La casa gotica delle bocche chiuse - 1
di
Marcello Callisto
genere
dominazione
1 - La prima stanza il respiro delle pareti
C’è silenzio. Non quello che calma. Quello che precede l’irreparabile.
Marcello è davanti alla casa. Non c’è numero civico, né campanello.
Solo una porta socchiusa, di legno scuro, venato come fosse muscolo.
La spinge con due dita. Non cigola: ansima. Dentro è buio.
Non per mancanza di luce, ma perché la luce si rifiuta di spiegare.
Un corridoio lungo, e il primo odore che lo colpisce è di ferro e gelsomino. Di umido e di figa lavata da poco. Di qualcosa che vuole essere ricordato con le narici.
Marcello si avvicina a una parete. Appoggia la mano. La parete è calda. E respira.
Non è una metafora. Respira. Si gonfia, si ritrae. Come un torace che sogna.
Poi sente il sussurro. Una voce di donna. Ma non è Lucia.
“Benvenuto. Qui ogni desiderio ha un corpo. Ma non è detto che sia il tuo.”
Una porta alla sua sinistra si apre da sola. Dentro, luce rossa. Un letto.
E una donna nuda, seduta sul bordo, la schiena dritta, le cosce aperte.
Marcello non le vede il volto. Solo i capelli: identici a quelli di Lucia, ma più lunghi. Più pesanti. Lei parla senza guardarlo.
“Non puoi toccarmi. Solo guardare. Solo ricordare.”
Marcello resta sulla soglia. Poi sente il suo cazzo svegliarsi. Non per voglia, ma per obbedienza. È la casa che comanda. È la memoria che scopa.
Marcello fa un passo. La porta si richiude alle sue spalle. Senza rumore.
Come un segreto che si è appena tolto le mutandine. La donna non si volta.
Non gli offre il volto, ma il profilo delle scapole, nervose e fragili come ali spente.
Le cosce aperte, le dita piantate nel bordo del letto, i talloni appena sollevati.
Sta aspettando. Ma non lui. Sta aspettando un ricordo.
E Marcello lo sente: quella stanza non è fatta di muri, ma di scene vissute e mai dette.
L’aria odora di pelle dopo la doccia, di capelli bagnati lasciati asciugare addosso.
Odora di Lucia quando non voleva parlare, ma solo farsi guardare.
Marcello si inginocchia. Non per pregare, ma perché l’altezza del desiderio cambia le prospettive.
La guarda da sotto. Il culo, pieno e fermo, le labbra della figa appena visibili tra le cosce aperte, lucide come se qualcuno l’avesse appena baciata lì.
Ma lei è sola. È la memoria del bacio che gocciola ancora.
“Vuoi sapere chi sono?” dice senza voltarsi.
La voce è Lucia. Ma più lenta. Come se venisse da un sogno che lui non ha mai osato confessare.
Marcello non risponde. Sa che le parole possono rompere l’incanto.
“Sono la prima volta che hai voluto che Lucia ti guardasse mentre la scopavi.”
“La prima volta che ti sei vergognato di volerla nuda non per toccarla,
ma per vedere cosa le faceva il tuo desiderio.”
La donna si alza. Il corpo si stira come pelle bagnata che si tende al sole. Poi si gira.
Ha il volto di Lucia.
Ma gli occhi sono coperti da una benda nera. Marcello trattiene il respiro.
“Non puoi toccarmi, Marcello. Ma puoi mostrarmi. Fammi vedere cosa mi faresti. Spogliati.”
Marcello si sfila la camicia lentamente, come se ogni bottone fosse una colpa da confessare. Lei non si muove. Resta in piedi, nuda, con la benda sugli occhi e le mani lungo i fianchi, come un’offerta silenziosa. Il suo respiro si alza appena quando sente il fruscio della cintura che scivola via. Non può vederlo, ma lo sente. Lo riconosce nel modo in cui l’aria cambia, vibra, si scalda.
«Più vicino,» sussurra. «Ma non toccarmi. Non ancora.»
Marcello è a pochi centimetri. La osserva. Le labbra della figa sono gonfie, leggermente socchiuse, come se stessero aspettando una lingua che non può arrivare. Gocciolano. Lentamente. Come se il tempo stesso stesse leccandola piano, un secondo alla volta. Marcello si inginocchia di nuovo. Il suo viso è a livello del suo sesso. Il profumo lo travolge. È ferro, sapone, pelle, voglia. Ma soprattutto, è lei. La sua Lucia. O quella che la casa gli sta restituendo, trasformata in un’idea che lo scava.
«Dimmi cosa vedi,» mormora lei.
«Vedo la figa che ho amato senza mai capire se fosse mia. Vedo il tuo odore che mi ha seguito nei sogni. Vedo le labbra che mi hanno stretto senza chiedere niente, e che ora… mi comandano.»
Lei sorride appena. «Mostrami senza mani. Solo con la voce. Fammi venire… con lo sguardo che hai.»
Marcello si avvicina ancora. Non la tocca. Le parla con gli occhi.
«Se potessi, ti aprirei con la lingua. Non per entrare, ma per starti dentro col fiato. Ti farei sentire il mio sguardo che si infila tra le tue labbra e resta lì, come un dito invisibile che non smette di cercarti. Vorrei che ti tremassero le ginocchia per il solo fatto che non ti sto toccando. Vorrei vedere il tuo buco che si contrae da solo, come se sapesse che lo sto guardando, e che ti manca il mio cazzo anche se non è ancora duro abbastanza.»
Lei emette un suono. Non un gemito. Qualcosa di più profondo. Come un nodo che si scioglie. Il respiro accelera. Il corpo si tende. E mentre le gocce scendono lente sulle cosce, Marcello la guarda. Sta davvero per venire, solo per quello che lui non le sta facendo.
«Fammi godere ancora così, Marcello… Non fermarti. Voglio che mi svuoti senza nemmeno sfiorarmi.»
Marcello è ancora in ginocchio, nudo, il respiro incastrato tra le cosce di lei e la propria vergogna. Ma non c’è più vergogna, ora. Solo attesa.
Lei allunga una mano. Gli sfiora la guancia con la punta delle dita. Poi la ritrae. «Alzati.»
La voce è la stessa, ma qualcosa è cambiato. Un tono nuovo. Più basso, più calmo. Come se non avesse bisogno di chiedere il permesso per possedere. Marcello si alza, lentamente, il cazzo teso ma non ancora duro del tutto. Lei sorride.
«Tu hai creduto di potermi raccontare il tuo desiderio. Ma il tuo desiderio non è tuo. È mio. È sempre stato mio. Ti farò vedere cosa voglio. E non potrai scappare.»
Poi lo fa voltare. E sussurra: «Mettiti contro la parete.»
Marcello obbedisce. La parete respira. Gli entra nella schiena come pelle viva. Lei si avvicina da dietro. Non lo tocca. Ma il suo fiato è lì, sulla nuca, sulle spalle. Poi… la lingua. Calda, lenta, tra le scapole. «Hai mai pensato di essere tu quello che si apre? Hai mai immaginato che il tuo corpo, il tuo culo, la tua pelle… potessero offrire, invece che prendere?»
La mano di lei scende lungo il fianco. Non lo afferra. Lo descrive. Come se lo stesse leggendo con le dita. «Ti farò venire come non hai mai osato immaginare. Non perché ti tocco, ma perché ti spoglio da dentro.»
Marcello trema. Le pareti intorno a lui si stringono impercettibilmente. Come se stessero assistendo. Come se volessero imparare anche loro a desiderare.
Marcello è fermo contro la parete che respira, le mani aperte, le gambe divaricate appena, il cazzo teso tra la paura e la voglia. Lei è dietro di lui, nuda, gli occhi ancora coperti dalla benda. Non ha bisogno di vedere: sente. Sente il sangue che pulsa nel cazzo, il tremore nelle cosce, la vergogna che si fa umidità tra le natiche. Lo annusa. Gli sfiora i fianchi con il respiro, ma ancora non lo tocca.
Poi si inginocchia.
Marcello sente le sue labbra a un soffio dal culo, ma non osa muoversi. Non sa cosa farà. Non sa cosa desiderare. Lei gli sussurra con una voce che non ammette replica:
«Ora vieni. Ma non per me. Vieni per ciò che ti ha sempre tenuto sveglio. Per quell’immagine che hai nascosto anche a te stesso.»
Le sue dita lo sfiorano appena, tra le cosce. Non afferrano. Disegnano. Un cerchio invisibile intorno ai testicoli, poi una linea che risale lungo la base del cazzo, senza stringere. Solo seguendo. Poi lo fa: lo bacia.
Non in punta. Non per prenderlo.
Per inchinarsi al suo stesso potere.
Un bacio lento, bagnato, sul cazzo che adesso pulsa come un tamburo in attesa della battaglia. Marcello geme. Ma è un gemito che si spezza. Come un grido mozzato dalla bellezza. Lei parla, con la bocca ancora appoggiata al glande:
«Non posso succhiartelo. Non ancora. Ma posso dirti quello che farei. E tu verrai lo stesso.»
E lo fa. Gli racconta cosa farebbe se potesse prenderlo tra le labbra.
Come lo leccherebbe piano, sotto. Come lo spingerebbe sul palato, fino a soffocarsi.
Come lascerebbe la saliva colare giù, sulle palle, solo per raccoglierla con la lingua.
Le parole sono carezze. Le parole sono più forti di una bocca.
Marcello non regge.
Il corpo si piega, il fiato si mozza, il cazzo si tende come una corda.
E poi scoppia.
Un getto, violento, preciso, che schizza contro la parete viva.
La parete lo accoglie.
Si bagna.
E poi… respira più forte.
Lucia – o ciò che di lei resta – si alza.
Con due dita raccoglie lo sperma dalla parete.
Se lo porta alla bocca.
Non lo ingoia.
Lo assaggia.
«Sei venuto, Marcello. Ma questa è solo la soglia. La vera stanza ti aspetta. E lì… non sarai tu a venire.»
[a.marcellocallisto@gmail.com]
C’è silenzio. Non quello che calma. Quello che precede l’irreparabile.
Marcello è davanti alla casa. Non c’è numero civico, né campanello.
Solo una porta socchiusa, di legno scuro, venato come fosse muscolo.
La spinge con due dita. Non cigola: ansima. Dentro è buio.
Non per mancanza di luce, ma perché la luce si rifiuta di spiegare.
Un corridoio lungo, e il primo odore che lo colpisce è di ferro e gelsomino. Di umido e di figa lavata da poco. Di qualcosa che vuole essere ricordato con le narici.
Marcello si avvicina a una parete. Appoggia la mano. La parete è calda. E respira.
Non è una metafora. Respira. Si gonfia, si ritrae. Come un torace che sogna.
Poi sente il sussurro. Una voce di donna. Ma non è Lucia.
“Benvenuto. Qui ogni desiderio ha un corpo. Ma non è detto che sia il tuo.”
Una porta alla sua sinistra si apre da sola. Dentro, luce rossa. Un letto.
E una donna nuda, seduta sul bordo, la schiena dritta, le cosce aperte.
Marcello non le vede il volto. Solo i capelli: identici a quelli di Lucia, ma più lunghi. Più pesanti. Lei parla senza guardarlo.
“Non puoi toccarmi. Solo guardare. Solo ricordare.”
Marcello resta sulla soglia. Poi sente il suo cazzo svegliarsi. Non per voglia, ma per obbedienza. È la casa che comanda. È la memoria che scopa.
Marcello fa un passo. La porta si richiude alle sue spalle. Senza rumore.
Come un segreto che si è appena tolto le mutandine. La donna non si volta.
Non gli offre il volto, ma il profilo delle scapole, nervose e fragili come ali spente.
Le cosce aperte, le dita piantate nel bordo del letto, i talloni appena sollevati.
Sta aspettando. Ma non lui. Sta aspettando un ricordo.
E Marcello lo sente: quella stanza non è fatta di muri, ma di scene vissute e mai dette.
L’aria odora di pelle dopo la doccia, di capelli bagnati lasciati asciugare addosso.
Odora di Lucia quando non voleva parlare, ma solo farsi guardare.
Marcello si inginocchia. Non per pregare, ma perché l’altezza del desiderio cambia le prospettive.
La guarda da sotto. Il culo, pieno e fermo, le labbra della figa appena visibili tra le cosce aperte, lucide come se qualcuno l’avesse appena baciata lì.
Ma lei è sola. È la memoria del bacio che gocciola ancora.
“Vuoi sapere chi sono?” dice senza voltarsi.
La voce è Lucia. Ma più lenta. Come se venisse da un sogno che lui non ha mai osato confessare.
Marcello non risponde. Sa che le parole possono rompere l’incanto.
“Sono la prima volta che hai voluto che Lucia ti guardasse mentre la scopavi.”
“La prima volta che ti sei vergognato di volerla nuda non per toccarla,
ma per vedere cosa le faceva il tuo desiderio.”
La donna si alza. Il corpo si stira come pelle bagnata che si tende al sole. Poi si gira.
Ha il volto di Lucia.
Ma gli occhi sono coperti da una benda nera. Marcello trattiene il respiro.
“Non puoi toccarmi, Marcello. Ma puoi mostrarmi. Fammi vedere cosa mi faresti. Spogliati.”
Marcello si sfila la camicia lentamente, come se ogni bottone fosse una colpa da confessare. Lei non si muove. Resta in piedi, nuda, con la benda sugli occhi e le mani lungo i fianchi, come un’offerta silenziosa. Il suo respiro si alza appena quando sente il fruscio della cintura che scivola via. Non può vederlo, ma lo sente. Lo riconosce nel modo in cui l’aria cambia, vibra, si scalda.
«Più vicino,» sussurra. «Ma non toccarmi. Non ancora.»
Marcello è a pochi centimetri. La osserva. Le labbra della figa sono gonfie, leggermente socchiuse, come se stessero aspettando una lingua che non può arrivare. Gocciolano. Lentamente. Come se il tempo stesso stesse leccandola piano, un secondo alla volta. Marcello si inginocchia di nuovo. Il suo viso è a livello del suo sesso. Il profumo lo travolge. È ferro, sapone, pelle, voglia. Ma soprattutto, è lei. La sua Lucia. O quella che la casa gli sta restituendo, trasformata in un’idea che lo scava.
«Dimmi cosa vedi,» mormora lei.
«Vedo la figa che ho amato senza mai capire se fosse mia. Vedo il tuo odore che mi ha seguito nei sogni. Vedo le labbra che mi hanno stretto senza chiedere niente, e che ora… mi comandano.»
Lei sorride appena. «Mostrami senza mani. Solo con la voce. Fammi venire… con lo sguardo che hai.»
Marcello si avvicina ancora. Non la tocca. Le parla con gli occhi.
«Se potessi, ti aprirei con la lingua. Non per entrare, ma per starti dentro col fiato. Ti farei sentire il mio sguardo che si infila tra le tue labbra e resta lì, come un dito invisibile che non smette di cercarti. Vorrei che ti tremassero le ginocchia per il solo fatto che non ti sto toccando. Vorrei vedere il tuo buco che si contrae da solo, come se sapesse che lo sto guardando, e che ti manca il mio cazzo anche se non è ancora duro abbastanza.»
Lei emette un suono. Non un gemito. Qualcosa di più profondo. Come un nodo che si scioglie. Il respiro accelera. Il corpo si tende. E mentre le gocce scendono lente sulle cosce, Marcello la guarda. Sta davvero per venire, solo per quello che lui non le sta facendo.
«Fammi godere ancora così, Marcello… Non fermarti. Voglio che mi svuoti senza nemmeno sfiorarmi.»
Marcello è ancora in ginocchio, nudo, il respiro incastrato tra le cosce di lei e la propria vergogna. Ma non c’è più vergogna, ora. Solo attesa.
Lei allunga una mano. Gli sfiora la guancia con la punta delle dita. Poi la ritrae. «Alzati.»
La voce è la stessa, ma qualcosa è cambiato. Un tono nuovo. Più basso, più calmo. Come se non avesse bisogno di chiedere il permesso per possedere. Marcello si alza, lentamente, il cazzo teso ma non ancora duro del tutto. Lei sorride.
«Tu hai creduto di potermi raccontare il tuo desiderio. Ma il tuo desiderio non è tuo. È mio. È sempre stato mio. Ti farò vedere cosa voglio. E non potrai scappare.»
Poi lo fa voltare. E sussurra: «Mettiti contro la parete.»
Marcello obbedisce. La parete respira. Gli entra nella schiena come pelle viva. Lei si avvicina da dietro. Non lo tocca. Ma il suo fiato è lì, sulla nuca, sulle spalle. Poi… la lingua. Calda, lenta, tra le scapole. «Hai mai pensato di essere tu quello che si apre? Hai mai immaginato che il tuo corpo, il tuo culo, la tua pelle… potessero offrire, invece che prendere?»
La mano di lei scende lungo il fianco. Non lo afferra. Lo descrive. Come se lo stesse leggendo con le dita. «Ti farò venire come non hai mai osato immaginare. Non perché ti tocco, ma perché ti spoglio da dentro.»
Marcello trema. Le pareti intorno a lui si stringono impercettibilmente. Come se stessero assistendo. Come se volessero imparare anche loro a desiderare.
Marcello è fermo contro la parete che respira, le mani aperte, le gambe divaricate appena, il cazzo teso tra la paura e la voglia. Lei è dietro di lui, nuda, gli occhi ancora coperti dalla benda. Non ha bisogno di vedere: sente. Sente il sangue che pulsa nel cazzo, il tremore nelle cosce, la vergogna che si fa umidità tra le natiche. Lo annusa. Gli sfiora i fianchi con il respiro, ma ancora non lo tocca.
Poi si inginocchia.
Marcello sente le sue labbra a un soffio dal culo, ma non osa muoversi. Non sa cosa farà. Non sa cosa desiderare. Lei gli sussurra con una voce che non ammette replica:
«Ora vieni. Ma non per me. Vieni per ciò che ti ha sempre tenuto sveglio. Per quell’immagine che hai nascosto anche a te stesso.»
Le sue dita lo sfiorano appena, tra le cosce. Non afferrano. Disegnano. Un cerchio invisibile intorno ai testicoli, poi una linea che risale lungo la base del cazzo, senza stringere. Solo seguendo. Poi lo fa: lo bacia.
Non in punta. Non per prenderlo.
Per inchinarsi al suo stesso potere.
Un bacio lento, bagnato, sul cazzo che adesso pulsa come un tamburo in attesa della battaglia. Marcello geme. Ma è un gemito che si spezza. Come un grido mozzato dalla bellezza. Lei parla, con la bocca ancora appoggiata al glande:
«Non posso succhiartelo. Non ancora. Ma posso dirti quello che farei. E tu verrai lo stesso.»
E lo fa. Gli racconta cosa farebbe se potesse prenderlo tra le labbra.
Come lo leccherebbe piano, sotto. Come lo spingerebbe sul palato, fino a soffocarsi.
Come lascerebbe la saliva colare giù, sulle palle, solo per raccoglierla con la lingua.
Le parole sono carezze. Le parole sono più forti di una bocca.
Marcello non regge.
Il corpo si piega, il fiato si mozza, il cazzo si tende come una corda.
E poi scoppia.
Un getto, violento, preciso, che schizza contro la parete viva.
La parete lo accoglie.
Si bagna.
E poi… respira più forte.
Lucia – o ciò che di lei resta – si alza.
Con due dita raccoglie lo sperma dalla parete.
Se lo porta alla bocca.
Non lo ingoia.
Lo assaggia.
«Sei venuto, Marcello. Ma questa è solo la soglia. La vera stanza ti aspetta. E lì… non sarai tu a venire.»
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