#2 “L’anale” Confessioni di una rispettabile troia.

di
genere
dominazione

L’acqua calda scendeva lenta, battendo come una pioggia sottile sulle spalle di Liliana. Il box doccia era stretto, intimo, ma accoglieva entrambi dopo l’amplesso, una coccola rilassante. Le piastrelle bianche si appannavano poco a poco, mentre il vapore avvolgeva i loro corpi nudi e ancora intrisi di sesso. Luciano era dietro di lei. Le mani le scorrevano sui fianchi, morbide ora, senza la irruenza di poco prima. La lavava piano, con una cura inaspettata. Le dita insaponate le accarezzavano la schiena, la curva dei glutei, le gambe tornite, i seni pesanti. Senza fretta. Le passò le mani tra i capelli, con un gesto tenero e attento, quasi protettivo. Eppure ogni suo tocco sembrava volerle dire: sei mia, sei tornata donna vera..
Certo per lui, Liliana, era una tacca in più, una ambita preda matura che mancava nella sua collezione, ma doveva riconoscere che il piacere che gli recava era intenso e inaspettato. Liliana non parlava. Lasciava fare. Sentiva ogni tocco come un atto di riconoscimento. Il corpo, la carne, il desiderio: tutto finalmente si allineava, come se da anni fosse solo in attesa di essere risvegliato. In quel momento, sotto l’acqua, suo marito era un’ombra lontana. L’amore coniugale, la fedeltà, persino la vergogna… tutte illusioni svanite. Ora c’era solo il piacere.
Lei si voltò. Gli occhi vividi. Lo guardò come se lo vedesse davvero per la prima volta. Poi prese il sapone e cominciò a lavarlo a sua volta. Le sue mani erano delicate, ma sicure. Lo insaponò lentamente, indugiando sul petto, sull’addome, scendendo fino all’inguine, dove il cazzo, già di nuovo duro, palpitava. Lo sfiorava come si sfiora un oggetto prezioso.
Si inginocchiò senza dire nulla. Lo prese fra le labbra, lo accolse fino in fondo, assaporando ogni vena, ogni scossa. Si sentiva sporca, sì, ma era una sporcizia voluta. Lo leccava con fame, con gratitudine. Con un bisogno animale.
— Non ti basta mai — mormorò Luciano, la voce rotta.
Lei lo guardò con la bocca piena, sorridendo con gli occhi, e succhiò più forte. Quando lo sperma esplose, caldo, lo accolse come un dono. Lo assaporò, lo lasciò sgocciolare, poi lo raccolse con la lingua e inghiottì.
— Non voglio perdere nulla di te.
— Brava… bevilo tutto. Sei una puttana magnifica.
Liliana sorrise. Le piaceva, Puttana. Lo stava diventando. Lo era. Ma era viva finalmente.
Gli incontri clandestini si intensificarono. In più Luciano spediva messaggi a qualsiasi ora, colmi di desiderio crudo, fisico, impaziente. Ogni squillo del telefono le faceva stringere le cosce. Lui era diretto, sfacciato, anche invasivo. Non parlava d’amore, ma la desiderava con una insistenza, una costanza esagerata. E lei non riusciva — non voleva — dirgli di no.
“Voglio vederti domani. E voglio le tue gambe aperte, come l’ultima volta. Ho ancora il sapore della tua figa sulla lingua.”
Quelle parole, che solo un mese prima l’avrebbero sconvolta, ora la eccitavano come una frustata. Si sentiva accesa, protagonista.
Un pomeriggio — stava preparando la cena, il sugo ancora sul fuoco — arrivò l’ennesimo messaggio.
“Vieni adesso. E ti voglio nuda quando aprirò la porta.”
Il cuore le balzò in petto. Rispose solo con un’emoji. Si inventò una impegno urgente con la sua associazione. Una scusa patetica, puerile. Ma funzionò. Poco dopo suonava di nuovo a quella porta.
Luciano aprì. Non disse nulla. E lei era come lui la voleva: sotto il cappotto, solo pelle. Le sue dita trovarono la figa già fradicia, eccitata al pensiero di essere presa. La schiacciò contro il muro dell’ingresso. Non le diede il tempo di togliersi neanche le scarpe. Fu un atto feroce, animalesco, ma non sbrigativo. La scopò in piedi, violento, senza tenerezza. Le baciava la bocca, il collo, le mammelle lussuriose, burrose che mordeva come fossero frutti maturi. Lei urlava, gemeva.
— Porco… scopami così. Trattami da sgualdrina qual son diventata.
— Troia da monta, puttana lurida…
Che eccitanti quegli insulti che contrastavano coi modi così rispettosi con cui veniva solitamente trattata!
Liliana viveva due vite. Ma non in modo confuso. Ogni parte di sé sapeva bene chi era. La moglie devota, la nonna sorridente. La presidentessa di un’associazione che parlava di prevenzione. L’esperienza attiva in parrocchia. E poi questa Liliana. Quella che si inginocchiava davanti a un cazzo giovane e lo prendeva in bocca con entusiasmo. Quella che gemeva nuda sotto un corpo vent’anni più giovane, bramando ogni centimetro di quella carne tesa, dura, insaziabile.
Non era solo sesso. Era una ritrovata consapevolezza
Si sentiva finalmente vista. Toccare quella carne giovane, succhiarla, farsi riempire fino a gemere… era un ritorno a sé stessa. Ogni orgasmo era un addio a ciò che era stata, e un tributo alla donna nuova che emergeva, selvaggia, libera, scandalosa. Era la storia di una bellissima donna matura, travolta dalla passione.
Luciano si era rivestito senza fretta. Liliana era ancora in ginocchio sul tappeto, il viso imbrattato di sperma, ormai rappreso, le labbra gonfie. Il pomeriggio si diluiva nella sera. Lei non aveva voglia di andarsene. Non voleva farlo. Gli occhi bassi, il cuore che batteva come in attesa
Lui la guardò, in piedi davanti a lei.
— Hai capito cosa sei diventata? — le chiese a voce bassa, quasi dolce.
Liliana annuì piano.
— Dillo.
— La tua troia.
Luciano sorrise. La tirò su, con un gesto deciso, sguardo feroce, la trascinò verso la camera da letto. La stese sul letto, a pancia in giù. Le allargò le gambe con brutalità misurata.
— Voglio il tuo culo, Liliana.
Lei restò immobile per un istante. Quel buchetto che era sempre stato inviolato. Quando suo marito l’aveva chiesto lei avevo opposto un rifiuto sdegnato. Era così lontano dai suoi pensieri e la proposta la turbò.
— No ti prego…no…no.
— Non sei nella condizione di scegliere. Gradirei anzi sentirmi dire che lo brami. Implorami di scoparti il culo.— Pretendeva anche l’anima di Liliana.
Lei ubbidiente, sottomessa:
— Lo voglio… voglio che mi scopi anche lì. Voglio il tuo cazzo nel culo. Ti prego. Fammi tua. Completamente.
— Di' che sei una puttana anale.
— Sono una puttana anale…
— Vuoi davvero che ti sfondi quel buchetto da signora perbene? Vuoi diventare una troia anche lì? — Perfidamente sembrava ora chiederle il permesso.
— Sì… lo voglio… voglio essere tutto quello che ti eccita… voglio assecondarti in tutto.
Luciano la spinse con una mano sulla schiena, facendole piegare il busto contro il materasso. Le spalancò le natiche con forza. Guardò quel piccolo foro serrato, umido di lubrificante e voglia.
— Allora apriti, troia. È ora che impari a essere usata sul serio.
Le sputò sopra, poi infilò due dita, girandole dentro. Liliana gemette forte, il corpo teso, ma non si tirò indietro. Voleva essere violata, sì, profanata.
Quando sentì la punta del cazzo spingere contro il suo sfintere, il respiro le si spezzò. Era un'invasione. Ma non protestò. Subì, si aprì.
Luciano gemette di piacere entrando. Era stretto, caldo. Liliana gridò, ma non solo per dolore. Era una miscela di vergogna, eccitazione, libertà. Si sentiva usata. Ridotta a carne. Ma mai così protagonista.
Ogni spinta, ogni affondo, era un annientamento del passato. La Liliana perfetta, la moglie, la madre, la donna composta: tutto si frantumava sotto quelle spinte feroci, sconce, meravigliose.
Quando venne, in quel buco che nessuno aveva mai violato, Luciano la afferrò per i capelli costringendola a girare il volto mentre veniva presa da dietro.
— Guardami mentre ti sborro in culo, schiava.
Liliana annuì, lo guardò. Lacrime le rigavano le guance. Di resa, di umiliazione, di dolore, di piacere.




scritto il
2025-05-23
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