Mia cugina: Parte 5

di
genere
incesti

Il giorno dopo, verso mezzogiorno, mia cugina mi manda un messaggio. Un semplice ❤. Le invio "?". Visualizza, ma non risponde. Le chiedo cosa significa. Altro visualizzato. Mi stava pensando? Oppure è per ciò che è successo stanotte? Non la capisco proprio.
Lascio perdere. Entro nel mio ufficio e trovo Ilaria seduta sul divano.
— Che ci fai qui? — chiedo, sorpreso.
— Hai pensato alla mia offerta?
Mi siedo sulla poltrona davanti a lei. — Quale offerta?
— Non ci hai pensato?
— Non so di cosa parli.
Mi fissa per un attimo. — Ti ho chiesto se vuoi lavorare per me. Te ne sei già dimenticato?
— Ah, pensavo… Voglio dire, pensavo che era…
— Non ci hai pensato minimamente? — chiede lei, il tono irritato.
— No.
Sbuffa ancora più irritata. — Bene. Sembra che tu non mi prenda sul serio. — Si alza. — Buona giornata.
— Aspetta! — dico. Mi alzo e la fermo per un polso. — Che hai?
Mi uccide con lo sguardo. — Niente.
— Sei strana da giorni. Mi ignori e poi ti presenti qui dal nulla. Che succede?
— Niente! Non succede niente!
— Abbassa la voce.
Continua a fissarmi, malissimo. — Devo andare. — Si volta per uscire.
La tengo ferma. — Spiegami che sta succedendo.
Lei sospira. — Lasciami andare.
— Che ti prende? Dimmelo.
— Ti ho detto di lasciarmi andare!
Mollo la presa dal suo polso. — Ok. Vattene pure. — Torno dietro la mia scrivania, mi siedo.
Il sole, che entra dalla finestra, illumina le gambe lisce di Ilaria ferma davanti alla porta. Fuori dalle pareti di vetro, i dipendenti ci stanno guardando dai loro cubicoli. Hanno visto tutto. Forse anche sentito tutto. Ma non non m'importa.
— Ti aspetto fuori — dice Ilaria.
— Puoi parlare qui.
Apre la porta ed esce, tra gli sguardi e il mormorio dei dipendenti.
Cinque minuti dopo, esco dal mio ufficio. Altri sguardi e mormorii. Scendo al piano terra e mi guardo nell'atrio. C'è molta gente che cammina o sparsa in gruppetti. Ilaria è seduta su uno dei divani.
La raggiungo, mi siedo. — Sono qui.
— Andrò subito al punto. — Mi fissa intensamente per un attimo. — Ti voglio.
Mi acciglio, confuso. — Mi vuoi? Che vuoi dire?
— Ti voglio sia come fidanzato che come dipendente.
Smorzo una risata, nervosa. — Se stai scherzando non è…
— Ti sembra che stia scherzando?
Non rispondo. Non so cosa dire.
— Devo prenderlo come un no?
Abbasso lo sguardo, il busto in avanti, i gomiti poggiati sulle cosce. — È per questo che mi hai ignorato fino adesso?
— Devi darmi una risposta.
Sollevo lo sguardo. — È un ultimatum?
— Una data di scadenza. L’hai detto tu, no? Ogni cosa ha una data di scadenza.
Abbozzo un sorriso, amaro. — Già…
— Allora?
— Chi era quell’uomo?
— Quell'uomo?
— Giorni fa sei uscita dal bar per incontrarti con un uomo. Chi era? Il tuo ex? O qualcuno che…
— Non sono affari tuoi.
— Hai ragione.
Ci fissiamo per un momento. Attorno a noi, il mondo si muove.
— Sei geloso? — chiede Ilaria con una punta di compiacimento.
— No.
— A me sembra di sì.
— Pensala come ti pare.
— È il mio ex.
— Capisco.
— Voleva rimettersi con me. Ho rifiutato.
Non rispondo.
— Non è questo che volevi sapere? — domanda.
— Quando sei tornata nel bar mi sembravi sollevata.
— Pensavi che mi fossi rimessa con lui?
— Non ho pensato a nulla.
Sorride. — Quindi eri geloso?
— No!
Ilaria si alza. — Ti do tempo fino a domani. Se non ricevo risposta, lo prenderò come un no.
— Non posso lasciare il lavoro per venire a lavorare per te. Mi sono sudato la posizione di…
— Manterrai la tua posizione nella mia compagnia e ti pagherò il doppio.
Corrugo la fronte, turbato. — Perché mi vuoi così tanto…?
— Perché in questa città sei uno dei migliori nel tuo lavoro. E nella tua compagnia sei sprecato. Senza contare che sta fallendo. E poi ti voglio.
— Riguardo a quello…
— Pensaci — dice, il tono fermo. Va via.
Mi stendo sullo schienale del divano. Cosa ci trova di bello in me? Dovrebbe puntare a uomini con il suo stesso patrimonio, con il suo stesso status. Anche se ci mettessimo insieme, la sua famiglia non approverebbe mai. Non accetterò mai un uomo che proviene da una famiglia povera. Non c'è futuro.


La sera stessa incontro Ilaria con i nostri amici al solito bar, al Destiny. Non mi degna di uno sguardo. C'è parecchia confusione e la musica house attutisce ogni parola. Ho ancora in mente mia cugina. Sono preoccupato che sia rimasta incinta, dopo che le sono venuto dentro. E mettiamoci pure Ilaria. Ultimamente non so cosa mi stia succedendo. Stanno accadendo troppe cose. Non avrei mai pensato che sarei finito per fare sesso con entrambe. Mia cugina la conosco da bambino. E Ilaria dalle superiori. Che casino.
Il mio amico si mette a parlare della sua ex. Puntualissimo. Nessuno lo ascolta, ma lui va avanti imperterrito come sempre. Ilaria sembra persa tra le nuvole. Tutti gli altri sono già ubriachi, come c’era da aspettarsi. Il resto della serata passa tra birra, battute, risate e la legna del mio amico.
Alla fine, vado via per fare una passeggiata prima di tornare a casa. Fuori, vedo l'ex di Ilaria in compagnia di una donna. Sembra una modella. Li supero e mi avvio lungo il marciapiede. Non so davvero cosa rispondere a Ilaria. Se non fosse accaduto niente con mia cugina, forse le avrei risposto subito di sì. E ora staremo insieme. Alla fine mi piace, sia come amica che come donna. Non mi ha mai preso fisicamente, ma caratterialmente sì. Ha qualcosa di particolare.
— Vai già a casa? — chiede Ilaria, alle mie spalle.
Mi volto. — Oh, sei tu. Mi stai seguendo? Devo chiamare la polizia?
— Dai, smettila scemo.
Sorrido. — Sei qui per la risposta?
— Ti ho visto uscire e ti ho seguito.
— Certo che sei strana.
Corruga la fronte, perplessa. — Perché?
— Mi hai ignorato per tutta la serata e ora sei qui.
— Ah, ero in sovrappensiero.
— Per la proposta che mi hai fatto?
Ilaria solleva un angolo della bocca. — Non gira tutto intorno a te.
— Oh, grazie. Davvero gentile.
— Ho un importante affare in ballo. Mio padre sta interferendo, anche se è chissà dove, perciò devo decidere se continuare o mollare.
— Di che si tratta?
— Non posso parlartene. Riguarda l’azienda.
— Capisco.
Mi mette una mano sul braccio. — Ma grazie per l'interessamento.
Riprendo a camminare.
— Riguardo alla proposta, — dice Ilaria — sono seria. Spero ci penserai seriamente.
— Devi darmi più tempo.
— Più tempo?
— È una scelta importante.
— Non è un impegno contrattuale. Devi stare con me perché lo vuoi.
— È quello che sto cercando di capire.
Ilaria si siede su una panchina. Non risponde.
Mi siedo accanto. — Sono confuso.
— Per cosa?
— È un periodo strano. Stanno succedendo troppe cose.
— Cioè?
— Quello che voglio dire è… — Mi interrompo, lo sguardo basso. — Siamo amici dal primo superiore. All’inizio ci odiavamo, ricordi?
Lei abbozza un sorriso nostalgico. — Sì, ricordo. La prima volta che ti ho visto pensavo che te la tirassi. Eri sempre da solo, seduto in fondo alla classe e non parlavi con nessuno. E quando qualcuno ti rivolgeva la parola, rispondevi in modo scorbutico.
Sorrido al ricordo. — Beh, anche tu te la tiravi con le tue amiche. Eri tutta altezzosa e snob, come se fossi la reginetta della classe. Quanto ti odiavo.
— Anch'io ti odiavo.
Scoppiamo a ridere per un momento.
Lei mi guarda. — Quel giorno in palestra… Sei stato il primo a correre da me quando mi sono slogata la caviglia durante la corsa. — Fa un sorriso amaro. — Tutti ridevano di me, persino le mie amiche. Ma tu non l’hai fatto. Sei venuto da me, mi hai preso in braccio e mi hai portata in infermeria. — Mi fissa. — Credo di essermi innamorata di te, quel giorno.
Le sorrido, baldanzoso. — Nessuna donna può resistere al mio fascino.
Ilaria mi molla un ceffone sul braccio. — Cretino!
Torno serio. — Non te l'ho mai detto, ma…
— Ma?
— Ho sentito che alle medie ti bullizavano.
Mi fissa, a disagio. Non risponde.
— Un tipo della terza ne parlava con uno. Diceva che te ne hanno combinato di tutti i colori. Rompevano le uova nel tuo zaino. Ti sporcavano i capelli con ogni cosa che trovavano sotto mano e…
— Basta — dice Ilaria, gli occhi umidi. — Non dire più niente.
Cala un silenzio pesante. Lungo.
La strada sembra essersi svuotata di colpo. Non si sente alcun rumore.
— Per questo mi hai aiutata quel giorno? — chiede Ilaria..
— Ho visto la tua faccia. Ho capito che eri a un passo dallo scoppiare a piangere. Se l'avessi fatto, ti avrebbero preso di mira.
Mi guarda. — Non è così! Per niente! Alle medie è stato un inferno, ma alle superiori era diverso. Le ragazze volevano essere come me. E i ragazzi impazzivano per mettersi con me.
— Hai ragione.
— Quindi non sarebbe successo niente — dice, il tono deciso. — Mi hai aiutata solo per pietà, ma lo sapevo già. In fondo, tu sei fatto così. Sei una persona... gentile.
La guardo per un momento. — In realtà, avevi attirato la mia curiosità. Si può dire che... mi piacevi.
Mi fissa, turbata. Non risponde.
Sposto lo sguardo altrove. — Ti ho aiutata quel giorno non perché avevo pietà di te, ma perché volevo proteggerti. Anche se dici che non sarebbe successo niente, quelle risate… quelle occhiate… erano il preludio di qualcosa di molto…
Ilaria mi stringe la mano. La guardo. Ci fissiamo a lungo, in silenzio.
Lei mi accarezza il dorso della mano con il pollice. — Capisco solo ora che le mie relazioni sono fallite per colpa tua.
— Mia? Cosa ho fatto?
— Per tutti questi anni ho cercato te negli altri. Anche una briciola. Ma finivo sempre per odiare tutti gli uomini con cui stavo. — Mi sorride. — Ci siamo frequentati solo come amici. Temevo che, se mi fossi esposta, avrei finito per rovinare tutto, ma… Come hai detto tu, le cose ora stanno andando troppo veloci. Una sorta di sprint finale. Fino a qualche tempo fa non avrei mai immaginato che avrei fatto l’amore con te.
— Già…
Mi stringe ancora di più la mano. — Non so cosa mi sia preso quel giorno, davvero. Forse è stato l’alcol, non lo so. Quello che so per certo è che non potevo più aspettare. È come se il mio corpo avesse agito per me.
Un breve silenzio.
Le sorrido. — Ti sono sempre piaciuto per tutto questo tempo?
— Sì, come la prima volta. Quando mi hai portata all'infermeria, qualcosa dentro di me mi ha detto che saremmo stato insieme. È così è stato. Siamo rimasti insieme fino ad oggi.
Smorzo una risata. — Sembra l'inizio di un dramma asiatico pieno di cliché.
Ilaria mi trapassa con lo sguardo, la mano alzata pronta a prendermi a schiaffi. — Non dire stupidaggini!
— Ok, ok. Mi arrendo. — La fisso con un sorriso, divertito. — Comunque, se abbiamo aspettato quasi vent'anni per fare l’amore, vuol dire che aspetteremo altri vent'anni per sposarci.
Mi tira un ceffone sulle schiena. — Cretino! Che ti ho detto!?
— Ok, la pianto. Lo giuro.
— Intendi sposarmi? — chiede, quasi speranzosa.
Il mio sorriso si fa nervoso.
Il suo volto si incupisce, ritrae la mano dalla mia e si alza. — Si è fatto tardi. Io... vado. Buonanotte.
— ‘Notte…
Si allontana lungo il marciapiede, l’andatura che sprizza femminilità e sensualità da ogni poro. Ma è bastata una semplice battuta a rovinare tutto.
scritto il
2025-05-22
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