Alice e il fuoco nero

di
genere
prime esperienze


Era un’estate torrida, di quelle in cui il sole ti aderisce alla pelle come una carezza insistente. Era il meritato riposi del gruppo che si godeva la meritate vacanze. La compagnia era tutta lì, spalmata sulla sabbia, voci lente, risate stanche tra un tuffo e una partita a racchettoni. Alice era un’apparizione: capelli raccolti, la pelle che brillava d’oro e sudore, il costume che lasciava indovinare il disegno perfetto del seno.
Dentro, però, ribolliva un segreto inconfessabile, da mesi coltivava un pensiero che la scuoteva più del caldo: il desiderio di corpi neri. Non sapeva come fosse nato né perché le fosse entrato sotto pelle, ma ormai era un tarlo ossessivo., al pensiero un fremito correre lungo le cosce.
Si immaginava le mani grandi, scure, a scivolare sulla sua pelle chiara, il contrasto netto e irresistibile. Ne sognava l’odore forte, acre, virile, un profumo che già le sembrava di respirare nei pori. E le movenze — elastiche, potenti, quasi animali — le evocavano un richiamo primordiale, come un rito arcaico che parlava direttamente al suo ventre.
La parte più oscena, più devastante, era l’ossessione dei loro sessi: li vedeva smisurati, implacabili, simboli di un piacere proibito che la chiamava ogni notte. Quelle immagini non erano più fantasie: erano visioni, incubi febbrili che le lasciavano le lenzuola bagnate e il cuore in tumulto.
Era come se un demone le si fosse installato dentro, e la spingesse a desiderare ciò che non avrebbe mai osato confessare.
Abdul apparve tra gli ombrelloni, alto, massiccio, pelle scura lucida di sudore. Era solito avvicinarsi per proporre la sua mercanzia. Salutò distrattamente gli amici, ma il suo sguardo restò inchiodato su Alice: i suoi occhi neri la spogliavano silenziosamente. Alice sentì un brivido percorrerle la schiena, le gambe tremare: eccitazione pura, incontrollabile. Ogni sfioramento della sua mano era un fuoco che la consumava.
— Ciao Alice… — la voce profonda, vibrante, la fece sobbalzare.
— Ciao… — rispose, arrossendo come temesse che i suoi pensieri fossero trasparenti.
Ogni gesto, ogni parola era possesso silenzioso. Gli amici ridevano ignari, distratti mentre lei percepiva la tensione feroce che la legava a lui. Quando la compagnia si allontanò per un bagno, Abdul la invitò a seguirlo. La condusse a una fila di vecchie cabine in un tratto di litorale in disuso, lì vicino. La spinse dentro accostando quello che rimaneva della porta. Lo spazio era angusto, l’aria densa di chiuso, di legno marcio, di sale e sabbia. Ogni respiro bruciava. Il caldo la soffocava. I rumori filtravano dall’esterno: lo sciabordio delle onde, i richiami dei venditori, le urla squillanti dei bambini che giocavano. La normalità innocente del mondo fuori strideva con il peccato che stava per esplodere dentro.
— Non… non qui… — balbettò, il cuore in gola.
Ma lui la strinse contro la parete. Mani grandi e dure afferrarono i seni sopra il costume, scivolando sulle natiche, carezzandola brutalmente. Le labbra la catturarono in un bacio feroce, lingua contro lingua, respiro caldo e odore maschile che la stordivano.
Il suo cazzo era già lì che premeva contro il suo slip: lo sentiva che premeva, grosso, teso.
La paura di essere scoperta la eccitava come non mai, ma era troppo rischioso, non si poteva.
— Oggi pomeriggio… da me, quando tutti saranno al mare. Lì potrai avere tutto — cinguettò.

Alle tre, nell’appartamento vuoto, Alice aspettava febbrilmente. Un colpo alla porta la fece sobbalzare. La porta si aprì e Abdul entrò: sudore, afrore maschile che saturava l’aria. La sollevò di peso, la strinse al muro, la baciò con violenza, strappandole i vestiti come carta. Lei era nuda, vulnerabile, completamente sua. Davanti a lei, il suo membro era enorme senza prepuzio, pulsante, nerissimo.
— Sei pronta, ragazza bianca? — ringhiò.
Lei si inginocchiò, ansimante, inghiottendolo avidamente, tossendo, sputando, completamente sopraffatta dal desiderio. Ogni colpo di bocca era dominio totale. La spinse sul letto, le divaricò le gambe, affondò il volto tra le pieghe umide, succhiando e leccando senza tregua, mentre Alice urlava, corpo scosso, convulso, mescolando sudore e saliva, l’odore di lui saturava l’aria.
— Sei più dolce di un gelato.
Quando la penetrò, il primo colpo la spalancò completamente e sentì il fiato venir meno. Lui la sollevava, la sbatteva, la rigirava in un atto di possesso totale. Poi, con crudeltà calcolata, la mise in posizione e la penetrò nel culo. Alice strillò. Dolore e piacere perverso si fusero in un unico incendio sensoriale. Ogni colpo la faceva sentire più degradata e al tempo stesso più eccitata. Abdul non le concedeva tregua: ogni colpo anale era brutale, fino a raggiungere profondità incredibili. Il seme colava, mischiandosi a saliva, sudore e liquidi vaginali, impregnando i loro corpi in un unico odore intenso. Spasmi convulsi, gemiti, squittii, Alice si abbandonava completamente, titillandosi febbrilmente il clitoride, incapace di distinguere il confine tra sofferenza e godimento.
Nel culmine della passione, Alice si perse nei suoi pensieri proibiti: seguirlo nel suo paese, diventare completamente la sua schiava sessuale bianca, marchiata, soggiogata da quel sesso spaventosamente bello, preda esibita…Tutto questo la eccitava oltre ogni limite. Non era più solo il corpo a rispondere: era l’anima, completamente sottomessa.
Il cazzo enorme le spaccava il culo senza pietà. Lei si aggrappava al letto, incapace di resistere, mentre le viscere si ribellavano. All’improvviso sentì cedere ogni controllo: un getto caldo, liquido, le scappò fuori, colando fra le cosce insieme all’urlo.
Lui si bloccò un attimo, guardò la scena, e poi scoppiò a ridere come un ossesso.
— Ahahah! Ti ho proprio aperto.
Utilizzò il lenzuolo per una veloce pulizia, poi proseguì: la tirò ancora più indietro, affondandole dentro come un arieta quel cazzo smisurato. Lei piangeva, la faccia schiacciata contro il materasso, ma il corpo la tradiva: la figa grondava, bagnata e umida come non lo era mai stata.
— Guarda come goccioli, ragazza pallida. Ti ho fatto persino svuotato il culo e ti piace pure! — gridò lui con la sua voce rocca dalla tonalità bassa.
Ogni sua risata era un coltello nella dignità di lei, ma allo stesso tempo un comando irresistibile: più la insultava, più lei si apriva, più il corpo tradiva il suo degrado. Non c’era più niente da salvare e il piacere proibito che le incendiava il ventre.
Abdul la guardava soddisfatto, respirando a pieni polmoni l’odore acre che li avvolgeva. Alice tremava ancora, col ventre colmo e l’ano bruciante, mentre lui la stringeva e sorrideva con orgoglio: la bellissima fanciulla bianca, ridotta a schiava del suo cazzo nero. Anche una rivalsa la sua, un trofeo vivente, una manifestazione di possesso che lo faceva sentire più uomo, più forte, più fiero.

scritto il
2025-08-26
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