# 3 “Svergognata nel parcheggio” Confessioni di una rispettabile troia

di
genere
dominazione

Quella notte, a casa, Liliana non riusciva a dormire. Suo marito le dava la schiena, respirava piano, ignaro di tutto. L’aveva salutata con un bacio distratto, mentre lei rientrava con il volto sereno, truccato quel tanto che bastava per mascherare il rossore sulle guance e il disordine nell’anima. Si girò su un fianco, lentamente. Ogni movimento le ricordava quello che era successo nel pomeriggio. Il dolore era ancora lì. Sordo, profondo. Il suo culo faceva male. Era il prezzo da pagare, un marchio lasciato dal padrone sulla pelle della schiava.
Alcuni giorni dopo, al crepuscolo, Luciano le mandò una posizione GPS. Nessuna spiegazione. Solo un punto su una mappa. Un vecchio parcheggio ai margini del parco industriale, noto — almeno per chi sapeva — come luogo di incontri fugaci, di mani sui vetri appannati, di auto che ondeggiavano nel buio.
Liliana non chiese nulla. Lasciò la cena a metà sul fuoco, disse a suo marito che doveva portare dei documenti urgenti in sede. Guidava con il cuore in gola. Ogni curva era un pensiero: E se qualcuno mi vede? Se mi riconosce? Se mi fotografa?
Il parcheggio era semivuoto. Solo qualche auto sparsa, fari spenti, vetri oscurati. Si intravedevano sagome. Movimento. Presenze discrete ma attente. Guardoni.
Luciano era già lì. Una macchina scura, i finestrini leggermente abbassati. Quando lei si avvicinò, la portiera si aprì senza una parola.
— Sali puttana. Sedile posteriore.
Liliana obbedì. Lui la prese subito per i capelli, con decisione, e la fece inginocchiare sul tappetino.
— Hai fatto la brava oggi?
— Sì…
— Hai toccato la tua figa davanti a tutta quella gente per me?
— Sì.
— Allora adesso te la guadagni, la mia attenzione.
Aprì i pantaloni. Il cazzo era già duro. Lei lo prese tra le labbra, con una fame che sapeva di riconoscenza e dipendenza. Ma quando iniziò a succhiarlo, vide qualcosa dal finestrino. Una figura. Un uomo. Fermo. Che guardava.
— Qualcuno ci osserva… — sussurrò, con un brivido.
— Lo so. Tu pensa solo a succhiarmelo.
Luciano le afferrò la nuca e la spinse più a fondo, facendole sentire ogni pulsazione della sua erezione.
— Lasciali guardare. Forse qualcuno ti conosce. Forse ti ha vista ieri in assemblea, in chiesa, dal macellaio. Bella, seria, onorevole. Ma ora… sei solo una troia da parcheggio.
Liliana gemette con la bocca piena. La vergogna era reale come pure il rischio. Ma non riusciva a fermarsi. Anzi, si muoveva con più foga. Le labbra scivolavano lungo il suo cazzo mentre il viso le si rigava di saliva.
Luciano abbassò lo schienale.
— Sali sopra. Voglio che ti guardino mentre ti scopo.
Lei salì a cavalcioni, denudandosi completamente. Si abbassò lentamente sul suo cazzo, aprendosi tutta, offrendosi. Dai vetri, ora leggermente appannati, si intravedevano ancora due figure. Forse tre. Ombre. Occhi. Testimoni.
Luciano le afferrò i fianchi e la fece calare lentamente sul suo cazzo, che scivolò dentro di lei senza fatica, accolto da quella figa fradicia e pronta.
— Muoviti. Falli morire d’invidia. Agita quelle tettone da troia. Falli godere anche loro. Sii zoccola fino in fondo.
Liliana fece del suo meglio. Si toccava il seno, lo scuoteva, provando vergogna e al tempo stesso orgoglio. Il viso in estasi, i capelli sudati, la voce che gemeva frasi sconnesse.

— Sì… guardatemi! — esclamò, tra un respiro e l’altro. — Guardatemi mentre mi faccio scopare come una porca!
Luciano la colpì forte sulle natiche. Urla, fatti sentire!
— Mi piace farmi riempire la figa davanti a voi… Guardatemi… sto godendo sul cazzo come una pazza!
— Sei già venuta. Lo so. Lo sento da come coli. Ma adesso godi di nuovo. Per me. E per loro. Per tutti quelli che non ti avranno mai. Urla il tuo godimento, falli arrapare.
Era così eccitata che sperò perfino che quegli individui che la guardavano la traessero fuori, nuda e urlante, dall’abitacolo per abusarla tutta in un gioco sconcio estremo.
Il suo orgasmo fu violento. Totale. La testa all’indietro, le mani che graffiavano il sedile, la gola che non riusciva a trattenere il grido.
Luciano venne subito dopo, dentro di lei. La trattenne stretta, mentre ancora le ombre fuori si muovevano.
Poi la fece scendere. Le diede una salvietta.
— Puliscimi il cazzo con la lingua. Poi te ne puoi andare.
Lei eseguì, docile, umiliata, felice.
Quando uscì dall’auto, tremava. Una delle figure fuori si girò. Sembrava… conosciuta. Ma fu solo un attimo. Poi l’uomo si voltò e sparì.
Liliana salì in macchina, il cuore ancora in gola.
— E se davvero qualcuno l’avesse riconosciuta?
Ma sotto alla paura, c’era un pensiero più forte.
— E se quella figura tornasse? Se la cercasse ancora?
Il pericolo la chiamava. E lei era pronta a rispondere.

scritto il
2025-05-24
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