La vergine attempata 1

di
genere
prime esperienze

La vergine attempata – Parte I

Mi chiamo Cristina e ho cinquant’anni.
Non ho mai fatto l’amore.

La prima volta che lo confessi davvero a te stessa, ti sembra una sentenza, una punizione, una vergogna. Poi scopri che è anche altro: un limite che ti definisce, un’ossessione che si nasconde nei gesti quotidiani, persino nei libri che ordini sugli scaffali della biblioteca comunale dove lavori da ventisei anni.

Non ho mai trovato l’uomo giusto. O forse non ho mai avuto il coraggio di uscire da casa, dai doveri, dalla stanza in cui mio padre, ogni sera, mi chiedeva se avevo steso la camicia.
Poi è morto. E tre anni dopo anche mia madre.
Ora la casa è silenziosa. Immobile. Vuota come me.

L’ho conosciuto un martedì, verso le cinque, reparto medicina. Si era seduto accanto al carrello delle nuove acquisizioni e sfogliava un volume di anatomia come se cercasse dentro quelle pagine qualcosa che non aveva un nome. Era giovane. Venti, ventidue anni. Occhi feroci. La pelle abbronzata, tesa sulle ossa del viso. E le mani… le mani che avevano un che di offensivo, anche solo mentre giravano una pagina.

― Scusi ― gli dissi.
Lui sollevò lo sguardo.
― Dimmi tutto.

Non l’aveva detto con gentilezza. L’aveva detto con quella voce ruvida che pareva ordinare invece che chiedere.

Mi chiamo Cristina, gli dissi.
Lui si presentò: Matteo. Studente di medicina.
Cominciò a venire spesso. Non per studiare. Per starmi vicino. Perché, così mi disse poi, il mio odore lo mandava in bestia.


Quando gli dissi che non avevo mai avuto un uomo, non se ne stupì. Non rise.
Si avvicinò e mi guardò come se fossi un reperto da dissezionare.

― Ti voglio. E ti voglio rasata. Ovunque.
Non capivo se stesse scherzando. Non lo faceva.
― Ti fai una bella lavanda vaginale. E un clistere. Chiaro?
Restai muta.
― Ti voglio pulita, capito, signorina? Vergine e linda. Pronta.
Fremevo. Abbassai lo sguardo. E dissi:
― Sì.


Il giorno dopo gli aprii la porta di casa. Indossavo una vestaglia di seta che avevo comprato online senza sapere bene perché. Forse solo per lui.

Avevo fatto tutto quello che mi aveva chiesto. Tutto. E mentre lo facevo sentivo un calore strano nascere tra le cosce, un misto di nausea e attesa.

Lui entrò, buttò la sacca sul divano, si tolse il giubbotto e si sedette.
Mi squadrò.
― Toglitela.

La vestaglia. La tolsi. Lentamente.
Restai nuda davanti a lui. Le mani tremavano.

― Vieni qui.
Obbedii.
Mi prese il mento tra le dita.
― Fammi vedere che hai eseguito gli ordini, vecchia puttanella.

E fu allora che sentii qualcosa in me cedere. Una diga interna, un nodo di decoro che si slacciava sotto il peso delle sue parole.

Mi chinò leggermente. Mi spalancò le gambe con un colpo di ginocchio.
― Così mi piaci. Liscia, pulita, pronta a farti scorticare.

Poi la sua mano scese. Due dita mi scivolarono fra le labbra.
― Guarda come cola, la tua figa antica.
E subito un dito mi penetrò dietro.
Sussultai. Gemetti.
Ma non protestai. Non fuggii.

Era tutto nuovo, tutto troppo, tutto mio.
Ed era iniziato.
scritto il
2025-06-24
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