Dita ruvide sulla tua pelle

di
genere
saffico

Mani che si artigliano intorno a piccoli appigli sulla roccia friabile, che si infilano in aspre fessure sbucciandosi le nocche. Qualche sbavatura di sangue intorno alle unghie rotte su cui vestigia di smalto richiamano ancora attenzioni e una delicatezza femminile che su questa parete sono fuori luogo. Annaspo incastrando i pugni in buchi di roccia ruvida, cercando di piantare un chiodo, piazzare un blocco a incastro per evitare di sfracellarmi in caso di caduta.
Appoggi scivolosi e appigli unti sui passaggi di sesto grado nel cuore della gialla parete sud-ovest della prima torre del Sella, ghiaia e terra sulla cresta sud della torre Rizzi nella speranza di trovare chiodi invisibili in cerca del percorso migliore, del giusto itinerario e di roccia solida.
Il vento impietoso mi sferza, appesa ai chiodi delle soste, senza trovare riparo, barbellando di freddo in attesa del mio turno di arrampicata. La corda scorre nei moschettoni, a volte rapida, quando l'arrampicata è semplice, a volte lenta, nei passaggi più difficili. Si ferma quando si cerca di piazzare qualche protezione per non rischiare la vita. Un variopinto serpentello, unico legame con il compagno di cordata, il solo alleato in questa lotta per vincere le difficoltà della parete e uscire in vetta vittoriosa.
E poi il sole pietoso che ti scalda quando giro lo spigolo, sul versante soleggiato.
Mi distendo per esporre più superficie corporea e nutrirmi di molecole di calore, energie per poi affrontare la roccia. Incoraggianti suggerimenti di tepore per alimentare la fiducia nelle proprie capacità.
Lo sguardo sfugge sulla parete senza trovare punti di appoggio, fin laggiù, in valle. Alberi minuscoli sotto di noi, lontani. Tetti e strapiombi ci chiudono la strada mentre cerchiamo i punti deboli della parete. Il vuoto ci risucchia in basso, dove abbiamo gli zaini, dove già solo i camosci sfidavano i ripidi ghiaioni, lontani dai chiassosi sentieri, invisibili ai rifugi brulicanti di patatine, tedeschi e birre.
Piccole soddisfazioni a edulcorare esperienze forti.
Il freddo e la paura, appesi alla corda da 8.3 millimetri, su chiodi arrugginiti dal tempo. La fatica e lo sfinimento all'ennesimo strapiombo da superare perchè l'orizzonte ritrovi l'azzurro del cielo oltre la parete gialla e grigia.
E la gioia di un diedro dalla roccia ruvida e appigliata. L'arte di affidarsi alle dita, sfidando i muri aggettanti, danzando sulle punte, incuranti dei metri sotto alle scarpe, quando la roccia tiene e i buchi accolgono le dita avide. Salire, salire ancora, accompagnati dalla corda sulla parete, alla ricerca del cielo. Posizioni insolite per adattarsi ai meandri, alle forme del calcare, come il rigido elemento comanda.
Poi l'effimera soddisfazione di una cima conquistata solo per pochi minuti, il mondo ai tuoi piedi. Lontani villaggi nei verdi prati addomesticati del fondo valle. Lo sguardo sfida le alte cime, già in cerca della prossima sfida, prima di affrontare la discesa in corda doppia, penzolanti attaccati a cordini sbiaditi dal tempo e dalla pioggia. Qualche gracchio accompagna la discesa, nella continua speranza che non si stacchino i chiodi a cui ci appendiamo con moderata fiducia.
Ripidi ghiaioni friabili su prati raramente frequentati, costellati di elusive stelle alpine.
La corsa nei boschi all'imbrunire per ricongiungersi al sentiero, appendendosi ai rami dei mughi e alle felci per non scivolare sui muschi verticali, le mani graffiate e bruciate dal sole e dal vento, ma con il cuore traboccante di ricchezza.

E nella baita ti ritrovo.

Le mie mani secche e rugose, invecchiate nella lotta contro gli elementi alpini, le dita callose e ruvide, ora si accostano alla tua pelle liscia e delicata.
La pelle abbronzata sul tuo tessuto pallido.
I polpastrelli ora sfidano le tue zone sensibili, le tue curve morbide ed elastiche, la tua superficie vellutata che impercettibilmente vibra sotto alle mie goffe carezze.
Le dita tra i tuoi capelli soffici dopo il conflitto con i ruvidi cespugli di erica e mirtillo, cortecce di secchi larici e mughi flessibili.
Resina profumata sulla tua pelle di mughetto, sull'innocente candore delle tue ascelle.
La fresca seta del tuo ventre in costante adorazione del tuo ombelico, fessure e buchi di morbida umidità ora accolgono le dita indurite dalla dolomia.
Cedevoli pertugi si aprono alla pressione delle mie falangi curiose, accogliendole in umidi anfratti caldi di passione e di eccitazione.
Piccoli sospiri mi richiamano le parole sussurrate dal vento. Timidi gemiti repressi si sostituiscono al gracchiare sguaiato dei corvi.
Le mie mani ora sfiorano la seta del tuo corpo, si riempiono dei tuoi seni riconoscendo l'irregolarità cedevole dei tuoi capezzoli sensibili.
Balsamo per la mia pelle il nettare filante della tua eccitazione quando le mie terminazioni trovano ristoro negli anfratti del tuo ventre, dune di sabbia impalpabile e insenature succose sono le tue linee sinuose, le discontinuità del tuo corpo per la mia pelle flagellata.
Ti bacio.
Le mia labbra screpolate sul bocciolo del tuo volto. Petali di rosa ghermiti dai miei rami spinosi.
Mi rilasso nella tua fluidità, nel tuo abbraccio avvolgente, cedendo ai rintocchi umidi della tua bocca, nutrendomi delle sensazioni che orchestra il tuo corpo per lenire le ferite della lotta estrema.
di
scritto il
2025-09-16
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