiabe, l'uomo si tolse una scarpa, poi zoppicò cercando, senza riuscirci, di togliere anche l'altra, ma già i suoi piedi riconobbero la frescura dell'acqua in cui le gambe incominciarono a sommergersi.
“Aiutami, principessa!” Ringhiò in un sussurro allungando le braccia verso la ballerina e questa, con un passo deciso raggiunse il fiorentino sollevandolo sulla superficie liquida, come uno spettatore che risale sul palco accompagnato dalla conduttrice di uno spettacolo.
La sensazione di inaspettata consistenza della mano che lo aveva tratto in salvo fece gemere di terrore l'uomo ancora incredulo, ma quando, vicino alla donna misteriosa, ne sentì il fresco sentore di mughetto e il calore di un braccio che lo invitava reggendolo per la schiena, l'incredulità lo lasciò definitivamente ed egli, razionalmente, decise di arrendersi alla poesia della leggenda.
Il fortuito viandante della notte stava veramente in piedi sulla tremula superficie acquosa che tratteneva il suo peso.
I capelli della ragazza di farfalle lo avvolsero, sospinti dal vento; il fiorentino potè scorgere le rifrazioni della luna tra i delicati crini mossi dalla brezza, e la ragazza alla fine parlò.
Un suono dolce e delicato uscì dalle sua labbra socchiuse, mentre due occhi così scuri da non poter distinguere le pupille al loro centro, si animavano di gioia e curiosità percependo incrinato un incantesimo che durava da secoli.
Una parola o forse una sequenza di vocaboli incomprensibili interrogarono l'uomo che, ancora confuso, si faceva guidare in una sommessa danza dalle braccia della donna che ormai lo avvolgevano.
Andrea non capì nulla di quanto l'antica regina dei lupi gli stava pronunciando, ma si accorse del seno nudo e sodo che gli premeva sul petto, delle areole scure che si stagliavano sotto i suoi occhi e dell'espressione accogliente e sorridente della ragazza orientale.
Rinunciò a rispondere frasi senza senso e allungò le proprie braccia per avvolgere la giovane, insinuandosi tra i capelli sottili e una schiena morbida e flessuosa.
La ragazza si abbandonò a quell'abbraccio finalmente umano inarcando il dorso ed esponendo il seno sotto gli occhi del suo compagno di danza; pronunciò ancora alcune parole socchiudendo gli occhi e piegò il capo di lato come per stringere lo sconosciuto signore in un abbraccio più serrato, guancia contro guancia.
“Dolce amore, piccola fata” sussurrò infine Andrea assediando di baci il collo lungo e fresco che la ragazza gli esponeva.
Il giovane corpo si abbandonò tra le braccia del toscano che si prese cura di quelle membra leggere e flessibili, baciandone le braccia, le spalle e le ascelle.
La ragazza aprì le labbra esalando un gemito, un anelito convulso e Andrea coprì di baci quelle labbra che diventavano più vermiglie a ogni effusione che l'escursionista concedeva a quella pelle tiepida e vibrante.
Le loro lingue si incontrarono, fresche di notte e desiderio, si abbracciarono, si inseguirono cercandosi e assaporandosi, mentre le febbrili mani dell'uomo presero i seni della giovane strizzandone i capezzoli.
I gemiti della fata si spegnevano nella gola dell'uomo quando questo si accorse che entrambi stavano affondando nella liquida superficie.
“Maremma maiala!” Esclamò Andrea, e con rapidi balzi, tenendo con un solo braccio la leggera ragazza, il toscano riguadagnò la riva.
“Miseria ladra, c'è mancato poco!”
Si rivolse alla giovane che invece di rispondergli, restava ancora col capo piegato all'indietro e la bocca socchiusa, le braccia larghe in un abbraccio incompreso, aspettando qualcosa.
Andrea di colpo si sentì proiettato in una realtà che poco si conciliava con la situazione presente.
“Senta, signorina, io non so cosa m'è preso. In effetti manco la conosco, ma quando l'ho vista lì a danzare sul lago che sembrava quasi che mi chiamasse, insomma mi è andato di volta il cervello... Signorina?”
La ragazza rimaneva immobile, anzi sembrava quasi perdere consistenza. Muoveva le labbra come un pesce fuori dall'acqua, ma nessun suono ne usciva. E rimaneva lì, in attesa di qualcosa, mentre sembrava diventare più trasparente.
“Signorina?”
Andrea prese una delle mani della principessa sentendola molle e fredda e si spaventò. Cosa avrebbe dovuto fare ora?
Le dita della giovane cominciarono a scurirsi e a disgregarsi mentre dalla bocca uscivano parole incomprensibili.
“Signorina! Cosa succede? Che devo fare?”
Dalle dita delle mani cominciarono a staccarsi alcune farfalline, come pure dalla punta dei capelli e, come Andrea controllò immediatamente, anche dalla punta dei piedi. La ragazza fatta di farfalle stava dissolvendosi nuovamente in lepidotteri volanti sotto gli occhi impotenti del turista.
Dalla sua bocca cominciarono a uscire parole con voce più forte, mescolate a voli di alcune farfalline.
La Luna era al vertice in quel momento, e anche i riflessi sul lago erano molto diminuiti a causa dell'angolazione del satellite.
“Baciami!” Finalmente urlò la ragazza, come se avesse terminato un repertorio di vocaboli in vari idiomi che ancora non avevano intercettato l'interlocutore.
Il maschio capì tutto all'istante. Si gettò subito sul corpo esangue della ballerina tempestandone di baci il collo, le tempie, i capelli, la bocca e la ragazza sembrò riprendere consistenza interrompendo la sciamata delle farfalline.
Andrea, rinvigorito, si avventò sul seno di quel corpo evanescente, baciandolo, strizzandolo, succhiandone i capezzoli e mordendoli con passione, e la ragazza ricominciò a gemere, riprendendo peso e consistenza. L'uomo proseguì, inginocchiandosi tra le cosce della giovane, le piantò le dita sul sedere e si spinse con la propria bocca sulla vulva che gli si offriva dinnanzi.
Cominciò a baciare e poi a leccare, infilandosi tra le labbra della giovane che ora gemeva rumorosamente. Le sue mani si posarono sulla nuca del fiorentino, spingendoselo più contro il delta di peli scuri, mentre lentamente le si piegavano le ginocchia.
Presto la ragazza si ritrovò sdraiata sull'erba con le cosce aperte tra le quali Andrea si affannava in baci e carezze. Un profumo di resine selvatiche e fiori di campo, scorze di agrumi e frutti tropicali sublimava dalla vulva della giovane.
Questa ebbe un primo orgasmo, dirompente, violento, che la scosse dai fianchi alla vita, inarcandole la schiena mentre le unghie si impiantavano nel cuoio capelluto dell'uomo.
Lui sollevò la bocca dalla culla umida della donna che ansimava sollevando il seno a ogni respiro.
Le punte delle dita delle mani e i delicati piedi avevano ripreso le loro fattezze e il colore e il corpo, nel suo insieme aveva di nuovo peso e consistenza.
“Amami, Andrea, subito. Ti prego, amami adesso!”
La ragazza, le ginocchia piegate, allargò le cosce allungando le braccia verso lo stupito escursionista della notte.
“Come fai a sapere come mi chiamo?”
“Amami, amami subito!” Urlò invece la ragazza con un tono imperioso che sapeva di minaccia.
“Entra dentro di me, ti prego.” Riprese dopo, con un tono più conciliante, “possiedimi, liberami dall'incantesimo, adesso!” Il tono implorante assunse carattere di urgenza.
Ancora una volta, il fiorentino afferrò la circostanza e mentre sullo stagno iniziò qualche remoto gracidare di rane, lui subito si slacciò la cintura dei pantaloni. Con rabbia strappò la cerniera sbarazzandosi dell'indumento. Liberò un membro già turgido di sangue e si buttò sul corpo della giovane che sembrava sconvolta dai sussulti di un pianto lamentoso.
La mano di lei gli indirizzarono la punta direttamente nell'entrata della vulva e con una spinta lui le fu dentro interamente.
L'entrata fu accolta con un roco sospiro della regina dei lupi che avvolse con le braccia la schiena maschile e con le gambe lo circondò per stringerlo di più al proprio corpo.
Andrea cominciò un violento movimento di spinta; ad ogni suo colpo il seno della ragazza sussultava accompagnato da un roco grido di piacere e di dolore.
Il pertugio femminile si bagnava rapidamente facilitando le escursioni del membro maschile e aumentando il piacere della coppia.
La ragazza strideva stringendo i muscoli pelvici e infossando le unghie nella schiena del suo amante, e presto Andrea rallentò sentendo prossimo l'orgasmo.
Ma anche lei trattenne il respiro, contraendo la schiena e buttando indietro il capo, come in uno spasimo mortale subito seguito da una violenta spinta del bacino contro i lombi del maschio mentre un lungo lamento prendeva voce dalle sue labbra. Un urlo seguì, che echeggiò nella notte, una specie di lugubre ululato che subito dopo si frammentò in corte grida, ritmate con violenti movimenti del bacino intorno alla verga che ancora la riempiva e la dilatava. Anche l'uomo si lasciò andare con un gemito simile, mentre sentiva il liquido vitale lasciare i propri fianchi e inondare il ventre della ragazza.
Riempita di caldo umore, l'orgasmo della ragazza si prolungò riacquistando vigore, con nuova urla selvagge, rantoli ringhianti e una rinnovata stretta delle cosce intorno al bacino dell'uomo.
Il doppio orgasmo si protrasse per un tempo che sembrava infinito, reiterato a ogni spinta dell'uomo e a ogni contrazione della donna, finchè i due si ritrovarono d'improvviso al buio. La Luna, nel lento moto terrestre, era stata celata da un cespuglio di mugo.
La principessa esalò un lungo alito lamentoso come svuotandosi di un'energia rimasta repressa per secoli mentre il maschio sedava il proprio respiro affannoso.
Quando Andrea si riprese da un misterioso torpore in cui era caduto senza accorgersene, una ragazza nuda, in carne e ossa, lo stava guardando, seduta sul bordo dello stagno di ninfee, una mano appoggiata sull'erba, un dolce sorriso che le allungava gli occhi, ridotti a due sottili fessure nell'ombra della notte. Un manto di capelli neri le scivolava su una spalla coprendo un seno.
“Cosa è successo? Dove siamo?” Si chiese il toscano, guardandosi intorno spaesato.
La ragazza si alzò in piedi per prima e i suoi capelli si distribuirono lungo il corpo affiorando intorno alle cosce, la catenina dorata le pendeva dal collo insinuandosi tra i seni; tese una mano all'ombra che stava seduta, del tutto incurante di trovarsi completamente nuda di fronte alla persona che fino a poco prima era un estraneo.
“Eroe senza spada e senza destriero”, cominciò a sussurrare la principessa in un italiano perfetto, “tu stanotte mi hai liberata da un incantesimo che mi ha incatenata per secoli. Regina dei lupi di notte, il mio corpo si dissolveva in farfalle di giorno, rendendomi inaccessibile a ogni aiuto umano fino al tramonto successivo in cui le farfalle si riunivano trasformandomi solo per alcuni istanti in donna per poi riprendere le sembianze di lupa. E solo nelle notti di Luna piena mi fu consentito di mantenere di poco più a lungo le mie sembianze umane, per ballare nei riflessi lunari su questo lago di ninfee dove la mia anima di principessa riposava racchiusa dai boccioli rosati, alla corte dei lupi, sotto lo sguardo attento degli abeti. Finché fosse giunto un giorno un guerriero da mondi lontani per spezzare questa catena che alla leggenda mi teneva avvinta. Ora a te io dono il mio corpo e il mio cuore!”
“Ma io”, rispose bofonchiando Andrea sempre più stupefatto, “io per la verità non ho fatto nulla, davvero!”
La ragazza gli sorrise piegando la testa di lato e i suoi capelli, rapiti dal vento, furono sollevati mescolandosi alla notte, come un antico vessillo. La Luna, superato il mugo, riprese a brillare sul ciondolo d'oro e sui capezzoli della giovane, bagnati da gocce di rugiada.
Allungò una mano verso Andrea e il suo sorriso si trasformò in una sommessa risata: “Dammi qualcosa per coprirmi”, sussurrò incoraggiante, “non vedi che sono tutta nuda?”
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