In vacanza con la nipote 3

di
genere
incesti

Lei dormiva nuda, una gamba fuori dal lenzuolo, la fica ancora umida che brillava nella luce del pomeriggio come un frutto morso a metà. Aveva lasciato una striscia bianca sulla mia pancia quando si era addormentata, dopo avermi spremuto come una vacca assetata di latte.

Io, invece, non dormivo. Ero sveglio. Lucido. Con un mezzo sorriso sulle labbra.

Mi alzai piano, aprii la valigia, cercai il blister nascosto tra i calzini.

Le pillole blu.

Non che ne avessi davvero bisogno — non ancora — ma a sessantacinque anni, meglio giocare d’anticipo. E se doveva essere una vacanza del cazzo, allora che lo fosse in tutti i sensi.

Inghiottii una compressa con un sorso d’acqua e tornai a letto. Il cazzo cominciò a gonfiarsi già prima che la mia mano lo toccasse.

La guardai. Dormiva ancora. Ma respirava più forte. Come se il mio sguardo le scaldasse la pelle.

Mi infilai tra le sue gambe. Le baciai l’interno coscia. Sentii un mugolio.
«Mmmh… ancora?»

«Ancora.»

Le allargai le cosce, le passai la lingua sulla fessura. Un colpo secco, deciso, dal basso verso l’alto. Lei spalancò gli occhi.
«Ma sei una macchina, zio…»

Le infilai due dita dentro e cominciai a leccarla come se fosse un gelato al cioccolato e sale. Succhi, rumori osceni, il suo culo che si sollevava ad ogni colpo di lingua.
«Sì, sì… così! Mangiamela! Slurpami tutta!»

Venni su con la bocca sporca e il cazzo duro come una mazza.
«Girati. Quattro zampe.»

Obbedì. Una cagna docile e puttana. Le infilai il cazzo senza pietà, con la faccia ancora bagnata dei suoi umori. Le presi i capelli, le tirai la testa indietro.

«È questo che vuoi? Eh? Vuoi il cazzo del vecchio tra le chiappe, porca?»

«Sì! Voglio il tuo cazzo! Fammi male!»

La scopai a lungo, con la forza che solo la rabbia e le pillole possono dare. La facevo sbattere con la faccia sul cuscino a ogni colpo.
Poi la sollevai e la portai in bagno.

La misi con le mani sullo specchio. Il riflesso ci mostrava tutto: i miei occhi pieni di furore, i suoi capezzoli duri, la mia mano che le stringeva il collo mentre la ficcavo in piedi.

«Guardati. Guardaci. Guarda che troia sei mentre ti spacco la figa.»

Venimmo insieme, ancora.



Il pomeriggio non finiva mai. Marina si sdraiava, ansimava, rideva, poi si arrampicava di nuovo su di me.

Mi cavalcava col culo all’indietro, poi con la faccia verso di me. Le mordevo i capezzoli, le dita nei buchi, la lingua ovunque.

«Voglio il tuo sperma sulla lingua.»

Glielo diedi. Poi sulla pancia. Poi tra le tette.

Si mise a novanta sul pavimento fresco e si infilò due dita nella fica mentre le davo schiaffi sul culo.
«Schiattami il culo, zio. Aprimi tutta. Fammi tua. Distruggimi.»



Erano le sei di sera quando, esausti, ci stendemmo a guardare il soffitto.

Sudati, appiccicati, stanchi. Ma ancora vivi.
Il cazzo mi pulsava. La sua figa gocciolava. Le lenzuola erano da buttare.

«Dove lo trovi un sessantacinquenne così, eh?»

Lei mi baciò sul petto, ancora tremante.

«Sei il mio vizio. E non ho nessuna voglia di smettere.»
scritto il
2025-06-16
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