#4 “Umiliata” Confessioni di una rispettabile troia
di
rotas2sator
genere
dominazione
Marco aveva cinquant’anni e un’esistenza dall’apparenza ordinaria.
Precisa, misurata, composta. Nessuno slancio visibile.
Eppure, sotto la superficie, c’era un’ombra. Un lato torbido, mai confessato.
Funzionario di banca, aveva incontrato Liliana quando lei era venuta ad aprire un conto per l’associazione che presiedeva, uno strumento per raccogliere offerte e donazioni.
Lo aveva colpito fin da subito. Non tanto per la conversazione, cortese e formale, quanto per quell’erotismo palpabile che aveva percepito sotto la maschera elegante e composta. Troppa carne, troppo calore, in mezzo ai volti asettici che vedeva ogni giorno dietro gli sportelli. Aveva stimato che fosse sua coetanea. Solo più tardi aveva scoperto, dall’esame dei documenti, che ne aveva dieci di più di lui. Ma ciò che contava non era l’età, bensì il suo appeal.
Ogni volta che la vedeva, si chiedeva come sarebbe stato eccitante incontrarla in ben altre condizioni.
Nel loro primo incontro, le aveva offerto un caffè. Conversarono cordialmente, parlando tanto di moduli e IBAN quanto del tempo e della città. Nulla di rilevante. Eppure lui ricordava ogni dettaglio.
Fu un tardo pomeriggio, mentre usciva da un bar dopo un aperitivo, che la rivide. Liliana camminava in fretta, nervosa, il telefono stretto in mano. Non era la solita figura elegante e composta. Marco provò un impulso improvviso. Nessuna logica. Solo istinto. La seguì. Prima a piedi, poi in macchina.
La vide entrare in un parcheggio appartato alla periferia, una zona che conosceva. Luogo di incontri fugaci, corpi rapidi e voci basse. Le auto in fila, i finestrini appannati, tendaggi improvvisati, qualche sagoma sfocata sotto le luci tremolanti. Lei parcheggiò. Dopo qualche minuto, scese dalla sua auto e si infilò in un’altra.
Marco si avvicinò lentamente, spense il motore. Passò accanto alla vettura, senza farsi notare. E vide. Vide tutto.
Liliana era con ragazzo, più giovane di almeno vent’anni, il viso di Lilly era affondato fra le cosce di lui, lo stava succhiando con foga, divorandolo. Poi, quella voce. Più forte, più sfrontata di quanto avrebbe mai immaginato:
— Sì, voglio che mi guardino mentre ti succhio il cazzo... voglio che sappiano che sono la tua troia...
Marco sentì un fremito. Non era solo eccitazione voyeuristica. Era rivelazione: la donna posata, composta, elegante… stava implodendo davanti ai suoi occhi. Se ne andò in silenzio. Ma qualcosa era cambiato.
Qualche giorno dopo, la convocò in filiale. Una scusa formale, un adempimento da firmare.
Lei stava già uscendo dall’ufficio quando sentì la sua voce: — Liliana, puoi restare un attimo?
Si voltò, sorpresa. Marco si avvicinò. Lo sguardo era diverso. Nessun sorriso. Solo qualcosa di più profondo.
— Mi è capitato di passare vicino al parcheggio dell’ex dogana l’altra sera.
Lilly si irrigidì.
— Ero lì per caso — proseguì lui, calmo. — Ma tu… tu non eri affatto lì per caso. Ho visto le tue mammelle orgogliose scuotersi, sbattere sui vetri, il tuo culo mentre ti impalavi sul cazzo di quel ragazzo.
Fu spietato nella descrizione, non fece sconti ai modi gentili. Silenzio. Lei strinse i documenti al petto. Arrossì.
— Marco… non…
— Non negare. Non mi interessa una giustificazione. Fece un passo avanti. — Non mi scandalizza quello che fai. Sono invidioso solo che tu non l’abbia fatto con me.
Lei aprì la bocca, ma non disse nulla.
— Da quando ti ho vista ti penso. Ti immagino in ginocchio di fronte a me. Con la bocca umida. Gli occhi bassi.— La incalzò spietato — Ma tu, sempre così formale, così distante. Intanto andavi a farti scopare in macchina, come una cagna in calore.
Liliana tremava. Era in trappola. Marco le sollevò il mento con una mano. — Ora che ti ho vista… non posso più far finta di nulla.
— Cosa vuoi da me? — sussurrò lei.
— Tutto. La voce era lenta. Decisa. — Ma con regole diverse. Io non ti chiamo troia. Io ti faccio venire con due parole. Ti spoglio con lo sguardo mentre parli davanti a tutti. E quando ti inginocchi, lo fai perché lo brami e perché esigo obbedienza.Le tolse gli occhiali, la baciò. Lento. Dominante. Poi si staccò di un soffio:
— Non ho bisogno di ricattarti. Tu sai già che verrai. Perché è me che aspettavi da sempre.
Lei non disse nulla. Ma sentì che, ancora una volta, stava per crollare. Marco le sfiorò le labbra col pollice.
— L’altra sera… mentre gridavi di essere scopata come una troia… pensavi che nessuno ti ascoltasse?
Le guance di Lilly si accesero. Ma non distolse lo sguardo. — Mi hai eccitato come non mi succedeva da anni. Le infilò una mano tra le cosce, sopra la gonna. Trovò calore. Umidità. Bagnata. Pronta. Sporca. Vogliosa.
Le sue dita si sporsero appena, poi si portarono alla bocca di Lilly.
— Assaggia la tua lussuria. Poi, con tono basso e fermo: — Voglio che ti inginocchi. Adesso. Nel mio ufficio. E mi mostri cosa fa una donna che non è più solo una signora rispettabile.
Lilly chiuse gli occhi. Quando li riaprì, si inginocchiò. Il freddo del pavimento le morse le ginocchia. Il tavolo in vetro, la luce blu del computer, i fogli sparsi: tutto sembrava amplificare la sfrontatezza del gesto. Marco si slacciò la cintura. La guardava dall’alto. Si slacciò la cintura, lento. Dall’alto, il suo cazzo già teso la chiamava a sé.
Bastarono le mani della donna, lente, delicate. Una carezza. Uno sguardo. Era pronto.
— Sai cosa voglio, mormorò.
Liliana non rispose. Lo prese tra le mani con riverenza, come fosse un dono. La lingua gli scivolò sul glande. Poi iniziò a succhiare. Prima piano. Poi più a fondo. Solo respiri. E il suono bagnato della sua bocca.
Marco infilò le dita tra i suoi capelli, guidandola.
— Così… brava… lo sapevo che eri questa. Ansimò: — Guarda dove sei. In ginocchio nel mio ufficio. Con la bocca piena del mio cazzo. E sembri felice.
Liliana gemeva, succhiando più forte. Gli occhi lucidi. Gonfi di voglia e vergogna.
— Ti immaginano a parlare di campagna d’informazione, progetti di inclusione… — sussurrò Marco, — e invece sei qui a farti scopare la gola come una troia in calore.
Liliana strinse le cosce di lui con più forza. Doveva andare fino in fondo.
Quando Marco venne, esplodendo nella sua bocca senza preavviso, lei accolse tutto. Deglutì con lentezza. Poi lo ripulì. Ogni goccia. Come aveva imparato da Luciano. Come aveva scelto di fare.
Si alzò. Sistemò la gonna. Silenziosa.
— Non hai più via di fuga, Liliana — disse, con un sorriso lento. — Ora lo sappiamo in due.
Lei lo guardò. Le mani tremavano appena. Ma la voce era ferma.
— Sì. Lo so.
— Spogliati. Ma lentamente. Voglio vedere cosa si nasconde sotto la tua facciata di signora perbene.
Liliana lo fissò un attimo. Poi cominciò. Le dita ai bottoni della camicetta, una ad una. Nessuna fretta. Ogni gesto una resa. La stoffa scivolò via, lasciando nudo il reggiseno nero, gonfio, incapace ormai di contenere quelle pere pesanti, perfette, ostentate con una naturalezza oscena.Marco non parlava. La guardava.
— Toglitelo. Fai vedere a cosa serve davvero quel petto: non a portare spille, ma a farti sbattere come una vacca in calore.
Il reggiseno cadde. Le sue mammelle si liberarono, morbide, grandi, la pelle chiara, i capezzoli tesi. Dondolavano appena, pesanti, vive. Un invito senza vergogna. Marco si passò la lingua sulle labbra.
— Guardati… guarda che roba. Tette da prendere a morsi, da seppellirci la faccia fino a perdere fiato. Chi ti vede in assemblea, vestita da dirigente, non immagina che sotto hai due trofei del genere pronti a farsi leccare, mordere, legare, torturare.
Liliana era arrossita. Ma non si fermava. Sfilò la gonna, poi gli slip. Li lasciò cadere a terra, ai piedi.
Marco fece un passo. Ora lei era completamente nuda. I fianchi larghi, maturi. Le cosce ben tornite, umide all’interno. E quel culo… Dio. Quelle natiche sode e molli insieme, un’altalena di carne viva che tremava appena ad ogni respiro.
— Girati.
Lo fece. Marco si riempì gli occhi.
— Guarda che spettacolo… un culo così non va accarezzato. Va preso. Schiaffeggiato. Penetrato.
Le si avvicinò, le passò una mano tra le chiappe, affondando piano. Sentì il calore, la bagnatura già abbondante.
— Ti piace, eh? Essere nuda davanti a me, col culo all’aria e la figa che cola.
Aprì un cassetto. Lo fece con lentezza crudele. Ne tirò fuori un oggetto avvolto in velluto nero. Lo aprì davanti a lei. Marco fece scattare il collare tra le mani
— Vieni qui. A quattro zampe. Come ti piace.
Solo vergogna che scivolava via. Lui le cinse il collo. Serrò piano. Poi agganciò il guinzaglio, tirandola verso di sé con un colpo secco.
— Guardati. Una donna rispettabile, ridotta così. Col guinzaglio al collo e la figa già fradicia.
Lei ansimò. Un suono basso, quasi un ringhio
Lo aveva colpito fin da subito. Non tanto per la conversazione, cortese e formale, quanto per quell’erotismo palpabile che aveva percepito sotto la maschera elegante e composta. Troppa carne, troppo calore, in mezzo ai volti asettici che vedeva ogni giorno dietro gli sportelli. Aveva stimato che fosse sua coetanea. Solo più tardi aveva scoperto, dall’esame dei documenti, che ne aveva dieci di più di lui. Ma ciò che contava non era l’età, bensì il suo appeal.
Ogni volta che la vedeva, si chiedeva come sarebbe stato eccitante incontrarla in ben altre condizioni.
Nel loro primo incontro, le aveva offerto un caffè. Conversarono cordialmente, parlando tanto di moduli e IBAN quanto del tempo e della città. Nulla di rilevante. Eppure lui ricordava ogni dettaglio.
Fu un tardo pomeriggio, mentre usciva da un bar dopo un aperitivo, che la rivide. Liliana camminava in fretta, nervosa, il telefono stretto in mano. Non era la solita figura elegante e composta. Marco provò un impulso improvviso. Nessuna logica. Solo istinto. La seguì. Prima a piedi, poi in macchina.
La vide entrare in un parcheggio appartato alla periferia, una zona che conosceva. Luogo di incontri fugaci, corpi rapidi e voci basse. Le auto in fila, i finestrini appannati, tendaggi improvvisati, qualche sagoma sfocata sotto le luci tremolanti. Lei parcheggiò. Dopo qualche minuto, scese dalla sua auto e si infilò in un’altra.
Marco si avvicinò lentamente, spense il motore. Passò accanto alla vettura, senza farsi notare. E vide. Vide tutto.
Liliana era con ragazzo, più giovane di almeno vent’anni, il viso di Lilly era affondato fra le cosce di lui, lo stava succhiando con foga, divorandolo. Poi, quella voce. Più forte, più sfrontata di quanto avrebbe mai immaginato:
— Sì, voglio che mi guardino mentre ti succhio il cazzo... voglio che sappiano che sono la tua troia...
Marco sentì un fremito. Non era solo eccitazione voyeuristica. Era rivelazione: la donna posata, composta, elegante… stava implodendo davanti ai suoi occhi. Se ne andò in silenzio. Ma qualcosa era cambiato.
Qualche giorno dopo, la convocò in filiale. Una scusa formale, un adempimento da firmare.
Lei stava già uscendo dall’ufficio quando sentì la sua voce: — Liliana, puoi restare un attimo?
Si voltò, sorpresa. Marco si avvicinò. Lo sguardo era diverso. Nessun sorriso. Solo qualcosa di più profondo.
— Mi è capitato di passare vicino al parcheggio dell’ex dogana l’altra sera.
Lilly si irrigidì.
— Ero lì per caso — proseguì lui, calmo. — Ma tu… tu non eri affatto lì per caso. Ho visto le tue mammelle orgogliose scuotersi, sbattere sui vetri, il tuo culo mentre ti impalavi sul cazzo di quel ragazzo.
Fu spietato nella descrizione, non fece sconti ai modi gentili. Silenzio. Lei strinse i documenti al petto. Arrossì.
— Marco… non…
— Non negare. Non mi interessa una giustificazione. Fece un passo avanti. — Non mi scandalizza quello che fai. Sono invidioso solo che tu non l’abbia fatto con me.
Lei aprì la bocca, ma non disse nulla.
— Da quando ti ho vista ti penso. Ti immagino in ginocchio di fronte a me. Con la bocca umida. Gli occhi bassi.— La incalzò spietato — Ma tu, sempre così formale, così distante. Intanto andavi a farti scopare in macchina, come una cagna in calore.
Liliana tremava. Era in trappola. Marco le sollevò il mento con una mano. — Ora che ti ho vista… non posso più far finta di nulla.
— Cosa vuoi da me? — sussurrò lei.
— Tutto. La voce era lenta. Decisa. — Ma con regole diverse. Io non ti chiamo troia. Io ti faccio venire con due parole. Ti spoglio con lo sguardo mentre parli davanti a tutti. E quando ti inginocchi, lo fai perché lo brami e perché esigo obbedienza.Le tolse gli occhiali, la baciò. Lento. Dominante. Poi si staccò di un soffio:
— Non ho bisogno di ricattarti. Tu sai già che verrai. Perché è me che aspettavi da sempre.
Lei non disse nulla. Ma sentì che, ancora una volta, stava per crollare. Marco le sfiorò le labbra col pollice.
— L’altra sera… mentre gridavi di essere scopata come una troia… pensavi che nessuno ti ascoltasse?
Le guance di Lilly si accesero. Ma non distolse lo sguardo. — Mi hai eccitato come non mi succedeva da anni. Le infilò una mano tra le cosce, sopra la gonna. Trovò calore. Umidità. Bagnata. Pronta. Sporca. Vogliosa.
Le sue dita si sporsero appena, poi si portarono alla bocca di Lilly.
— Assaggia la tua lussuria. Poi, con tono basso e fermo: — Voglio che ti inginocchi. Adesso. Nel mio ufficio. E mi mostri cosa fa una donna che non è più solo una signora rispettabile.
Lilly chiuse gli occhi. Quando li riaprì, si inginocchiò. Il freddo del pavimento le morse le ginocchia. Il tavolo in vetro, la luce blu del computer, i fogli sparsi: tutto sembrava amplificare la sfrontatezza del gesto. Marco si slacciò la cintura. La guardava dall’alto. Si slacciò la cintura, lento. Dall’alto, il suo cazzo già teso la chiamava a sé.
Bastarono le mani della donna, lente, delicate. Una carezza. Uno sguardo. Era pronto.
— Sai cosa voglio, mormorò.
Liliana non rispose. Lo prese tra le mani con riverenza, come fosse un dono. La lingua gli scivolò sul glande. Poi iniziò a succhiare. Prima piano. Poi più a fondo. Solo respiri. E il suono bagnato della sua bocca.
Marco infilò le dita tra i suoi capelli, guidandola.
— Così… brava… lo sapevo che eri questa. Ansimò: — Guarda dove sei. In ginocchio nel mio ufficio. Con la bocca piena del mio cazzo. E sembri felice.
Liliana gemeva, succhiando più forte. Gli occhi lucidi. Gonfi di voglia e vergogna.
— Ti immaginano a parlare di campagna d’informazione, progetti di inclusione… — sussurrò Marco, — e invece sei qui a farti scopare la gola come una troia in calore.
Liliana strinse le cosce di lui con più forza. Doveva andare fino in fondo.
Quando Marco venne, esplodendo nella sua bocca senza preavviso, lei accolse tutto. Deglutì con lentezza. Poi lo ripulì. Ogni goccia. Come aveva imparato da Luciano. Come aveva scelto di fare.
Si alzò. Sistemò la gonna. Silenziosa.
— Non hai più via di fuga, Liliana — disse, con un sorriso lento. — Ora lo sappiamo in due.
Lei lo guardò. Le mani tremavano appena. Ma la voce era ferma.
— Sì. Lo so.
— Spogliati. Ma lentamente. Voglio vedere cosa si nasconde sotto la tua facciata di signora perbene.
Liliana lo fissò un attimo. Poi cominciò. Le dita ai bottoni della camicetta, una ad una. Nessuna fretta. Ogni gesto una resa. La stoffa scivolò via, lasciando nudo il reggiseno nero, gonfio, incapace ormai di contenere quelle pere pesanti, perfette, ostentate con una naturalezza oscena.Marco non parlava. La guardava.
— Toglitelo. Fai vedere a cosa serve davvero quel petto: non a portare spille, ma a farti sbattere come una vacca in calore.
Il reggiseno cadde. Le sue mammelle si liberarono, morbide, grandi, la pelle chiara, i capezzoli tesi. Dondolavano appena, pesanti, vive. Un invito senza vergogna. Marco si passò la lingua sulle labbra.
— Guardati… guarda che roba. Tette da prendere a morsi, da seppellirci la faccia fino a perdere fiato. Chi ti vede in assemblea, vestita da dirigente, non immagina che sotto hai due trofei del genere pronti a farsi leccare, mordere, legare, torturare.
Liliana era arrossita. Ma non si fermava. Sfilò la gonna, poi gli slip. Li lasciò cadere a terra, ai piedi.
Marco fece un passo. Ora lei era completamente nuda. I fianchi larghi, maturi. Le cosce ben tornite, umide all’interno. E quel culo… Dio. Quelle natiche sode e molli insieme, un’altalena di carne viva che tremava appena ad ogni respiro.
— Girati.
Lo fece. Marco si riempì gli occhi.
— Guarda che spettacolo… un culo così non va accarezzato. Va preso. Schiaffeggiato. Penetrato.
Le si avvicinò, le passò una mano tra le chiappe, affondando piano. Sentì il calore, la bagnatura già abbondante.
— Ti piace, eh? Essere nuda davanti a me, col culo all’aria e la figa che cola.
Aprì un cassetto. Lo fece con lentezza crudele. Ne tirò fuori un oggetto avvolto in velluto nero. Lo aprì davanti a lei. Marco fece scattare il collare tra le mani
— Vieni qui. A quattro zampe. Come ti piace.
Solo vergogna che scivolava via. Lui le cinse il collo. Serrò piano. Poi agganciò il guinzaglio, tirandola verso di sé con un colpo secco.
— Guardati. Una donna rispettabile, ridotta così. Col guinzaglio al collo e la figa già fradicia.
Lei ansimò. Un suono basso, quasi un ringhio
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