La seconda porta 1 - Introduzione

di
genere
etero

CAPITOLO I
Lucia sbottonò la camicetta con dita abituate a quell’automatismo, senza davvero pensare. Il tessuto scivolò lungo le braccia come una promessa tradita, un abbraccio che non aveva mai scaldato. Rimase per un attimo in reggiseno, l’elastico che premeva sulla pelle lasciava un segno, una traccia della giornata appena trascorsa, come se persino i vestiti si aggrappassero a lei più di quanto facesse la vita stessa.
Slacciò il gancetto dietro la schiena e lasciò che il reggiseno scivolasse lungo le braccia, rivelando la pelle segnata dalla costrizione delle spalline. Si passò una mano sulle spalle nude, come per cancellare quei solchi sottili, quei segni effimeri che però sembravano più reali delle emozioni che la circondavano ogni giorno.
Sfilò le mutande bianche tradizionali a righe, quelle che non erano fatte per colpire ma solo per coprire. Non le importava più. Ormai non voleva colpire nessuno. Il tessuto le accarezzò le cosce nell’ultimo scivolare, lasciandola nuda davanti alla notte, davanti a se stessa.
Rimase così per un istante, senza fretta di coprirsi. Non c’era nessuno a guardarla, nessuno da sedurre o da cui farsi desiderare. Eppure, nel riflesso opaco della finestra, il suo corpo le restituì un’immagine che un tempo avrebbe avuto un senso, un’energia.
Scostò leggermente una gamba, come per guardarsi, per ritrovare un contatto con se stessa. I peli del pube, rigogliosi, si aprivano a V, una forma che sembrava quasi indicare una strada, una possibilità. Ma anche quel simbolo, un tempo promessa di qualcosa, ora le sembrava spento. Persino la sua figa sembrava assopita, come se anche lei avesse smesso di aspettare.
Un tempo si era sentita viva in quel corpo. Ora era solo un involucro che attraversava giornate tutte uguali, una pelle che reagiva per abitudine più che per desiderio. Il piacere era diventato un rito, un esercizio ripetuto senza trasporto, senza stupore. Qualche notte si lasciava toccare, scopava quasi per inerzia, ma niente le lasciava addosso il sapore che avrebbe voluto. Solo un’altra scena da archiviare, un’altra conferma che la vita non era vita, ma solo un’illusione di vita.
Si infilò sotto le lenzuola ancora nuda, come per rubare un po’ di freschezza a quella superficie intatta. La pelle si abbandonò a quel lieve brivido, un piacere semplice, quasi primitivo. Ma non era solo il sollievo del contatto con il tessuto fresco. Quando allungò la mano e tirò su la coperta, fu un gesto che le venne naturale, istintivo, come un animale che cerca riparo. Si avvolse in quel rifugio di cotone, stringendolo attorno a sé. Protezione, forse. O forse solo il tentativo di sfuggire, di nascondersi da una vita che non la guardava più, come lei ormai non guardava più sé stessa.
Lucia chiuse gli occhi, ma il sonno non venne a cercarla. Non lo aspettava nemmeno. Il riposo, quello vero, quello che scioglie le tensioni e distende il corpo, era un lusso che apparteneva a chi si addormentava con un senso di soddisfazione, anche minimo. Lei no. Non c’era nulla da chiudere, nulla da concludere nella sua giornata. Solo un’altra notte che iniziava uguale alle altre, senza aspettative, senza una vera fine.
Si rigirò tra le lenzuola, prima su un fianco, poi sull’altro. Il cuscino sembrava troppo alto, troppo basso, troppo caldo, troppo freddo. Nulla andava bene. Nulla aveva una forma giusta. Come la sua vita.
Poi, chissà perché, le tornò in mente quel messaggio.
L’aveva ricevuto giorni prima, in una chat a cui era stata iscritta senza nemmeno ricordare come. Forse un gruppo, forse un canale. Non se ne era curata, come faceva con la maggior parte delle notifiche inutili che le arrivavano. Ma ora le parole le rimbombavano in testa, senza che ne capisse il motivo.
“Nella vita c’è una seconda porta.”
Era tutto. Nessun altro messaggio, solo quelle parole e un file allegato. Un ePub.
Lucia sospirò e allungò la mano verso il comodino, afferrando il cellulare quasi senza pensarci. Forse per inerzia, forse perché non sapeva cos’altro fare. Lo sbloccò, scorse tra le conversazioni e trovò quel messaggio. Una seconda porta. Che diavolo voleva dire?
Senza rifletterci troppo, cliccò sull’allegato. Lo schermo si riempì di parole. Il file si aprì automaticamente nel lettore e-book del telefono.
Lucia fissò il titolo.
“La seconda porta.”
E cominciò a leggere.
Lucia scorse le prime righe con occhi ancora distratti, ma qualcosa—non sapeva dire cosa—la fece rallentare. Una parola, un’immagine. Una vibrazione sotterranea nel testo che non riusciva a ignorare.
Sentì il respiro cambiare, impercettibilmente. Il cuore battere con un ritmo leggermente diverso. Come se, sotto la superficie delle parole, ci fosse qualcosa che la chiamava.
Si mosse appena nel letto, senza pensarci. Ma il fresco che poco prima aveva cercato nelle lenzuola ora sembrava svanito. Anzi, il tessuto le sembrava più caldo. Troppo caldo. Oppure era lei?
Si spostò, cercando sollievo, ma il corpo reagì prima della mente. Un fremito sottile, quasi un brivido alla rovescia, le sfiorò il ventre, scivolando più in basso. Un’onda piccola, imprevista.
Si irrigidì appena.
Che cazzo.
Chiuse il libro di scatto, lo schermo si spense, e il buio della stanza si riappropriò del suo spazio.
Lucia rimase immobile, il telefono ancora tra le dita. Non sapeva dire se la cosa la avesse disturbata o… no. Forse era solo stanchezza. Forse era il caldo.
Forse.
Ma la seconda porta era lì. E l’aveva socchiusa.
[a.marcellocallisto@gmail.com]
scritto il
2025-05-18
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