La seconda porta 3 - La fame

di
genere
masturbazione

Capitolo III
Lucia avanzava barcollando.
Il respiro troppo veloce, le gambe molli, la pelle febbrile.
Ogni passo era un’onda di piacere trattenuto, una corrente che le risaliva le cosce, che le serrava il ventre, che le faceva pulsare la figa bagnata e frustrata.
Piegò una gamba a X, istintivamente, come se potesse stringere il vuoto, come se il proprio corpo potesse fermare la fame che la squassava.
Ma il suo corpo vibrava.
A ogni passo.
A ogni respiro.
Allungò una mano verso la porta del bagno.
Il metallo della maniglia era freddo, duro, solido sotto le dita bollenti.
Un cazzo.
Lucia trasalì, la bocca si socchiuse, le gambe cedettero per un istante.
Dannazione. Un cazzo.
Abbassò la maniglia con un gemito strozzato, come se la stesse stringendo davvero, come se le sue dita la stessero avvolgendo, come se quella porta stesse per penetrarla dentro un altro mondo.
Si ritrovò in bagno.
Si fermò.
Il respiro incerto.
Gli occhi si mossero rapidi, lo sguardo che saltava da un oggetto all’altro.
Tutto. Ogni cosa.
Cazzo. Cazzo ovunque.
Il rubinetto, duro e spesso.
Lo scopino, un fottuto manico pronto a infilarla.
Il tubetto del dentifricio, rigido nella sua mano immaginaria.
Il portasapone, un pomello che sembrava aspettare di farsi stringere.
Lucia deglutì.
Doveva scopare.
Doveva scopare adesso.
E tutto, ogni singolo oggetto, le urlava che poteva farlo.
Ma da dove cominciare?
Il suo corpo sapeva già la risposta.
La lasciò scivolare dentro.
Continuò a muoversi.
Il fiato le usciva a scatti.
Caldo, spezzato, pulsante, come se il respiro stesso stesse scopandole la mente.
Lucia fremeva, il corpo fuori controllo, la pelle bollente, le gambe tese e molli allo stesso tempo.
Barcollò, le mani che cercarono un appiglio, e si ritrovò contro il bordo bianco del lavabo.
Freddo. Solido.
Si fermò, il cuore che martellava contro le costole, il ventre che tremava, la figa gonfia, pulsante, fradicia.
Il suo corpo prese il possesso della sua mente.
E si strofinò.
Si mosse piano, le cosce strette, il pube che scivolava lentamente contro il bordo, la carne tesa che si comprimeva sulla superficie liscia, dura, inesorabile.
Il contatto le strappò un gemito spezzato, le palpebre che si chiusero per un attimo, la bocca che si socchiuse, umida, desiderosa.
Si spinse ancora.
Più in basso.
Più in profondità.
Le grandi labbra si schiacciarono contro il bordo, la pressione che le separò, che le aprì, che le fece sentire la superficie fredda insinuarsi tra loro.
Dannazione… sì…
Lucia ansimò piano, la fronte che si abbassò, le mani che si aggrapparono ai lati del lavabo, il bacino che continuava a muoversi.
Scivolò più avanti, la carne che lo inghiottiva, le piccole labbra che si spalmarono sul bordo, che lo circondavano, che aderivano perfettamente a quella durezza liscia e inesorabile.
Le ginocchia tremarono, il respiro si spezzò in un singhiozzo muto.
Aprì una gamba.
Lo lasciò scorrere meglio.
Il bordo scivolò tra le pieghe della carne, più in fondo. La pressione che le aprì ancora di più, che le fece sentire ogni millimetro di quella superficie dura e implacabile.
Il suo fiato si fece più forte, il bacino che seguiva il ritmo della pulsazione dentro di lei, un’onda che cresceva, che non la lasciava più respirare.
Si inarcò.
Indietro.
La schiena tesa, il petto spinto avanti, il collo che si piegava, il corpo che offriva il clitoride al bordo, la carne tesa che si strofinava contro di esso.
Il contatto le esplose nelle viscere, un brivido troppo forte, troppo profondo, troppo reale.
Lo sentiva ovunque.
Ma non bastava.
Lucia strinse i denti, le mani che si aggrappavano ai lati del lavabo, il ventre che pulsava contro quella superficie dura che la stava divorando viva.
Eppure non era abbastanza.
Aveva bisogno di più.
Il suo corpo sapeva cosa cercare.
Si staccò di scatto.
Lucia si voltò di scatto.
L’aria le bruciava nei polmoni, troppo poca, troppo densa, il petto che si sollevava senza tregua, come se il suo stesso respiro fosse una spinta, un colpo, una penetrazione mancata.
Si aggrappò al bordo del lavabo, le mani che cercavano stabilità su quella superficie troppo liscia, troppo solida.
E fu allora che lo sentì.
Un battito, un richiamo, un fremito dentro di lei.
Il buco del culo le parlava.
Non lo aveva mai sentito così presente.
Era teso, pulsante, impaziente.
Era vuoto.
Lucia si contrasse, il bacino che si inclinò leggermente all’indietro, la schiena che si curvò in risposta a quell’onda interna.
Le cosce tremavano, la pelle che scivolava contro il freddo della ceramica.
Si spostò ancora, il sedere che si offriva senza che lei lo decidesse, la carne morbida che trovava la resistenza perfetta della ceramica.
La curva delle natiche si adattò al bordo.
Il bordo si adattò alla curva.
Lucia sobbalzò.
Le ginocchia cedettero per un attimo.
Un fremito involontario che la attraversò come una scarica elettrica.
Lucia sobbalzò. Le ginocchia cedettero per un istante, il bordo le premeva le rughe del buco del culo, le sentiva distendersi, allargarsi, pronte a cedere.
Il fiato le sfuggì in un rantolo.
Il bacino si inclinò di più.
Si offrì ancora.
Si spinse.
Il bordo affondò nelle pieghe, separò la carne con una pressione fredda e decisa. Le natiche si allargarono, si modellarono attorno alla ceramica.
Un lamento le fuggi dalle labbra.
Un suono basso, trattenuto, animale.
Il buco del culo si contraeva da solo.
Si stringeva.
Si apriva.
Si stringeva ancora.
Lo voleva.
Non era abbastanza.
Lucia si sollevò appena, la ceramica scivolò contro l’ano, la punta del bordo lo incise, lo accarezzò, lo preparò.
Non c’era più scelta.
Si abbassò.
Le rughe si stirarono ancora, il sigillo tremò.
Lucia ansimò forte.
Il bordo premeva.
Le natiche si aprirono.
Il respiro le uscì dalle labbra in un suono spezzato.
Lo voleva dentro.
Ma non così.
Non con la ceramica.
Con qualcosa che la riempisse davvero.
Lucia aprì gli occhi, il fiato ancora incastrato in gola. Cercò.
Il suo corpo sapeva già cosa.
Gli occhi si posarono sul mobile accanto.
Un manico.
Una presa perfetta.
Lo spazzolone.
Lucia lo afferrò.
Le dita si chiusero attorno all’impugnatura.
Era grosso.
Era spesso.
Era pronto.
Lo portò alla bocca.
La lingua scivolò sulla plastica, la saliva lo avvolse, lo bagnò.
Lo succhiò.
Lo preparò.
Lucia gemette attorno al manico.
Non era una prova.
Non era un gioco.
Era un atto di resa.
Lo avrebbe preso.
Tutto.
Si voltò.
Inarcò la schiena.
Offrì il buco.
Si abbassò lentamente.
La punta sfiorò l’ingresso.
Lucia tremò.
Si fermò.
Sentì il proprio buco contrarsi.
Non era paura.
Era l’ultima resistenza.
Spinse.
Un millimetro.
Un altro.
Le rughe si aprirono.
Il manico entrò.
Un gemito profondo, roco, crudo le si spezzò dalla gola.
Lucia trattenne il fiato.
Lo sentiva spingerla, allargarla, modellarla.
Non bastava.
Ancora.
Spinse più in fondo.
Il manico scivolò dentro di lei.
Lucia si contorse.
Il fiato si spezzò.
Le mani si strinsero attorno ai bordi del lavabo, le dita scavarono nella ceramica.
Era aperta.
Era pronta.
Lucia iniziò a muoversi.
Su. Giù. Su. Giù.
Il manico entrava ed usciva.
Le pareti lo stringevano.
Il culo lo risucchiava.
Lucia ansimava forte.
La saliva le colava sulle labbra.
Le natiche battevano contro il manico.
Più forte.
Più in fondo.
Più dentro.
Lucia si arrese completamente.
Non c’era più controllo.
Non c’era più confine.
Solo il piacere che la squarciava, che la modellava, che la dilatava fino all’inverosimile.
E poi …
Un’ondata.
Un orgasmo violento, crudo, inarrestabile.
Lucia si spezzò.
Tutto il corpo si tese.
Il culo si chiuse attorno al manico, lo strinse, lo risucchiò come se non volesse lasciarlo mai più andare.
E poi il buio.
Lucia crollò.
Le ginocchia cedettero.
Le mani scivolarono.
Si lasciò cadere sul pavimento freddo.
Il manico ancora dentro di lei.
Le gambe aperte.
Il respiro a pezzi.
Il battito che rimbombava tra le cosce.
Lucia tremava.
Non era abbastanza.
Non era mai abbastanza. ----
Lucia aprì un cassetto.
Le mani frugavano tra gli oggetti.
Metallo.
Plastica.
Legno.
Acciaio.
Niente.
Troppo piccolo.
Troppo instabile.
Troppo poco per il suo culo.
Si mosse ancora.
I passi incerti, frenetici.
Il battito le martellava le cosce.
Il respiro le scopava la gola.
La dispensa.
Gli scaffali pieni.
L’odore del legno.
Gli oggetti da cucina che le brillavano davanti agli occhi.
Il battito nel ventre si fece più forte.
Il culo si strinse da solo.
Già sapeva cosa cercava.
La cassetta degli attrezzi.
Lucia la aprì di scatto.
Le mani che scorrevano tra le superfici dure.
Le impugnature robuste.
La bocca che si inumidiva senza un motivo preciso.
E poi lo vide.
Il giravite.
Un manico in gomma.
Largo.
Rotondo.
Che si allargava al centro.
Lucia rabbrividì.
Le sue dita lo strinsero.
Lo sollevarono.
Lo pesarono.
Era perfetto.
Ma dove cazzo lo fissava?
Si mosse di nuovo, disperata, ansimante.
Gli occhi scandagliavano la stanza.
E poi lo trovò.
Il tagliere.
Legno duro.
Stabile.
Perfetto.
Lucia non esitò.
Afferrò il martello.
Posò la punta del giravite sul tagliere.
Le mani tremavano appena.
Il fiato le sfuggiva a scatti.
E colpì.
Un colpo.
Un fremito le attraversò la schiena.
Un altro colpo.
Il culo le pulsò.
Un altro colpo.
Si inarcò leggermente.
Il ventre si contrasse.
Il giravite affondava nel legno.
Il suo buco lo sentiva dentro.
Lucia gemette piano.
Le cosce si strinsero tra loro.
Le dita premevano più forte sull’impugnatura.
Ultimo colpo.
Il manico fissato.
Fermo.
Pronto.
Lucia lasciò cadere il martello.
Il corpo ancora tremante.
Il battito tra le gambe, implacabile.
Si inginocchiò davanti al tagliere.
Lo guardò.
Il manico del giravite puntato verso l’alto.
Solido.
Immobile.
Un cazzo in attesa.
Lucia ansimò.
Era lì.
Era per lei.
Lucia si accovacciò lentamente.
Il respiro teso.
Le ginocchia che sfioravano il pavimento.
Le cosce che già tremavano nel vuoto che ancora non era stato colmato.
Si abbassò lentamente.
La punta le sfiorò le labbra del culo.
Lucia sobbalzò.
Un brivido le corse lungo la schiena.
La pelle si contrasse.
Non entrava.
Forse troppo grosso.
Le rughe del culo si distendevano un po’ di più.
Un altro respiro.
Un’altra promessa.
Ma non si rompeva.
Lucia si agitò.
Si mosse sulle gambe.
Il cuore le batteva forte tra le costole.
Tra le cosce.
Tra la carne che ancora non cedeva.
Non bastava.
Non era ancora pronta ad aprirsi completamente.
Si alzò.
Il respiro affannato.
Il sudore che le scivolava tra le scapole.
Il suo buco del culo ancora teso, ancora chiuso, ancora bisognoso.
Lo sapeva già.
Doveva prepararlo.
Lucia si voltò di scatto.
Gli occhi che cercavano.
Che sapevano cosa trovare prima ancora di vederlo.
La bottiglia d’olio.
La prese con un gesto rapido.
La plastica morbida tra le dita.
Il liquido che si agitava al suo interno.
Scivoloso.
Pronto.
Ne versò un po’ sulla mano.
Viscoso.
Denso.
Lo fece scivolare sul suo buco del culo.
Le dita che lo spalmarono sulle rughe tese.
La pelle che si ammorbidiva.
Che si rilassava sotto il tocco.
Un brivido.
Il suo culo sembrava ristorato.
Pronto.
Ne versò un po’ sul giravite.
Lo passò lungo il manico.
Seguì la sua forma.
La curva perfetta che avrebbe accolto dentro di sé.
Il manico divenne lucido.
Invitante.
Scivoloso.
Ma non era abbastanza.
Lucia serrò le labbra.
Il fiato ancora troppo pesante.
Il desiderio ancora non trovava pace.
Tornò alla bottiglia.
Ne fece colare un fiotto più abbondante.
L’olio scivolò lungo il manico.
Lucido.
Perfetto.
Si abbassò per spalmarlo meglio.
La mano stava per scivolare lungo l’asta ormai pronta.
Ma si fermò.
L’idea le esplose nel petto.
Più forte.
Più imponente.
Più inevitabile.
Lo avrebbe spalmato con la bocca.
Lucia si piegò.
Lentamente.
Le labbra si aprirono.
La lingua si allungò.
La punta sfiorò l’olio.
Lo sentì denso.
Grasso.
Scivolò sulla lingua.
Il sapore le riempì la bocca.
Le labbra si avvolsero attorno al manico.
Lo prese dentro.
Profondo.
Grosso.
Pronto.
Lucia gemette piano.
Il manico scivolava dentro la sua bocca.
Come sarebbe scivolato dentro il suo culo.
Ora era davvero pronto.
E anche lei.
Lucia abbassò il bacino.
Il fiato le sfuggì dalle labbra.
Caldo.
Umido.
Spezzato.
Non c’era più esitazione.
Non c’era più razionalità.
Il suo buco del culo aveva scelto.
E ora stava per essere aperto.
Lucia era sopra il giravite.
Lo sentiva.
Pronto.
Fisso.
Immobile.
Aspettava solo che fosse lei ad offrirsi.
Lucia abbassò il bacino.
Il respiro lento.
Profondo.
In bilico tra il controllo e la resa.
Le sue mani scivolarono lungo le cosce.
Le ginocchia cedevano.
La schiena si curvava nel movimento.
Aprendola.
Ancora di più.
E lo sentì.
La punta premeva.
Dura.
Perfetta.
Paziente.
Lucia gemette piano.
Il fiato le si spezzò sulle labbra.
Si fermò.
Le rughe del suo buco si strinsero.
Si contrassero.
Si difesero per un istante.
Un ultimo istante.
Lucia prese fiato.
Spinse.
Piano.
Le rughe si distesero.
Un fremito.
Un’increspatura nella carne.
Lucia sussultò.
Il suo buco si stirò ancora.
Le natiche si aprirono.
E il sigillo tremò.
Spinse ancora.
Un millimetro.
Un altro.
Lo sentì.
L’ano si aprì.
Un battito.
Un’onda di tensione.
La punta entrò.
Lucia spalancò la bocca.
Senza fiato.
Senza difese.
Era dentro.
Un gemito le scoppiò nel petto.
Le dita si serrarono sulle cosce.
Il corpo inarcato.
Il ventre teso come una corda pronta a spezzarsi.
Ma non era ancora spezzato.
Lucia rimase ferma.
Le pareti pulsavano.
Il buco si stringeva attorno alla punta.
Non la voleva lasciare andare.
Lucia sollevò appena il bacino.
Il giravite scivolò di un niente.
Un’illusione di libertà.
Poi si abbassò di nuovo.
Più a fondo.
La punta si incastrò nel muscolo teso.
Lucia tremò.
Un brivido lungo la schiena.
Lo sentiva spingerla.
Allargarla.
Costringerla a cedere.
Ma il sigillo resisteva ancora.
Lucia serrò i denti.
Basta esitazioni.
Spinse più forte.
Il sigillo si spezzò.
Un istante.
Un lampo di dolore.
Un urlo soffocato.
Poi il sollievo.
Il giravite entrò.
Lucia si spalancò.
Il suo buco si aprì del tutto.
Il muscolo si adattò attorno all’invasione.
Il piacere le strappò un gemito incontrollato.
Lo sentiva espandersi dentro di lei.
Lo sentiva prenderla.
Superarla.
Le sue rughe non lo stringevano più.
Lo abbracciavano.
Lo volevano.
Lucia iniziò a muoversi.
Su. Giù. Su. Giù.
Il giravite scivolava dentro il suo culo.
Le pareti lo trattenevano.
Lo succhiavano.
Lucia perse il controllo.
Le mani scivolarono sulle piastrelle.
Il petto si sollevava.
Il ventre pulsava.
Più forte.
Più in fondo.
Più dentro.
Lucia si arrese.
Il suo culo si aprì completamente.
Non c’era più ritorno.
Era presa.
E si scopava da sola.
La bocca si aprì senza suono.
Il fiato le tremava nelle narici.
E poi …
Un urto.
Un battito sordo dentro le viscere.
Il buco si contrasse.
Lucia venne.
L’orgasmo le esplose nel culo.
Uno spasmo profondo.
Un vuoto che diventava pieno.
Lucia si spezzò.
Si disfece.
Si ricompose.
Si spalancò definitivamente.
E poi crollò.
Le ginocchia cedettero.
Il petto si schiacciò sul pavimento freddo.
Il giravite ancora dentro.
Lucia gemette piano.
Senza fiato.
Senza più niente da dare.
Era spezzata.
E finalmente completa.
Lucia non sapeva più dove fosse.
Il pavimento freddo sotto di lei.
Il respiro a pezzi.
Le gambe ancora tremanti.
Il giravite ancora incastrato nel suo culo.
Le natiche ancora aperte.
Il buco ancora spalancato.
Non si richiudeva.
Non poteva più richiudersi.
Lucia scivolò su un fianco.
Le mani scivolavano sul pavimento.
Le dita tremavano.
La pelle bollente.
Il piacere non era ancora finito.
Non bastava.
Non bastava mai.
Si mosse.
Istintivamente.
Come un animale che ancora cerca.
Cercava cosa?
Lucia barcollò fino in piedi.
Le gambe non la reggevano.
Il respiro corto.
Il petto che si sollevava e si abbassava troppo in fretta.
Poi lo vide.
Il frigorifero.
La maniglia fredda.
Il metallo.
La porta che si apriva sotto la sua presa.
E lì.
Le vide.
Carote.
Cetrioli.
Melanzane.
Lucia sgranò gli occhi.
Le pupille dilatate.
Le labbra umide.
Il fiato che si spezzava.
Lo sguardo scivolò sulle melanzane.
Nere.
Imponenti.
Eccessive.
Un brivido le percorse la schiena.
Troppo.
Non ancora.
Lentamente, le dita si mossero.
Scivolarono lungo il bordo del ripiano.
Si chiusero attorno al cetriolo.
Duro.
Fresco.
Perfetto.
Lucia lo sollevò.
Il fiato tremava sulle labbra.
Il corpo reagiva alla sola vista.
Non era più solo un frutto.
Era qualcosa da usare.
Qualcosa che l’avrebbe presa.
Lo fece scorrere sulla pelle calda.
Lungo il petto.
Attorno ai capezzoli tesi.
Un brivido.
La bocca si socchiuse.
La lingua sfiorò il bordo del cetriolo.
Il sapore erbaceo le si depositò sul palato.
E poi lo sentì.
Le rugosità del frutto sulla pelle morbida delle labbra.
Un brivido le serrò il ventre.
Le dita si strinsero attorno alla base del cetriolo.
La mano lo avvolse come se già fosse parte di lei.
Lo aveva scelto.
Lo avrebbe preso.
Lucia gemette piano.
Il fiato si spezzava.
La sua mano si muoveva lentamente.
Il cetriolo scivolava lungo il collo, tra i seni, sulle labbra aperte.
Non c’era più niente da pensare.
Ora c’era solo il bisogno di essere riempita.
Lucia abbassò lo sguardo sul cetriolo.
Lo stringeva con entrambe le mani.
Le dita seguivano la forma.
Il peso solido tra i palmi.
La superficie ruvida che aderiva alla pelle.
Era grosso.
Duro.
Pronto.
Le labbra si schiusero.
La lingua scivolò lungo il bordo.
Tracciò la sua intera lunghezza.
Un respiro caldo e spezzato.
Lo prese.
Profondo.
Il cetriolo le riempì la bocca.
La pressione le allargò le guance.
La mandibola si tese per accoglierlo.
Lucia gemette.
Il suono strozzato.
Soffocato.
L’oggetto la possedeva in un altro modo.
La lingua lo avvolse.
Lo succhiò.
Le labbra scorrevano su e giù.
Ancora.
Ancora.
Fino in gola.
Un conato.
Un brivido.
Le dita si strinsero attorno alla base.
La gola si chiudeva attorno alla punta.
Un fiotto di saliva colò sulle sue dita.
No.
Non era questo il suo posto.
Lucia estrasse il cetriolo dalla bocca.
Un gemito gutturale.
Il respiro sfuggì in un ansimo lungo, rovente, pieno di frustrazione.
Doveva fissarlo.
Doveva trovarlo pronto per lei.
Gli occhi si mossero febbrili.
Il tagliere.
Sì.
Si gettò su di esso.
Il fiato tremava in gola.
Le mani già lavoravano, già preparavano il suo altare.
Afferrò il manico del giravite ancora incastrato nel legno.
Lo tirò via.
Il ferro emerso.
Cinque centimetri.
Dritto.
Nudo.
Una spina che aspettava solo di essere colmata.
Lucia sussultò.
Le gambe tremavano per l’anticipazione feroce.
Afferrò il cetriolo.
Lo posizionò.
Lo spinse contro il ferro.
Lo segnò.
Lo fece girare.
Il bordo cedevo poco a poco.
La carne vegetale si adattava alla lama sottile.
Si lasciava forare.
Violare.
Penetrare.
Lucia gemette.
Il respiro diventò irregolare.
La mano spingeva sempre più forte.
Sempre più a fondo.
Lo fissò.
Perfettamente.
Solido.
Dritto.
Pronto.
Si fermò.
Solo un attimo.
Solo per guardarlo.
Solo per sentire quanto cazzo lo voleva dentro.
Lucia si posizionò sopra il cetriolo.
Il respiro teso.
Le ginocchia sfioravano il pavimento.
Le cosce già tremavano nel vuoto che ancora non era stato colmato.
Si abbassò lentamente.
La punta le sfiorò le grandi labbra.
Lucia sobbalzò.
Un brivido.
L’aria si fermò nei polmoni.
Le grandi labbra si gonfiarono.
Si schiusero.
Il cetriolo premeva.
Duro.
Forte.
Reale.
Lucia sentì le sue pareti stringersi.
Sapeva che una volta dentro non avrebbe più potuto fermarsi.
Spinse.
E cominciò a scivolare dentro.
Lucia non ha più scelta.
Il cetriolo è lì.
Fissato.
Pronto.
Non c’è via d’uscita.
Lucia si abbassa.
Le grandi labbra si spalancano.
Si adattano alla forma.
La pelle si tende.
Si dilata.
Si apre.
Un millimetro.
Un altro.
La punta entra.
Lucia sobbalza.
Il corpo si tende.
Il ventre si contrae.
Le cosce tremano.
Ma non si ferma.
Non può fermarsi.
Lucia si abbassa ancora.
Il cetriolo scivola dentro.
La figa lo prende.
Lo inghiotte.
Lo risucchia.
Un gemito profondo.
La bocca si apre.
Il fiato esce in un rantolo spezzato.
Il ventre si chiude su sé stesso.
Ma non è ancora tutto dentro.
Lucia si solleva leggermente.
Un’illusione.
Un respiro di tregua.
Poi si abbassa di nuovo.
Più forte.
Più a fondo.
Più dentro.
Il cetriolo entra completamente.
Lucia urla.
Le pareti si chiudono su di lui.
Lo trattengono.
Lo stringono.
Lo vogliono.
Le natiche si contraggono.
Il bacino si inarca.
Le unghie graffiano il pavimento.
Lucia è aperta.
Totalmente.
Non può fermarsi.
Lucia inizia a muoversi.
Su. Giù. Su. Giù.
Il cetriolo scivola dentro e fuori.
Le pareti si adattano.
Si dilatano.
Si contraggono.
Lucia perde il controllo.
Le mani si stringono sui fianchi.
Il ventre tremola.
La figa succhia il cetriolo.
Lo vuole tutto.
Più forte.
Più profondo.
Più devastante.
Lucia geme come un animale.
I capelli incollati alla pelle.
Il respiro rovente.
Il petto teso.
Il cetriolo la possiede.
E lei non è più lei.
Non c’è più Lucia.
C’è solo carne.
C’è solo desiderio.
C’è solo la perdita assoluta di sé.
Il ritmo aumenta.
Il bacino batte contro il legno.
Ogni spinta è un colpo di verità.
Ogni affondo è un’apertura senza ritorno.
Lucia si spalanca completamente.
La sua carne non le appartiene più.
E poi …
Il culmine.
Un urto dentro di lei.
Un’esplosione di piacere.
Lucia urla.
Il corpo si inarca.
Il ventre si strizza.
Le pareti si contraggono attorno al cetriolo.
L’orgasmo la squassa.
La dilania.
La devasta.
Lucia non è più umana.
È solo estasi.
Solo pura, inarrestabile estasi.
E poi il crollo.
Lucia cade sul pavimento.
Le gambe aperte.
Il respiro spezzato.
Il cetriolo ancora incastrato dentro di lei.
Il corpo trema.
L’eco del piacere non si spegne.
Lucia è persa.
Persa in un piacere che non ha più confini.
Non si richiuderà mai più.
Lucia era sopra il cetriolo.
Posseduta.
Invasa.
Spalancata.
Il corpo non le apparteneva più.
La figa lo stringeva.
Le pareti si contraevano attorno alla sua forma.
Lo succhiavano.
Lo volevano tutto.
Lucia batteva contro il legno.
Ogni affondo più profondo.
Più dentro.
Era troppo.
Era perfetto.
Il suo ventre si contrasse.
I muscoli tesi come corde pronte a spezzarsi.
Le mani affondavano nel pavimento.
Lucia urlava.
L’orgasmo stava per spezzarla.
Per romperla.
Ma non bastava.
Non ancora.
Lucia spalancò la bocca.
E lo disse.
“Sborra dentro di me!”
La voce rauca, spezzata.
Un ordine disperato.
Un comando assoluto.
“SBORRAMI DENTRO!”
Le pareti si serrarono attorno al cetriolo.
Lo strinsero come se davvero potesse farlo.
Come se davvero potesse esplodere dentro di lei.
Lucia impazzì.
Le cosce si aprirono completamente.
Le unghie scivolarono sul pavimento.
E poi venne.
Un urlo.
Un’ondata.
Un’esplosione di piacere che la squarciò.
Lucia crollò in avanti.
Le gambe cedettero.
Le ginocchia sbatterono sul pavimento.
La figa si contrasse in spasmi senza fine.
Ma non era abbastanza.
Lucia sentì il vuoto.
Un vuoto che il cetriolo non poteva riempire.
Doveva farlo lei.
Doveva farlo davvero.
E sapeva già come.
Lucia scattò in piedi.
Il corpo ancora tremava.
Il fiato rovente.
Le cosce bagnate.
Si voltò verso il frigorifero.
E lo vide.
Il tubetto della maionese.
Lucia non esitò.
Lo afferrò con forza.
Le dita stringevano la plastica morbida.
Il peso perfetto nella sua mano.
Era la risposta.
Era il momento.
Era il limite.
Lucia strinse il tubetto della maionese.
Lo guardò.
Le dita affondate nella plastica morbida.
La presa feroce.
Il fiato che le bruciava le labbra.
Lo voleva dentro.
Lo voleva sparso dentro di sé.
Si gettò a terra.
Le gambe aperte.
Le ginocchia che scivolavano sul pavimento freddo.
Le cosce che tremavano di anticipazione.
Lucia lo premette tra le dita.
Sentì la pressione.
Il tubetto si gonfiò.
La plastica si tese.
Era pieno.
Doveva svuotarsi.
Dentro di lei.
Lucia lo portò tra le gambe.
Lo spinse sulla sua figa ancora aperta.
La punta scivolò tra le labbra gonfie.
Le pareti si contrassero attorno alla plastica.
Lucia gemeva.
Le dita si strinsero sul tubetto.
E premette.
Un fiotto denso.
Bianco.
Freddo.
La maionese schizzò dentro la sua figa.
Lucia sobbalzò.
Il corpo scosso da un brivido.
Le pareti la risucchiarono.
Il liquido la inondò.
Di più.
Lucia premeva ancora.
Ancora.
Ancora.
Il tubo si svuotava dentro di lei.
Il suo ventre si riempiva.
Piena.
Gonfia.
Posseduta dal piacere e dalla perdizione.
Lucia non riusciva più a respirare.
La maionese le colava tra le cosce.
Gocce dense e calde sulla pelle bagnata.
E poi la sentì.
Scivolava dentro di lei.
Si mescolava ai suoi umori.
La sua figa la beveva.
Lucia ansimò, il petto che si sollevava in spasmi irregolari.
Ma non era abbastanza.
Doveva essere completa.
Il suo corpo sapeva già cosa fare.
Lucia si girò.
Si mise a quattro zampe.
Le mani sul pavimento.
Il culo in alto.
Il buco ancora aperto, ancora in attesa.
Il tubetto scivolò tra le sue dita.
Lucia lo portò dietro di sé.
Lo spinse contro l’ingresso del suo culo.
Le rughe si strinsero attorno alla punta.
Lucia prese un respiro.
E premette.
Un altro schizzo denso e bianco.
Freddo.
Entrò nel suo culo.
Lucia urlò.
Le natiche si contrassero.
Le gambe cedettero per un istante.
Era dentro.
La maionese le riempiva il buco del culo.
Colava tra le pieghe.
Scivolava in profondità.
Lucia non poteva più fermarsi.
Premette ancora.
Ancora.
Ancora.
La pressione la dilatava.
Il suo culo la beveva.
La sua bocca si aprì in un gemito muto.
Le mani tremavano sul pavimento.
Le cosce si bagnavano di più.
Lucia era completamente posseduta.
Era riempita.
Non era più solo carne.
Era un tempio del piacere.
Era l’incarnazione della perdizione.
E poi …
L’ultimo schizzo.
L’ultimo fiotto bianco.
Lucia si arrese.
L’orgasmo le esplose nel ventre.
Le natiche si serrarono attorno al vuoto che la invadeva.
La bocca urlò senza voce.
Il corpo si piegò in uno spasmo totale.
Era troppo.
Era tutto.
Lucia si lasciò cadere sul pavimento.
Vuota.
Piena.
Senza più niente da dare.
Il respiro ancora spezzato.
Le gambe ancora tremanti.
La sua figa gonfia.
Il suo culo allargato.
La maionese ancora dentro di lei.
Ancora colata sulle cosce.
Ancora testimone della sua rovina perfetta.
Lucia sorrise.
Aveva toccato il fondo.
E il fondo l’aveva accolta.
Lucia rimase a terra.
Il respiro spezzato.
Le cosce ancora aperte.
La pelle bollente.
Ma sapeva la verità.
Non era ancora finita.
La maionese era dentro di lei.
Scivolava lungo le pareti.
Colava tra le pieghe della sua figa.
Si mescolava ai suoi umori.
Si spalmava tra le cosce.
Un velo denso, bianco, impudico.
Come il segno di ciò che aveva fatto.
Ma non bastava.
Lucia lo sapeva.
Aveva bisogno di altro.
Il suo sguardo scivolò a terra.
E lo vide.
Il cetriolo.
Ancora lucido dei suoi umori.
Ancora duro, pronto, invincibile.
Era lui.
Solo lui poteva toccare il vero fondo.
Lucia lo prese tra le dita.
Le mani tremavano.
Lo sollevò.
Lo fece scorrere sulla pelle bagnata.
Lo sentì freddo.
Lo sentì reale.
E lo portò dietro di sé.
Lo sfiorò contro il suo buco del culo.
Lucia rabbrividì.
Le rughe si contrassero.
Un brivido le percorse la schiena.
Il cetriolo premeva.
Ma non doveva entrare lì.
Non ancora.
Non ora.
Lucia lo spostò.
Lo portò tra le cosce.
Lo puntò sulla sua figa ancora spalancata.
E lo spinse.
L’incontro.
Lucia sentì la resistenza.
Il cetriolo toccò la maionese dentro di lei.
Un ostacolo denso, vischioso.
Lucia sobbalzò.
La sua figa non voleva cedere subito.
Il cetriolo spingeva.
Sfondava.
Apriva un varco dentro di lei.
Lucia gemette forte.
Un centimetro.
Il liquido si spostò.
Un altro centimetro.
La pressione le fece trattenere il fiato.
E poi …
L’ultima spinta.
La maionese colò fuori, impastandosi ai suoi umori.
Lucia la sentì scorrere lungo le cosce.
Densa.
Impudica.
Come il segno indelebile di ciò che era diventata.
Il cetriolo superò ogni resistenza.
Lucia urlò.
Le pareti si serrarono attorno a lui.
Era dentro.
Tutto.
Fino in fondo.
Lucia si contorse.
Il piacere le devastò il ventre.
La sua figa lo succhiava.
E lo voleva ancora.
Lucia iniziò a cavalcarlo.
Su.
Giù.
Su.
Giù.
Ogni spinta più forte.
Ogni discesa più profonda.
Il cetriolo scivolava tra le pareti ormai spalancate.
Lucia impazzì.
Le mani si strinsero sui fianchi.
Le unghie scavarono nella pelle.
La figa lo risucchiava.
Il fondo si avvicinava.
E lei non poteva più fermarsi.
Il ritmo divenne frenetico.
Il cetriolo scivolava dentro e fuori.
Lucia ansimava senza controllo.
E poi—
L’ultima corsa.
Un colpo più forte.
Più profondo.
Più devastante.
Lucia venne.
Tutto il corpo si contrasse.
Le gambe cedettero.
La figa si serrò attorno al cetriolo.
Lo strinse in uno spasmo infinito.
L’orgasmo la travolse.
Lucia si sciolse.
Il suo ventre non era più suo.
Era un abisso di piacere.
Uno spasmo senza fine.
E poi crollò.
Lucia cadde sul pavimento.
Il cetriolo ancora dentro di lei.
Le gambe ancora tremanti.
Il respiro ancora spezzato.
La sua figa sembrava la bocca di un mastino napoletano che si era gettato su una ciotola di maionese.
Sporca.
Disordinata.
Persa nella sua stessa rovina.
Il buco del culo un tulipano sbocciato.
Aperto.
Pulsante.
Mai più richiudibile.
Ma sapeva la verità.
Aveva toccato il fondo.
E il fondo l’aveva accolta.
Lucia rimase a terra.
Il respiro ancora spezzato.
Le cosce ancora umide della maionese e dei suoi umori.
Il ventre ancora percorso da scosse residue di piacere.
Ma non si muoveva.
Non poteva muoversi.
Ogni fibra del suo corpo era svuotata.
Ogni muscolo ancora saturo di ciò che aveva vissuto.
Rimase ferma.
Un minuto.
Un battito senza tempo.
Poi, lentamente, il respiro iniziò a placarsi.
Il battito a rallentare.
Ma il corpo continuava a fremere.
Non di bisogno.
Non più.
Fremeva perché era cambiato.
Fremeva perché ora sapeva.
Lucia si mosse.
Un tentativo.
Un sussulto.
Le mani premute sul pavimento per sollevarsi.
Ma le gambe non la reggevano.
Non era più fatta per stare in piedi.
Strisciò avanti, le ginocchia che si piegavano da sole.
Le mani che si posavano sul pavimento fredde di umidità e calore.
Si mosse a quattro zampe.
Come l’animale che era diventata.
Le ginocchia strusciavano sul pavimento.
Ogni passo un’eco del ritmo con cui aveva cavalcato il cetriolo.
Ogni battito un residuo del piacere che ancora la attraversava.
Lucia raggiunse il letto.
Ma non cercò riparo.
Non cercò protezione.
Non si avvolse nelle coperte.
Non ne aveva più bisogno.
Si distese sopra le lenzuola.
Nuda.
Senza più lo scudo di un gesto istintivo.
La pelle a contatto con il cotone.
Senza rifugi.
Senza difese.
Chiuse gli occhi.
E dormì subito.
Senza più attese.
Senza più nulla da chiudere.
Perché quella giornata l’aveva chiusa.
O forse no.
Forse quella giornata l’aveva aperta.
E non si sarebbe mai più richiusa.
[a.marcellocallisto@gmail.com]
scritto il
2025-05-19
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