Dietro le quinte in palestra
di
IL MICROBO
genere
gay
DIETRO LE QUINTE IN PALESTRA
Di quel giorno e di quel tale ricordo poco e niente tranne che faceva molto caldo e che il maschio che mi è toccato in sorte aveva dei genitali davvero fuori dalla norma.
Lo scroto sembrava una valigia da viaggio, i testicoli due uova nel nido dell'aquila. Il pene era tozzo e cesellato da vene che pulsavano come il mio povero cuore agitato, con il balano a sguscio in foggia di un grosso plug a cipolla.
Tutta quella roba non conosceva mutanda capace di contenerla e mi apparve a briglia sciolta in doccia, festosa e dondolante fra le cosce di chi la portava in giro.
Sul momento ho pensato che riceverlo dentro mi avrebbe fatto davvero soffrire.
Mentre fissavo la danza di quel pube in canna con la gru che si stava alzando ad angolo retto, lo sconosciuto ormai in erezione si degnò di spararmi a bruciapelo una sola frase.
-”Ti faccio provare?”
Fuori dalle docce non so per quale combinazione ci siamo diretti a passo svelto nello sgabuzzino degli attrezzi in disuso dove come un automa mi sono sdraiato su una vecchia panca a gambe sollevate e tenute in forbice.
L'altro ha preso la mira e ha iniziato a dilatarmi la fica che sentivo cedere un centimetro dopo l''altro al suo calibro. A fine corsa m è rimasto in pausa.
-”Visto che ci siamo riusciti?”
Poi ha iniziato a muoversi e non ha fatto altro che andare e venire come un motore a scoppio. Viaggiavo con la testa in ipnosi sembrandomi che il soffitto della stanza fosse il cielo della notte e che noi due fossimo gli unici abitanti dell'universo.
Mi ha rullato per un tempo incalcolabile, freddo e severo senza farmi sconti. Ad ogni colpo lo sentivo in battuta sui glutei e gli rispondevo con una lamentosa sinfonia di gemiti.
Era quasi l'ora di chiusura. Deve essersene accorto perché è andato avanti di fretta e mi è venuto, un po' dentro e un po' addosso. Si è sfilato, l'ha sgocciolato ed è sparito nel nulla, lasciandomi languido senza parole e senza forze come un animale ferito in mezzo al bosco.
Ci ho messo un po' a tornare in me. Le luci erano state spente. La palestra era chiusa. Ho dovuto uscire a tentoni da una porta di emergenza e per una buona ora ho vagabondato privo metà per la città.
Lo sentivo ancora dentro a sforzo. Mi bruciava tutto. Ho anche pianto. Ho barcollato fino a casa.
Davanti allo specchio ho fatto l'inventario del danno. Avevo le natiche in delirio.
Ho pisciato e sono andato a letto a smaltire quella monta esagerata che di sicuro è stata anche la più grossa rottura di culo della mia esistenza frocia.
Di quel giorno e di quel tale ricordo poco e niente tranne che faceva molto caldo e che il maschio che mi è toccato in sorte aveva dei genitali davvero fuori dalla norma.
Lo scroto sembrava una valigia da viaggio, i testicoli due uova nel nido dell'aquila. Il pene era tozzo e cesellato da vene che pulsavano come il mio povero cuore agitato, con il balano a sguscio in foggia di un grosso plug a cipolla.
Tutta quella roba non conosceva mutanda capace di contenerla e mi apparve a briglia sciolta in doccia, festosa e dondolante fra le cosce di chi la portava in giro.
Sul momento ho pensato che riceverlo dentro mi avrebbe fatto davvero soffrire.
Mentre fissavo la danza di quel pube in canna con la gru che si stava alzando ad angolo retto, lo sconosciuto ormai in erezione si degnò di spararmi a bruciapelo una sola frase.
-”Ti faccio provare?”
Fuori dalle docce non so per quale combinazione ci siamo diretti a passo svelto nello sgabuzzino degli attrezzi in disuso dove come un automa mi sono sdraiato su una vecchia panca a gambe sollevate e tenute in forbice.
L'altro ha preso la mira e ha iniziato a dilatarmi la fica che sentivo cedere un centimetro dopo l''altro al suo calibro. A fine corsa m è rimasto in pausa.
-”Visto che ci siamo riusciti?”
Poi ha iniziato a muoversi e non ha fatto altro che andare e venire come un motore a scoppio. Viaggiavo con la testa in ipnosi sembrandomi che il soffitto della stanza fosse il cielo della notte e che noi due fossimo gli unici abitanti dell'universo.
Mi ha rullato per un tempo incalcolabile, freddo e severo senza farmi sconti. Ad ogni colpo lo sentivo in battuta sui glutei e gli rispondevo con una lamentosa sinfonia di gemiti.
Era quasi l'ora di chiusura. Deve essersene accorto perché è andato avanti di fretta e mi è venuto, un po' dentro e un po' addosso. Si è sfilato, l'ha sgocciolato ed è sparito nel nulla, lasciandomi languido senza parole e senza forze come un animale ferito in mezzo al bosco.
Ci ho messo un po' a tornare in me. Le luci erano state spente. La palestra era chiusa. Ho dovuto uscire a tentoni da una porta di emergenza e per una buona ora ho vagabondato privo metà per la città.
Lo sentivo ancora dentro a sforzo. Mi bruciava tutto. Ho anche pianto. Ho barcollato fino a casa.
Davanti allo specchio ho fatto l'inventario del danno. Avevo le natiche in delirio.
Ho pisciato e sono andato a letto a smaltire quella monta esagerata che di sicuro è stata anche la più grossa rottura di culo della mia esistenza frocia.
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