Doppio lavoro

di
genere
etero

Il mio lavoro in ufficio è perfetto.
Orari fissi, ambiente elegante, un capo tutto d’un pezzo con la cravatta sempre dritta e il culo sempre stretto. Mi pagano bene. Ma non abbastanza.

Non basta per l’affitto in centro, il loft con parquet e lucernario. Non basta per le Louboutin, per le borse Balenciaga, per le sedute dalla mia estetista brasiliana che ti depila anche l’anima. Non basta per i colpi di sole, la palestra a Porta Romana, il sushi serale e un paio di strisce tirate con stile, in bagno, appoggiate allo specchio mentre aspetto che mi venga voglia di scopare.

Non sono una che si accontenta. Io voglio tutto.
Il corpo ce l’ho. E pure la testa.
Così, una sera, ho deciso: escort.

Non una troia da marciapiede, sia chiaro.
Io sono Clara. Appuntamento solo su invito, cena in hotel cinque stelle, camera executive e mai meno di duemila a notte. Gli uomini d’affari se mi contendono. Non per il sesso – o non solo. Mi vogliono accanto per le trattative, le cene, i weekend a Lugano, le presentazioni ufficiali in cui fingono che io sia la nuova fiamma francese.
Fingiamo in due, d’altronde.

Poi torno in ufficio. Chignon perfetto. Camicetta bianca. Gonna al ginocchio. Dita pulite, voce bassa. Nessuno sospetta nulla.

Quasi nessuno.

Quel giorno, il bastardo mi chiama all’improvviso:
«Chiara, vieni da me.»

Entro nel suo ufficio. Solito odore di cuoio e colonie da vecchio ricco.
Lo vedo che ha qualcosa da dirmi. Non sorride. Non finge. Tira fuori un foglio. Lo apre. Me lo gira.

Una foto.
Io, gambe aperte. Una mano infilata tra le cosce, la lingua sul bordo del calice. Nuda. Trucco sbavato.
Bella da farmi schifo.

Non faccio una piega. Lo guardo.
«Allora? Ti è piaciuta?»

Lui non risponde.
Ha la mascella tesa, gli occhi che cercano di non guardarmi le tette.
Lo so che sta pensando a come farmela pagare. Ma lo so anche che si è già segato almeno due volte su quella foto.

«Lo sai che potrei licenziarti, vero?»

Annuisco. Lentamente.
Poi mi lecco le labbra, gli sorrido.

«Potresti. Ma prima lasciami succhiartelo.»

Gli cala la mascella.
Gli si rizzano le mutande.

«Chiara…»

«No. Clara.»
Mi inginocchio. Gli apro la zip. Lo tiro fuori. Già mezzo duro.

«Ti piace scopare le tue segretarie, capo? O ti piace solo scopare quelle che ti umiliano?»

Lui mi afferra per i capelli. Prova a spingermi, ma lo anticipo. Me lo ficco in gola come un’arma. Succhio, mordo, sputo. Gli lascio segni con le unghie sulle cosce.

«Porca… puttana…»

«Già. Puttana tua, adesso.»

Viene. Troppo in fretta. Me lo lecco dalle labbra, lo guardo dall’alto in basso.

«Ora non puoi più licenziarmi. Se mi mandi via, domani riceveranno la stessa foto anche gli altri membri del CDA. E pure tua moglie, ammesso che ti risponda ancora al telefono.»

Mi alzo. Mi sistemo. Esco.

Nel corridoio, sorrido alla collega della contabilità.

«Caffè?»
scritto il
2025-06-27
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