#5 “Schiava” Confessioni di una rispettabile troia.
di
rotas2sator
genere
dominazione
Liliana sentì il mondo restringersi, farsi ovattato, come se la luce stessa si fosse ritirata, lasciandola nuda in uno spazio alieno, fatto di battiti accelerati, fiato corto e pelle in fiamme, mentre lui le prendeva la testa con fermezza, facendola scorrere sul suo membro con un’autorità nuova, spietata e intima.
Era questo che la sconvolgeva e la seduceva: non l’atto in sé, ma l’accettazione. Marco non la giudicava. La vedeva. In tutta la sua dissonanza: dirigente e troia, madre e schiava. Donna matura con una voglia esplosiva. Quando le aveva ordinato di spogliarsi, con quella voce che non ammetteva repliche, un brivido le aveva attraversato il ventre. Ogni bottone slacciato era un gesto consapevole, di sfida al pudore e al passato.
— Mi sto offrendo, nient’altro che un oggetto.
E quando lui le aveva mostrato il collare, un tremito le aveva scosso le gambe. Era il simbolo stesso di ciò che non avrebbe mai potuto confessare. Il desiderio profondo — oscuro, irrinunciabile — di essere presa. Di appartenere. Di poter dire: non decido io. Non ora. Non qui.
Non c’era ricatto, né violenza. Solo uno sprofondare verso abissi vertiginosi. Mentre si sentiva tirare dal guinzaglio, mentre il suo corpo obbediva prima ancora della mente, comprese che era quello il suo spazio segreto. Non l’associazione, non gli incontri ufficiali, bensì quella nudità primordiale, quella resa.
Aveva sognato spesso di essere dominata, da qualcuno che sapesse leggerla, frugarla nella mente, far emergere e inchiodarla alla sua verità più profonda.
Marco era stato feroce, sì. Ma anche lucido. Aveva visto il buio sotto la sua compostezza formale. E aveva evocato, chiamata per nome la sua natura.
Lì, inginocchiata sul freddo pavimento dell’ufficio, godeva della sua sottomissione. Il corpo si dichiarava : il calore tra le cosce, il fremito che le attraversava la schiena, il cuore che batteva più per l’attesa. Ogni parola di Marco l’aveva trapassata come una lama affilata, eppure nessuna l’aveva ferita. Le aveva tolto strati. Maschere. Zavorre.
Liliana stava lì, con il cuore che le martellava in gola, guardando la sua immagine riflessa: seni gonfi, capezzoli duri, il sesso bagnato che lucido le spaccava il centro. Una femmina. Non una donna di potere. Non una madre. Solo carne tesa al piacere, pelle che implorava le mani, le dita, i comandi.
Lo sentì avvicinarsi alle sue spalle. Il suo profumo le avvolse il collo prima ancora che la bocca la raggiungesse. Un morso. Forte. La pelle arrossata. Lei ansimò.
«Sei già pronta, troia ipocrita. Guardati.»
Obbedì. E quello che vide la eccitò al punto da farle tremare le cosce: era l’immagine viva di una donna trasfigurata dal desiderio, piegata dal bisogno. E ne era fiera. Il collare che le stringeva il collo ne era la corona.
Marco le prese i polsi, glieli bloccò dietro la schiena con una cintura. Poi la spinse contro lo specchio, la guancia premuta sul vetro freddo, le natiche offerte. Ogni poro sembrava gridare.
Sentì la sua mano sollevarle la coscia, le dita scavare, affondare. Un gemito strozzato le uscì dalla bocca mentre lui la violava con due dita dentro, decise, a scatti, come per misurare quanto fosse pronta. Lo era. Troppo.
«Hai fame di essere scopata, Liliana?»
«Sì… mio signore…»
La voce le uscì sottile, piena di deferenza. E nel dirlo, qualcosa le si sciolse dentro. Era di quell’uomo. In quell'istante, lo era davvero. Corpo e volontà.
Lui la penetrò di colpo, senza dolcezza. Un affondo pieno che le fece spalancare la bocca in un urlo muto. Il suono della pelle che schiaffeggiava altra pelle riempì la stanza. Fu presa, spinta, stretta, sballottata. Il piacere si annidava lì, dove la brutalità si mescolava alla verità.
Marco le tirava i capelli, la chiamava con epiteti che avrebbero fatto arrossire la Liliana di ieri. Eppure oggi, oggi li accoglieva come combustibile che alimentava la sua eccitazione..
Quando le infilò due dita in bocca e le ordinò di succhiarle, Liliana non esitò. Il suo sesso pulsava. Aveva bisogno. Di essere usata. Di essere guardata, di essere sporcata e riconosciuta per quello che veramente era.
«Puoi venire, ma non senza il mio permesso.»
— Mi sto offrendo, nient’altro che un oggetto.
E quando lui le aveva mostrato il collare, un tremito le aveva scosso le gambe. Era il simbolo stesso di ciò che non avrebbe mai potuto confessare. Il desiderio profondo — oscuro, irrinunciabile — di essere presa. Di appartenere. Di poter dire: non decido io. Non ora. Non qui.
Non c’era ricatto, né violenza. Solo uno sprofondare verso abissi vertiginosi. Mentre si sentiva tirare dal guinzaglio, mentre il suo corpo obbediva prima ancora della mente, comprese che era quello il suo spazio segreto. Non l’associazione, non gli incontri ufficiali, bensì quella nudità primordiale, quella resa.
Aveva sognato spesso di essere dominata, da qualcuno che sapesse leggerla, frugarla nella mente, far emergere e inchiodarla alla sua verità più profonda.
Marco era stato feroce, sì. Ma anche lucido. Aveva visto il buio sotto la sua compostezza formale. E aveva evocato, chiamata per nome la sua natura.
Lì, inginocchiata sul freddo pavimento dell’ufficio, godeva della sua sottomissione. Il corpo si dichiarava : il calore tra le cosce, il fremito che le attraversava la schiena, il cuore che batteva più per l’attesa. Ogni parola di Marco l’aveva trapassata come una lama affilata, eppure nessuna l’aveva ferita. Le aveva tolto strati. Maschere. Zavorre.
Liliana stava lì, con il cuore che le martellava in gola, guardando la sua immagine riflessa: seni gonfi, capezzoli duri, il sesso bagnato che lucido le spaccava il centro. Una femmina. Non una donna di potere. Non una madre. Solo carne tesa al piacere, pelle che implorava le mani, le dita, i comandi.
Lo sentì avvicinarsi alle sue spalle. Il suo profumo le avvolse il collo prima ancora che la bocca la raggiungesse. Un morso. Forte. La pelle arrossata. Lei ansimò.
«Sei già pronta, troia ipocrita. Guardati.»
Obbedì. E quello che vide la eccitò al punto da farle tremare le cosce: era l’immagine viva di una donna trasfigurata dal desiderio, piegata dal bisogno. E ne era fiera. Il collare che le stringeva il collo ne era la corona.
Marco le prese i polsi, glieli bloccò dietro la schiena con una cintura. Poi la spinse contro lo specchio, la guancia premuta sul vetro freddo, le natiche offerte. Ogni poro sembrava gridare.
Sentì la sua mano sollevarle la coscia, le dita scavare, affondare. Un gemito strozzato le uscì dalla bocca mentre lui la violava con due dita dentro, decise, a scatti, come per misurare quanto fosse pronta. Lo era. Troppo.
«Hai fame di essere scopata, Liliana?»
«Sì… mio signore…»
La voce le uscì sottile, piena di deferenza. E nel dirlo, qualcosa le si sciolse dentro. Era di quell’uomo. In quell'istante, lo era davvero. Corpo e volontà.
Lui la penetrò di colpo, senza dolcezza. Un affondo pieno che le fece spalancare la bocca in un urlo muto. Il suono della pelle che schiaffeggiava altra pelle riempì la stanza. Fu presa, spinta, stretta, sballottata. Il piacere si annidava lì, dove la brutalità si mescolava alla verità.
Marco le tirava i capelli, la chiamava con epiteti che avrebbero fatto arrossire la Liliana di ieri. Eppure oggi, oggi li accoglieva come combustibile che alimentava la sua eccitazione..
Quando le infilò due dita in bocca e le ordinò di succhiarle, Liliana non esitò. Il suo sesso pulsava. Aveva bisogno. Di essere usata. Di essere guardata, di essere sporcata e riconosciuta per quello che veramente era.
«Puoi venire, ma non senza il mio permesso.»
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