La troietta di papà
di
ANNA BOLERANI
genere
incesti
Mi chiamo Ines, la prima volta che vidi i miei genitori fare sesso rimasi impressionata del cazzo di mio padre, enorme eretto che entrava nella figa di mia madre che gemeva tutta bagnata mentre mio padre la scopava forte. Lui aveva la schiena sudata e i muscoli tesi mentre lei stringeva le lenzuola tra le dita, il letto cigolava ad ogni spinta. Una visione eccitante che mi aveva turbata cosi tanto da sentirmi tutta bagnata per la prima volta.
Da allora rubavo ogni occasione per spiare i loro amplessi notturni. Mi nascondevo dietro l'armadio della loro camera, trattenendo il respiro mentre osservavo affascinata quel membro scuro e pulsante che si immergeva ripetutamente nella carne rosa di mia madre. Ogni volta che sentivo il rumore umido dello sfregamento e i gemiti soffocati di piacere, sentivo un fuoco divamparmi tra le cosce. Avrei voluto essere io sotto quel corpo muscoloso, sentire quelle mani grandi stringermi i fianchi mentre quel cazzo mi riempiva.
Quella sera però tutto fu diverso. Mia madre aveva iniziato con quel tono da gatta in calore che ormai riconoscevo bene: "Voglio che stasera mi sfondi il culo". Avevo quasi sbattuto la testa contro l'armadio per lo stupore, mentre osservavo mio padre sorridere ferocemente prima di afferrarla per i capelli e girarla a pancia sotto sul letto. Mia madre si era messa a quattro zampe, sculettando con impazienza mentre lui si preparava, sputandosi nella mano e strofinandosi lentamente l'erezione.
Sentii un brivido percorrermi la schiena quando vidi la punta del suo cazzo premere contro quel buco stretto e mai toccato prima. Mia madre mugolava, le dita che affondavano nel materasso mentre lui iniziava a spingere, lentamente, inesorabilmente, mentre la carne di lei si allargava per accoglierlo. "Cristo santo quanto sei stretta", ringhiò mio padre mentre finalmente scompariva tutto dentro di lei con uno schiaffo umido di carne contro carne.
Le mie gambe tremavano così forte che dovetti appoggiarmi alla parete. Sentivo il mio cuore battere all'impazzata mentre osservavo quel culo che si apriva e si chiudeva attorno alla sua asta, il mio respiro diventava sempre più affannoso mentre immaginavo quella stessa pressione, quel dolore misto a piacere, su di me. Le mie dita scivolarono da sole sotto l'elastico della mia mutandina, trovando il calore bagnato che mi aspettavo.
Mia madre urlò quando lui iniziò a pompare con forza, le sue chiappe rosse che rimbalzavano violentemente sotto ogni spinta. "Fottimi il culo, sì, rompimi!" gemette con voce strozzata, e io mordevo il labbro così forte da sentire il sapore del sangue. Il mio dito medio affondò dentro di me mentre immaginavo quelle stesse parole uscire dalla mia bocca, mio padre che mi chiamava puttanella mentre mi strappava quel buco vergine con la sua bestia scura e luccicante di sudore.
"Voglio riempirti di sborra fino a farla uscire dalla gola," ringhiò lui, afferrandole i fianchi con tale forza che le dita gli lasciarono lividi violacei sulla pelle. Il suo culo era così aperto che potevo vedere il bagliore umido intorno alla base del suo cazzo ogni volta che si ritraeva, la carne di mia madre che si chiudeva per un attimo prima di essere di nuovo invasa. Le mie dita erano frenetiche ora, sfregando il clitoride gonfio mentre cercavo di non gemere, sentendo l'umidità colarmi lungo le cosce.
"Sto per venire, , sbattimi fino in fondo!" urlò mia madre, la voce rotta da singhiozzi mentre le sue ginocchia cedevano. Mio padre la tenne su con una mano tra i capelli, l'altra che le schiaffeggiava il culo fino a farlo diventare rosso vivo. Il rumore era animalesco—il clap delle natiche, il gorgogliare del sudore misto al fluido che sgocciolava da lei, il respiro roco di lui che ripeteva "prendi tutta la mia sborra, troia".
E poi accadde. Vidi il suo cazzo pulsare violentemente, le vene che sembravano scoppiare mentre la prima ondata lo colpiva dentro di lei. Mia madre urlò, il corpo scosso da spasmi mentre veniva riempita, le dita che si graffiavano le cosce. Lui continuò a spingere, pompando ogni goccia nel suo retto stretto finché non ne colò fuori, bianca e densa, lungo le sue cosce tremanti.
Quando l'ultimo spasmo finì, mia madre si girò con una lentezza da gatta sazia, ancora tremante per l'orgasmo. Le sue labbra si avvicinarono alla punta ancora grondante del suo cazzo, la lingua che scivolò lenta lungo la lunghezza per raccogliere le ultime gocce di sborra. "Così buono," mormorò, succhiando la punta con uno sguardo che mi fece rabbrividire—una miscela di sottomissione e possesso che mi accese il ventre. Lui le tenne la testa ferma mentre lei puliva ogni centimetro, la bocca che si muoveva con una pratica che parlava di anni di questa intimità clandestina.
Io mi morsi il pugno per non gemere, il mio dito ancora sepolto dentro di me mentre osservavo quella scena con occhi famelici. Mia madre sorrise contro la sua carne, le dita che accarezzavano i suoi testicoli rilassati, e per un attimo mi chiesi se sapesse che ero lì, se lo facesse apposta per farmi impazzire. Poi lo lasciò andare con un ultimo bacio umido sulla punta, e lui borbottò qualcosa che non riuscii a sentire mentre le carezzava i capelli.
Mi allontanai dall'armadio a malapena in tempo, i passi pesanti di mio padre che si avvicinavano alla porta. Mi nascosi nell'ombra del corridoio, il cuore in gola mentre lui passava a pochi centimetri, ancora nudo e scintillante di sudore, diretto verso il bagno. L'odore di sesso e muschio maschile mi colpì come un pugno, e sentii le mie cosce stringersi attorno alla mia mano ancora umida.
Nella mia stanza, con la porta chiusa a chiave, lasciai che il tremore mi pervadesse completamente. Le dita si insinuarono di nuovo sotto l'elastico bagnato, trovando subito la piega calda e gonfia del mio clitoride. Era diverso ora—non più semplice curiosità, ma un bisogno fisico che mi faceva contorcere sul letto. Immaginavo le sue mani grandi affondare nel mio corpo invece che in quello di mia madre, la voce roca sussurrare oscenità mentre mi apriva a forza.
I mesi seguenti furono un’ossessione silenziosa. Imparai ogni gemito di mia madre, ogni variazione del respiro di mio padre quando cambiavano posizione. Li vidi provare di tutto—lei a cavalcioni con la schiena inarcata mentre afferrava i suoi polsi, lui che la sollevava contro il muro con le cosce strette attorno alla sua vita. Mi masturbavo freneticamente nell’ombra, registrando ogni dettaglio come lezioni sacre: la torsione dei fianchi di lui durante una penetrazione profonda, il modo in cui lei alzava le ginocchia per accogliere meglio le spinte quando era supina.
La mia fantasia più ricorrente era sostituirmi a lei nel momento in cui mio padre la piegava sul bordo del letto, i tendini del collo tesi mentre la afferrava per i fianchi. Immaginavo le sue dita che mi scorticavano la pelle mentre mi spingeva faccia giù, il cazzo che mi strappava un gemito a ogni colpo. Ma era solo nella mia testa, e l’impotenza mi divorava. Rubai una delle sue cravatte dal cassetto—seta blu scuro che ancora portava l’odore del suo dopobarba—e la usavo per legarmi i polsi mentre mi toccavo, sussurrando "Papà" contro il cuscino.
Quando mia madre annunciò che sarebbe rimasta dalla nonna quella notte, il bicchiere che stavo lavando mi scivolò di mano in un tonfo sordo. Mio padre alzò lo sguardo dal giornale, un sopracciglio sollevato mentre l’acqua mi schizzava sulle cosce. "Nervosa?" disse con quel tono che faceva vibrare lo stomaco. Lo fissai, le labbra leggermente aperte. Era come se il destino mi avesse messo davanti la porta spalancata, e io esitassi solo per il brivido dell’attesa. "No, solo… distratta," mentii, piegandomi per raccogliere i frammenti con mani che tremavano più del necessario.
La cena fu un silenzio carico di tensione. Lui mangiava lentamente, gli occhi che mi seguivano ogni volta che mi portavo una forchetta alle labbra. Sentivo il suo sguardo scendere lungo il collo, indugiare sulla scollatura del mio vestitino estivo troppo corto, quello che mia madre diceva fosse "da troietta". Quando posai il coltello con un tintinnio troppo forte, lui sorrise. "Cos’hai, Ines? Sembri… agitata." La sua voce era un ronzio basso che mi faceva contrarre l’addome. Scossi la testa, le ginocchia che stringevano insieme sotto il tavolo mentre il mio umido si trasferiva sulla stoffa.
"è che nonna sta male," balbettai, abbassando le palpebre come avevo visto fare a mia madre quando voleva sembrare fragile. "Ho timore per lei".
"Appena finisci la cucina chiama tua madre per sentire come sta ,se ti fa sentire meglio," disse alla fine, tornando al piatto, ma questa volta la sua voce era un po’ più roca. La forchetta graffiò il piatto mentre tagliava la carne con troppa forza. Non aggiunse altro, ma non serviva. Sentii il mio cuore accelerare fino a farmi quasi male. Il resto della cena passò in un silenzio elettrico, interrotto solo dal suono dei nostri coltelli e dal ticchettio dell’orologio. Ogni volta che alzavo lo sguardo, lo trovavo già fissarmi, gli angoli della bocca sollevati in un mezzo sorriso che non prometteva niente di buono.
Salire le scale quella sera fu come camminare sul filo di un coltello. Ogni passo mi portava più vicina a qualcosa che non potevo più fingere di non desiderare. Nella mia stanza, mi vestii con la maglietta più larga che possedevo—una di quelle che mio padre diceva essere "da maschiaccio"—ma sotto, le mutandine erano quelle più sottili che avevo, quasi trasparenti. Mi soffocai un istante, indecisa se lasciarle o cambiarle, poi sentii il bagno aprirsi e richiudersi lungo il corridoio.
Chiamai mamma e mi disse che la nonna era stabile ma ancora non si era riprese. Cosi decisi di proseguire il mio piano.
"Papà?" bussai alla porta della camera sua, la voce più sottile del solito. Dal dentro arrivò un rumore di lenzuola, poi: "Entra". Lo trovai già sotto le coperte, la lampada accanto al letto che gli illuminava solo la parte superiore del torso nudo. Il libro che teneva in mano si abbassò mentre mi scrutava, un sopracciglio sollevato nella semioscurità. "Ho chiamato mamma ," stringendomi le braccia al petto come fossi infreddolita. "Sta peggio. Non riesco a dormire. Posso dormire con te cosi mi calmo"
"Se ti fa star meglio d'accordo disse mio padre."
Mi avvicinai al letto con movenze esitanti, fingendo di non vedere come le coperte si gonfiavano sulla sua vita. Quando scivolai sotto le lenzuola, il calore del suo corpo mi avvolse come un abbraccio non richiesto. Lui ripose il libro sul comodino, il materasso che ondeggiava con il suo movimento. "Dormi ora," disse, ma la sua voce era più profonda del solito, come se le parole si fossero incastrate da qualche parte nella gola. Spensi la lampada e il buio ci inghiottì, lasciando solo il suono del nostro respiro sincronizzato.
"Papà ho freddo," mentii, avvicinandomi di un altro centimetro. Sentii il suo braccio irrigidirsi quando i miei seni ancora acerbi sfiorarono il suo fianco. "Mi puoi... abbracciare? Come fa la mamma?" Il silenzio che seguì fu così spesso che potevo sentir battere il mio cuore nelle orecchie. Poi, con una lentezza che mi fece bagnare ancora di più, il suo braccio pesante sollevò le coperte e si avvolse attorno alle mie spalle. La sua mano era enorme sulla mia spalla, le dita che quasi si chiudevano attorno alla clavicola. "Così va bene?" chiese, e il suo alito caldo mi colpì la nuca, carico di quell'odore muschiato che ormai conoscevo troppo bene.
Mi sistemai ancora, fingendo di cercare una posizione comoda, e questa volta non fu un caso quando il mio sedere arrotondato premette contro di lui. Sentii immediatamente la forma dura e calda sotto la stoffa dei suoi boxer, e trattenni un sussulto. Lui non si mosse. Non si allontanò. Solo un respiro più profondo, più lento, mentre le sue dita stringevano impercettibilmente la mia carne. "Ines..." sussurrò, ma non finì la frase. Lo sentii inghiottire secco, il petto che si alzava e si abbassava più velocemente contro la mia schiena.
Il mio corpo reagì prima della mia mente—un'arcata involontaria dei fianchi che fece strofinare il mio sederino contro il suo gonfiore. Un gemito strozzato gli sfuggì, e le sue unghie affondarono nella mia pelle attraverso il tessuto sottile. "Scusa," mentii con voce tremula, "è che... mi tremano ancora le gambe per la preoccupazione." Sentii la punta del suo cazzo pulsare contro di me, e dovetti mordermi il labbro per non emettere un suono. Era più grande di quanto ricordassi, più caldo, e il solo pensiero che solo qualche centimetro di stoffa lo separava da me mi fece fremere dalla testa ai piedi.
Il suo respiro si fede affannoso, quasi rabbioso, mentre una mano si insinuava sotto il mio fianco. Per un istante pensai che mi avrebbe spinta via, rimandata nella mia stanza con un rimprovero. Invece le sue dita serrarono il mio polso in un grip bruciante, guidandolo indietro sotto le coperte fino a farlo scivolare sotto l'elastico dei suoi boxer. La mia bocca si spalancò in un silenzioso "oh" quando le mie nocche toccarono quel calore vivo, la pelle tesa che vibrava sotto il mio tocco. "Se sei così turbata..." sussurrò contro il mio collo, la voce così roca che sembrava fatta di sabbia, "...dimostrami quanto ti preoccupi per tua madre."
Le sue dita mi insegnarono il ritmo—un movimento verso l'alto lento, quasi torturante, seguito da una discesa dove il palmo si chiudeva attorno alla circonferenza con una pressione che mi fece gemere. Sentivo ogni dettaglio sotto le dita tremanti: la vena serpentina che pulsava, lo smussato glande bagnato di precum, il modo in cui i suoi addominali si contraevano quando la mia punta delle dita sfiorava quella pelle sottile sotto la testa. "Più forte," ringhiò, e io obbedii, stringendo le dita come aveva fatto mia madre quella volta che lo aveva fatto venire in tre colpi soli. Lui emise un suono gutturale, la bocca che si apriva contro la mia spalla mentre il suo bacino inarcava per spingere più a fondo nella mia stretta.
La mia mano divenne uno strumento che non riconoscevo più—umida di sudore e fluido maschile, guidata dalle sue nocche pelose che mi regolavano la pressione. Il rumore era disgustoso e divino: lo schiaffo umido della carne, il respiro affannoso che gli usciva dalle narici, il cigolio del materasso sotto i suoi movimenti sempre meno controllati. "Metti l'altra mano qui," ordinò con voce strozzata, afferrandomi il polso libero per posarlo sui suoi testicoli pesanti. Sentii come si contraevano sotto il palmo, la pelle che si tendeva mentre lui si avvicinava al limite. "Così brava... proprio come tua madre."
"Perché non mi fai quello che fai a lei quando siete a letto?" La domanda mi scappò prima che potessi fermarla, una scheggia di voce che vibrava nel buio. La sua mano si bloccò sulla mia, le dita che si incastrarono nelle mie come serpenti intrecciati. Per un attimo credetti di averlo infranto, spezzato l'incantesimo, ma poi sentii il suo sorriso contro la mia nuca prima che i denti affondassero nella mia pelle. "Perché sei ancora una ragazzina," sibilò, ma le sue anche ripresero a muoversi, più veloci ora, il cazzo che scivolava tra le mie dita come un animale vivo. "E le ragazzine non sanno prendere un uomo come si deve."
"
Prova e vedi come saprò prenderlo, come lo prende mamma," dissi stringendo le dita attorno alla sua asta con una sicurezza che non sapevo di avere. "Mettimelo nel culo e scopri quanto sono stretta." La mia voce si era trasformata, diventata quella di una sconosciuta—calda di sfida, umida di promesse. Sentii il suo corpo irrigidirsi completamente dietro di me, il respiro che si fermò per un secondo troppo lungo. Poi una mano mi afferrò la nuca, schiacciandomi contro il materasso mentre l'altra strappava via di colpo i miei slip. Il lacerarsi della stoffa fu lo strappo che divise la mia vita in un prima e un dopo.
"Sei sicura, puttanella?" ringhiò contro la mia schiena, la voce così piena di bava che le parole mi si appiccicarono alla pelle. Sentii la punta del suo cazzo scivolare giù lungo il mio solco, bagnato del mio stesso umido, fermarsi a premere contro quel buco vergine che pulsava al ritmo del mio cuore. "Perché poi non potrò fermarmi." La minaccia mi fece contrarre tutto il corpo, un brivido che partì dalle scapole e mi scese fino ai polpacci. Annodai le dita nelle lenzuola, proprio come avevo visto fare a mia madre, e scossi il sedere in un invito muto. "Fottimi finché non ti prego di smettere."
La prima spinta mi strappò un urlo strozzato. Era come essere spaccata da una spada infuocata, un dolore così acuto che vidi bianco. Le sue dita mi serrarono i fianchi con tale violenza che sentii le unghie affondare nella carne, mentre il resto di lui scompariva dentro di me in un solo movimento brutale. "Cristo... come sei stretta ," gemette, la voce rotta da quello stesso stupore animalesco che avevo sentito quella prima volta dietro l'armadio. Il mio corpo si contorse, le dita che cercavano qualcosa a cui aggrapparsi mentre il dolore si trasformava in una pressione insostenibile, in un pieno che mi faceva sentire come se stessi per scoppiare.
"Muoviti," ansimai contro il cuscino, sentendo le lacrime scivolare lungo il naso. Lui obbedì con un ringhio, ritirandosi quasi completamente prima di ripiombare dentro con una forza che mi fece scivolare sul materasso. Il rumore era quello che temevo e desideravo—quel clap umido di carne contro carne, misto al suono viscido del suo cazzo che affondava nella mia carne troppo tesa. "Ecco la mia troietta," sibilò, afferrandomi i capelli per costringermi ad alzare la testa. "Guarda come ti sfondo." Nello specchio del comodino intravidi la nostra immagine deformata: lui, muscoli tesi e sudati; io, bocca spalancata in un gemito muto, gli occhi stravolti che guardavano dove ci eravamo uniti.
La seconda spinta fu più profonda, se possibile. Sentii qualcosa dentro di me cedere con uno schiocco viscido, e un fiotto di liquido caldo mi colò lungo le cosce. Non sapevo se fosse sangue o la mia stessa eccitazione, ma la sensazione di essere riempita così violentemente mi fece contorcere in un orgasmo improvviso e crudele. Le mie dita affondarono nel materasso, le unghie che strapparono la federa mentre il mio corpo si stringeva attorno a lui in spasmi incontrollabili. "Sì, stringi quel culetto da troia," gemette mio padre, rallentando appena per farmi sentire ogni centimetro che mi lacerava. Il dolore si era trasformato in qualcos'altro—una pressione elettrica che partiva dall'utero e mi irradiava fino alle punte dei capezzoli duri.
"Più forte," ansimai, la voce rotta da singhiozzi mentre spingevo il sedere all'indietro contro di lui. Il suo respiro divenne un ringhio continuo, le mani che mi afferrarono i fianchi con tale forza che domani avrei avuto lividi a forma di impronte. "Vuoi proprio essere sfondata, eh piccola puttana?" La domanda era una lama rovente nella mia carne, e annuii freneticamente, i capelli che mi sbattevano contro la schiena mentre lui aumentava il ritmo. Ogni colpo mi spingeva in avanti sul letto, il viso che sfrecciava contro le lenzuola bagnate di sudore, il petto che strisciava sul materasso. Sentivo il suo cazzo pulsare dentro di me, le vene che sembravano scoppiare mentre mi penetrava con una ferocia che non avrei mai immaginato.
"Ti faccio vedere cosa significa prendere un uomo vero," ringhiò contro la mia schiena, una mano che mi afferrò i capelli per costringermi ad inarcare la schiena. La nuova angolazione gli permise di entrare ancora più profondamente, e lo sentii sfiorare qualcosa dentro di me che mi fece vedere stelle. Il dolore si era trasformato in un piacere perverso, una sensazione di pienezza che mi faceva contorcere come un verme sull'amo. Le mie unghie strapparono il lenzuolo, la bocca spalancata in un gemito muto mentre sentivo il suo scroto sbattere contro il mio clitoride ad ogni spinta. "Ecco la mia troietta," sibilò, afferrandomi la gola con la mano libera mentre il suo ritmo diventava sempre più irregolare. "Pronta per essere riempita di sborra come un buco da pompare."
Sentii il suo cazzo pulsare violentemente dentro di me, le vene che sembravano scoppiare mentre lui mi martellava con una furia animale. Il dolore si mischiava al piacere in un cocktail che mi faceva perdere il controllo del mio corpo - le gambe che tremavano, il ventre che si contraeva in spasmi incontrollabili, la voce che si spezzava in singhiozzi umidi. Lui mi teneva ferma con una mano sulla nuca, il peso del suo corpo che mi schiacciava sul materasso mentre mi sfondava con colpi così profondi che sentivo il suo calore bruciarmi le viscere. "Mio Dio, papà," gemetti, la voce rotta e infantile nonostante la depravazione delle mie parole. "Sono tutta tua, riempimi, per favore, voglio sentirti scoppiare dentro di me!"
La punta delle sue dita mi affondò nei fianchi mentre aumentava il ritmo, il rumore della nostra carne che si schiantava insieme riempiendo la stanza. Sentivo il mio culo che si apriva e chiudeva attorno alla sua asta, la pelle irritata che bruciava ad ogni movimento. Lui piegò la testa per mordermi la spalla, i denti che mi laceravano la pelle mentre un gemito animalesco gli sfuggiva dalle labbra. "Aspetta di sentire quanto ti riempio, puttanella," ringhiò contro la mia schiena, la voce così piena di desiderio che mi fece stringere ancora più forte attorno a lui. "Ti farò uscire la sborra dalla bocca quando avrò finito."
Ogni colpo ora era un martellare brutale che mi faceva vedere stelle, il dolore trasformato in un piacere perverso che mi saliva lungo la schiena. Sentii le sue palle contrarsi contro il mio clitoride, la pelle tesa che preludeva alla sua scarica. Le sue unghie mi scavavano solchi nella carne dei fianchi mentre lo spingevo ancora più dentro di me, il mio corpo che si piegava per accogliere ogni centimetro del suo cazzo pulsante. "Sto per venire, papà," gemei, la voce rotta da singhiozzi mentre sentivo il mio utero contrarsi in spasmi incontrollabili. "Per favore, sborrami dentro, voglio sentirti scoppiare nel mio culo!"
Il suo ruggito mi scosse la colonna vertebrale quando finalmente esplose, lo sperma bollente che mi riempiva in ondate violente. Ogni getto era un pugno nello stomaco, una scossa elettrica che mi faceva tremare dalle fondamenta. Lo sentii dilatarsi dentro di me, le vene che pulsavano mentre scaricava fino all'ultima goccia, il suo corpo che si piegava sul mio in un estremo abbandono. "Ecco, prendi tutto, piccola troia," ringhiò contro la mia nuca, le dita che mi serravano i fianchi mentre spingeva ancora più a fondo per infilare ogni stilla di sé.
Poi si accasciò sul letto stremato, il peso del suo corpo che mi schiacciò contro il materasso impregnato di sudore. Respirava come un toro dopo la corrida, il petto che mi premeva contro la schiena con ogni rantolo. Sentii il suo cazzo scivolare fuori da me con un suono viscido, seguito da un rivolo caldo che mi colò lungo le cosce. "Vatti a lavare ora," disse con voce roca, allungando un braccio per schiaffeggiarmi il culo ancora pulsante. "E torna in camera tua. Voglio dormire ora." Le sue dita mi afferrarono il mento, costringendomi a girarmi per incontrare i suoi occhi spenti. "E mi raccomando—non una parola con la mamma."
Camminai barcollando verso il bagno, le gambe che tremavano come foglie al vento. Lo specchio mi rimandò l'immagine di una sconosciuta—capelli arruffati, labbra gonfie, occhi cerchiati di nero dallo sforzo. Quando l'acqua fredda mi colò tra le cosce, trattenni un gemito. Il dolore era una lama viva che mi squarciava ogni volta che mi muovevo, ma sotto bruciava un fuoco più insidioso—la consapevolezza che quella sarebbe stata solo la prima di molte notti. Asciugandomi con un asciugamano ruvido, notai le impronte viola dei suoi pollici sui miei fianchi, i segni a mezzaluna delle sue unghie sul collo. Li coprii con la maglia da notte, nascondendo la prova del nostro peccato come un tesoro.
Da allora rubavo ogni occasione per spiare i loro amplessi notturni. Mi nascondevo dietro l'armadio della loro camera, trattenendo il respiro mentre osservavo affascinata quel membro scuro e pulsante che si immergeva ripetutamente nella carne rosa di mia madre. Ogni volta che sentivo il rumore umido dello sfregamento e i gemiti soffocati di piacere, sentivo un fuoco divamparmi tra le cosce. Avrei voluto essere io sotto quel corpo muscoloso, sentire quelle mani grandi stringermi i fianchi mentre quel cazzo mi riempiva.
Quella sera però tutto fu diverso. Mia madre aveva iniziato con quel tono da gatta in calore che ormai riconoscevo bene: "Voglio che stasera mi sfondi il culo". Avevo quasi sbattuto la testa contro l'armadio per lo stupore, mentre osservavo mio padre sorridere ferocemente prima di afferrarla per i capelli e girarla a pancia sotto sul letto. Mia madre si era messa a quattro zampe, sculettando con impazienza mentre lui si preparava, sputandosi nella mano e strofinandosi lentamente l'erezione.
Sentii un brivido percorrermi la schiena quando vidi la punta del suo cazzo premere contro quel buco stretto e mai toccato prima. Mia madre mugolava, le dita che affondavano nel materasso mentre lui iniziava a spingere, lentamente, inesorabilmente, mentre la carne di lei si allargava per accoglierlo. "Cristo santo quanto sei stretta", ringhiò mio padre mentre finalmente scompariva tutto dentro di lei con uno schiaffo umido di carne contro carne.
Le mie gambe tremavano così forte che dovetti appoggiarmi alla parete. Sentivo il mio cuore battere all'impazzata mentre osservavo quel culo che si apriva e si chiudeva attorno alla sua asta, il mio respiro diventava sempre più affannoso mentre immaginavo quella stessa pressione, quel dolore misto a piacere, su di me. Le mie dita scivolarono da sole sotto l'elastico della mia mutandina, trovando il calore bagnato che mi aspettavo.
Mia madre urlò quando lui iniziò a pompare con forza, le sue chiappe rosse che rimbalzavano violentemente sotto ogni spinta. "Fottimi il culo, sì, rompimi!" gemette con voce strozzata, e io mordevo il labbro così forte da sentire il sapore del sangue. Il mio dito medio affondò dentro di me mentre immaginavo quelle stesse parole uscire dalla mia bocca, mio padre che mi chiamava puttanella mentre mi strappava quel buco vergine con la sua bestia scura e luccicante di sudore.
"Voglio riempirti di sborra fino a farla uscire dalla gola," ringhiò lui, afferrandole i fianchi con tale forza che le dita gli lasciarono lividi violacei sulla pelle. Il suo culo era così aperto che potevo vedere il bagliore umido intorno alla base del suo cazzo ogni volta che si ritraeva, la carne di mia madre che si chiudeva per un attimo prima di essere di nuovo invasa. Le mie dita erano frenetiche ora, sfregando il clitoride gonfio mentre cercavo di non gemere, sentendo l'umidità colarmi lungo le cosce.
"Sto per venire, , sbattimi fino in fondo!" urlò mia madre, la voce rotta da singhiozzi mentre le sue ginocchia cedevano. Mio padre la tenne su con una mano tra i capelli, l'altra che le schiaffeggiava il culo fino a farlo diventare rosso vivo. Il rumore era animalesco—il clap delle natiche, il gorgogliare del sudore misto al fluido che sgocciolava da lei, il respiro roco di lui che ripeteva "prendi tutta la mia sborra, troia".
E poi accadde. Vidi il suo cazzo pulsare violentemente, le vene che sembravano scoppiare mentre la prima ondata lo colpiva dentro di lei. Mia madre urlò, il corpo scosso da spasmi mentre veniva riempita, le dita che si graffiavano le cosce. Lui continuò a spingere, pompando ogni goccia nel suo retto stretto finché non ne colò fuori, bianca e densa, lungo le sue cosce tremanti.
Quando l'ultimo spasmo finì, mia madre si girò con una lentezza da gatta sazia, ancora tremante per l'orgasmo. Le sue labbra si avvicinarono alla punta ancora grondante del suo cazzo, la lingua che scivolò lenta lungo la lunghezza per raccogliere le ultime gocce di sborra. "Così buono," mormorò, succhiando la punta con uno sguardo che mi fece rabbrividire—una miscela di sottomissione e possesso che mi accese il ventre. Lui le tenne la testa ferma mentre lei puliva ogni centimetro, la bocca che si muoveva con una pratica che parlava di anni di questa intimità clandestina.
Io mi morsi il pugno per non gemere, il mio dito ancora sepolto dentro di me mentre osservavo quella scena con occhi famelici. Mia madre sorrise contro la sua carne, le dita che accarezzavano i suoi testicoli rilassati, e per un attimo mi chiesi se sapesse che ero lì, se lo facesse apposta per farmi impazzire. Poi lo lasciò andare con un ultimo bacio umido sulla punta, e lui borbottò qualcosa che non riuscii a sentire mentre le carezzava i capelli.
Mi allontanai dall'armadio a malapena in tempo, i passi pesanti di mio padre che si avvicinavano alla porta. Mi nascosi nell'ombra del corridoio, il cuore in gola mentre lui passava a pochi centimetri, ancora nudo e scintillante di sudore, diretto verso il bagno. L'odore di sesso e muschio maschile mi colpì come un pugno, e sentii le mie cosce stringersi attorno alla mia mano ancora umida.
Nella mia stanza, con la porta chiusa a chiave, lasciai che il tremore mi pervadesse completamente. Le dita si insinuarono di nuovo sotto l'elastico bagnato, trovando subito la piega calda e gonfia del mio clitoride. Era diverso ora—non più semplice curiosità, ma un bisogno fisico che mi faceva contorcere sul letto. Immaginavo le sue mani grandi affondare nel mio corpo invece che in quello di mia madre, la voce roca sussurrare oscenità mentre mi apriva a forza.
I mesi seguenti furono un’ossessione silenziosa. Imparai ogni gemito di mia madre, ogni variazione del respiro di mio padre quando cambiavano posizione. Li vidi provare di tutto—lei a cavalcioni con la schiena inarcata mentre afferrava i suoi polsi, lui che la sollevava contro il muro con le cosce strette attorno alla sua vita. Mi masturbavo freneticamente nell’ombra, registrando ogni dettaglio come lezioni sacre: la torsione dei fianchi di lui durante una penetrazione profonda, il modo in cui lei alzava le ginocchia per accogliere meglio le spinte quando era supina.
La mia fantasia più ricorrente era sostituirmi a lei nel momento in cui mio padre la piegava sul bordo del letto, i tendini del collo tesi mentre la afferrava per i fianchi. Immaginavo le sue dita che mi scorticavano la pelle mentre mi spingeva faccia giù, il cazzo che mi strappava un gemito a ogni colpo. Ma era solo nella mia testa, e l’impotenza mi divorava. Rubai una delle sue cravatte dal cassetto—seta blu scuro che ancora portava l’odore del suo dopobarba—e la usavo per legarmi i polsi mentre mi toccavo, sussurrando "Papà" contro il cuscino.
Quando mia madre annunciò che sarebbe rimasta dalla nonna quella notte, il bicchiere che stavo lavando mi scivolò di mano in un tonfo sordo. Mio padre alzò lo sguardo dal giornale, un sopracciglio sollevato mentre l’acqua mi schizzava sulle cosce. "Nervosa?" disse con quel tono che faceva vibrare lo stomaco. Lo fissai, le labbra leggermente aperte. Era come se il destino mi avesse messo davanti la porta spalancata, e io esitassi solo per il brivido dell’attesa. "No, solo… distratta," mentii, piegandomi per raccogliere i frammenti con mani che tremavano più del necessario.
La cena fu un silenzio carico di tensione. Lui mangiava lentamente, gli occhi che mi seguivano ogni volta che mi portavo una forchetta alle labbra. Sentivo il suo sguardo scendere lungo il collo, indugiare sulla scollatura del mio vestitino estivo troppo corto, quello che mia madre diceva fosse "da troietta". Quando posai il coltello con un tintinnio troppo forte, lui sorrise. "Cos’hai, Ines? Sembri… agitata." La sua voce era un ronzio basso che mi faceva contrarre l’addome. Scossi la testa, le ginocchia che stringevano insieme sotto il tavolo mentre il mio umido si trasferiva sulla stoffa.
"è che nonna sta male," balbettai, abbassando le palpebre come avevo visto fare a mia madre quando voleva sembrare fragile. "Ho timore per lei".
"Appena finisci la cucina chiama tua madre per sentire come sta ,se ti fa sentire meglio," disse alla fine, tornando al piatto, ma questa volta la sua voce era un po’ più roca. La forchetta graffiò il piatto mentre tagliava la carne con troppa forza. Non aggiunse altro, ma non serviva. Sentii il mio cuore accelerare fino a farmi quasi male. Il resto della cena passò in un silenzio elettrico, interrotto solo dal suono dei nostri coltelli e dal ticchettio dell’orologio. Ogni volta che alzavo lo sguardo, lo trovavo già fissarmi, gli angoli della bocca sollevati in un mezzo sorriso che non prometteva niente di buono.
Salire le scale quella sera fu come camminare sul filo di un coltello. Ogni passo mi portava più vicina a qualcosa che non potevo più fingere di non desiderare. Nella mia stanza, mi vestii con la maglietta più larga che possedevo—una di quelle che mio padre diceva essere "da maschiaccio"—ma sotto, le mutandine erano quelle più sottili che avevo, quasi trasparenti. Mi soffocai un istante, indecisa se lasciarle o cambiarle, poi sentii il bagno aprirsi e richiudersi lungo il corridoio.
Chiamai mamma e mi disse che la nonna era stabile ma ancora non si era riprese. Cosi decisi di proseguire il mio piano.
"Papà?" bussai alla porta della camera sua, la voce più sottile del solito. Dal dentro arrivò un rumore di lenzuola, poi: "Entra". Lo trovai già sotto le coperte, la lampada accanto al letto che gli illuminava solo la parte superiore del torso nudo. Il libro che teneva in mano si abbassò mentre mi scrutava, un sopracciglio sollevato nella semioscurità. "Ho chiamato mamma ," stringendomi le braccia al petto come fossi infreddolita. "Sta peggio. Non riesco a dormire. Posso dormire con te cosi mi calmo"
"Se ti fa star meglio d'accordo disse mio padre."
Mi avvicinai al letto con movenze esitanti, fingendo di non vedere come le coperte si gonfiavano sulla sua vita. Quando scivolai sotto le lenzuola, il calore del suo corpo mi avvolse come un abbraccio non richiesto. Lui ripose il libro sul comodino, il materasso che ondeggiava con il suo movimento. "Dormi ora," disse, ma la sua voce era più profonda del solito, come se le parole si fossero incastrate da qualche parte nella gola. Spensi la lampada e il buio ci inghiottì, lasciando solo il suono del nostro respiro sincronizzato.
"Papà ho freddo," mentii, avvicinandomi di un altro centimetro. Sentii il suo braccio irrigidirsi quando i miei seni ancora acerbi sfiorarono il suo fianco. "Mi puoi... abbracciare? Come fa la mamma?" Il silenzio che seguì fu così spesso che potevo sentir battere il mio cuore nelle orecchie. Poi, con una lentezza che mi fece bagnare ancora di più, il suo braccio pesante sollevò le coperte e si avvolse attorno alle mie spalle. La sua mano era enorme sulla mia spalla, le dita che quasi si chiudevano attorno alla clavicola. "Così va bene?" chiese, e il suo alito caldo mi colpì la nuca, carico di quell'odore muschiato che ormai conoscevo troppo bene.
Mi sistemai ancora, fingendo di cercare una posizione comoda, e questa volta non fu un caso quando il mio sedere arrotondato premette contro di lui. Sentii immediatamente la forma dura e calda sotto la stoffa dei suoi boxer, e trattenni un sussulto. Lui non si mosse. Non si allontanò. Solo un respiro più profondo, più lento, mentre le sue dita stringevano impercettibilmente la mia carne. "Ines..." sussurrò, ma non finì la frase. Lo sentii inghiottire secco, il petto che si alzava e si abbassava più velocemente contro la mia schiena.
Il mio corpo reagì prima della mia mente—un'arcata involontaria dei fianchi che fece strofinare il mio sederino contro il suo gonfiore. Un gemito strozzato gli sfuggì, e le sue unghie affondarono nella mia pelle attraverso il tessuto sottile. "Scusa," mentii con voce tremula, "è che... mi tremano ancora le gambe per la preoccupazione." Sentii la punta del suo cazzo pulsare contro di me, e dovetti mordermi il labbro per non emettere un suono. Era più grande di quanto ricordassi, più caldo, e il solo pensiero che solo qualche centimetro di stoffa lo separava da me mi fece fremere dalla testa ai piedi.
Il suo respiro si fede affannoso, quasi rabbioso, mentre una mano si insinuava sotto il mio fianco. Per un istante pensai che mi avrebbe spinta via, rimandata nella mia stanza con un rimprovero. Invece le sue dita serrarono il mio polso in un grip bruciante, guidandolo indietro sotto le coperte fino a farlo scivolare sotto l'elastico dei suoi boxer. La mia bocca si spalancò in un silenzioso "oh" quando le mie nocche toccarono quel calore vivo, la pelle tesa che vibrava sotto il mio tocco. "Se sei così turbata..." sussurrò contro il mio collo, la voce così roca che sembrava fatta di sabbia, "...dimostrami quanto ti preoccupi per tua madre."
Le sue dita mi insegnarono il ritmo—un movimento verso l'alto lento, quasi torturante, seguito da una discesa dove il palmo si chiudeva attorno alla circonferenza con una pressione che mi fece gemere. Sentivo ogni dettaglio sotto le dita tremanti: la vena serpentina che pulsava, lo smussato glande bagnato di precum, il modo in cui i suoi addominali si contraevano quando la mia punta delle dita sfiorava quella pelle sottile sotto la testa. "Più forte," ringhiò, e io obbedii, stringendo le dita come aveva fatto mia madre quella volta che lo aveva fatto venire in tre colpi soli. Lui emise un suono gutturale, la bocca che si apriva contro la mia spalla mentre il suo bacino inarcava per spingere più a fondo nella mia stretta.
La mia mano divenne uno strumento che non riconoscevo più—umida di sudore e fluido maschile, guidata dalle sue nocche pelose che mi regolavano la pressione. Il rumore era disgustoso e divino: lo schiaffo umido della carne, il respiro affannoso che gli usciva dalle narici, il cigolio del materasso sotto i suoi movimenti sempre meno controllati. "Metti l'altra mano qui," ordinò con voce strozzata, afferrandomi il polso libero per posarlo sui suoi testicoli pesanti. Sentii come si contraevano sotto il palmo, la pelle che si tendeva mentre lui si avvicinava al limite. "Così brava... proprio come tua madre."
"Perché non mi fai quello che fai a lei quando siete a letto?" La domanda mi scappò prima che potessi fermarla, una scheggia di voce che vibrava nel buio. La sua mano si bloccò sulla mia, le dita che si incastrarono nelle mie come serpenti intrecciati. Per un attimo credetti di averlo infranto, spezzato l'incantesimo, ma poi sentii il suo sorriso contro la mia nuca prima che i denti affondassero nella mia pelle. "Perché sei ancora una ragazzina," sibilò, ma le sue anche ripresero a muoversi, più veloci ora, il cazzo che scivolava tra le mie dita come un animale vivo. "E le ragazzine non sanno prendere un uomo come si deve."
"
Prova e vedi come saprò prenderlo, come lo prende mamma," dissi stringendo le dita attorno alla sua asta con una sicurezza che non sapevo di avere. "Mettimelo nel culo e scopri quanto sono stretta." La mia voce si era trasformata, diventata quella di una sconosciuta—calda di sfida, umida di promesse. Sentii il suo corpo irrigidirsi completamente dietro di me, il respiro che si fermò per un secondo troppo lungo. Poi una mano mi afferrò la nuca, schiacciandomi contro il materasso mentre l'altra strappava via di colpo i miei slip. Il lacerarsi della stoffa fu lo strappo che divise la mia vita in un prima e un dopo.
"Sei sicura, puttanella?" ringhiò contro la mia schiena, la voce così piena di bava che le parole mi si appiccicarono alla pelle. Sentii la punta del suo cazzo scivolare giù lungo il mio solco, bagnato del mio stesso umido, fermarsi a premere contro quel buco vergine che pulsava al ritmo del mio cuore. "Perché poi non potrò fermarmi." La minaccia mi fece contrarre tutto il corpo, un brivido che partì dalle scapole e mi scese fino ai polpacci. Annodai le dita nelle lenzuola, proprio come avevo visto fare a mia madre, e scossi il sedere in un invito muto. "Fottimi finché non ti prego di smettere."
La prima spinta mi strappò un urlo strozzato. Era come essere spaccata da una spada infuocata, un dolore così acuto che vidi bianco. Le sue dita mi serrarono i fianchi con tale violenza che sentii le unghie affondare nella carne, mentre il resto di lui scompariva dentro di me in un solo movimento brutale. "Cristo... come sei stretta ," gemette, la voce rotta da quello stesso stupore animalesco che avevo sentito quella prima volta dietro l'armadio. Il mio corpo si contorse, le dita che cercavano qualcosa a cui aggrapparsi mentre il dolore si trasformava in una pressione insostenibile, in un pieno che mi faceva sentire come se stessi per scoppiare.
"Muoviti," ansimai contro il cuscino, sentendo le lacrime scivolare lungo il naso. Lui obbedì con un ringhio, ritirandosi quasi completamente prima di ripiombare dentro con una forza che mi fece scivolare sul materasso. Il rumore era quello che temevo e desideravo—quel clap umido di carne contro carne, misto al suono viscido del suo cazzo che affondava nella mia carne troppo tesa. "Ecco la mia troietta," sibilò, afferrandomi i capelli per costringermi ad alzare la testa. "Guarda come ti sfondo." Nello specchio del comodino intravidi la nostra immagine deformata: lui, muscoli tesi e sudati; io, bocca spalancata in un gemito muto, gli occhi stravolti che guardavano dove ci eravamo uniti.
La seconda spinta fu più profonda, se possibile. Sentii qualcosa dentro di me cedere con uno schiocco viscido, e un fiotto di liquido caldo mi colò lungo le cosce. Non sapevo se fosse sangue o la mia stessa eccitazione, ma la sensazione di essere riempita così violentemente mi fece contorcere in un orgasmo improvviso e crudele. Le mie dita affondarono nel materasso, le unghie che strapparono la federa mentre il mio corpo si stringeva attorno a lui in spasmi incontrollabili. "Sì, stringi quel culetto da troia," gemette mio padre, rallentando appena per farmi sentire ogni centimetro che mi lacerava. Il dolore si era trasformato in qualcos'altro—una pressione elettrica che partiva dall'utero e mi irradiava fino alle punte dei capezzoli duri.
"Più forte," ansimai, la voce rotta da singhiozzi mentre spingevo il sedere all'indietro contro di lui. Il suo respiro divenne un ringhio continuo, le mani che mi afferrarono i fianchi con tale forza che domani avrei avuto lividi a forma di impronte. "Vuoi proprio essere sfondata, eh piccola puttana?" La domanda era una lama rovente nella mia carne, e annuii freneticamente, i capelli che mi sbattevano contro la schiena mentre lui aumentava il ritmo. Ogni colpo mi spingeva in avanti sul letto, il viso che sfrecciava contro le lenzuola bagnate di sudore, il petto che strisciava sul materasso. Sentivo il suo cazzo pulsare dentro di me, le vene che sembravano scoppiare mentre mi penetrava con una ferocia che non avrei mai immaginato.
"Ti faccio vedere cosa significa prendere un uomo vero," ringhiò contro la mia schiena, una mano che mi afferrò i capelli per costringermi ad inarcare la schiena. La nuova angolazione gli permise di entrare ancora più profondamente, e lo sentii sfiorare qualcosa dentro di me che mi fece vedere stelle. Il dolore si era trasformato in un piacere perverso, una sensazione di pienezza che mi faceva contorcere come un verme sull'amo. Le mie unghie strapparono il lenzuolo, la bocca spalancata in un gemito muto mentre sentivo il suo scroto sbattere contro il mio clitoride ad ogni spinta. "Ecco la mia troietta," sibilò, afferrandomi la gola con la mano libera mentre il suo ritmo diventava sempre più irregolare. "Pronta per essere riempita di sborra come un buco da pompare."
Sentii il suo cazzo pulsare violentemente dentro di me, le vene che sembravano scoppiare mentre lui mi martellava con una furia animale. Il dolore si mischiava al piacere in un cocktail che mi faceva perdere il controllo del mio corpo - le gambe che tremavano, il ventre che si contraeva in spasmi incontrollabili, la voce che si spezzava in singhiozzi umidi. Lui mi teneva ferma con una mano sulla nuca, il peso del suo corpo che mi schiacciava sul materasso mentre mi sfondava con colpi così profondi che sentivo il suo calore bruciarmi le viscere. "Mio Dio, papà," gemetti, la voce rotta e infantile nonostante la depravazione delle mie parole. "Sono tutta tua, riempimi, per favore, voglio sentirti scoppiare dentro di me!"
La punta delle sue dita mi affondò nei fianchi mentre aumentava il ritmo, il rumore della nostra carne che si schiantava insieme riempiendo la stanza. Sentivo il mio culo che si apriva e chiudeva attorno alla sua asta, la pelle irritata che bruciava ad ogni movimento. Lui piegò la testa per mordermi la spalla, i denti che mi laceravano la pelle mentre un gemito animalesco gli sfuggiva dalle labbra. "Aspetta di sentire quanto ti riempio, puttanella," ringhiò contro la mia schiena, la voce così piena di desiderio che mi fece stringere ancora più forte attorno a lui. "Ti farò uscire la sborra dalla bocca quando avrò finito."
Ogni colpo ora era un martellare brutale che mi faceva vedere stelle, il dolore trasformato in un piacere perverso che mi saliva lungo la schiena. Sentii le sue palle contrarsi contro il mio clitoride, la pelle tesa che preludeva alla sua scarica. Le sue unghie mi scavavano solchi nella carne dei fianchi mentre lo spingevo ancora più dentro di me, il mio corpo che si piegava per accogliere ogni centimetro del suo cazzo pulsante. "Sto per venire, papà," gemei, la voce rotta da singhiozzi mentre sentivo il mio utero contrarsi in spasmi incontrollabili. "Per favore, sborrami dentro, voglio sentirti scoppiare nel mio culo!"
Il suo ruggito mi scosse la colonna vertebrale quando finalmente esplose, lo sperma bollente che mi riempiva in ondate violente. Ogni getto era un pugno nello stomaco, una scossa elettrica che mi faceva tremare dalle fondamenta. Lo sentii dilatarsi dentro di me, le vene che pulsavano mentre scaricava fino all'ultima goccia, il suo corpo che si piegava sul mio in un estremo abbandono. "Ecco, prendi tutto, piccola troia," ringhiò contro la mia nuca, le dita che mi serravano i fianchi mentre spingeva ancora più a fondo per infilare ogni stilla di sé.
Poi si accasciò sul letto stremato, il peso del suo corpo che mi schiacciò contro il materasso impregnato di sudore. Respirava come un toro dopo la corrida, il petto che mi premeva contro la schiena con ogni rantolo. Sentii il suo cazzo scivolare fuori da me con un suono viscido, seguito da un rivolo caldo che mi colò lungo le cosce. "Vatti a lavare ora," disse con voce roca, allungando un braccio per schiaffeggiarmi il culo ancora pulsante. "E torna in camera tua. Voglio dormire ora." Le sue dita mi afferrarono il mento, costringendomi a girarmi per incontrare i suoi occhi spenti. "E mi raccomando—non una parola con la mamma."
Camminai barcollando verso il bagno, le gambe che tremavano come foglie al vento. Lo specchio mi rimandò l'immagine di una sconosciuta—capelli arruffati, labbra gonfie, occhi cerchiati di nero dallo sforzo. Quando l'acqua fredda mi colò tra le cosce, trattenni un gemito. Il dolore era una lama viva che mi squarciava ogni volta che mi muovevo, ma sotto bruciava un fuoco più insidioso—la consapevolezza che quella sarebbe stata solo la prima di molte notti. Asciugandomi con un asciugamano ruvido, notai le impronte viola dei suoi pollici sui miei fianchi, i segni a mezzaluna delle sue unghie sul collo. Li coprii con la maglia da notte, nascondendo la prova del nostro peccato come un tesoro.
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