Mia madre mi desidera 3
di
AngelicaBellaWriter
genere
incesti
Il giorno dopo ho passato tutto il pomeriggio col cazzo duro.
Non riuscivo a concentrarmi, non riuscivo a pensare ad altro. Lei aveva detto:
“Domani ti insegno a scopare.”
Parole che mi rimbombavano in testa, come un’ossessione.
Mi sono rasato. Mi sono lavato due volte. Ho cercato online come leccare, come durare di più, come non venire troppo presto. Niente funzionava. Bastava che chiudessi gli occhi e la vedessi lì, con le cosce aperte e il dito sul clitoride, e subito mi si tendeva tutto.
Alle dieci di sera la porta era socchiusa. Luce calda, musica a volume basso.
Mi ha sentito entrare. Era seduta sul letto. Gonna corta, niente mutandine. Camicia bianca, aperta fino all’ombelico. Tette sode, capezzoli già duri.
Mi ha guardato il cazzo.
«Bravo. Già pronto. Hai studiato?»
Ho annuito.
«Vieni qui. Cominciamo.»
Mi ha fatto sedere sul bordo del letto, si è inginocchiata.
«Fammi sentire in bocca quello che mi hai fatto vedere con le mani.»
Mi ha preso il cazzo e ha cominciato a succhiarlo piano, poi sempre più a fondo. La lingua mi girava attorno al glande, le labbra calde, umide. Ogni tanto si fermava e mi diceva:
«Non venire. Resisti. Impara.»
E io resistevo. Con tutto me stesso. Le mani affondate nei suoi capelli. I fianchi che tremavano. Il respiro spezzato.
Poi si è alzata e si è tolta la camicia.
«Ora tocca a te. Leccami. Fai bene.»
Si è sdraiata a pancia in su, le gambe spalancate. Io mi sono inginocchiato, il viso contro la sua figa calda e bagnata. L’odore era forte, buono. Aveva già goduto, forse si era toccata prima.
Ho passato la lingua piano tra le labbra. Lei gemeva.
«Più lento. Poi più forte. Lecca il clitoride… sì, lì… più su… più giù… brava troia, leccami tutta.»
Le ho succhiato la figa come fosse la mia unica ragione di vita. Lei spingeva la testa contro di sé, gemendo come una puttana in calore.
«Adesso basta. Scopami.»
Mi sono alzato. Il cazzo durissimo, lucido della sua saliva. L’ho puntato contro la sua fica. Lei si è aperta, ha guidato l’ingresso.
«Dentro. Piano. Ma fammi sentire tutto.»
Sono entrato.
Calda. Stretta. Bagnata da morire. Il paradiso.
Ho spinto. Lei gemeva. Mi graffiava la schiena.
«Sì. Così. Dio, quanto sei duro. Spingi forte. Scopami bene. Fammi male.»
L’ho presa. A letto. In piedi. Di lato. Con le mani tra i capelli. Con le dita nella bocca. Lei veniva, tremava, mi stringeva con le gambe e urlava.
E io duravo. Perché me l’aveva chiesto.
Quando sono venuto, è stato dentro. Profondo. Lungo. Un’esplosione.
Lei mi ha tenuto lì, abbracciato, con le gambe attorno alla mia schiena.
Poi, piano, mi ha baciato l’orecchio e ha sussurrato:
«Sei pronto per la prossima lezione?»
Non riuscivo a concentrarmi, non riuscivo a pensare ad altro. Lei aveva detto:
“Domani ti insegno a scopare.”
Parole che mi rimbombavano in testa, come un’ossessione.
Mi sono rasato. Mi sono lavato due volte. Ho cercato online come leccare, come durare di più, come non venire troppo presto. Niente funzionava. Bastava che chiudessi gli occhi e la vedessi lì, con le cosce aperte e il dito sul clitoride, e subito mi si tendeva tutto.
Alle dieci di sera la porta era socchiusa. Luce calda, musica a volume basso.
Mi ha sentito entrare. Era seduta sul letto. Gonna corta, niente mutandine. Camicia bianca, aperta fino all’ombelico. Tette sode, capezzoli già duri.
Mi ha guardato il cazzo.
«Bravo. Già pronto. Hai studiato?»
Ho annuito.
«Vieni qui. Cominciamo.»
Mi ha fatto sedere sul bordo del letto, si è inginocchiata.
«Fammi sentire in bocca quello che mi hai fatto vedere con le mani.»
Mi ha preso il cazzo e ha cominciato a succhiarlo piano, poi sempre più a fondo. La lingua mi girava attorno al glande, le labbra calde, umide. Ogni tanto si fermava e mi diceva:
«Non venire. Resisti. Impara.»
E io resistevo. Con tutto me stesso. Le mani affondate nei suoi capelli. I fianchi che tremavano. Il respiro spezzato.
Poi si è alzata e si è tolta la camicia.
«Ora tocca a te. Leccami. Fai bene.»
Si è sdraiata a pancia in su, le gambe spalancate. Io mi sono inginocchiato, il viso contro la sua figa calda e bagnata. L’odore era forte, buono. Aveva già goduto, forse si era toccata prima.
Ho passato la lingua piano tra le labbra. Lei gemeva.
«Più lento. Poi più forte. Lecca il clitoride… sì, lì… più su… più giù… brava troia, leccami tutta.»
Le ho succhiato la figa come fosse la mia unica ragione di vita. Lei spingeva la testa contro di sé, gemendo come una puttana in calore.
«Adesso basta. Scopami.»
Mi sono alzato. Il cazzo durissimo, lucido della sua saliva. L’ho puntato contro la sua fica. Lei si è aperta, ha guidato l’ingresso.
«Dentro. Piano. Ma fammi sentire tutto.»
Sono entrato.
Calda. Stretta. Bagnata da morire. Il paradiso.
Ho spinto. Lei gemeva. Mi graffiava la schiena.
«Sì. Così. Dio, quanto sei duro. Spingi forte. Scopami bene. Fammi male.»
L’ho presa. A letto. In piedi. Di lato. Con le mani tra i capelli. Con le dita nella bocca. Lei veniva, tremava, mi stringeva con le gambe e urlava.
E io duravo. Perché me l’aveva chiesto.
Quando sono venuto, è stato dentro. Profondo. Lungo. Un’esplosione.
Lei mi ha tenuto lì, abbracciato, con le gambe attorno alla mia schiena.
Poi, piano, mi ha baciato l’orecchio e ha sussurrato:
«Sei pronto per la prossima lezione?»
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