Cronache di Anna IX – La giostra dei corpi
di
Marcello Callisto
genere
etero
Quando aprì gli occhi, vide davanti a sé un semicerchio di uomini. Ciascuno con il cazzo duro, gonfio, teso, estratto alla meglio dalle braghe abbassate. Verghe pulsanti che la fissavano come occhi senza pietà.
Restò inginocchiata un attimo, le mani sulle ginocchia, la testa china, il viso nascosto dai capelli sciolti, come se fosse persa in un gioco troppo grande per lei.
Poi, lentamente, sollevò le mani, le portò tremando verso i primi due cazzi davanti a lei, li sfiorò con la punta delle dita, poi li avvolse, uno per mano, sentendo sotto i polpastrelli la pelle calda, viva, pulsante. Fingeva di essere confusa, fingeva di tremare di vergogna, ma dentro di sé il sangue le martellava nelle tempie, la figa gocciolava, il cuore batteva di pura eccitazione sporca.
Cominciò a masturbarli piano, le mani che scivolavano su e giù lungo gli steli duri, sentendo il calore salire dalla radice alla punta, i cazzi che si gonfiavano ancora di più sotto le sue carezze impacciate. «Guarda come trema… la porcellina si vergogna…» rise il rasato, tirandole i capelli indietro, scoprendole il viso arrossato, gli occhi lucidi. «Vergogna un cazzo… si bagna solo a toccarci…» ringhiò il giovane con la giacca di pelle, spingendo il bacino avanti, sfiorandole il viso con il glande lucido.
Anna strinse le dita, sentì il calore pulsare tra le mani; scambiò i cazzi, uno nella destra, uno nella sinistra, i movimenti che si alternavano come in una danza sporca e antica, saliva e presperma che lubrificavano la pelle tesa sotto le dita. «Falla lavorare, la puttanella…» sibilò il muratore, mentre il magro rideva piano, avvicinando il suo cazzo alla bocca di Anna, sfiorandole le labbra tese senza ancora affondare.
Anna chiuse gli occhi un istante, respirò il loro odore: sudore, carne, voglia. Il profumo dei cazzi duri la inebriava più di qualsiasi droga. Allora si spinse avanti, aprì le labbra, sfiorò con la lingua la punta di uno di quei cazzi, la passò lenta, viscida, tutto attorno al glande gonfio, raccogliendo ogni stilla di desiderio. Leccava senza fretta, con devozione sporca, come impazzita nel desiderio della carne. Scese più giù, lambì il fusto teso, arrivò ai coglioni, li accarezzò col respiro caldo, poi con la lingua, succhiandoli piano, facendoli rimbalzare nella bocca piccola, mentre le mani continuavano a lavorare gli altri cazzi, i movimenti alternati, sincopati.
«Brava troia… succhiali bene… fagli sentire quanto sei affamata…» mormorò il cinquantenne, la voce roca, dura. Anna sollevò lo sguardo. Quei cazzi erano tutto il suo mondo. Prese un altro glande tra le labbra, succhiandolo lento, senza mani, stringendo appena con la lingua, assaporando ogni venatura, ogni pulsazione. Poi si staccò, lo guardò da vicino, lo odorò apertamente come un animale che riconosce il proprio padrone.
Intorno a lei, i corpi si muovevano. Le mani le palpeggiavano il culo, le aprivano le natiche, le dita cercavano la figa grondante. Anna era lì, persa, felice, solo confusa in apparenza. Dentro rideva, gemeva, chiedeva solo una cosa: che non la risparmiassero. La bocca era impastata di carne, saliva, umori. Passava da un cazzo all’altro come una mendicante affamata, le labbra gonfie, screpolate, la lingua lenta a raccogliere ogni stilla di piacere che gocciolava dalle punte gonfie, senza vergogna, senza confini.
I cazzi scorrevano sulle sue guance, sulle labbra, si strusciavano contro la lingua, alcuni affondavano fino a sfiorarle le tonsille, altri si facevano lucidare come trofei sporchi tra i suoi denti morbidi. Le mani di Anna tremavano, il braccio le doleva, la mascella le si contraeva sotto la fatica dolce e viscida, i capelli le si incollavano alla fronte e alle guance, intrisi di sudore, di schizzi di presperma.
Quando fu completamente impiastricciata e sfinita, loro non ebbero pietà. La sollevarono di peso, le gambe molli, la bocca aperta in un rantolo spezzato, e la trascinarono fino al divano. La piegarono contro la spalliera, senza darle tempo di riprendere fiato: il busto schiacciato contro il tessuto ruvido, il culo alto, le ginocchia affondate nei cuscini, la schiena inarcata come una bestia sull’altare.
Sentì l’aria fresca lambirle il sesso, le mani che la sistemavano, che le aprivano le cosce ancora di più, che affondavano le dita nel solco della figa, aprendola. La posizione la esponeva tutta: il culo rotondo, il sesso gonfio, la schiena arcuata, i piedi nudi che cercavano appiglio sui cuscini. Era splendida così, sudata, sporca, i capezzoli strisciati contro la stoffa, il fiato spezzato in singhiozzi di eccitazione.
Il cinquantenne si avvicinò per primo, passò una mano sulla curva delle natiche, accarezzò, pizzicò, poi affondò un colpo secco al centro delle cosce, facendola sobbalzare. Anna gemette, inarcò ancora di più la schiena, offrendo sé stessa. «Fate bene…» mormorò, la voce rotta di piacere. «Bravi… più forte… devo essere punita…» Un sospiro lungo, quasi un pianto. «Insultatemi… vi prego… fatemi capire quanto sono sporca…
Gli uomini risero, bassi, rauchi. «Troia da strada…» ringhiò il rasato, afferrandole una natica e schiacciandola fino a lasciarle il segno delle dita. «Puttana bavosa… guarda come apre il culo per noi…» disse il giovane con la giacca di pelle, sputandole sulla schiena e spalmandolo con la mano larga. «Vacchina da monta…» ghignò il muratore, strusciandole il cazzo duro lungo la fessura umida, facendola fremere. «Stronza in calore… neanche i cani si riducono così…» aggiunse il magro, tirandole i capelli e sollevandole il viso arrossato e sporco. «Vecchia troietta da mercato nero…» sentenziò l’anziano, infilandole due dita in bocca, stringendole le guance e obbligandola a succhiare senza pietà.
Anna gemeva, si contorceva, si apriva ancora di più, il corpo vibrava come una corda tesa pronta a spezzarsi. Non distingueva più le mani, i cazzi, le bocche: era solo carne viva, desiderio puro. Il cinquantenne spinse il cazzo contro la figa gonfia, affondando con un colpo unico e profondo. Anna urlò un gemito spezzato, il corpo teso attorno a quella presenza calda e dura. Cinque colpi rapidi, profondi, poi si ritirò. Il rasato entrò subito, sbattendole le anche contro il culo con una violenza umida. Cinque colpi. Poi il giovane, più veloci, più sporchi, più feroci. Il magro le affondò dentro come un serpente, scivolando nella bocca di carne aperta. Infine l’anziano: lento, pesante, il cazzo grosso che le stirava le pareti come un’incisione nella carne viva.
Anna, sotto di loro, sopraffatta, aperta, invasa, godeva come mai prima. Dentro di sé rideva. Dentro di sé piangeva di piacere. Dentro di sé voleva che non finisse mai. Le mani dure la sollevarono, la trascinarono come una bambola calda fino al bracciolo del divano, la posarono lì: petto sul bracciolo, culo alto, gambe divaricate, piedi penzolanti. La schiena arcuata, la figa aperta, il buco del culo esposto come una bocca affamata.
Il cinquantenne prese posizione, il cazzo gonfio in mano. Lo strusciò sulla fessura umida, poi guidò la punta al buco stretto, premette senza fretta. Anna trattenne il fiato, sentì il glande cercare spazio, forzare piano l’ingresso proibito. Il cazzo spinse, lo sfintere cedette con uno schiocco bagnato, e il glande scivolò dentro, stirandole la carne sensibile. Lui affondò fino a metà, la tenne ferma con le mani forti sulle spalle. Cinque colpi. Lenti. Profondi. Ogni spinta strappava un rantolo dalla gola di Anna.
Poi toccò al rasato. Spinse via il cinquantenne con una risata greve, piantò il cazzo sporco di voglia nell’ano ancora dilatato. Un colpo secco, un urlo strozzato. Le mani nei capelli, il viso costretto a guardare il soffitto. Cinque colpi, veloci, sporchi, violenti. Poi il giovane: affamato, la spinse avanti e indietro come un pupazzo. Poi il magro, nervoso, incostante, che affondava a scatti e le schiaffeggiava il culo teso. Infine l’anziano, lento, pesante, scavandola di nuovo come a marchiarla a fuoco.
Il primo giro finì con Anna che tremava, le cosce sporche, il culo arrossato, il cuore che martellava contro il petto. Non le diedero tregua. Il cinquantenne riprese subito posizione, il cazzo duro forò l’ano slabbrato con un colpo unico, violento, strappandole un urlo. «Brava troia… adesso impari…» sibilò affondandole le mani nei fianchi. Gli altri seguirono: rapidi, rudi, afferrandole i capelli, stringendole i polsi, schiaffeggiandole il culo a ogni affondo, mandando scosse di piacere elettrico lungo la schiena.
Anna godeva. Godeva di essere presa così. Godeva di essere distrutta così. Quando finirono di devastarle il culo, la lasciarono cadere sul tappeto con uno schiocco sordo. Anna rimase bocconi, il viso premuto contro il pavimento, il respiro spezzato, il culo arrossato che tremava ancora di scosse involontarie.
Non le diedero tregua. La sollevarono, la girarono, la maneggiarono come carne viva. La sistemarono a terra: gambe spalancate, bacino sollevato da mani dure, testa tenuta ferma dai capelli, bocca aperta in un gemito. Il primo cazzo entrò subito in bocca, profondo sulla lingua, mentre un altro la prendeva nella figa, e un altro ancora forzava il culo slabbrato. Anna gemeva, affogava, si tendeva sotto quei tre corpi che la violavano contemporaneamente. Mani la percorrevano ovunque: seni, capezzoli, cosce, ventre, viso. Ogni tanto un cazzo le strusciava sul volto, marchiandola.
«Insultatemi…» gemette ad un certo punto, la voce sporca di piacere e disperazione. «Vi prego… ditemi quanto faccio schifo… quanto sono puttana…» Non si fecero pregare. «Troia da quattro soldi!» ringhiò il rasato, schiaffeggiandole la guancia. «Succhiacazzi senza vergogna!» ghignò il giovane, affondandole il cazzo in gola. «Scrofa da monta!» sbraitò il muratore, schiaffeggiandole le cosce. «Bocchinara da marciapiede!» sibilò il magro, pizzicandole un capezzolo. «Fottuta vacca in calore!» sputò l’anziano, premendole il cazzo contro la fronte.
Ogni parola, ogni spinta, ogni schiaffo la facevano vibrare di piacere.
Restò inginocchiata un attimo, le mani sulle ginocchia, la testa china, il viso nascosto dai capelli sciolti, come se fosse persa in un gioco troppo grande per lei.
Poi, lentamente, sollevò le mani, le portò tremando verso i primi due cazzi davanti a lei, li sfiorò con la punta delle dita, poi li avvolse, uno per mano, sentendo sotto i polpastrelli la pelle calda, viva, pulsante. Fingeva di essere confusa, fingeva di tremare di vergogna, ma dentro di sé il sangue le martellava nelle tempie, la figa gocciolava, il cuore batteva di pura eccitazione sporca.
Cominciò a masturbarli piano, le mani che scivolavano su e giù lungo gli steli duri, sentendo il calore salire dalla radice alla punta, i cazzi che si gonfiavano ancora di più sotto le sue carezze impacciate. «Guarda come trema… la porcellina si vergogna…» rise il rasato, tirandole i capelli indietro, scoprendole il viso arrossato, gli occhi lucidi. «Vergogna un cazzo… si bagna solo a toccarci…» ringhiò il giovane con la giacca di pelle, spingendo il bacino avanti, sfiorandole il viso con il glande lucido.
Anna strinse le dita, sentì il calore pulsare tra le mani; scambiò i cazzi, uno nella destra, uno nella sinistra, i movimenti che si alternavano come in una danza sporca e antica, saliva e presperma che lubrificavano la pelle tesa sotto le dita. «Falla lavorare, la puttanella…» sibilò il muratore, mentre il magro rideva piano, avvicinando il suo cazzo alla bocca di Anna, sfiorandole le labbra tese senza ancora affondare.
Anna chiuse gli occhi un istante, respirò il loro odore: sudore, carne, voglia. Il profumo dei cazzi duri la inebriava più di qualsiasi droga. Allora si spinse avanti, aprì le labbra, sfiorò con la lingua la punta di uno di quei cazzi, la passò lenta, viscida, tutto attorno al glande gonfio, raccogliendo ogni stilla di desiderio. Leccava senza fretta, con devozione sporca, come impazzita nel desiderio della carne. Scese più giù, lambì il fusto teso, arrivò ai coglioni, li accarezzò col respiro caldo, poi con la lingua, succhiandoli piano, facendoli rimbalzare nella bocca piccola, mentre le mani continuavano a lavorare gli altri cazzi, i movimenti alternati, sincopati.
«Brava troia… succhiali bene… fagli sentire quanto sei affamata…» mormorò il cinquantenne, la voce roca, dura. Anna sollevò lo sguardo. Quei cazzi erano tutto il suo mondo. Prese un altro glande tra le labbra, succhiandolo lento, senza mani, stringendo appena con la lingua, assaporando ogni venatura, ogni pulsazione. Poi si staccò, lo guardò da vicino, lo odorò apertamente come un animale che riconosce il proprio padrone.
Intorno a lei, i corpi si muovevano. Le mani le palpeggiavano il culo, le aprivano le natiche, le dita cercavano la figa grondante. Anna era lì, persa, felice, solo confusa in apparenza. Dentro rideva, gemeva, chiedeva solo una cosa: che non la risparmiassero. La bocca era impastata di carne, saliva, umori. Passava da un cazzo all’altro come una mendicante affamata, le labbra gonfie, screpolate, la lingua lenta a raccogliere ogni stilla di piacere che gocciolava dalle punte gonfie, senza vergogna, senza confini.
I cazzi scorrevano sulle sue guance, sulle labbra, si strusciavano contro la lingua, alcuni affondavano fino a sfiorarle le tonsille, altri si facevano lucidare come trofei sporchi tra i suoi denti morbidi. Le mani di Anna tremavano, il braccio le doleva, la mascella le si contraeva sotto la fatica dolce e viscida, i capelli le si incollavano alla fronte e alle guance, intrisi di sudore, di schizzi di presperma.
Quando fu completamente impiastricciata e sfinita, loro non ebbero pietà. La sollevarono di peso, le gambe molli, la bocca aperta in un rantolo spezzato, e la trascinarono fino al divano. La piegarono contro la spalliera, senza darle tempo di riprendere fiato: il busto schiacciato contro il tessuto ruvido, il culo alto, le ginocchia affondate nei cuscini, la schiena inarcata come una bestia sull’altare.
Sentì l’aria fresca lambirle il sesso, le mani che la sistemavano, che le aprivano le cosce ancora di più, che affondavano le dita nel solco della figa, aprendola. La posizione la esponeva tutta: il culo rotondo, il sesso gonfio, la schiena arcuata, i piedi nudi che cercavano appiglio sui cuscini. Era splendida così, sudata, sporca, i capezzoli strisciati contro la stoffa, il fiato spezzato in singhiozzi di eccitazione.
Il cinquantenne si avvicinò per primo, passò una mano sulla curva delle natiche, accarezzò, pizzicò, poi affondò un colpo secco al centro delle cosce, facendola sobbalzare. Anna gemette, inarcò ancora di più la schiena, offrendo sé stessa. «Fate bene…» mormorò, la voce rotta di piacere. «Bravi… più forte… devo essere punita…» Un sospiro lungo, quasi un pianto. «Insultatemi… vi prego… fatemi capire quanto sono sporca…
Gli uomini risero, bassi, rauchi. «Troia da strada…» ringhiò il rasato, afferrandole una natica e schiacciandola fino a lasciarle il segno delle dita. «Puttana bavosa… guarda come apre il culo per noi…» disse il giovane con la giacca di pelle, sputandole sulla schiena e spalmandolo con la mano larga. «Vacchina da monta…» ghignò il muratore, strusciandole il cazzo duro lungo la fessura umida, facendola fremere. «Stronza in calore… neanche i cani si riducono così…» aggiunse il magro, tirandole i capelli e sollevandole il viso arrossato e sporco. «Vecchia troietta da mercato nero…» sentenziò l’anziano, infilandole due dita in bocca, stringendole le guance e obbligandola a succhiare senza pietà.
Anna gemeva, si contorceva, si apriva ancora di più, il corpo vibrava come una corda tesa pronta a spezzarsi. Non distingueva più le mani, i cazzi, le bocche: era solo carne viva, desiderio puro. Il cinquantenne spinse il cazzo contro la figa gonfia, affondando con un colpo unico e profondo. Anna urlò un gemito spezzato, il corpo teso attorno a quella presenza calda e dura. Cinque colpi rapidi, profondi, poi si ritirò. Il rasato entrò subito, sbattendole le anche contro il culo con una violenza umida. Cinque colpi. Poi il giovane, più veloci, più sporchi, più feroci. Il magro le affondò dentro come un serpente, scivolando nella bocca di carne aperta. Infine l’anziano: lento, pesante, il cazzo grosso che le stirava le pareti come un’incisione nella carne viva.
Anna, sotto di loro, sopraffatta, aperta, invasa, godeva come mai prima. Dentro di sé rideva. Dentro di sé piangeva di piacere. Dentro di sé voleva che non finisse mai. Le mani dure la sollevarono, la trascinarono come una bambola calda fino al bracciolo del divano, la posarono lì: petto sul bracciolo, culo alto, gambe divaricate, piedi penzolanti. La schiena arcuata, la figa aperta, il buco del culo esposto come una bocca affamata.
Il cinquantenne prese posizione, il cazzo gonfio in mano. Lo strusciò sulla fessura umida, poi guidò la punta al buco stretto, premette senza fretta. Anna trattenne il fiato, sentì il glande cercare spazio, forzare piano l’ingresso proibito. Il cazzo spinse, lo sfintere cedette con uno schiocco bagnato, e il glande scivolò dentro, stirandole la carne sensibile. Lui affondò fino a metà, la tenne ferma con le mani forti sulle spalle. Cinque colpi. Lenti. Profondi. Ogni spinta strappava un rantolo dalla gola di Anna.
Poi toccò al rasato. Spinse via il cinquantenne con una risata greve, piantò il cazzo sporco di voglia nell’ano ancora dilatato. Un colpo secco, un urlo strozzato. Le mani nei capelli, il viso costretto a guardare il soffitto. Cinque colpi, veloci, sporchi, violenti. Poi il giovane: affamato, la spinse avanti e indietro come un pupazzo. Poi il magro, nervoso, incostante, che affondava a scatti e le schiaffeggiava il culo teso. Infine l’anziano, lento, pesante, scavandola di nuovo come a marchiarla a fuoco.
Il primo giro finì con Anna che tremava, le cosce sporche, il culo arrossato, il cuore che martellava contro il petto. Non le diedero tregua. Il cinquantenne riprese subito posizione, il cazzo duro forò l’ano slabbrato con un colpo unico, violento, strappandole un urlo. «Brava troia… adesso impari…» sibilò affondandole le mani nei fianchi. Gli altri seguirono: rapidi, rudi, afferrandole i capelli, stringendole i polsi, schiaffeggiandole il culo a ogni affondo, mandando scosse di piacere elettrico lungo la schiena.
Anna godeva. Godeva di essere presa così. Godeva di essere distrutta così. Quando finirono di devastarle il culo, la lasciarono cadere sul tappeto con uno schiocco sordo. Anna rimase bocconi, il viso premuto contro il pavimento, il respiro spezzato, il culo arrossato che tremava ancora di scosse involontarie.
Non le diedero tregua. La sollevarono, la girarono, la maneggiarono come carne viva. La sistemarono a terra: gambe spalancate, bacino sollevato da mani dure, testa tenuta ferma dai capelli, bocca aperta in un gemito. Il primo cazzo entrò subito in bocca, profondo sulla lingua, mentre un altro la prendeva nella figa, e un altro ancora forzava il culo slabbrato. Anna gemeva, affogava, si tendeva sotto quei tre corpi che la violavano contemporaneamente. Mani la percorrevano ovunque: seni, capezzoli, cosce, ventre, viso. Ogni tanto un cazzo le strusciava sul volto, marchiandola.
«Insultatemi…» gemette ad un certo punto, la voce sporca di piacere e disperazione. «Vi prego… ditemi quanto faccio schifo… quanto sono puttana…» Non si fecero pregare. «Troia da quattro soldi!» ringhiò il rasato, schiaffeggiandole la guancia. «Succhiacazzi senza vergogna!» ghignò il giovane, affondandole il cazzo in gola. «Scrofa da monta!» sbraitò il muratore, schiaffeggiandole le cosce. «Bocchinara da marciapiede!» sibilò il magro, pizzicandole un capezzolo. «Fottuta vacca in calore!» sputò l’anziano, premendole il cazzo contro la fronte.
Ogni parola, ogni spinta, ogni schiaffo la facevano vibrare di piacere.
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