L'esame

di
genere
dominazione

Aveva appena compiuto diciannove anni, ma il corpo e lo sguardo dicevano altro. Studentessa di infermieristica, minuta, con i fianchi morbidi, il seno pieno e un vezzo a cui non rinunciava: un folto pelo scuro incorniciava la fessura lucida che già altri compagni di corso avevano assaggiato.
La sua illibatezza era rimasta su un prato, di sera, con un ragazzo del gruppo. Era stata un’esperienza confusa, eccitante più per il gesto che per il piacere, ma sufficiente a spalancarle la porta. Poco dopo, in macchina con un collega, fu lei a scendere con la bocca sul suo cazzo duro, succhiandolo a fondo finché lui non le riempì la gola, mentre lei deglutiva gemendo. Ancora, negli spogliatoi della sede formativa: jeans abbassati a metà coscia, la schiena schiacciata contro gli armadietti, e dentro di lei la furia di un compagno che la scopava di corsa, con il terrore che qualcuno potesse sorprenderli. Quel brivido di paura e di vergogna era diventato la sua droga.
Perciò, quando le parve che il professore di clinica le fosse ostile, non abbassò la testa. Non avrebbe certo lasciato che un voto le sfuggisse, rovinandole la notevole media: aveva altri strumenti.
Seduta in prima fila, senza mutandine, iniziò il suo gioco. Apriva lentamente le cosce e le richiudeva, lasciando filtrare per pochi istanti la fessura lucida, incorniciata dal pelo scuro. Lo faceva senza fretta, sapendo che il professore non poteva non vedere. Con una mano annotava parole sul quaderno, con l’altra faceva oscillare la ballerina, finché non le scivolò a terra: restò scalza, allungando il piede nudo sul pavimento, piegando le dita come in un invito indecente. La pianta era umida, calda, con un odore sottile che lei sapeva benissimo di avere: e si immaginava il docente a inspirarlo, piegato lì sotto la cattedra. Ogni tanto incrociava lo sguardo del professore e lo tratteneva, con un sorriso che era pura provocazione. Ma nel farlo, percepì il brivido del rischio: dietro di lei c’erano altri studenti, e se anche un solo riflesso, un solo angolo fortuito fosse stato colto, avrebbe potuto essere scoperta. Improbabile, certo, ma non impossibile. E quell’incertezza le accelerava il respiro, il rischio la scaldava come se il piacere fosse legato proprio a quel filo sottilissimo di esibizione proibita.
Arrivò al ricevimento con qualche minuto di anticipo, e attese nel corridoio, davanti alla porta chiusa. Attorno a lei passavano altri studenti, qualcuno con i libri stretti al petto, qualcun altro intento a ripassare a bassa voce. Lei li osservava distrattamente, con la borsetta in mano e le gambe accavallate, sapendo bene che sotto la gonnellina non portava nulla. Ogni passo che risuonava nel corridoio le faceva trattenere il fiato: e se qualcuno si fosse fermato a parlare, e se avesse notato il rossore sul suo volto, o la lucentezza sulle cosce?
Era improbabile che qualcuno sospettasse davvero, eppure la sola possibilità la faceva fremere. Si immaginava lo sguardo curioso di un compagno che la scrutasse, intuendo troppo; oppure quello di una compagna che avrebbe notato un dettaglio imbarazzante — un odore, un gesto nervoso, la gonnellina che si sollevava appena mentre lei aggiustava la postura.
Quando finalmente il professore aprì la porta, il cuore le balzò in gola per la trepidazione di varcare quella soglia, lasciandosi alle spalle gli sguardi inconsapevoli e portando con sé il brivido di un segreto che rischiava, in ogni istante, di essere svelato.
Ci andò vestita come una brava studentessa: camicetta bianca sbottonata quel tanto da mostrare l’inizio della scollatura, gonnellina a pieghe, treccia laterale. Una brava ragazzina, ma con il fuoco sporco negli occhi.
Lui provò a mantenere il distacco, ma quando lei si piegò in avanti per sistemare i fogli, mostrando il seno, crollò. Chiuse la porta e la spinse sulla scrivania.
Lei rise piano. Alzò la gonnellina con gesto teatrale: sotto non c’era niente. Il suo sesso scuro e lucido brillava davanti a lui, senza difese, senza vergogna. non fingeva: godeva nel lasciarlo guardare, come un’offerta deliberata.
«È questo che vuoi?» sussurrò, allargando le cosce.
Le sue dita gliela aprirono, assaporando il calore. Poi, senza più freni, le slacciò la camicetta, tirandole fuori i seni perfetti e succhiandoli con foga, lasciando segni violacei sulla pelle chiara. Lei gemeva, e non per dolore: voleva che il suono rimbalzasse sulle pareti. La scrivania tremava, i fogli cadevano a terra, e lei godeva dell’oscenità di quella scena: la brava studentessa che si faceva scopare a gambe aperte dal professore.
Ogni affondo era secco, brutale, e lei spingeva il bacino a incontrarlo, con il pelo che sfregava sul pube di lui, le cosce che schiaffeggiavano il legno. Più forte tremava il mobile, più si eccitava: voleva che qualcuno aprisse la porta e la trovasse così, piegata, con i seni che rimbalzavano e il sesso pieno.
Il respiro di lui si fece greve, il volto contratto. Con un gesto brusco la staccò e cadde sulla poltrona, indicando il pavimento.
Lei sorrise: aveva capito. Si inginocchiò tra le sue gambe, la gonnellina ancora sollevata sui fianchi. Si chinò e prese in bocca il cazzo duro, leccando via prima il proprio sapore, poi affondando fino in gola.
Lo guardava dal basso, con gli occhi lucidi e la bocca piena, lasciando fili di saliva colare lungo il mento. Non li asciugò: voleva che lui li vedesse. Alternava colpi profondi e lente carezze di lingua, e quando lui gemette e tese le gambe, non si ritrasse. Lo ingoiò tutto, sentendo la bocca che si riempiva di sperma caldo e denso. Deglutì piano, ostentando ogni movimento della gola.
Una goccia le colò dall’angolo delle labbra: la lasciò scendere fino al mento e poi, lentamente, la raccolse con la lingua. Solo allora si rialzò, aggiustandosi la gonnellina, di nuovo l’immagine perfetta della studentessa innocente.
All’orale, il professore non mostrò alcuna emozione.
«Lo scritto è stato… perfetto.»
Una pausa.
«Una sola domanda per la lode, e sarà fatta.»
Lei rispose senza esitazione. Negli occhi di lui rivide quella stessa fiamma sporca.
«Trenta e lode», annotò.
Non sapeva se la lode fosse per il compito o per la carne. Forse per entrambi. Uscì dal suo studio con un sorriso segreto, portandosi dietro il profumo del suo corpo giovane e il marchio invisibile di ciò che avevano fatto.
Nei corridoi, qualche giorno dopo, un brusio la raggiunse alle spalle.
— É stata vista uscire dal suo studio… — sussurrò una voce, seguita da una risatina.
— É facile così ottenere la lode, eh? — aggiunse un’altra, con tono malizioso.
Alice non si voltò. Camminava lenta, la schiena dritta, il passo misurato. Le compagne continuavano a bisbigliare, insinuare, ridacchiare, ma lei fece finta di non sentire. All’esterno appariva calma, composta, la studentessa perfetta.
Ma dentro, il cuore le batteva forte, il viso le si accendeva di un rossore che lei stessa non cercava di nascondere. Un tumulto di eccitazione e vergogna la attraversava: immagini del pomeriggio nello studio le tornavano alla mente, vivide, insieme alla consapevolezza che si potesse ben immaginare ciò che era accaduto. Ogni risata, ogni parola insinuante era un piccolo fuoco che le scaldava l’anima e il corpo, facendole stringere leggermente le cosce sotto la gonnellina.
Continuò a camminare, i fianchi morbidi che ondeggiavano, ogni passo una danza lenta e provocante, mentre il tumulto dentro di lei cresceva, un mix di piacere, vergogna e potere. Sentiva la pressione del desiderio, un brivido segreto che nessuno poteva toccare, ma che tutti potevano intuire.
E così, mentre il corridoio si riempiva di voci bisbiglianti e risatine, Alice avanzava impassibile, una regina silenziosa del proprio segreto, consapevole che il vero gioco era tutto lì: nel tumulto proibito che cresceva dentro di lei e nel mondo esterno che ne percepiva solo l’ombra.
scritto il
2025-09-06
2 4 7
visite
2
voti
valutazione
5
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

Il dott.Bianchi
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.