Elena

di
genere
trio

Giovanni stava seduto sul divano, il respiro pesante e le mani sudate.
"Giovanni, cos'è che ti turba?" chiese Elena, osservandolo preoccupata.
La stanza era immersa in un silenzio inquietante, interrotta solo dal ticchettio dell'orologio a muro.
"Nulla, amore, sto solo pensando a... cose." La voce di Giovanni era roca, il volto contratto in un'espressione ambigua.
Mentre la luce esterna iniziava a diminuire, la tensione tra i due si faceva palpabile. Elena si avvicinò a lui, cercando di leggere nei suoi occhi la verità che non voleva confessare. "Giovanni, non posso aiutarti se non mi dici che succede."
Lei era consapevole che il marito stava aspettando qualcuno, qualcuno di cui non le aveva parlato. Un uomo misterioso di nome Paolo, che avrebbe cambiato le cose.
Giovanni si alzò in piedi, camminando lentamente in direzione della finestra. La vetrata rifletteva la paura che sentiva crescere all'interno di sé.
"Elena, stai per incontrare un mio amico di vecchia data."
La pausa che seguì la sua dichiarazione fu lunga e tesa, come se il tempo si fosse fermato. "Un amico?"
Lei alzò un sopracciglio, il tono incredulo.
"Sì, un amico." La voce di Giovanni tremava leggermente, rivelando la profondità del segreto che custodiva.
Elena si sentì un nodo alla gola.
"Perché non me l'hai detto prima? Dove sta il problema?"
La domanda era carica di ansia e gelosia.
"Perché non potevo, Elena. Le cose sono... complesse."
Le luci di una macchina si riflessero sul vetro, illuminando per un attimo il volto teso di Giovanni. "Eccolo." disse Giovanni.
Elena si avvio verso alla porta per aprire, il cuore martellante come se stesse per affrontare un nemico invisibile.
Sentirono i passi di un uomo salire le scale esterne. Il rumore era come la conta alla rovescia di un destino ineluttabile. Elena apri la porta e si fece da parte per lasciare spazio a Paolo, il mistero che si stava per materializzare. L'uomo che varcò la soglia era di corporatura media, con capelli neri e un sorriso caldo che contrastava con gli occhi freddi come il ghiaccio. I due uomini si scambiarono uno sguardo carico di passato e di segreti non detti.
"Elena, ti presento il mio vecchio amico, Paolo. Lui... è qui per riscuotere un credito e il suo credito sei...tu"
Giovanni disse queste parole come se stesse recitando una scena di un film noir. La frase "il suo credito sei tu" rimbombò in testa ad Elena come un colpo di pistola. I lineamenti di Elena si indurirono, le mani si strinsero attorno al corpetto.
Non capiva appieno la situazione, ma il tono di voce di Giovanni le faceva intendere che si trattava di qualcosa di grave e pericoloso.
Paolo si avvicinò a Elena, con passi calmi e decisi. Lei sentì il peso del silenzio che stava per rompersi come una lastra di ghiaccio pronta a schiantarsi. "Piacere di conoscerti, Elena." Il sorriso di Paolo era come un coltello a doppio taglio, poteva nascondere un'accoglienza amichevole o una minaccia velata. "Che... che credito?" La domanda uscì a fatica, la gola le si stava stringendo.
Giovanni si voltò, incontrando gli occhi freddi di Paolo.
"Elena, La scorsa settimana, al circolo, abbiamo giocato a poker. Ho... perso."
La confessione arrivò come un pugno allo stomaco per Elena. Aveva sentito parlare del circolo, un luogo di incontri per uomini d'affari e notabili, ma non immaginava che il marito si dedicasse al gioco d'azzardo.
"E io... ti ho dato una settimana di tempo per saldare il debito. Ma sai come funzionano queste cose, Giovanni. La parola data conta." aggiunse Paolo
Elena guardò il marito, cercando di capire come avesse potuto mettersi in un simile guaio. "Quanto hai perso?" La domanda fu un sussurro che si perse tra i battiti del cuore accelerati. "Troppo." Ammise Giovanni, a malapena in grado di pronunciare le parole. "E allora?" Incalzò Elena, la paura crescendo a dismisura.
Giovanni si strinse le mani dietro la schiena, come se cercasse di trattenere un male invisibile. "Non ho i soldi, Elena. Ho cercato di vincere per dare indietro la cifra, ma... non ci sono riuscito." La confessione si spense tra le labbra di Elena, la rabbia e la preoccupazione si mescolarono in un turbine incontrollabile.
"Cos'è che vuoi da noi?" disse rivolgendosi a Paolo con rabbia.
Paolo sorrise di nuovo, ma stavolta il taglio del suo sguardo non lasciava spazio a fraintendimenti.
"Niente di personale, cara Elena. Solo affari." L'uomo estrasse un foglietto di carta piegato in due dal taschino. "Giovanni, ti ricordi di quest'accordo? Leggilo ad alta voce in modo che la tua cara mogliettina si calmi e senta bene."
Il tono era glaciale, la voce un sussurro minaccioso.
Giovanni prese il foglio, le mani che tremavano lo fecero scivolare per due volte. Alla fine lo lesse a voce bassa: "Se non mi paghi, il tuo debito sarà saldato in un'altra maniera." Elena sentiva la paura del marito, ma non capiva di che si trattasse. "Giovanni, parla!"
Giovanni alzò lo sguardo, le lacrime agli occhi. "Ho perso un'enorme somma, Elena. E non posso restituirla." La frustrazione di Elena si fece strada tra le lacrime. "Che stai dicendo? Come puoi esserti messo in una situazione del genere?" La domanda rimase sospesa tra di loro come una nube nera pronta a scatenare la tempesta.
"Sono disposto a fare qualsiasi cosa per ripagarti." Disse Giovanni, la voce rotta.
"Ma sai che non funziona così." Rispose freddamente Paolo, il volto duro come la pietra. "Se non mi paghi, Elena diventerà mia."
Elena sentì un brivido gelido percorrere la schiena, le gambe si fecero molli come la cera. Non poteva crederci, il marito l'aveva messa in gioco in una partita di poker.
Lo sguardo di Elena si spostò da un uomo all'altro, cercando disperatamente un'uscita da quella situazione surreale.
"Giovanni, come hai potuto?" La domanda era piena di dolore e disgusto.
Lui le si avvicinò, le prese le mani tra le sue, le mani che un tempo l'avevano resa al sicuro, ma adesso erano fredde come il ghiaccio.
"Non ho avuto scelta, Elena. Mi sono infilato in qualcosa di troppo grande per me."
Ma Elena non voleva ascoltare scuse. Le parole di Paolo le rimbombavano in testa come un mantra ossessivo.
"Ma io non ci sto." Disse con decisione, strappandosi le mani da quelle del marito. La determinazione le era tornata, la consapevolezza che non avrebbe permesso a nessuno di sfruttarla in quel modo.
"Non posso farci nulla, cara. Questo è il gioco." Rispose Giovanni, la testa bassa.
Elena si sentiva come in balia di eventi che le scorrevano addosso come un fiume in piena. Non poteva crederci, il marito che la offriva come pagamento per i propri errori. "Non mi toccherai." Disse con voce ferma a Paolo.
"Giovanni, dimmelo che non lo glielo farai fare."
Ma Giovanni rimase in silenzio, lo sguardo perso nel vuoto, come se il peso di ciò che stava accadendo lo stesse schiacciando. Elena capì che la situazione era disperata e che avrebbero avuto bisogno di un piano per uscirne.
"Se non ci stai, puoi dire addio al tuo 'maritino'." La voce di Paolo era gelida, le parole pronunciate con un'aria di superiorità che le fece venire la pelle d'oca.
Elena si sentiva come se le venisse tolta la terra sotto i piedi, ma non avrebbe permesso a quell'uomo di vincere.
"Non lo farò." Disse con forza, stringendo i pugni. "Giovanni io non sono un oggetto da mettere in palio."
Paolo prese la pistola la punto sul ginocchio di Paolo e disse "Conto fino a 5 poi puoi dire addio alle gambe di Paolo."
Giovanni si alzò di scatto, la paura che si era impadronita di Elena adesso lo faceva tremare. "Per favore, no!" Supplicò.
Giovanni rimase immobile, lo sguardo perso tra il terrore e la disperazione. " La voce di Paolo era tagliente come un rasoio. "Ti darò un'alternativa." Disse lentamente, la pistola che non smetteva di tremare. "Puoi scegliere di restituirmi i soldi, o..."
Elena capì che il marito non avrebbe potuto saldare il debito, la paura le faceva battere il cuore all'impazzata. "Giovanni, dimmelo che non gli darai me come pagamento."
Giovanni alzò gli occhi, la disperazione a mille nel volto. "Amore, non ho altra possibilità." La voce era rotta, come se stesse ammettendo la propria sconfitta. "Se non vuoi che Paolo mi spari addosso, dobbiamo trovare un'altra soluzione."
Elena, con gli occhi fissi sul volto di pietra di Paolo, cominciò a pensare a una via di scampo. "Quanti soldi ha perso?" Chiese a voce bassa, cercando di non mostrare la paura che la stava divorando. "Cento mila euro." Rispose l'uomo, il tono inamovibile.
Quanto? disse meravigliata Elena. La cifra era spropositata, impensabile. Centomila euro. La stanza sembrò rimpicciolirsi attorno a lei, il soffocante peso di quei numeri che si appesantivano come piombo.
Giovanni annuì, il capo chino, incapace di trovarle parole di conforto. La situazione era disastrosa, e la prospettiva di perderla era l'unica cosa che lo spingeva a cercare una via d'uscita. L'unica speranza che avevano, in quell'istante, era Elena.
Elena, con un sospiro profondo, si tolse la giacca, appoggiandola lentamente sul divano. I movimenti calmi, decisa. "Cominciamo da qui." Disse, guardando il marito. Il silenzio era assordante, rotto solo dal rumore del tessuto che scivolava via.
Giovanni, incapace di reagire, la osservò con gli occhi sbarrati. Non poteva credere a ciò che stava accadendo. Elena, la donna che amava, pronta a sacrificare la propria dignità per salvarlo da se stesso.
Elena, con le mani che le tremano leggermente, afferrò la cintura della gonna e la slacciò. I tessuti scivolarono giù, rivelando le gambe snelle e le ginocchia tremante. Il gesto era pieno di un amore disperato, un amore che superava qualsiasi barriera e qualsiasi paura.
Le mutandine, un eccitante paio di seta rossa, si arrotolarono sui fianchi, come a ribadire la decisione presa. La stanza si caricò di tensione erotica, un'atmosfera che nessuno dei due avrebbe mai voluto in una situazione del
genere.
"Bene, adesso togliti il reggiseno." Ordinò Paolo, la voce dura come la pietra. Elena, con un moto di ribellione, lo fissò dritto negli occhi, ma la paura per la salute del marito era troppo grande. Le dita tremano leggermente, ma la determinazione le diede la forza di slacciarlo e farlo scivolare a terra. I seni piccoli ma sodi rimasero scoperti, il capezzolo eretto per il freddo e la paura.
Giovanni, incapace di guardare, si voltò lentamente. "Non farlo, Elena." Mormorò, ma la moglie non gli prestò ascolto. Elena sapeva che doveva agire, e agire in fretta. Il silenzio pesante si infranse solo con il suono del tessuto che si staccava dal suo corpo.
Con un gesto rapido, Elena si sbarazzò del reggiseno, mostrando a entrambi gli uomini la nudità del proprio seno. Nonostante la paura, non si sentì in imbarazzo. Aveva un solo obiettivo: salvare il marito. Incontrando lo sguardo freddo e calcolatore di Paolo, si rese conto che la situazione stava per complicarsi.
Ma a sorpresa, Paolo non sembrò apprezzare lo spettacolo. "Bene," disse, "adesso tocca a me." Con movimenti lenti e decisi, inizió a sbottonare la camicia. I muscoli tesi del petto si disegnavano sotto il tessuto, come se stesse per scoppiare da un momento all'altro. Elena lo osservò, il cuore martellante.
Giovanni si sentiva come se stesse sprofondando in un abisso di umiliazione e disperazione. "Elena, non lo fare." La supplicò con poca convinzione, ma la determinazione di Elena era ferrea.
Su, Elena. Inginocchiati." Ordinò Paolo, il tono che non ammetteva repliche. Elena, con la gola secca e le mani sudate, fece come le era stato detto. Si inginocchiò di fronte a Paolo, le mani che tremavano leggermente.
La pistola, che non smetteva di puntare su di lui, era l'unica cosa che vedeva. Il respiro di Elena era affannoso, il cuore in gola. Con un ultimo sguardo al marito, si concentrò su ciò che doveva fare. Afferrò lentamente gli slip di Paolo, sentendo la fredda pelle del metallo.
Giovanni chiuse gli occhi, non volendo assistere a ciò che stava per accadere. ". Si inginocchiò con grazia, il volto teso come la corda di un violino.
I pollici di Elena scostarono leggermente gli slip di Paolo, rivelando un membro duro come il marmo. La paura le faceva tremare le mani, ma non poteva mostrare debolezza. Con un ultimo sguardo al marito, si avvicinò a quell'uomo che le era quasi sconosciuto, ma che ora deteneva il proprio destino tra le mani.

Giovanni, con gli occhi chiusi, sentiva il rumore di Elena che si avvicinava a Paolo, il respiro affannoso del marito che stava per commettere un atto di tradimento. "Per favore, Elena..." Disse in un sussurro soffocato, ma Elena non rispose. Aveva deciso di affrontare la situazione a testa alta.
Mentre Elena prendeva il membro di Paolo in bocca, il gusto salato e la consistenza dura la fecero sobbalzare. Non era abituata a fare una cosa del genere, ma l'amore per il marito e la paura per la propria incolumità la spingevano ad andare avanti. I movimenti inizialmente incerti si fecero presto decisi e lenti, come se stesse cercando di guadagnare tempo.
Giovanni, con gli occhi chiusi e il viso contorto dal dolore, non poteva credere a ciò che stava succedendo. Elena, la donna che amava, era costretta a compiacere un estraneo per salvarlo. Il disgusto si mescolava alla paura, ma non poteva fare nulla per fermare il gioco perverso che si stava consumando.
Elena, al contrario, era concentrata sul compito che si era imposto. I movimenti inizialmente incerti intorno al membro di Paolo si fecero presto decisi e fluidi. La bocca le bruciava per lo sforzo e per la tensione, ma continuò a succhiarlo con tutta la forza che le rimaneva. Non voleva deludere il marito, ma non poteva negare che stava cominciando a trovarci un certo gusto. La sensazione di potere che le dava, di poter controllare la situazione in qualche modo, era quasi eccitante.
Giovanni, dal canto suo, si sentiva come se stesse guardando un film horror. Non voleva credere che la propria moglie stesse facendo una simile cosa, eppure non poteva fare nulla per fermarla. I suoni che provenivano da Elena e da Paolo, i respiri affannosi e le smorfie di piacere, lo facevano sentire come se stesse sprofondando in un incubo da cui non si sarebbe mai svegliato.
Elena, nonostante la situazione, continuava a succhiarlo con abilità, come se volesse dimostrare qualcosa. A un certo punto, sentì la pressione crescere in bocca e capì che Paolo stava per arrivare all'apice. Con un ultimo sforzo, lo fece. Il liquido caldo le riempì la bocca, ma non perse la concentrazione. Lo ingoiò, fissandolo dritto negli occhi.
Paolo, soddisfatto, si tolse la pistola, la depose con noncuranza sul tavolo. "Bene," disse con un tono che tradiva il piacere appena provato, "per ora mi basta." Elena si alzò, le ginocchia tremanti, il viso rosso di umiliazione. Giovanni la guardava, il cuore in pezzi.
"Ora," continuò Paolo, "preparami qualcosa da bere." La richiesta sembrò un'offesa a Elena, ma non poteva rifiutare. Con passi lenti e goffi, si diresse in cucina. Le mani le tremavano, ma la determinazione non l'aveva abbandonata. Aveva bisogno di un attimo per riprendersi e pensare a come uscire da quella situazione.
In cucina, la luce fredda del neon le illuminava la pelle bianca come la farina. Le mutandine, le uniche cose che le coprivano, si attorcigliavano intorno alle cosce, come a ricordarle la propria nudità. Elena aprì il frigorifero, cercando qualcosa di freddo per rinfrescarsi. Sentiva la bocca amara e la lingua pesante per il gusto del tradimento.
Giovanni, incapace di rimanere a guardare, si alzò lentamente e la raggiunse. "Elena, mi dispiace." Disse, le mani che tremavano. La guardava con un misto di paura e desiderio. Non poteva credere a ciò che la moglie stava facendo per lui, e la vedeva in un'altra luce.
Elena si voltò, gli occhi pieni di lacrime. "Giovanni, non lo farò di nuovo. Non posso." La voce era rotta dallo sforzo e dal dolore. "Non preoccuparti, amore. Troveremo un'altra soluzione." Rispose lui, cercando di consolarla. Ma Elena sapeva che non c'era via di uscita, non una che non prevedesse il proprio degrado.
Con le mani che le tremano, prese un bicchiere e riempì d'acqua. Il rumore del rubinetto che scorreva le sembrò assordante, come se stesse cercando di lavar via la propria colpa. "Non voglio che ti tocchi di nuovo." Disse con forza, il volto teso. "Devo pensare a te."
Giovanni le strinse la spalla, il tocco caldo e rassicurante. "Ma non ho alternative, Elena. Devi continuare a fargli piacere, per il mio bene." Le lacrime le rigavano il viso, ma la determinazione di Elena non vacillava. Aveva paura, ma non avrebbe permesso a quell'uomo di avere il meglio di sé.
Elena si asciugò le lacrime con la manica, la rabbia che le ardeva dentro. "Vattene," disse a Paolo, la voce ferma. "Ho esaudito il tuo desiderio, adesso vattene e non tornare mai più."
Ma Paolo non sembrò impressionato. "Non ci penso proprio," rispose con un sorriso tagliente. "Quello era solo l'inizio."
Elena sentì la paura gelarle il sangue.
"Per centomila euro," ripeté Paolo, la voce come il ringhiare di un animale feroce, "voglio tutto di te."
Elena lo guardò, il viso pallido come la neve. Non poteva crederci, stava per vivere l'incubo peggiore. "Non ci penso proprio," rispose con un tono freddo, "quello che ho appena fatto era per salvarmi il marito, non per te."
Ma Giovanni, il cuore spezzato, si avvicinò a Elena, le mani che tremavano come le foglie in autunno. "Amore, forse dobbiamo pensare a un accordo." Le lacrime scorrevano ininterrotte sul volto di Elena, la consapevolezza che la propria dignità stesse per essere calpestata per salvarlo.
Elena, con gli occhi lucidi di lacrime, lo guardò. "Giovanni, non posso farlo." La voce era rotta, il dolore palpabile. "Lo so, ma non basta." Disse Giovanni, con un tono di resa. "Dobbiamo trovare un'alternativa."
Elena si asciugò le lacrime con la manica, cercando di riprendere il controllo. "Cosa vuoi che faccia?" Chiese, la voce roca. "Devo pensare a te, a noi."
"Lui vuole il tuo culo." Disse Giovanni, con un tono di sconfitta. Elena sentì come se qualcuno le avesse dato uno schiaffo. "Cosa?"
Giovanni si morse il labbro inferiore, le lacrime scivolando giù per il viso. "Devi dargli il tuo culo, Elena. E' l'unico modo che ho per saldare il debito."
Elena chiuse gli occhi, la testa che girava. Non poteva credere a ciò che il marito stava chiedendole. "Giovanni, no. Non posso. Non voglio."
Giovanni, la guardò con occhi pieni di paura e disperazione. "Lo so, Elena. Non voglio che tu debba fare una cosa del genere, ma non ho altra scelta."
Elena sentiva il cuore spezzarsi in mille pezzi, ma sapeva che il marito aveva ragione. Non c'era altra via d'uscita. Con un ultimo sguardo disperato a Giovanni, si tolse lentamente le mutandine rosse, le gambe tremanti. La stanza si fece gelida, come se avesse perso la protezione che quei pochi centimetri di stoffa le offrivano.
Giovanni, con le mani che tremavano, si avvicinò a Elena. La paura e il dolore si mescolavano in un groviglio di emozioni inestricabili. Con delicatezza, si inginocchiò e prese tra le dita le mutandine, come a chiedere il permesso di toglierle. Elena chiuse gli occhi, la testa che girava. Non poteva sopportare di guardare il marito in quel modo, come se stesse per commettere un atto di violenza.
Mentre le mutandine cadevano a terra, Elena si sentiva come se stesse perdendo un pezzo di sé. Il dolore era fisico, come se le avessero strappato via un brandello di carne viva. Si inginocchiò sul divano, le ginocchia che udivano il contatto con la stoffa ruvida. Il freddo le saliva per le gambe, ma non poteva farci nulla.
Paolo si avvicinò a Elena con un sorriso carnivoro. La paura che lo circondasse era palpabile, ma la determinazione di Elena era ferrea. Non voleva che quell'uomo la toccasse, ma sapeva che non c'era
altra scelta. Con un profondo respiro, si preparò al peggio.
"Allarga le gambe," le ordinò Paolo, la voce carica di brama. Elena, con un gesto che le costò uno sforzo sovrumano, obbedì. Le gambe le si spalancarono, mostrando il sesso umido e il culo piccolo e teso. Sentiva gli occhi di quell'uomo addosso come se stesse per consumarla.
Govanni, immobile di fronte a lei, la guardava come se stesse per assistere a un sacrificio. Il dolore e la vergogna si mescolavano in un turbine di emozioni che lo stavano distruggendo. Elena, con la gola secca e il cuore in gola, si sentiva come se stesse per morire.
Ma non c'era tempo per le lacrime o le recriminazioni. Con un ultimo sforzo, si distese sul divano, il viso sepolto nel cuscino. Sentiva le mani di Paolo che la afferravano per i fianchi, il respiro pesante che le scaldava la schiena. Poi, la lingua calda che le leccava il collo, la nuca, il culo. Un brivido le percorse la spina dorsale, ma non sapeva se si trattasse di paura o di eccitazione.
Giovanni, incapace di guardare, si allontanò, le mani strette in pugni, la mascella tesa. Sentiva la rabbia crescere in se, ma era impotente di fronte a quella scena. Non poteva credere che la propria moglie stesse per subire la violenza di quell'uomo per colpa sua.
Ma Elena, con un ultimo sforzo, si costrinse a non pensare. Sentiva la lingua di Paolo leccarle il culo le dita si insinuarono tra le natiche, esplorando il buco stretto e inesplorato. Non voleva godere, non poteva farlo, ma il piacere era come una marea inarrestabile che la travolgeva.
Le lacrime le rigavano il viso, il cuscino assorbendo il suono soffocato del respiro che le usciva di bocca. "Giovanni, non guardare," mormorò, la voce rotta. Non voleva che il marito la vedesse in quell'atto di sottomissione. Ma Giovanni non poteva distogliere lo sguardo, la paura e il desiderio si mescolavano in un vortice di emozioni contrastanti.
I baci di Paolo si spostarono sul culo di Elena, leccandola con frenesia. La lingua calda le stava dischiudendo un piacere che non avrebbe mai pensato di provare. Elena, con le mani aggrappate al cuscino, cercava di trattenere i gemiti che le salivano in gola. Non voleva mostrare a quell'uomo la propria debolezza, ma il piacere era troppo intenso.
Giovanni, da dietro, la guardava con gli occhi sbarrati. Non poteva credere che la propria moglie stesse godendo in quel modo, ma la vedeva tremare e stringere le labbra per non emettere un suono. La vedeva come se stesse guardando un film porno, eppure era la realtà. Il respiro affannoso di Elena, le gambe che si aprivano e si chiudevano, il culo che si sollevava per incontrare la lingua di Paolo, era come se stesse assistendo a un incubo erotico.
Paolo, infine, si alzò in piedi, il pene eretto come una bandiera di trionfo. Era enorme, duro come il marmo, e punteggiato di gocce di pre-sperma. Elena sentiva il calore che emanava, la voglia di fuggire, di nascondersi. Ma non poteva. Con un respiro profondo, si preparò a riceverlo.
Giovanni, con lo sguardo perso nel vuoto, si rese conto che la situazione stava andando fuori controllo. Voleva proteggere Elena, ma non sapeva come. Sentiva la rabbia che gli bruciava lo stomaco come acido. Non poteva guardare, ma non poteva neanche distogliere lo sguardo.
Elena, consapevole di non avere alternative, fece un ultimo tentativo. "Giovanni, per favore, non farmi fare questa cosa." La preghiera era disperata, ma il marito non reagì. Non poteva, non voleva, distruggere l'ultima briciola di dignità che le restava.
Ma era troppo tardi. Con un gesto deciso, Paolo afferrò il culo di Elena, le dita che si insinuavano tra le natiche. Sentiva la pelle liscia e calda, la carne morbida. "Sei pronta?" Chiese con un sorriso sadico. Elena annuí, la testa che faceva avanti e indietro come un pendolo, come se stesse cercando di negare la realtà.
"Va bene," sussurrò tra i denti, "adesso ti mostrerò chi comanda." E con un unico colpo secco, si infilò in Elena. Il dolore fu acuto come un coltello, la fece urlare soffocata. Ma la paura per il marito le fece trattenere il grido. Non voleva che Giovanni la sentisse soffrire.
Giovanni, di fronte a quella scena, si sentì come se qualcuno gli avesse strappato il cuore. Elena, la donna che amava, era in balia di quell'uomo, e non poteva fare nulla. "Per favore, smettila," mormorò, "non farle del male."
Ma le parole di Giovanni non sortirono effetto. Paolo continuava a spingere, il viso distorto da un'espressione di piacere sadico. Elena, con le lacrime che le rigavano il viso, si aggrappava al cuscino, cercando di soffocare i gemiti che le uscivano di bocca. Il dolore era acuto, ma la paura per il marito era ancora peggiore.
Fra poco non farà più male, pensò Elena. Il pensiero era un'illusione, un tentativo disperato di autoconvincersi che la fine di quel calvario stesse per arrivare. Sentiva il pene di Paolo all'interno di sé, le dimensioni spropositate che la dilatavano, il dolore che la faceva sentire a pezzi. Ma a un certo punto, il dolore si fece meno acuto, meno intenso. Iniziarono a percepire sensazioni nuove, strane.
Le mani di Paolo le stringevano i fianchi, la tirava indietro con forza, come se volesse entrare in profondità, possederla totalmente. Elena chiuse gli occhi, concentrata sul proprio respiro, sul tentativo di rilassare i muscoli. E inaspettatamente, cominciò a sentire qualcosa di diverso. Un brivido le percorse la schiena, le gambe le si fecero molli come gelatina. Non voleva ammetterlo, ma il piacere stava facendo breccia.
I movimenti di Paolo si fecero lenti e decisi, come se stesse ballando una danza primitiva. Elena sentiva il culo che si alzava e si abbassava a tempo con le sue spinte, il cuscino che si inumidiva per le lacrime e il saliva che le rigava il viso. Non voleva godere, eppure il desiderio si insinuava in lei come un serpente a sonagli che la mordeva.
I muscoli di Elena si rilassarono, le gambe si allargarono di più. Inizialmente per paura, ma poi per il piacere che stava provando. Sentiva il cazzo di Paolo che le riempiva, che le faceva male e bene allo stesso tempo. Un'ondata di calore la travolse, il culo che si stringeva attorno a lui come una morsa. Non poteva farci nulla, il piacere era come un'esplosione nucleare, distruggendo tutti i confini e le regole che si era posta.
Giovanni, in fondo alla stanza, la guardava con gli occhi pieni di lacrime. Elena si sentiva in colpa, ma non poteva smettere. I gemiti che emetteva riempivano la stanza come se la casa si stesse sgretolando attorno a loro. Era come se stessero facendo l'amore per la prima volta, ma in un contesto perverso e degradante.
"Ancora," sussurrava Elena, la voce roca e bisognosa. La paura si era tramutata in pura eccitazione, il dolore in un piacere incontrollabile. Il suono del proprio respiro affannoso era come una melodia che la spingeva a continuare. "Per favore, non smettere," continuava a ripetere, come se la fine del mondo stesse per arrivare.
Le mani di Paolo si strinsero sui suoi fianchi, le dita che affondavano nella carne morbida. Il suo respiro era affannoso, il sudore che gli colava dalla fronte sul corpo di Elena. La stanza era immersa in un silenzio rotto solo dai gemiti di lei e dai respiri profondi di lui.
Elena sentiva il calore che si diffondeva dal basso ventre, un'ondata di piacere che cresceva come un'onda pronta a schiantarsi sulla riva. Ogni spinta di Paolo la faceva tremare, le gambe che si indebolivano, la mente che si annebbiava. Non voleva ammetterlo, ma stava per raggiungere l'orgasmo. "Sto per venire," sussurrò tra i denti, il viso premuto contro il cuscino.
Giovanni, in piedi nell'angolo, sentì le parole come una coltellata. Il volto era contratto in una maschera di dolore e rabbia. Stringeva i pugni così forte che le unghie si conficcavano nel palmo. Non poteva sopportare quella vista, ma non riusciva a distogliere lo sguardo.
Paolo accelerò il ritmo, i colpi diventarono più profondi, più brutali. Elena urlò quando l'orgasmo la travolse, un tremore che le scosse tutto il corpo. Si aggrappò al cuscino come a un'ancora di salvezza, le dita che affondavano nella stoffa. Il piacere era così intenso che le fece dimenticare per un attimo la vergogna.
Ma Paolo non aveva finito. Con un ruggito, affondò l'ultima spinta, il corpo che si irrigidì sopra di lei. Elena sentì il calore che si spandeva dentro di sé, un'umiliazione finale che la fece rabbrividire. Paolo si ritrasse lentamente, il respiro ancora affannoso. "Bene," disse, allacciandosi i pantaloni con calma. "Ora sei mia."
Elena rimase immobile, il viso nascosto nel cuscino. Le lacrime tornarono a scorrere, ma questa volta erano di vergogna per aver goduto. Giovanni si avvicinò, le mani tremanti. "Elena..." iniziò, ma non sapeva cosa dire. La moglie si voltò verso di lui, gli occhi vuoti. "Non toccarmi," sussurrò. "Non ora."
Paolo si sistemò la camicia, un sorriso soddisfatto sulle labbra. "Domani sera stessa ora," annunciò, prendendo la pistola dal tavolo. "Se non sei qui, Giovanni pagherà." Si voltò e uscì dalla porta senza aggiungere altro. Il rumore dei suoi passi si perse nel corridoio.
Giovanni si inginocchiò accanto alla moglie. "Mi dispiace," ripeté, la voce rotta. Elena non rispose. Si alzò lentamente, raccogliendo i suoi vestiti dal pavimento. Si vestì con movimenti meccanici, evitando lo sguardo del marito. "Dobbiamo trovare una soluzione," disse infine, la voce piatta. "Non posso continuare così."
Giovanni annuì, le lacrime che gli rigavano il viso. "Lo so," sussurrò. "Ma come?" La domanda rimase sospesa nell'aria, pesante come il piombo. Elena si avviò verso la camera da letto, la schiena dritta. "Non lo so," rispose senza voltarsi. "Ma non permetterò che questo accada di nuovo."
La porta della camera si chiuse alle sue spalle, lasciando Giovanni solo nel salone. Si guardò le mani, le stesse mani che avevano portato la propria moglie in quel baratro. Il silenzio della casa era assordante, rotto solo dal rumore del proprio respiro affannoso. Si sentiva come se stesse sprofondando in un abisso senza fondo, senza via d'uscita.
Ma Giovanni sapeva che non poteva arrendersi. Doveva trovare un modo per salvare la moglie da quell'incubo. Si alzò lentamente, le gambe che tremavano. Si avviò verso la finestra, guardando la strada deserta. Paolo era sparito nel buio, ma la sua minaccia aleggiava ancora nella stanza come un fantasma. Giovanni chiuse gli occhi, cercando di trovare la forza per affrontare la notte che stava per venire.
Giovanni rimase immobile davanti alla porta chiusa della camera da letto, il respiro ancora affannoso per l'umiliazione. Quando finalmente aprì la maniglia, la scena lo trafisse come un coltello. Elena giaceva a pancia in giù sul letto, il corpo tremante per i singhiozzi silenziosi che le scuotevano le spalle. La testa era sepolta nel cuscino, i capelli corti disordinati sulla nuda pelle.
Il suo sedere violato era esposto crudamente nella penombra della stanza, due lividi violacei già formati sulle natiche pallide. Tra le chiappe socchiuse, il piccolo foro anale appariva gonfio e arrossato, un cerchio di carne straziata. Da lì, lentissime gocce di sperma stillavano lungo la piega delle natiche, lasciando tracce lucide sulla pelle. Ogni singola perla bianca che sgocciolava sembrava un marchio di proprietà.
"Per quanto dovrà durare questa angoscia." chiese fra le lacrime Elena.
" Fin quando non ripago il debito. " disse lui "Ma stai tranquilla, ho richiesto un prestito in banca con l'ipoteca sulla casa. In un paio di settimane avrò i soldi e pagherò il debito e saremo liberi."
"Ed io? Dovrò continuare a soddisfarlo? Ha sentito cosa ha detto, che "sono sua" e che
domani tornerà a pretendere la sua proprietà.Che umiliazione"
"Passerà Elena e presto tutto questo sarà solo un brutto ricordo." disse Giovanni cercando di consolarla.
"E se non riesci a pagare?"
Giovanni non rispose. Si chinò per prendere un fazzoletto dal comodino, ma il gesto parve spezzare Elena. Scattò sul fianco coprendosi il petto con le braccia incrociate. "Non guardarmi! Non così!" La vergogna le deformò la voce in un gemito strozzato. Le lacrime avevano tracciato solchi lucidi sulle guance, mescolandosi al rossetto sbavato agli angoli della bocca. Giovanni notò le impronte rosse sui suoi fianchi, dove le dita di Paolo l'avevano afferrata con forza brutale.
Elena allungò le mani tremanti e le passò fra le natiche impregnate di sperma, massaggiandosi il buco del culo con gesti circolari, lenti. Le dita affondavano nella carne calda e umida, mescolando sudore e liquido viscoso. Un gemito soffocato le sfuggì dalle labbra quando la pressione sfiorò la carne tumefatta.

"Ti fa male?" chiese Giovanni, avvicinandosi con passo incerto. La sua voce era un filo di premura che si spezzava nell'aria pesante. Si inginocchiò sul pavimento freddo accanto a lei, gli occhi fissi sul segno rosso-violaceo dei morsi sulle sue cosce. "Vuoi che ti pulisca? Sei ancora tutta... piena di lui".

Quelle parole ebbero uno strano effetto su Elena. Essere ancora impregnata dello sperma di Paolo non la disgustava. Anzi. Un fremito caldo le attraversò il ventre quando le dita continuarono a massaggiare il buco dolente, premendo più forte proprio dove il seme si era accumulato. Il liquido tiepido le colava lungo le dita, e quel contatto viscido non le dava nausea. La eccitava. Un ricordo improvviso la trafisse: la sensazione di essere stata riempita completamente, posseduta con una forza animalesca che l'aveva fatta sentire viva per la prima volta dopo anni. Il dolore iniziale si era trasformato in un brivido di piacere così intenso che le aveva fatto dimenticare la stanza, Giovanni, tutto. "Non... non mi toccare," sussurrò, ma la voce le tremava diversa. Non era più rabbia. Era qualcosa di più profondo, più oscuro.
Cominciò a realizzare che le era piaciuto. Molto. Le immagini tornavano nitide: le mani di Paolo che le affondavano nei fianchi mentre lei si contorceva sotto di lui, il suo odore di sudore e tabacco che le riempiva i polmoni, il suono roco delle sue bestemmie quando il suo corpo si era stretto intorno a lui nel momento culminante. Quel ricordo le fece inarcare la schiena contro il pavimento freddo, un gemito strozzato che le sfuggì dalle labbra. La paura si stava trasformando in qualcos'altro. Una strana eccitazione mescolata a vergogna. L'idea che Paolo sarebbe tornato il giorno dopo non era più così tragica. Era terribile. Era inevitabile. Ma soprattutto... era desiderabile.
"Giovanni," sussurrò Elena, la voce roca ma stranamente ferma. Le sue dita continuavano a esplorare il proprio corpo, seguendo la scia di sperma che le colava lungo le cosce interne. "Domani... quando tornerà." Fece una pausa, chiudendo gli occhi mentre un altro fremito la scuoteva. "Tu rimani nell'altra stanza. Non voglio che tu assista." Le parole erano chiare, taglienti. Non una richiesta. Un ordine. Non voleva gli occhi impauriti di Giovanni su di lei mentre Paolo la prendeva di nuovo. Non voleva la sua pietà, la sua debolezza. Quella era una cosa tra lei e Paolo adesso. Una cosa sporca, violenta, necessaria. E voleva Paolo dentro di sé ancora, profondamente, brutalmente. Voleva che le aprisse il culo come aveva fatto quella sera, che la riempisse di nuovo di sborra fino a farla sgocciolare. L'idea di essere diventata proprietà di Paolo la faceva sentire stranamente potente. Posseduta, ma non più vittima. Era sua. E lui avrebbe reclamato ciò che era suo.

Giovanni impallidì, il volto contratto in una maschera di dolore e vergogna. "Elena, per favore..." Balbettò, le mani tremanti protese verso di lei. "Non posso... non posso lasciarti sola con lui di nuovo." Ma lo sguardo di Elena lo fermò come un pugno nello stomaco. Non c'era più traccia della moglie che aveva pianto e supplicato. Gli occhi erano diventati scuri, profondi, lucidi di una determinazione feroce e animalesca. Era lo stesso sguardo che aveva visto negli occhi di Paolo quando aveva premuto il suo cazzo contro il culetto stretto di Elena prima di sfondarla. "Non sei tu a decidere," disse lei, la voce un ruggito basso. "Sei stato tu a perdermi al poker. Sei stato tu a farmi diventare la sua puttana. Ora paghi le conseguenze." Ogni parola era un chiodo nella carne di Giovanni. Lui aveva causato tutto questo. Lui aveva trasformato la sua Elena in questa cosa assetata di sesso violento. E ora doveva subire l'umiliazione di saperla con un altro senza poterla vedere.
Elena si alzò dal letto con un movimento fluido, il corpo ancora segnato dai lividi violacei sulle anche e dalle tracce biancastre che le colavano lungo le cosce interne. Si avvicinò alla finestra, scrutando la strada deserta oltre le tende. Il silenzio della stanza era rotto solo dal respiro affannoso di Giovanni e dal ticchettio dell'orologio sul comodino. "Fino a quando questo debito non sarà pagato," disse senza voltarsi, la schiena nuda e orgogliosa contro la luce fioca della luna. "Non ti avvicinare più a me. Non sono più tua moglie. Sono di Paolo." Le parole erano chiare, taglienti come il vetro rotto. "Solo lui può scoparmi. Solo lui può riempirmi il culo quando gli pare." Si voltò lentamente, gli occhi che bruciavano di una rabbia fredda e desiderio represso. "Tu... se vuoi..." Fece una pausa, un sorriso amaro che le increspò le labbra gonfie. "Puoi solo masturbarti. Pensando a me. Pensando a come Paolo mi sfonda quel buco che un tempo era tuo. Pensando alla sua sborra che mi cola fuori mentre io gli chiedo ancora." La voce si fece un sussurro roco, pieno di disprezzo e una strana eccitazione. "Perché sai che ci godo. Sai che mi piace quando mi fa male." Giovanni sentì le gambe cedere, le ginocchia che battevano sul pavimento freddo. Elena lo guardò dall'alto, come fosse un insetto schiacciato. "Ora vattene," ordinò. "Ho bisogno di lavarmi la sua sborra di dosso. E prepararmi per domani." Si voltò verso il bagno, lasciando Giovanni solo nella stanza impregnata dell'odore acre del sesso violento e del seme di Paolo.
Giovanni rimase inginocchiato sul pavimento freddo a lungo dopo che Elena si era chiusa nel bagno. Il suono dell'acqua corrente sembrava martellargli il cervello, ogni goccia che cadeva gli ricordava il rumore dello sperma di Paolo che sgocciolava dal corpo di sua moglie. Si portò le mani tremanti al volto, annusando le tracce del seme che Elena aveva lasciato sulle sue dita quando lo aveva respinto. Quell'odore dolciastro e acre allo stesso tempo gli provocò un'improvvisa erezione, mescolata a una nausea profonda. Si masturbò freneticamente nell'ombra della stanza, gli occhi fissi sulla porta del bagno, immaginando Elena sotto la doccia che si puliva il culo ancora dolorante, le dita che cercavano di estrarre l'ultima goccia di Paolo. Ogni gemito soffocato che gli arrivava attraverso la porta lo faceva venire più forte, più velocemente. Quando raggiunse l'orgasmo, fu con un grido strozzato di vergogna e desiderio, lo sperma che gli schizzava sulle mani mentre nella mente vedeva Paolo che riempiva Elena di nuovo, più forte, più profondo. Cadde in avanti, il respiro affannoso, il corpo coperto di sudore freddo. Proprio allora la porta del bagno si aprì. Elena uscì avvolta in un asciugamano, la pelle ancora umida e rossa, i capelli scuri appiccicati alle spalle. Lo guardò per un secondo, il suo sguardo che scivolò sul seme che gli colava dalle mani sul pavimento. Un'espressione di disgusto misto a compiacimento le attraversò il volto. "Pulisciti," disse freddamente. "E pulisci anche questo schifo che hai fatto." Indicò la pozza biancastra sul pavimento con un piede nudo. "Domani Paolo tornerà. E io voglio che questa casa sia perfetta quando mi prenderà sul nostro letto."
Giovanni obbedì senza parlare. Prese della carta igienica dal bagno e iniziò a pulire freneticamente il pavimento, le mani che tremavano mentre assorbivano il suo stesso sperma. Ogni movimento gli ricordava Elena che si puliva il culo dopo Paolo, le dita che affondavano nella carne ancora rossa. Quando ebbe finito, Elena era già nel letto, voltata verso il muro. Si avvicinò con passo incerto. "Elena..." iniziò, ma lei tagliò corto. "Non parlare. Non toccarmi. Non sei tu che devo pulire." Si girò lentamente verso di lui, gli occhi scuri nella penombra. "Paolo mi ha lasciato un regalo dentro. Vuoi vedere?" Disse con voce stranamente dolce, quasi sensuale. Senza aspettare risposta, sollevò leggermente il lenzuolo, mostrando il suo culo ancora gonfio e arrossato. Le tracce biancastre erano ancora visibili tra le natiche. "Questa è la sua firma. La sua proprietà." Giovanni sentì un nuovo fremito di eccitazione mescolato a vergogna. "Quando lui se ne sarà andato," continuò lei, fissandolo negli occhi, "tu pulirai tutto. Con la lingua. Leccherai ogni goccia che ha lasciato dentro di me. Fino all'ultima." Le parole erano un ordine chiaro, tagliente. "Poi tornerai nella tua cuccia. E penserai alla prossima volta che mi scoperà. Perché sai che tornerà. E sai che io lo aspetterò."
La mattina seguente, Elena si svegliò prima dell'alba. Si alzò dal letto senza guardare Giovanni che russava sul pavimento, avvolto in una coperta. Si vestì con cura: una gonna stretta che accentuava le curve e una camicetta che lasciava intravedere i lividi violacei sul collo. Si truccò gli occhi con precisione, accentuandone lo sguardo profondo e sfidante. Quando Giovanni aprì gli occhi, la trovò in piedi davanti allo specchio dell'ingresso, che aggiustava la scollatura. "Stai bene?" balbettò lui, ancora intontito dal sonno. Elena sorrise, un'espressione fredda e calcolata. "Mai stata meglio," rispose. "Oggi è un giorno importante. Paolo torna stasera." Si voltò verso di lui, gli occhi che bruciavano. "Tu vai in banca. Prendi quei soldi. E se non ci riesci..." Fece una pausa teatrale, avvicinandosi. "...preparati a pulire molto più sperma.
Giovanni uscì di casa con passo incerto, la mente annebbiata dalle immagini della notte. Elena rimase sola. Si sedette sul divano, le gambe accavallate, e guardò l'orologio. Le ore passavano lente. Ogni ticchettio sembrava un battito cardiaco. Si alzò e iniziò a pulire la casa con frenesia, spolverando ogni superficie, riordinando i cuscini. Poi si fermò davanti alla finestra del salotto, le dita che tamburellavano nervosamente sul vetro. Il sole tramontava, tingendo la stanza di arancione. Pensò a Paolo. Alle sue mani ruvide che le avevano strappato i vestiti. Al suo odore di sudore e tabacco. Al dolore che si era trasformato in piacere. Un brivido le attraversò la schiena. Si portò una mano tra le gambe, premendo forte. Non era disgustata. Era eccitata. "Stasera," sussurrò. "Stasera mi prenderà di nuovo."
Quando Paolo bussò alla porta alle nove precise, Elena aveva le guance arrossate. Aprì lentamente. Lui era lì, massiccio contro lo stipite, gli occhi neri che la scrutavano dall'alto in basso. "Sola?" chiese, la voce un brusio roco. Elena annuì, facendolo entrare. Paolo chiuse la porta a chiave. Il rumore del chiavistello fece vibrare l'aria. Senza preamboli, le afferrò i fianchi, schiacciandola contro il muro. "Hai pensato a me?" mormorò, il fiato caldo sull'orecchio. Elena annuì di nuovo, il respiro che si fece affannoso. "Sì," sussurrò. "Ho pensato al tuo cazzo nel mio culo." Paolo rise, una risata bassa e soddisfatta. Le strappò la gonna con un gesto secco. "Allora mostrami quanto lo vuoi."
Giovanni tornò che la notte era fonda. La casa era immersa nel silenzio. Sentì subito l'odore: sudore, tabacco e qualcosa di dolciastro. Troppo familiare. Attraversò il corridoio a passi felpati. La porta della camera da letto era socchiusa. Vide Paolo addormentato sul letto, nudo, il corpo possente che occupava metà del materasso. Elena era in piedi davanti alla finestra, avvolta in un lenzuolo strappato. Si voltò. Il suo sguardo incrociò quello di Giovanni. Non c'era vergogna. Solo sfida. Con un cenno del capo, indicò il pavimento accanto al letto. Una pozza di sperma biancastro brillava al chiarore lunare. "Pulisci," mormorò. "Prima che si svegli."
Giovanni obbedì. S'inginocchiò tremando. Il sapore salmastro gli riempì la bocca mentre leccava il pavimento freddo. Ogni goccia era un pugnale. Sentiva gli occhi di Elena su di lui. Paolo russò forte, girandosi sul fianco. Elena si avvicinò al letto. Con delicatezza insolita, sistemò una ciocca di capelli sulla fronte di Paolo. Poi tornò verso Giovanni, il lenzuolo che le scivolò dalle spalle. I lividi sulle sue cosce erano più scuri, freschi. "Ha deciso di restare la notte," sussurrò. "Tu dormirai sul divano." Indicò il seme che le colava lungo la gamba destra. "Dopo che hai finito qui, pulisci anche questo."
La mattina seguente, Paolo si svegliò all'alba. Scostò le tende. La luce cruda illuminò i segni delle dita sulle anche di Elena. Lei dormiva bocca aperta. Paolo si vestì in silenzio. In corridoio, trovò Giovanni seduto a tavola, le mani vuote. "La banca?" chiese Paolo, accendendo una sigaretta. Giovanni scosse la testa. "Non mi hanno dato il prestito." Paolo sorrise. Un lampo di soddisfazione. "Allora è fatta. Elena è mia." Sfiorò la maniglia. "Stasera torno. Preparala."
Elena uscì dalla camera mentre Paolo attraversava il giardino. Si fermò sulla soglia. Il lenzuolo le scivolò a terra. I segni viola sulle costole sembravano fiori marci. "Mi ha detto tutto," sussurrò a Giovanni. "Ora vattene. Devo pulire la casa per lui." Giovanni rimase immobile. "Non posso lasciarti..." Elena lo interruppe con una risata secca. "Sei già morto per me. Sei solo il cane che lecca il pavimento." Gli voltò le spalle. Il seme di Paolo le colava lungo le cosce.
Per ore, Elena strofinò ogni superficie. Lavò le lenzuola impregnate dell'odore di Paolo. Spruzzò il suo profumo sui cuscini. Quando il tramonto tingeva i vetri di rosso, si immerse nella vasca. Strofinò la pelle fino a farla bruciare. Ma sotto l'acqua calda, le dita tornarono tra le gambe. Premettero sul livido a forma di morso. Un gemito le sfuggì. Paolo l'aveva marchiata lì. Proprio dove il piacere era esploso.

Alle nove precise, il bussare risuonò. Solido. Autoritario. Elena aprì a torso nudo. Paolo entrò come un temporale. "Giovanni?" chiese, sfiorandole un capezzolo con il dito indice. "Via," sibilò lei. "Per sempre." Un lampo di sorpresa negli occhi di Paolo. Poi un ghigno. Le afferrò i polsi. "Brava puttana." La spinse contro il tavolo. Il legno scricchiolò. I piatti caddero in frantumi. Lui le sollevò le gambe. "Oggi voglio la gola." Il cazzo duro le sfregò il collo. Elena chiuse gli occhi. Aspettò. Il dolore. Il dominio. Il vuoto che si riempiva.

SUMMARY^1: Elena ordina a Giovanni di andarsene per sempre dopo averlo definito un cane. Pulisce ossessivamente la casa per Paolo e, nella vasca, si masturba ricordando la violenza subita. Quando Paolo arriva, Elena gli apre a seno nudo, annuncia che Giovanni è sparito e Paolo, sorpreso ma soddisfatto, la violenta contro il tavolo, minacciando di sodomizzarle la gola.

Paolo le rovesciò la testa all'indietro. "Apri." La voce era un comando. Lei obbedì. La punta le sfiorò l'ugola. "Più." Spinse. Elena soffocò. Le lacrime bruciarono. Le mani di Paolo le serrarono il cranio. "Succhia. Come se la tua vita dipendesse da questo." E lei succhiò. Con rabbia. Con disperazione. Con gratitudine. Il sapore di sale e pelle la inondò. Paolo gemette. "Così. Proprio così." Le dita le affondarono nei fianchi. Lividi su lividi.
Quando sborrò, fu un fiotto caldo che le riempì la gola. Elena ingoiò convulsamente. Ogni singola goccia. Si sentì svuotare. Riempire. Paolo le ritrasse il cazzo bagnato. Le diede un colpetto sulla guancia. "Brava cagna. Ora, in ginocchio." Lei scivolò a terra. Le natiche nude sul pavimento freddo. "Ora sei mia," disse Paolo, aggiustandosi i pantaloni. Gli occhi neri la trafissero. "Farai tutto quello che ti ordinerò. Quando. Dove. Come voglio." Un sorriso crudele. "Cominciamo dalle regole."
Si chinò. Le afferrò il mento. "Primo: non ti vestirai più in casa. La tua pelle è il mio tappeto." Le sue dita strisciarono sul collo violaceo. "Secondo: quando entro, ti presenti subito. A quattro zampe. Con il culo in aria." Unghie affondarono nei lividi. Elena trattenne un gemito. "Terzo: la mia sborra non si spreca. Ogni goccia va raccolta. Con la bocca." Le schiaffeggiò una guancia. "Capito?"
"Si..." iniziò Elena, la voce strozzata.
Paolo le afferrò i capelli, costringendola a guardarlo. "Si, *padrone*. Devi chiamarmi padrone." La sua mano schiaffeggiò il livido sul suo fianco. Un dolore acuto che le fece contrarre la pancia.
"Si, padrone," sussurrò Elena, gli occhi che bruciavano di sottomissione e desiderio. La parola le bruciò la lingua, ma un brivido caldo le scorse lungo la schiena. Essere sua proprietà non era più un'umiliazione. Era una verità bruciante che le riempiva le vene.
Paolo la scrutò, un ghigno lento che gli solcò il volto. "Padrone ora scopami ho tanta voglia di te, devi dirmi così" ordinò, la voce un ruggito basso che fece vibrare l'aria.
Elena piegò la schiena, offrendo il culo ancora segnato dai lividi violacei della notte prima. "Padrone, ora scopami," sussurrò, la voce roca ma carica di una tensione elettrica. "Ho tanta voglia di te." Le parole le bruciarono la lingua, ma un fremito caldo le attraversò il ventre. Era vero. Un desiderio animale, primitivo, che annullava ogni vergogna. Paolo le affondò le dita nei fianchi, premendo sui lividi freschi. Un dolore acuto che si trasformò in brivido. "Dove vuoi la tua puttana, padrone?" aggiunse, spingendo il sedere all'indietro contro di lui. Sentiva il cazzo duro attraverso i pantaloni, un'arma pronta.
Paolo le schiaffeggiò le natiche
con forza. Lo schiocco secco rimbombò nel silenzio della casa. "A quattro zampe. Sul tavolo." La spinse brutalmente verso il mobile di legno, dove i piatti rotti giacevano ancora. Elena obbedì, le ginocchia che battevano sul pavimento freddo mentre si sollevava sul ripiano. I cocci le graffiarono la pelle, ma il dolore era un fuoco lontano. Paolo le strappò via il lenzuolo rimasto. "Il culo più in alto," ringhiò, afferrandole i fianchi. Lei inarcò la schiena, offrendosi completamente. Un gemito le sfuggì quando la punta del suo cazzo le sfiorò il buco ancora gonfio e arrossato. "Padrone, ti prego..." implorò, spingendosi all'indietro. "Riempi il mio culo. Fammi sentire chi sono."

Lui non la fece aspettare. Un colpo secco, brutale. Elena urlò quando la carne cedette, il dolore che esplose in un piacere accecante. Paolo le affondò dentro con un singolo movimento potente, fino alle palle. Le sue mani le serrarono i fianchi, le dita che affondavano nei lividi freschi. "Sei stretta come una vergine," sibilò, iniziando a pompare con colpi profondi e regolari. Ogni spinta la schiacciava contro il legno, i cocci che le laceravano la pelle del ventre. Elena gemette, un suono roco e continuo. Il dolore si mescolava al dominio, alla resa totale. Sapeva solo il movimento di Paolo dentro di lei, il calore che le divampava nelle viscere, il respiro roco del padrone sulla sua nuca.
"Padrone... sì... fammi godere," ansimò Elena, le parole che le uscivano a fiotti tra un colpo e l'altro. Spinse il culo all'indietro, cercando di prenderlo ancora più in profondità. Paolo rise, una risata gutturale. Le afferrò i capelli, tirandole indietro la testa. "La mia puttana vuole venire?" sibilò all'orecchio. "Allora vieni. Adesso." Accelerò il ritmo, i colpi che diventarono furiosi, devastanti. Elena sentì l'orgasmo esploderle dalla pancia, un fiume di fuoco che le bruciò le vene. Gridò, il corpo che si contorse violentemente sotto la presa di Paolo. Lui non rallentò. Continuò a sfondarla mentre lei tremava, il piacere che si trasformava in un dolore estatico.
Quando Paolo sborrò, fu un getto violento che le riempì il culo già pieno. Elena gemette, sentendo il calore espandersi dentro di lei. Lui rimase immobile per un istante, il cazzo ancora sepolto fino alle palle, poi si ritrasse con un suono umido. Lo sperma le colò subito fuori, caldo e abbondante, sul pavimento tra i cocci. "Lava," ordinò Paolo, aggiustandosi i pantaloni. Indicò la pozza biancastra con la punta dello stivale. "Con la lingua. Ogni goccia."
Elena scivolò giù dal tavolo, le ginocchia che battevano sui frammenti di ceramica. Non esitò. Si chinò e iniziò a leccare il pavimento freddo, il sapore salmastro che le riempiva la bocca. Paolo la guardò, accendendo una sigaretta. "Poi vai a vestirti," disse tra una boccata e l'altra, il fumo che gli avvolgeva il volto. "Ti porto in un posto."
Nella camera da letto, Elena aprì il cassetto più basso. Sotto le mutande di cotone di Giovanni, trovò un pacco avvolto in carta velina. Paolo gliel'aveva fatto recapitare quel pomeriggio. Strappò l'involucro con mani tremanti. Dentro, un corpetto rosso sangue in pizzo, così trasparente che lasciava intravedere i capezzoli. E un perizoma minuscolo, con un fiocco di seta proprio sopra il buco del culo. Si vestì lentamente. Il pizzo le scorticava i lividi, ma il dolore era un promemoria. Un brivido le attraversò la schiena quando vide il suo riflesso: la pelle violacea che splendeva attraverso i merletti, il perizoma che evidenziava le tracce biancastre tra le cosce.
Paolo entrò senza bussare. I suoi occhi neri la divorarono. "Perfetta," sibilò. Le passò una mano sul fianco, premendo sul morso ancora fresco. Elena trattenne un gemito. "Dove mi porti?" chiese, la voce un filo di speranza. Paolo le afferrò il mento, le dita che affondarono nella carne. "Tu non devi chiedere," ringhiò, il fiato caldo di sigaretta sul suo viso. "Devi solo obbedire. Ora sei mia e farai tutto quello che ti ordino." Una pausa carica di minaccia. "Mi sei costata centomila euro. Dovrò pure recuperarli in qualche modo." Le sue dita strisciarono sul corpetto, strappando un merletto. "Cammina."
La macchina di Paolo puzzava di sigaro e sudore. Elena sedette sul sedile di pelle fredda, le gambe nude che tremavano. Attraversarono la città, le luci dei lampioni che le sfrecciavano addosso come lame. Paolo parcheggiò in un vicolo buio dietro un edificio anonimo, porte di metallo senza finestre. "Fuori," ordinò. La spinse avanti verso un ingresso secondario sorvegliato da due uomini massicci. Uno di loro fischiò. "Nuova merce, Paolo?" Paolo gli diede una pacca sulla spalla. "La migliore. Fresca di addestramento." Aprì la porta. Un muro di musica elettronica e odore di alcol colpì Elena in pieno volto.
La sala era una caverna di luci stroboscopiche e corpi sudati. Sul palco, due donne danzavano attorno a un palo, i corpi lucidi d'olio. Paolo spinse Elena verso un camerino stretto, pieno di lingerie appesa e trucchi sparsi. "Spogliati. Tutto tranne il corpetto e il perizoma." Le lanciò un paio di tacchi a spillo alti. "Questi. E impara a sorridere." Prima che potesse rispondere, un uomo in giacca lucida entrò. "La nuova? Quanto?" Paolo incrociò le braccia. "Cinquanta a ballo. Cento se la tocca. Duecento se la porta in privé." L'uomo scrutò Elena, gli occhi che le scivolarono sul morso viola visibile attraverso il pizzo. "Ha già... assaggiato?" Paolo rise. "La carne è tenera. Ma morde solo quando glielo ordino io."
Elena tremava mentre saliva sul palco secondario. Le luci accecanti la costrinsero a socchiudere gli occhi. Sotto, ombre di uomini seduti a tavolini bassi, bicchieri di whisky in mano. Uno sbatté un pugno sul tavolo. "Scuoti quel culo, troietta!" Un altro rise, lanciando una banconota da venti sul palco. Elena guardò Paolo in fondo alla sala. Lui annuì, gli occhi freddi come lame. Cominciò a muoversi, goffamente all'inizio. Il perizoma le tagliava la carne. Poi ricordò le mani di Paolo sui suoi fianchi, la voce che le ordinava di piegarsi. Si inarcò contro il palo metallico, freddo sulla schiena. Un gemito le sfuggì quando il tessuto strofinò sul livido. Il pubblico urlò. Banconote volarono ai suoi piedi.
Poi vide un uomo parlare con Paolo. Alto, giacca di pelle, un anello d'oro che luccicava al neon. Parlavano a bassa voce, l'uomo indicava Elena con un cenno del capo. Paolo fece un gesto secco verso di lei. *Vieni qui*. Elena raccolse le banconote sparse sul palco, le dita che tremavano sul denaro umido di sudore. Scese, i tacchi che vacillavano sul pavimento appiccicoso. Paolo si fece consegnare i soldi e la spinse verso l'uomo. "Vai con lui. Venticinque minuti. Non un secondo di più." L'uomo sorrise, mostrando denti gialli. "Seguimi, bocca di velluto." La prese per un polso, stringendo dove Paolo l'aveva segnata la notte prima.
La stanza privata era un cubicolo di velluto rosso consumato, con un divano a due posti e una lampada fioca. L'odore di disinfettante non copriva la puzza di sesso vecchio. L'uomo chiuse la porta a chiave. Si sedette, le gambe aperte. "Succhia." Non un preambolo. Elena si inginocchiò sul tappeto ruvido. Le sue mani tremavano mentre slacciava la cerniera. L'odore acre la fece tossire. "Presto, troia. Ho pagato." Affondò le dita nei suoi capelli, spingendole la faccia contro l'inguine. Elena chiuse gli occhi. Immaginò le mani di Paolo, la sua voce. *Succhia. Come se la tua vita dipendesse da questo*. Il sapore era diverso. Più amaro. Più violento. L'uomo gemette, premendole la testa più forte. "Così... proprio così..." Il suo anello d'oro le graffiava la nuca. Venticinque minuti. Ogni secondo bruciava.
Quando tornò nel locale, le ginocchia le tremavano. Paolo era al bancone, un bicchiere di whisky in mano. "Quanto?" le chiese senza voltarsi. Elena gli porse le banconote umide che l'uomo le aveva ficcato nel perizoma. "Cento." Paolo contò i soldi con lentezza deliberata. Poi le afferrò la nuca, attirandola a sé. "Hai fatto la brava?" Il suo fiato sapeva di fumo e rabbia. Elena annuì, gli occhi bassi. "Sì, padrone." Lui le passò un dito sul labbro gonfio. "Lavati quella bocca. Poi torna sul palco. Un altro cliente ti aspetta."
Nello spogliatoio, Elena si sciacquò la bocca con vodka rubata. Il liquore bruciò le ferite. Nel riflesso dello specchio screpolato, vide il rossore sulla guancia sinistra, dove l'uomo l'aveva schiaffeggiata per farla ingoiare più in fretta. Si aggiustò il corpetto strappato sul fianco. La musica pulsava oltre la porta, un battito primitivo. Quando riapparve sul palco, le luci viola accecarono. Un nuovo uomo aspettava in prima fila: panciuto, cravatta slacciata. "Scuoti quelle tette, troia!" urlò, sbattendo una banconota da cinquanta sul bordo.
Paolo osservava dall'ombra, vicino alle uscite di sicurezza. Un sorriso freddo gli increspò le labbra quando un altro cliente, magro e dagli occhi febbrili, gli sussurrò all'orecchio indicando Elena. Un cenno di assenso. Soldi cambiati di mano.
Finita l'esibizione sul palco Elena si avvicinò a Paolo e porgendogli i soldi disse "Portami a casa, ti prego, sono stanca e... ho voglia di te.
"Ci andremo a casa, ma prima devi andare con quell'uomo, ha gia pagato per stare con te"
Elena rassegnata si avvicino all'uomo , un tipo molto distinto, alto, vestito elegantemente, in contrasto con l'ambiente. Quando gli fu vicino vide anche che era un bell'uomo brizzolato con due grandi occhi azzurri. Lui la prese per mano e la porto nel privèe Vip, poi chiuse la porta dietro le sue spalle, si sedette su un divano di pelle nera e le disse "Siediti accanto a me, non aver paura, non ti farò del male. Come ti chiami?" Elena si sedette accanto a lui, le mani tremavano ancora. "Mi chiamo Elena" disse con voce bassa e roca. "Mi chiamo Luca, piacere. Ti vedo molto tesa, ti offro un drink?" Elena annuì, sorpresa dalla gentilezza di quell'uomo. Luca le porse un bicchiere di whisky. "Sai, ho pagato Paolo per parlare con te, non per altro." Elena bevve un sorso, il liquore le bruciò la gola ma la calmò. "Perché?" chiese, confusa. Luca si sporse in avanti, gli occhi azzurri che la scrutavano con intensità. "Perché quella paura nei tuoi occhi non è di chi fa questo lavoro per scelta. E quei lividi... Paolo ti costringe, vero?" Elena abbassò lo sguardo sul bicchiere, le dita che stringevano il cristallo. Un nodo le serrò la gola. Per la prima volta da settimane, qualcuno aveva visto oltre la maschera. Luca le sfiorò una mano. "Se vuoi scappare, posso aiutarti. Adesso." Elena alzò gli occhi pieni di lacrime. La parola "scappare" risuonò nella sua mente come un'eco lontana. Ma poi ricordò le mani di Paolo sui suoi fianchi, il sapore del suo seme, il vuoto che si riempiva solo con la sua violenza. Scosse la testa. "Non posso." Sussurrò. "Sono sua." Luca sospirò, deluso. "Come vuoi." Si alzò, lasciando una banconota da cento euro sul tavolo. "Se cambi idea, chiamami” disse lasciandole il suo bigliettino da visita che Elena nascose negli slip." Uscì, lasciandola sola nella stanza rossa. Elena rimase immobile, il whisky intatto. Poi raccolse i soldi, asciugò le lacrime con il dorso della mano, e tornò da Paolo. Lui la scrutò, un ghigno sulle labbra. "Tutto a posto, puttana?" Elena annuì, porgendogli i soldi che Luca le aveva dato. "Sì, padrone. Portami a casa ora. Ho bisogno che mi riempia di nuovo."
Tornarono a casa Elena ando in bagno a lavarsi nascondendo il biglietto da visita di Luca nel suo Beauty case. Poi entrò in camera. Paolo la scaraventò sul letto, strappandole via il perizoma., Elena chiuse gli occhi. Le sue dita ruvide le divaricarono le natiche con brutalità. Un gemito le sfuggì quando la punta del suo cazzo le sfiorò il buco ancora gonfio e sensibile. "Apri," ringhiò Paolo, sputandole sulla carne contratta. Elena obbedì, rilassando i muscoli con uno sforzo sovrumano. Lui entrò d'un colpo secco, senza preavviso, riempiendola di un dolore familiare che subito si mutò in calore. Elena afferrò le lenzuola, le nocche bianche. Paolo le affondò dentro con colpi profondi, regolari, ogni spinta che la schiacciava contro il materasso. "Sei fatta per questo, cagna," sibilò, afferrandole i capelli per tirarle indietro la testa. "Per sentire il mio cazzo nel tuo culo." Elena annuì, ansimando. Era vero. Solo quando sentiva il cazzo di Paolo ancora una volta nel suo culo trovava pace e piacere. Quel dolore acuto che bruciava le viscere, quella pienezza devastante, era l'unica cosa che annullava il vuoto, che la faceva sentire reale. Posseduta. Completamente sua. Un brivido di estasi le percorse la schiena quando lui accelerò, i fianchi che schiaffeggiavano le sue natiche con forza animale. "Sì, padrone," gemette, spingendosi all'indietro per prenderlo più in profondità. "Riempi il tuo buco... fammi sentire chi sono..." Paolo ringhiò soddisfatto, le dita che le affondavano nei fianchi lividi. "La mia troia da sfondare." E lei lo era. Fino all'ultimo centimetro.
Paolo la scopò con furia crescente, il sudore che gli colava sulla schiena di Elena. Ogni colpo era una rivendicazione, un marchio. Lei urlò quando l'orgasmo la travolse, un'esplosione di fuoco che sembrò lacerarle le viscere. Paolo non rallentò. Continuò a martellarla mentre lei tremava, il piacere che si trasformava in un dolore estatico, una resa totale. Quando sborrò, fu un getto violento che le riempì il culo già pieno, caldo e abbondante. Rimase immobile per un istante, sepolto fino alle palle, poi si ritrasse con un suono umido. Lo sperma le colò subito fuori, scivolando lungo le cosce sul lenzuolo. "Lava," ordinò Paolo, indicando la pozza biancastra sul materasso. "Con la lingua. Ogni goccia." Elena si girò, le gambe che tremavano. Si chinò sul lenzuolo macchiato e iniziò a leccare, il sapore salmastro e familiare che le riempiva la bocca. Paolo la guardò, accendendo una sigaretta. "Domani torniamo al locale," disse tra una boccata e l'altra. "Hai fatto buona impressione." Un sorriso crudele. "La tua gola piacerà a molti." Elena continuò a leccare, il cuore che batteva forte. Il vuoto si stava già riaffacciando. Aveva bisogno di altro. Di più. "Padrone..." sussurrò, alzando gli occhi pieni di desiderio. "Dammelo ancora. Adesso. Nel culo. Spingimelo tutto dentro... fammi sentire dolore, fammi sentire piacere... fammi sentire che sono tua. Per sempre." Paolo spense la sigaretta sul comodino. I suoi occhi neri brillarono di un piacere feroce. "A quattro zampe. Subito."

Elena si sollevò sulle ginocchia, offrendo il culo ancora aperto e tremante, segnato dai lividi viola. Paolo le afferrò i fianchi con forza, le dita che affondarono nelle ferite fresche. Un dolore acuto che si trasformò in brivido. La punta del suo cazzo, già di nuovo dura, le sfiorò il buco sfiancato. "Apri," ringhiò. "Come si apre una puttana." Elena obbedì, spingendo all'indietro con un gemito roco. Lui entrò d'un colpo, senza pietà, riempiendola di un'agonia familiare che bruciò come liquido infuocato. Un grido le strappò la gola. Paolo non le diede tregua. Iniziò a pompare con colpi profondi, devastanti, ogni spinta che la schiacciava contro il materasso. Le sue mani le serrarono i fianchi, le unghie che affondavano nei lividi. "Sì... così..." ansimò Elena, le lacrime che le bruciavano le guance. Il dolore si fuse al dominio, alla resa totale. Ogni centimetro di Paolo dentro di lei era una conferma: era sua proprietà. Nient'altro. "Più forte, padrone!" urlò, spingendo il culo all'indietro per prenderlo più in profondità. "Sfondami... fammi sentire chi sono... la tua troia da riempire!" Paolo ringhiò soddisfatto, accelerando il ritmo fino a renderlo furioso. I fianchi schiaffeggiavano le sue natiche con violenza animale. Elena sentì un nuovo orgasmo esploderle dalla pancia, ancora più potente del primo. Gridò, il corpo che si contorceva sotto la sua presa. Era piena. Di lui. Del suo dolore. Del suo piacere. Del suo vuoto finalmente colmato.

Paolo la teneva ferma, continuando a martellarla mentre lei tremava nell'estasi. Sentì il suo respiro farsi più roco, le mani stringerle i fianchi con una presa di ferro. "Sto per sborrare, cagna," sibilò, il fiato caldo sulla sua nuca. Elena lo sentì irrigidirsi, le palle che si contraevano contro la sua carne. Un'ondata di panico. *No. Dentro no.* "Padrone, aspetta!" urlò, contorcendosi sotto di lui. "Non dentro! Non nel culo!" Paolo rallentò per un istante, sorpreso. "Cosa?" Elena si girò quanto poteva, gli occhi pieni di una disperazione improvvisa. "In bocca... ti prego..." sussurrò, la voce rotta. "Voglio la tua sborra in bocca. Voglio berla. Tutta. Calda." La preghiera le bruciò la lingua. Era un bisogno viscerale, più forte della vergogna. Doveva sentire il suo sapore, ingoiarlo, farlo suo. Doveva sentirlo scendere in gola, bruciare, riempirla. Era l'unico modo per placare il vuoto che già riaffiorava. "Ti prego, padrone... fammi bere il tuo seme... fammi sentire che sono la tua cagna assetata..."
Paolo la scrutò, gli occhi neri che sembrarono indecisi per un attimo. Poi un ghigno lento gli increspò le labbra. "La mia troietta vuole bere?" Le afferrò i capelli, tirandole indietro la testa con brutalità. "Allora apri quella bocca da puttana." Elena obbedì, spalancando le labbra, il cuore che le martellava nel petto. Paolo si ritrasse dal suo culo con un suono umido e le puntò il cazzo ancora pulsante contro la faccia. "Succhia. Fino all'ultima goccia." Elena afferrò la base con le mani tremanti e lo portò alla bocca, ingoiandolo fino in gola. Il sapore salmastro, familiare, la inondò. Paolo gemette, affondando le dita nei suoi capelli. "Così... succhia forte, troia..." Elena chiuse gli occhi, concentrandosi solo sul cazzo in gola, sul sapore che la riempiva, sul rumore roco del suo respiro. Sentì le palle contrarsi, il cazzo pulsare violentemente. Poi l'esplosione. Calda, densa, abbondante. Un getto dopo l'altro che le riempiva la gola, costringendola a inghiottire a fatica. Si sentiva soffocare, ma era un'estasi. Il vuoto si riempiva. Era sua. Completamente.
Paolo la tenne ferma, spingendole la testa più in basso mentre scaricava fino all'ultima goccia. Quando si ritrasse, Elena ansimò, il mento bagnato di saliva e sperma. Le labbra le formicolavano. Guardò in alto, verso il volto del padrone. C'era qualcosa di diverso nei suoi occhi. Non più solo ferocia, ma una strana, intensa concentrazione. Quella devozione totale, quella fame disperata per il suo seme, lo aveva colpito nel profondo. Un brivido gli attraversò il viso. Senza una parola, Paolo le afferrò il viso con entrambe le mani, ruvide e calde. Non uno schiaffo. Non una presa violenta. Le tirò su verso di sé. Poi la baciò. Con una passione improvvisa, grezza, ma innegabile. Le sue labbra schiacciarono le sue, la lingua che le invase la bocca, mescolando il sapore dello sperma. Elena rimase immobile, scioccata. Il bacio fu breve, brutale, ma carico di un'emozione che non aveva mai visto in lui. Paolo si staccò, il respiro affannoso. I suoi occhi neri la scrutavano, quasi confusi. "Sei... diversa," mormorò, la voce più bassa del solito. Un lampo di qualcosa che poteva essere ammirazione, o forse l'inizio di qualcos'altro, attraversò il suo sguardo.
Elena rimase in silenzio, il cuore che le batteva all'impazzata. Il bacio bruciava ancora sulle sue labbra, più intenso di qualsiasi dolore o piacere provato prima. Era stato possessivo, certo, ma anche... intimo. Un riconoscimento. Paolo si alzò dal letto, voltandole le spalle. Si infilò i pantaloni con movimenti bruschi. "Domani al locale," disse, la voce tornata al solito tono di comando, ma meno tagliente.
"Preparati. Ci saranno clienti importanti." Si voltò, i suoi occhi la scrutarono ancora, quel lampo indecifrabile ancora presente. "E... stasera hai fatto bene." La lode, seppur rozza, cadde come una pietra nello stagno della mente di Elena. Non era un "brava cagna". Era un "hai fatto bene". Un fremito la percorse. Guardò Paolo mentre usciva dalla stanza, la porta che si chiudeva con un clic sommesso. Rimase seduta sul letto sporco, le dita che toccavano le labbra ancora formicolanti. Il vuoto dentro di lei non era scomparso, ma si era riempito di una nuova, vertiginosa confusione. Quel bacio. Quello sguardo. Era possibile? Paolo, il suo padrone, il suo violentatore... stava forse cedendo a qualcosa di più? Il terrore si mescolò a un'ondata di speranza pericolosa, accecante.
Si trascinò nella doccia. L'acqua fredda la svegliò dai pensieri, ma non poté cancellare il ricordo delle sue labbra. Si insaponò con forza, come per lavare via ogni traccia di debolezza, ma il gesto era meccanico. La mente tornava a Luca l'uomo gentile con gli occhi azzurri. "Se vuoi scappare, posso aiutarti." Le parole risuonarono nitide. Prima, la risposta era stata un riflesso condizionato. "Sono sua." Ora, guardandosi le costole segnate dai lividi nel vapore dello specchio, un dubbio atroce le serrò lo stomaco. Cosa significava davvero essere "sua"? Possesso? O... qualcosa che assomigliava quasi a un riconoscimento? Si asciugò in fretta, il cuore in gola. Tornò nella camera da letto. L'odore di sesso e sperma era ancora forte. Si inginocchiò sul lenzuolo macchiato, pronta a leccare come ordinato. Ma poi si fermò. Guardò la pozza biancastra. Non lo fece. Per la prima volta, disobbedì. Si alzò, prese un asciugamano bagnato e pulì via lo sperma con gesti rapidi, meccanici. Un atto minuscolo di ribellione, o forse solo stanchezza. Si gettò sul letto, il corpo un unico dolore pulsante. Gli occhi le si chiusero, ma il sonno non arrivava. Vedeva solo gli occhi neri di Paolo, quel bacio improvviso, e la domanda che le bruciava dentro: cosa sarebbe successo adesso?
La mattina dopo si svegliò prima dell'alba, il corpo indolenzito. Preparò il caffè con movimenti lenti, tagliò il pane. La colazione di Paolo: nera, forte, senza zucchero. Lo mise sul tavolo con un piattino. Si vestì in fretta: una gonna lunga, un maglione largo che coprisse i lividi sul collo. Stava già aprendo la porta di casa quando sentì la sua voce roca dietro di lei. "Dove vai?" Paolo era in piedi sulla soglia della camera, i capelli arruffati, addosso solo i boxer. Lo sguardo era torvo, ma non immediatamente violento. Elena si bloccò, la mano sulla maniglia. "Vado al lavoro," rispose, la voce più ferma di quanto si aspettasse. "Manco da due giorni. Se non vado, rischio di perdere il posto." Indicò il tavolo in cucina con un cenno del capo. "La colazione è pronta." Paolo la scrutò per un attimo, gli occhi che sembravano cercare qualcosa nel suo sguardo. Poi annuì, distratto. "Ok. Ci vediamo stasera. Preparati. Al locale ti aspettano con ansia." Un ghigno gli comparve sulle labbra. "Ieri hanno incassato più dell'incasso di una intera settimana. Sembri piacere, troietta." Elena non rispose. Chiuse la porta dietro di sé con un clic secco, il suono che tagliava l'aria pesante dell'appartamento.

Scese le scale a testa bassa, il cuore stretto in una morsa. Aveva sperato, follemente, che quel bacio nella notte avesse significato qualcosa. Che forse, dietro la ferocia, ci fosse un barlume d'altro. Che non l'avrebbe più portata in quel posto di sudore e mani estranee. Ma si era sbagliata. Paolo vedeva solo i soldi. Lei era solo merce. Merce redditizia. L'aria fredda del mattino le schiaffeggiò il viso quando uscì dal portone. Respirò a fondo, cercando di scrollarsi di dosso la delusione amara. Doveva andare al lavoro. Alla biblioteca comunale. Un altro mondo. Un mondo di silenzio, di polvere sui libri, di luce pallida che filtrava dalle alte finestre. Un mondo dove, forse, poteva ancora fingere di essere normale. Di essere Elena, non la troia di Paolo. Si strinse nel maglione, accelerando il passo. La città si svegliava attorno a lei, ignara.

Mentre camminava, il rumore dei passi sul marciapiede bagnato divenne un mantra. *Paolo. Luca. Paolo. Luca.* Le parole di Luca, l'uomo dagli occhi azzurri, le tornarono alla mente con prepotenza. "Se vuoi scappare, posso aiutarti. Adesso." Quella gentilezza improvvisa, quella percezione della sua paura, le aveva fatto un effetto strano. Come un sorso d'acqua fresca nel deserto. Ma poi aveva rifiutato. Con la certezza istintiva di chi sa che ogni fibra del suo essere appartiene al padrone. O forse... alla dipendenza? Si fermò a un semaforo rosso, le dita che affondarono nelle tasche del maglione. Aveva davvero bisogno di Paolo? Di quel dolore che diventava piacere, di quella violenza che riempiva il vuoto? O era solo una schiava della disperazione, incapace di immaginare un'altra via? Il vuoto che sentiva dopo ogni rapporto... era davvero colmato da Paolo, o solo amplificato? Il semaforo diventò verde. Attraversò, il passo incerto.
La biblioteca comunale spalancò le sue porte silenziose davanti a lei. L'odore familiare di carta vecchia e legno lucidato la avvolse come un abbraccio. Qui, tra gli scaffali polverosi, poteva essere ancora Elena Rossi, assistente bibliotecaria, non la "troietta" di Paolo. Si diresse verso il bancone principale, dove la collega Carla stava sistemando pile di libri restituiti. "Elena! Finalmente!" sussurrò Carla, gli occhi pieni di preoccupazione genuina. "Stavamo iniziando a preoccuparci. Tutto bene? Hai avuto l'influenza che gira?" Elena forzò un sorriso, evitando il suo sguardo. "Sì, sì, niente di grave. Solo un po' debole." Carla la scrutò, notando forse il pallore, le occhiaie profonde. "Se hai bisogno di parlare..." iniziò, ma Elena scosse la testa con un gesto brusco. "Tutto a posto, Carla. Grazie." Si voltò verso il carrello dei libri da ricollocare, afferrandolo come un'ancora di salvezza. Il bisogno di Paolo pulsava ancora dentro di lei, un richiamo oscuro e familiare. Ma l'immagine di Luca, della sua offerta disinteressata, le rimase incollata alla mente. Chiedere aiuto? Ammettere a uno sconosciuto l'orrore della sua vita? Era una follia. O forse l'unica via d'uscita prima che Paolo la spezzasse definitivamente.

Il silenzio della biblioteca divenne un boato. Ogni volta che un uomo si avvicinava al bancone per chiedere un libro, Elena tratteneva il fiato, il cuore in gola. Le mani tremavano mentre inseriva i codici a barre nel computer. Non voleva tornare in quel posto squallido e volgare. Non voleva sentire addosso le mani unte di sudore di sconosciuti, le dita che le frugavano tra le gambe, le labbra viscide che le succhiavano il collo mentre Paolo contava i soldi nell'ombra. Il ricordo della stanza privata con l'uomo dagli occhi febbrili le fece venire la nausea. Il suo alito pesante di birra, le unghie sporche che le graffiavano la schiena mentre la spingeva giù sul divano di finta pelle. E Paolo che aspettava fuori, indifferente, fumando. Merce. Era solo merce da usare e da cui spillare denaro. Un brivido di disgusto le percorse la schiena, così violento che dovette appoggiarsi allo scaffale metallico. Il maglione largo le sembrò improvvisamente una barriera troppo sottile contro il mondo.
Poi prese una decisione. Con gesti furtivi, come se temesse che Paolo potesse materializzarsi tra gli scaffali di Storia Moderna, frugò nella tasca interna della borsetta. Le dita incontrarono prima il portamonete vuoto, poi un pezzo di carta rigida, liscio ai bordi. Il biglietto da visita di Luca. Lo estrasse, guardandolo come fosse una reliquia pericolosa. Nome, numero di telefono, nient'altro. Niente indirizzo, niente logo aziendale. Solo quelle undici cifre stampate in caratteri sobri, eleganti. Gli occhi azzurri di Luca le apparvero vividi nella memoria. La sua gentilezza. La domanda diretta: "Paolo ti costringe, vero?" Un'offerta limpida: "Posso aiutarti. Adesso." Elena chiuse gli occhi. Sentì il sapore dello sperma di Paolo in gola, il dolore familiare del suo cazzo nel culo, il vuoto che quella violenza riempiva solo per pochi, preziosi istanti. E poi il bacio. Quell'improvviso, brutale contatto di labbra che le aveva bruciato l'anima più di qualsiasi schiaffo. Era una trappola? O una possibilità? Il polso le pulsava alla tempia. Con un respiro profondo, quasi un singhiozzo represso, afferrò il telefono dal bancone. Le dita tremanti composero il numero, cifra dopo cifra. Ogni tasto premuto era un tradimento, una speranza folle. Portò il cellulare all'orecchio. Il segnale di chiamata iniziò a squillare. Uno. Due. Il silenzio della biblioteca si fece assoluto, opprimente. Al terzo squillo, una voce maschile, calma e distinta, rispose dall'altro lato. "Pronto?"
Elena trattenne il fiato. Le parole le si incastrarono in gola, secche come pagine di un libro antico. Guardò Carla che sistemava volumi più in là, ignara. Il rumore del suo cuore sembrava rimbombare tra gli scaffali. "Buongiorno Luca," riuscì a dire con la voce simile ad un sussurro roco . "Sono Elena. Si ricorda di me? Ci siamo visti ieri sera... nel locale di Paolo." Fece una pausa, cercando di controllare il tremore. "Io... io ho bisogno di aiuto. Quello che mi ha offerto. È... è ancora valido?" La domanda le uscì in un soffio, carica di una vergogna bruciante e di una disperata speranza. Dall'altro capo, un attimo di silenzio. Poi la voce di Luca, più bassa, più decisa: "Dove sei adesso? Sei al sicuro?"
"Biblioteca comunale," rispose, afferrando il bordo del bancone come un'ancora. "Sono al lavoro. Qui... qui sono al sicuro per ora." Sentì il peso delle parole. *Per ora*. Paolo sarebbe venuto a prenderla alla chiusura. Le mani le sudavano fredde. "Non posso parlare a lungo. chiamo col telefono dell'ufficio, Paolo mi controlla il cellulare." Luca tagliò corto, il tono diventando operativo: "Ascolta bene. All'una e mezza, esci per la pausa pranzo. Vai al bar di fronte alla stazione centrale che e vicino alla biblioteca. Chiedi del proprietario, Aldo. Digli di preparare un caffe speciale per Luca. poi seguilo Lui ti porterà in un posto sicuro. Non tornare in biblioteca." Elena annuì, anche se lui non poteva vederla. "Sì," sussurrò. "Sì, capito." "E Elena," aggiunse Luca, la voce un filo più morbida, "non portare nulla. Solo te stessa. Ci vediamo dopo." La linea si interruppe. Elena riagganciò, le dita intorpidite. Guardò l'orologio sul muro: le dieci del mattino. Tre ore e mezza. Un'eternità. Un battito di ciglia. Ogni minuto che passava era un passo più vicino a Paolo, a quella sera al locale, alle mani estranee che l'avrebbero
rivendicata come merce. Ma per ora, tra i libri polverosi e il silenzio sacro della biblioteca, poteva fingere. Poteva respirare. Per ora, era al sicuro.

Il tempo trascorse a scatti, lento e implacabile. Ogni volta che la porta d'ingresso si apriva con uno scricchiolio, Elena sussultava, aspettandosi di vedere la figura torva di Paolo apparire tra le ombre degli scaffali. Ma erano solo studenti assonnati, pensionati in cerca di romanzi, madri con bambini. La normalità che le scivolava addosso come acqua su pietra. Carla le lanciò qualche occhiata preoccupata, ma Elena seppellì la testa nel lavoro, sistemando volumi con mani tremanti, catalogando con una concentrazione forzata che le bruciava gli occhi. Il biglietto da visita di Luca, nascosto nella tasca dei jeans, sembrava pulsare contro la sua coscia, un promemoria costante della follia che stava per commettere. Tradire Paolo. Fuggire. Il solo pensiero le gelava il sangue e al contempo le accendeva una fiammella di speranza disperata nel petto. Cosa l’aspettava? Un'altra trappola? O la libertà? E cosa significava libertà, senza quel dolore che ormai conosceva come l'unico modo per sentirsi viva, per sentirsi *piena*? Il vuoto dentro di lei si contorceva, confuso.
Alle tredici e venticinque, con un nodo in gola che quasi la soffocava, Elena sussurrò a Carla di avere un forte mal di testa e di dover uscire per prendere una pastiglia. "Torno subito," mentì, evitando lo sguardo penetrante della collega. L'aria fredda del pomeriggio la investì come uno schiaffo quando varcò la soglia della biblioteca. Il sole pallido filtrava tra le nuvole basse. Ogni passo verso la stazione centrale le pesava come un macigno, il cuore che le martellava alle tempie. *Paolo verrà a cercarmi. Troverà Luca. Ci ucciderà entrambi.* La paura era un sapore metallico in bocca. Ma il ricordo delle mani unte degli sconosciuti sul palco, del ghigno di Paolo mentre contava i soldi, la spinse avanti. Il bar di fronte alla stazione era un locale anonimo, con vetrine appannate e pochi avventori. L'odore di caffè bruciato e sigarette vecchie la avvolse quando entrò. Il bancone era deserto, tranne per un uomo massiccio con un grembiule macchiato che stappava una birra.
"Scusi," la voce di Elena tremò appena. "Sto cercando Aldo. Devo chiedergli... un caffè speciale per Luca." L'uomo la squadrò da capo a piedi, gli occhi piccoli e penetranti. Un attimo di silenzio carico. Poi un cenno brusco del capo. "Seguimi." La condusse dietro il bancone, attraverso una porta nascosta che conduceva a una ripida scala di servizio. L'odore di umido e detergente aggressivo le bruciò le narici. "Svelta," borbottò Aldo, spalancando una pesante porta metallica sul retro. Un furgone grigio, anonimo, motore acceso, aspettava nel vicolo. Al volante, il profilo di Luca si stagliava contro il vetro. I suoi occhi azzurri la cercarono nello specchietto retrovisore, un lampo di sollievo nel loro fondo. "Salta dentro, Elena. Ora." Aldo le diede una spinta gentile ma decisa sulla schiena. Il portellone si chiuse con un tonfo sordo. Il furgone partì con uno strattone, lasciando il vicolo e il bar, e forse la sua vecchia vita, in una scia di fumo grigio. Elena si accasciò sul sedile posteriore, le mani che tremavano ancora. Fuori, la città scorreva via, un flusso indistinto di volti e luci. Paolo non la avrebbe mai trovata. O forse sì? Il terrore e la speranza si scontravano nel suo petto come onde in tempesta.
Il viaggio durò un'eternità. Attraversarono la periferia, poi la campagna, strade sempre più strette e alberi sempre più fitti. Il sole era ormai basso quando il furgone svoltò in un lungo viale alberato, fiancheggiato da cipressi alti e scuri. Alla fine, una cancellata di ferro battuto si aprì silenziosa. Oltre, una villa imponente si ergeva su una collina, le finestre illuminate da una luce calda contro il cielo violaceo della sera. Luca parcheggiò davanti al portone principale in pietra. "Siamo arrivati," disse, la voce finalmente rilassata. Scese e le aprì lo sportello. "Benvenuta a casa mia." Un'onda di silenzio avvolse Elena. Solo il fruscio del vento tra le foglie e il canto lontano di un usignolo. Niente clacson, niente voci urlate, niente odore di asfalto bruciato. Solo pace. Un lusso che aveva dimenticato. Luca la guidò verso l'ingresso, una mano leggera sulla sua schiena. "Qui starai al sicuro," ripeté, aprendo la porta massiccia. Un ampio ingresso in marmo si aprì davanti a loro, scaloni maestosi, soffitti alti affrescati. "Rilassati per qualche giorno. Respira. Poi, solo quando ti sentirai pronta, decideremo cosa fare."
L'attraversò come in un sogno. Il pavimento di marmo lucido rifletteva le luci dei lampadari a bracci, enormi e scintillanti. Profumo di legno antico, di cera, di fiori freschi in un grande vaso cinese su un tavolino intarsiato. Un silenzio sacro, rotto solo dai loro passi. Luca la condusse in un salone enorme, con divani profondi in velluto bordeaux e scaffali colmi di libri che salivano fino al soffitto. Un fuoco crepitava nel camino di pietra, proiettando ombre danzanti. "Siediti, per favore," indicò un divano. "Ti porto qualcosa di caldo." Elena obbedì, affondando nella morbidezza. Guardò le fiamme, il modo in cui la luce giocava sui dorsi dei libri. Era come essere catapultata in un altro universo. Lontano anni luce dal sudore del locale, dall'odore di sperma e disinfettante, dalla violenza greve di Paolo. Un fremito le percorse la schiena, non di paura questa volta, ma di incredulità. Quando Luca tornò con una tazza di tè fumante, lei la strinse tra le mani gelide, sentendo il calore penetrarle le ossa. "Grazie," sussurrò, la voce roca per l'emozione.
Lui si sedette di fronte a lei, su una poltrona. Non le stava addosso, non la fissava con quel possesso famelico di Paolo. I suoi occhi azzurri erano calmi, attenti. "Elena," iniziò, il tono basso, rassicurante. "Puoi dirmelo, se vuoi. Come sei finita nelle mani di Paolo?" La domanda cadde nel crepitio del fuoco. Elena chiuse gli occhi. Il tè scottava le sue labbra, ma il sapore era buono, pulito. "Debiti," rispose, la parola un sospiro. "Mio marito ha peso centomila euro a Poker con Paolo, aveva assicurato il pagamento entro una settimana. E io... sono diventata la garanzia." Raccontò, a pezzi, con voce monotona. Quando Paolo venne a casa loro a riscuotere la vincita. Mio marito non aveva i soldi e ha dovuto cedermi a lui. La prima volta che Paolo aveva messo le mani su di le era stato squallido aveva dovuto soddisfarlo prima con la bocca e poi lui aveva preteso il suo culo e inaspettatamente era riuscito a a farla godere come non aveva mai goduto prima. Giovanni, mio marito, aveva un'altra settimana per saldare il suo debito o io sarei diventata di proprietà di Paolo come poi è accaduto visto che la banca aveva rifiutato il mutuo con cui sperava di saldare. "All'inizio era solo orrore. Poi..." Esitò, la vergogna che le bruciava le guance. "Poi, a poco a poco, il possesso di Paolo... è diventato indispensabile." Guardò il fuoco, incapace di sostenere lo sguardo di Luca. "Il piacere che mi procurava... quel dolore che bruciava e insieme... riempiva. Un vuoto che solo lui sapeva colmare. Ne sono diventata dipendente. Non riesco più a farne a meno." L'ammissione le uscì in un soffio, un segreto osceno svelato in quel luogo di luce e ordine.
Luca non si scostò. Non mostrò disgusto. Annuì lentamente, come se stesse assimilando ogni parola. "E tuo marito?" chiese, con delicatezza. "Giovanni. Dove è ora? L'hai sentito dopo... dopo che Paolo ti ha preso definitivamente?" Il nome cadde come un sasso nello stagno silenzioso del salone. Elena strinse la tazza, le nocche bianche. "L'ho allontanato da me," sibilò, la voce improvvisamente dura, tagliente. "Non voglio più vederlo. Mai più." Il ricordo di Giovanni, in ginocchio sul pavimento del bagno, intento a masturbarsi pensando a lei col cazzo di Polo nel culo, le tornò con violenza. La sua debolezza, il suo tradimento silenzioso mentre Paolo la possedeva nel loro letto. "È stato lui a consegnarmi a Paolo. È stato lui a non fare nulla mentre... mentre tutto accadeva. È vigliacco. Peggio di Paolo. Paolo almeno è onesto nella sua brutalità. Giovanni..." Scosse la testa, un gesto di repulsione definitiva. "È morto per me. Non esiste più." Il rancore le serrò lo stomaco, più familiare, più confortante della pace che la circondava.
Il silenzio che seguì fu lungo, rotto solo dal crepitio delle fiamme. Luca osservò il dolore scolpito sul viso di Elena, la tensione nelle spalle curve. Poi, la domanda arrivò, inaspettata, diretta, senza giudizio: "E adesso? Qui, in questo momento... hai ancora voglia di Paolo?" La voce era calma, quasi clinica. Elena trasalì come se l'avesse schiaffeggiata. La tazza di tè le tremò tra le mani, un po' del liquido caldo le schizzò sulla pelle. *Hai ancora voglia di Paolo?* La domanda le rimbombò dentro, crudele nella sua semplicità. Chiuse gli occhi. Sentì il fantasma del cazzo di Paolo scivolarle nel retto, quella sensazione di pienezza straziante e necessaria. Sentì il sapore del suo seme in gola, denso, salato, il segno tangibile del suo possesso. Un brivido caldo, umiliante, le percorse la schiena. Il vuoto nel basso ventre si fece improvvisamente acuto, pulsante. Era lì, sempre lì, anche in quella villa sontuosa, anche davanti a quell'uomo gentile. La dipendenza era una radice avvelenata che non si estirpava con un cambio di scenario. Aprì gli occhi, lo sguardo perso nel fuoco. "Sì," sussurrò, la parola un'ammissione rovente. "Lo odio. Lo temo. Ma... il mio corpo lo reclama. Quella violenza... mi ha plasmata. Senza... senza quella pienezza, quel dolore che diventa piacere... mi sento vuota. Perduta." La vergogna le incendiò il volto. Si aspettava disgusto, pietà, in Luca.
Luca non batté ciglio. Si alzò lentamente dalla poltrona, un'ombra alta e composta contro la luce del camino. Si avvicinò, non minaccioso, ma con una presenza solida. Si fermò davanti a lei, i suoi occhi azzurri che la fissavano con un'intensità nuova. "Capisco," disse, la voce bassa, più scura. "Non è di Paolo che hai bisogno. È del suo cazzo. Del modo in cui ti riempie, ti strazia, ti marca. Del sapore del suo sperma che ti ricorda chi possiede quel buco." Le parole erano crude, esatte, un bisturi che sezionava la sua vergogna. Elena trattenne il fiato, paralizzata. Luca continuò, il tono diventando un ordine morbido, inesorabile: "Alzati." Un brivido di terrore e di eccitazione la percorse. Obbligò le gambe tremanti a muoversi, a sollevarla dal divano. Luca le fu addosso in un istante. Non con la furia animale di Paolo, ma con una determinazione glaciale. Una mano le afferrò la nuca, costringendole il viso verso il basso. L'altra le aprì i pantaloni con gesti rapidi, efficienti. "Apri la bocca," ordinò, senza alzare la voce. Il sibilo della cerniera fu l'unico suono. Elena obbedì, un gemito strozzato in gola. Il cazzo di Luca era già duro, imponente, sporgente dalla sua apertura dei pantaloni. Non aveva la brutalità immediata di Paolo, ma emanava un'autorità diversa, più controllata, più pericolosa. "Succhia. Fino in fondo. Come faresti per lui." La punta le sfiorò le labbra. Un odore pulito, maschile, diverso dal sudore greve di Paolo. Ma il comando era lo stesso. Il bisogno dentro di lei esplose, primordiale. Si gettò avanti, afferrandolo con le labbra, spingendosi giù con la disperazione di chi cerca l'unica ancoraggio conosciuto. Il vuoto tremò, minacciato dalla pienezza imminente. La sua lingua strisciò lungo la vena pulsante, il suo riflesso condizionato dal desiderio e dalla sottomissione che Paolo aveva instillato. Luca emise un sibilo, le dita che si serrarono nei suoi capelli, guidandola con fermezza. "Più a fondo. Voglio sentirti soffocare."
Mentre succhiava, con le lacrime agli angoli degli occhi per lo sforzo, Elena si rese conto con un lampo di stupore. Il cazzo di Luca era più grosso di quello di Paolo. Più lungo, più spesso, un peso massiccio che le riempiva la bocca e la gola in un modo nuovo, quasi opprimente. Non era solo la dimensione fisica; era la sensazione di un potere diverso, più concentrato, più consapevole. Non la spingeva giù con violenza, ma la teneva lì, permettendole di sentire ogni millimetro, ogni pulsazione, ogni dettaglio della sua dominazione. Era un possesso più profondo, più totale. Quando sentì il suo corpo irrigidirsi, le dita serrarsi ancora di più nei suoi capelli, Elena si preparò al solito schianto amaro e salato. Ma Luca non eiaculò. Si ritrasse lentamente, lasciandola ansimare, la saliva che le colava dal mento. La guardò dall'alto, il suo sguardo azzurro che la trapassava. "Da oggi," disse, la voce un ruggito soffocato carico di una promessa irrevocabile, "sarai mia." Elena tremò, aspettandosi la solita dichiarazione di proprietà. Ma le sue parole successive la fulminarono: "Non come schiava." Una pausa carica di elettricità. "Ma come padrona. Compagna. Amante. Complice." Il mondo sembrò inclinarsi. Padrona? Complici? Luca si chinò, le sue labbra sfiorarono il suo orecchio, un alito caldo che le fece rabbrividire. "Non sentirai la mancanza di Paolo," sussurrò, la certezza assoluta in ogni sillaba. "Io saprò soddisfare ogni tua voglia, ogni tuo desiderio. Più profondamente di quanto lui abbia mai potuto sognare. E lo farò mentre ti rendo forte. Mentre ti rendo mia pari." La mano le carezzò la guancia, un gesto che era insieme possesso e promessa di redenzione. "Cominciamo ora."
Le sue dita scesero lungo il collo di Elena, poi oltre, verso la cintura dei suoi pantaloni. Non con la fretta brutale di Paolo, ma con una lentezza studiata, deliberata. Ogni movimento era un messaggio: il controllo era suo, ma lei non era più un oggetto. Era un progetto. Un capolavoro da plasmare. "Ti mostrerò," continuò Luca, mentre la stoffa cedevano sotto la sua pressione sicura, "che il vuoto che senti non si riempie solo con il dolore. Si riempie con il potere. Con la complicità. Con la mia volontà che diventa la tua forza." La mano di Luca entrò nei suoi pantaloni, toccando la pelle nuda sotto la stoffa. Elena trattenne il fiato. Non era una carezza. Era una rivendicazione. "E con questo," aggiunse, le dita che si insinuarono più in profondità, verso il calore umido che aveva iniziato a pulsare nonostante la confusione, "ti dimostrerò che posso darti un piacere che Paolo non ha mai nemmeno immaginato." Un brivido la percorse, non di terrore, ma di un'anticipazione folle, vertiginosa. Il vuoto dentro di lei tremò, non più un abisso, ma una tela pronta per essere dipinta di nuovo.
I giorni che seguirono furono un vortice di sensazioni contrastanti. La villa era un rifugio di lusso, ma anche un campo di addestramento. Luca non la toccò subito di nuovo. La nutrì di cibo buono, la fece dormire in un letto enorme, la portò a camminare nei giardini profumati di rose e lavanda. Parlavano. Di tutto. Del vuoto, del desiderio distorto, della rabbia repressa verso Giovanni, della paura che Paolo incuteva. Luca ascoltava, senza giudizio, ma senza pietà. Poi, lentamente, le lezioni iniziarono. Non di sottomissione, ma di dominio. Le insegnò a guardare negli occhi senza abbassare lo sguardo. A respirare quando il panico montava. A riconoscere il potere che aveva nel suo stesso corpo, nei suoi desideri. "La tua debolezza per Paolo," le disse una sera, mentre il fuoco crepitava di nuovo nel camino, "nasce dalla tua forza repressa. È un fiume deviato. Io ti insegnerò a farlo scorrere nella giusta direzione." E quando la toccava, era per insegnarle il piacere del consenso, della reciprocità, dell'attesa che esaspera e poi esplode. Un piacere diverso, più profondo, più totale. Che non cancellava il ricordo di Paolo, ma lo rendeva... piccolo. Insufficiente.
Una sera, dopo una cena silenziosa sotto le stelle sul terrazzo, Elena rimase a guardare l'orizzonte viola. Il vento le accarezzava i capelli. Sentiva una calma strana, una chiarezza nuova. Luca era seduto accanto a lei, un bicchiere di vino in mano. La osservava, come sempre. Ma quella sera, Elena non sentì il bisogno di abbassare gli occhi. Si voltò verso di lui. La luce della luna piena illuminava il suo profilo deciso, gli occhi azzurri che sembravano catturare tutta la luce notturna. Dentro di lei, qualcosa si era assestato. Il vuoto non urlava più. Era ancora lì, ma non era più un abisso da riempire disperatamente con dolore e seme. Era uno spazio che aspettava di essere riempito con qualcosa di diverso. Con la sua stessa forza, finalmente riconosciuta. Con la complicità che Luca offriva. Con un piacere che non umiliava, ma elevava. Respirò a fondo, l'aria fresca che le riempiva i polmoni. Poi, le parole uscirono, chiare, ferme, senza un tremito: "Io penso di essere pronta." Una pausa. Luca la fissò, immobile, in attesa. Elena sorrise, un sorriso nuovo, appena abbozzato ma vero. "Disse una sera Elena: 'Voglio stare con te'. Non come vittima salvata. Non come schiava redenta. Ma come compagna. Come complice." Il silenzio che seguì fu carico di tutto. Luca posò lentamente il bicchiere. I suoi occhi brillarono di un'intensità feroce, orgogliosa. "Allora," sussurrò, alzandosi e tendendole una mano, "cominciamo davvero." La sua mano era calda, forte. Quando la strinse, Elena sentì un brivido di potere, non di sottomissione. Era pronta. Per la prima volta, era pronta per tutto.
Luca la guidò attraverso corridoi silenziosi, fino a una porta di quercia scura che non aveva mai visto. Dentro, una stanza spoglia, illuminata solo da candele. Pavimento di legno lucido. Un grande specchio su una parete. Nessun letto. Nessun divano. Solo spazio, e silenzio. "Questa è la stanza delle verità," disse Luca, la voce bassa ma che riempiva l'aria. "Qui non ci sono finzioni. Solo quello che siamo. Quello che vogliamo." Si voltò verso di lei. "Dimmi esattamente cosa desideri. Adesso. In questo momento." Elena chiuse gli occhi. Sentì il ricordo del cazzo di Paolo, la violenza, la degradazione. Ma sentì anche la mano ferma di Luca sulla sua schiena, la sua pazienza, il potere che le aveva insegnato a riconoscere dentro di sé. Aprì gli occhi. Li fissò negli azzurri di Luca, senza paura. "Voglio che tu mi prenda," disse, la voce ferma, chiara come cristallo. "Non come Paolo. Non con violenza. Ma con tutto il potere che hai. Con tutto il desiderio che hai per me. Voglio sentire che mi possiedi mentre mi rendi forte. Voglio il tuo seme. Non per riempire un vuoto. Ma come sigillo. Come promessa." Luca sorrise. Un sorriso feroce, bellissimo. "Allora togliti i vestiti," ordinò, il tono un comando che era anche un invito. "E mostrami chi sei diventata." Elena obbedì, senza fretta, senza vergogna. Ogni pezzo di stoffa che cadeva era un pezzo di passato che lasciava andare. Quando fu nuda sotto lo sguardo di fuoco di Luca, sentì un'ondata di potere. Non era più merce. Era Elena. E stava per reclamare tutto.
Luca non si mosse subito. La osservò, come un artista osserva la tela prima di iniziare. Poi, con gesti lenti, si sfilò la camicia, poi i pantaloni. Il suo corpo era scolpito, potente. Il cazzo già eretto, una colonna di carne che prometteva piacere e dominio. Si avvicinò. Non la afferrò. Le offrì una mano. "Vieni," sussurrò. La condusse davanti allo specchio. "Guarda." Elena vide se stessa riflessa. Nuda. Vulnerabile. Ma negli occhi c'era una luce nuova. Fiamma, non cenere. Vide Luca dietro di lei, le mani che le scendevano lungo i fianchi, le braccia che la circondarono senza stringere. "Questo," disse, le labbra che sfioravano la sua nuca, "è il potere del consenso. Del desiderio condiviso." Una mano scese tra le sue gambe, le dita abili che trovarono il punto caldo, umido, pulsante. Non fu una penetrazione brutale. Fu un'esplorazione lenta, profonda, che la fece gemere e inarcarsi contro di lui. Sentì il cazzo duro di Luca premere contro le sue natiche. "Ti voglio qui," sussurrò lui, una mano che le sollevava un fianco, guidandola nella posizione. "Non perché te lo impongo. Perché tu lo vuoi." Elena annuì, senza parole, offrendosi. Quando entrò, fu un'ondata di pienezza che non era dolore, ma conquista. Ogni spinta era un accordo. Ogni gemito un inno alla nuova Elena. Lo specchio rifletteva la loro unione: non predatore e preda, ma due volontà che bruciavano insieme. Luca la teneva stretta, il suo respiro caldo sul suo collo. "Sei mia," ringhiò, il ritmo che aumentava. "E io sono tuo." Elena urlò quando raggiunse l'orgasmo, un suono di liberazione. Poi sentì lo schiocco caldo dentro di sé, il seme di Luca che la riempiva come un sigillo di fuoco sul loro patto. Guardò lo specchio. Vide la sua padrona. Vide la sua compagna. Vide se stessa. Finalmente intera.
Il silenzio che seguì fu denso, rotto solo dai loro respiri affannati. Luca rimase dentro di lei, le braccia ancora strette intorno al suo corpo tremante. La sua fronte era appoggiata alla sua spalla, il calore del suo respiro un brivido sulla pelle sudata. Elena fissava il loro riflesso nello specchio annebbiato. Il suo viso era arrossato, gli occhi lucidi, ma non per la vergogna. Per uno stupore nuovo. Il seme di Luca le colava lungo le cosce, una sensazione calda, diversa dal marchio di Paolo. Era un dono. Un pegno. Non una violazione. Luca si ritrasse lentamente, con un sospiro roco. Le mani le carezzarono i fianchi, un tocco possessivo ma riverente. "Ecco," sussurrò, voltandola verso di sé. I suoi occhi azzurri erano tempeste di soddisfazione feroce. "Hai visto? Il potere che hai quando scegli." Le sue dita tracciarono una linea di seme sul suo addome, poi la portò alle sue stesse labbra. "Assapora. Questo è il tuo dominio. Non la sua umiliazione." Elena obbedì, chiudendo gli occhi. Il sapore era pulito, maschile. Forte. Non le ricordò Paolo. Le ricordò Luca. E se stessa, nuda e potente davanti allo specchio. Un brivido di possesso la percorse. Non era più vuota. Era piena di lui. Di sé. Di un futuro dipinto con il loro desiderio condiviso. "Sì," sussurrò, aprendo gli occhi e fissandolo con una sfida nuova, un sorriso appena accennato che prometteva complicità e fuoco. "Il mio culo è tuo. E tutto il resto. Perché io lo voglio." Luca rise, un suono basso e soddisfatto. "Allora prepariamoci," disse, la mano che le strinse il mento con dolce fermezza. "La prossima lezione comincia adesso."
Luca le passò un accappatoio di seta pesante. "Indossa questo. Abbiamo cose da fare." La sua voce era calma, ma gli occhi brillavano di un'intenzione precisa. Elena avvolse la seta intorno al corpo, il tessuto fresco che aderiva alla pelle ancora sensibile. Luca si vestì con movimenti efficienti, ogni gesto un'affermazione di controllo. Non la guidò verso la camera da letto, ma attraverso corridoi silenziosi, fino a uno studio ampio e austero. Librerie di quercia scura, una scrivania massiccia. Sulla parete opposta alla finestra, un grande schermo piatto era spento. Luca si sedette dietro la scrivania, indicandole una poltrona di pelle di fronte a sé. "Siediti." Non era un ordine brutale, ma un comando che presupponeva obbedienza. Elena obbedì, sentendo la seta scivolarle sulle cosce. La stanza era fredda, l'aria immobile. Luca accese lo schermo con un telecomando. L'immagine che apparve la gelò. Era una ripresa fissa, notturna, della porta d'ingresso della villa. Illuminata dai fari di un'auto nera, ferma appena oltre il cancello principale. La figura che ne usciva, alta, con un'impermeabile scuro e un passo sicuro, inconfondibile anche nella bassa risoluzione. Paolo. Elena trattenne il respiro, le unghie che affondarono nel tessuto dell'accappatoio. Il terrore antico le serrò lo stomaco, un serpente che si svegliava. Paolo si avvicinò al cancello, scrutando l'oscurità oltre la recinzione elettrificata. La sua espressione, anche a distanza, era una maschera di rabbia fredda, determinata. Cercava. Cercava lei. Luca osservava la scena, impassibile. "Sapevo che sarebbe arrivato," disse, la voce un rasoio nel silenzio. "Più presto di quanto pensassi. La sua merce gli sfugge. E questo non lo può tollerare." Lo sguardo si spostò su Elena. "Dimmi, Elena. Adesso che lo vedi... cosa provi? Vuoi ancora il suo cazzo? Vuoi tornare al dolore che ti riempiva?" La domanda era un pugnale.
Elena fissò lo schermo. Paolo stava picchiettando sul citofono, poi, non ricevendo risposta, prese a calci il cancello con furore impotente. Un cane ringhiò da qualche parte nella notte. Vide la sua stessa immagine riflessa nel vetro nero dello schermo: pallida, avvolta nella seta, ma con gli occhi che non fuggivano più. Sentì il fantasma del dolore passato, il bisogno distorto che Paolo aveva nutrito. Ma sentì anche il calore del seme di Luca dentro di lei, il potere del consenso appena vissuto. Il vuoto non urlò per Paolo. Urlò per altro. Per la sicurezza. Per la vendetta. Per Luca. Scosse la testa, lentamente, senza staccare gli occhi dallo schermo. "No," sussurrò, poi la voce si fece più ferma, chiara come il cristallo nella stanza fredda. "Il mio culo è tuo, Luca. Solo tuo. E il tuo cazzo... sarà solo mio." Le parole uscirono senza esitazione, un giuramento nel buio. "Lui... è solo un'ombra. Un ricordo sporco." Guardò Luca negli occhi azzurri, accendendosi di una fiamma nuova. "Fallo sparire."
Luca sorrise. Un sorriso freddo, pericoloso. Premette un pulsante sul telecomando. Sul monitor, il cancello principale si aprì con un sibilo metallico. Paolo esitò un attimo, guardandosi intorno con sospetto, poi varcò la soglia con passo sicuro, l'impermeabile che gli sventolava. Luca si alzò. "Resta qui," ordinò a Elena, il tono un comando assoluto. "Guarda tutto." Uscì dallo studio, lasciando la porta socchiusa. Sul grande schermo, l'immagine si divise in piccoli riquadri: la hall d'ingresso, il corridoio, il salone con il camino spento. Elena vide Luca scendere le scale con calma sovrana, la sua figura elegante e letale che si dirigeva verso l'ingresso principale. Il cuore di Elena martellava, non di paura per sé, ma di un'ansia feroce per Luca. Cosa avrebbe fatto Paolo? Aveva sempre una pistola, o un coltello.

Nella hall, Paolo e Luca si trovarono faccia a faccia. Paolo, più alto e massiccio, sembrava un toro pronto alla carica. "Dov'è?" ruggì, la voce distorta dagli altoparlanti del sistema di sicurezza. "Dov'è la mia puttana?" Luca rimase immobile, le mani in tasca. "Nessuna puttana qui," rispose, la voce un filo di ghiaccio. "Solo una donna che ha scelto di non essere tua." Paolo fece un passo avanti, minaccioso. "La riprendo. È mia. Pagata." Sul monitor, Elena vide la mano di Paolo scivolare verso la cintola, sotto l'impermeabile. Un brivido gelido le attraversò la schiena. "Attento!" voleva urlare, ma la voce le morì in gola. Luca non si mosse. "Sei in casa mia, Paolo," disse, calmo. "E qui le regole le faccio io." La tensione nell'aria, anche attraverso lo schermo, era tagliente come una lama.
Paolo estrasse un coltello a serramanico, la lama che luccicò sinistra sotto le luci della hall. "Ti apro come un maiale," ringhiò, avanzando. Luca non indietreggiò. Con un movimento fluido, quasi elegante, schivò la prima stoccata. Le immagini a schermo si inseguivano: Luca che ruotava su se stesso, afferrando il polso armato di Paolo con una presa che sembrava d'acciaio. Un colpo secco, un grido
strozzato. Il coltello cadde sul marmo lucido con un tintinnio metallico. Paolo barcollò, la faccia contratta dal dolore e dalla rabbia. "Cazzo!" urlò, tentando di liberarsi. Luca lo immobilizzò con una leva al braccio, costringendolo a piegarsi in avanti. "Hai sbagliato casa," sussurrò Luca, la voce un ronzio minaccioso che il microfono catturò perfettamente. "E hai sbagliato donna." Elena trattenne il fiato, le dita che affondavano nella poltrona. Sul volto di Paolo, nello schermo, vide lo stesso terrore che lei aveva conosciuto. Ma ora, era dolce. Era giusto.
Luca lo trascinò verso l'uscita. Paolo zoppicava, il braccio tenuto in una morsa implacabile. Alla porta, Luca lo spinse contro il telaio. "Ora," disse, la voce bassa ma tagliente come la lama caduta, "se vuoi uscire con i tuoi piedi da questa casa, ripeti dopo di me." Paolo ansimò, gli occhi iniettati di sangue. "Vaffanculo!" Luca serrò la presa. Un gemito soffocato. "Ripeti. Parola per parola." Elena si sporse in avanti, il cuore in gola. "Elena non è più mia," iniziò Luca. Paolo tossì, cercando di resistere. La pressione aumentò. "Elena... non è più mia," borbottò Paolo, la voce roca. "Ora è la tua donna," continuò Luca. "Ora è la tua donna." "È libera di fare quello che vuole." Paolo ripeté, meccanicamente. "Ed io non la cercherò mai più. Il suo debito è saldato." "Il suo debito è saldato," mormorò Paolo, la testa china. Luca mollò la presa. Paolo si strinse il braccio dolorante, livido già in formazione. Senza un altro sguardo, si diresse barcollando verso il cancello aperto.
Luca lo seguì con lo sguardo, immobile come un predatore. "Ricorda, Paolo," chiamò, la voce che risuonò nella notte silenziosa. Paolo si fermò, voltandosi di scatto. "Se la cerchi ancora, farai una brutta fine." Una pausa carica di minaccia. "E sai che non scherzo." Paolo annuì, un movimento rapido, nervoso. "E se la incontri per strada," aggiunse Luca, scandendo ogni sillaba, "salutala con rispetto. Come si deve ad una signora." I suoi occhi azzurri erano ghiaccio. "La mia signora." Paolo abbassò lo sguardo. Un fremito di odio impotente gli attraversò le spalle. Poi, voltandosi di nuovo, scomparve nell'oscurità oltre il cancello.
Luca rimase sulla soglia, il profilo tagliente contro la luce della hall. Sul monitor, Elena lo vide premere un pulsante sul citofono. Il cancello si richiuse con un clangore metallico definitivo. Un lucchetto elettronico scattò. Paolo era fuori. Rinchiuso fuori dalla sua vita. Un sollievo le esplose nel petto. Le mani le tremavano ancora, ma ora era adrenalina, non terrore. Guardò Luca voltarsi e risalire le scale, il passo sicuro, calmo. Il suo riflesso nello schermo mostrava occhi dilatati, le labbra socchiuse. Non era finita, sapeva. Ma Paolo era stato umiliato. Reso piccolo. E lei era al sicuro. Dentro le mura di Luca. Dentro la sua protezione feroce.
Quando Luca entrò nello studio, Elena non ci pensò due volte. Si lanciò verso di lui, le braccia che gli si avvinghiarono al collo con una forza disperata. Lo baciò. Non un bacio timido, ma un’affermazione bruciante, un vortice di gratitudine e desiderio che le strappò un gemito. Sentì le sue labbra rispondere, prima sorprese, poi avide, possessive. "Grazie, amore," sussurrò contro la sua bocca, la voce rotta dall’emozione. Poi, come colta da un brivido improvviso, si ritrasse di scatto. Gli occhi pieni di un timore nuovo. "Scusa... ti ho chiamato 'amore'. Forse non dovevo. Non so se..." Le parole si strozzarono. Era un termine troppo dolce? Troppo intimo? Troppo presto? Lui le aveva offerto potere, complicità, ma "amore" sembrava appartenere a un altro mondo. Un mondo che lei non conosceva più.
Luca non le permise di finire. Una mano le afferrò il mento, con quella dolce fermezza che ormai conosceva. I suoi occhi azzurri la trafissero, un misto di possessività e una luce inaspettatamente calda. "Non scusarti mai per come mi chiami," disse, la voce un ruggito soffocato. "Sei mia. E io sono tuo. 'Amore'... è perfetto." Il pollice le sfiorò il labbro inferiore, un tocco che fece fremere tutto il suo corpo. "È la prima cosa vera che mi hai dato. E la tengo." Un silenzio carico di elettricità avvolse la stanza. Elena sentì il terrore per Paolo dissolversi come fumo, sostituito da un’ondata di possesso così intensa da farle girare la testa. Era sua. Veramente sua.
Poi, senza preavviso, Luca la fece girare con un gesto deciso. Le mani di lui le sollevarono lo spigolo posteriore dell’accappatoio di seta, scoprendole le natiche fino alla vita. Un brivido le percorse la schiena, non di freddo, ma di attesa bruciante. Con un movimento fluido, Luca le abbassò le mutandine di pizzo che aveva indossato sotto la seta. Il tessuto scivolò lungo le gambe, un fruscio sommesso nell’aria immobile dello studio. "Piega," ordinò, la voce un basso comando che era promessa. "Appoggia le mani alla scrivania." Elena obbedì, piegandosi in avanti, le palme piatte sul legno lucido e freddo della grande scrivania. Sentì l’aria sulla pelle nuda, esposta, offerta. Il cuore le martellava contro le costole. Non c’era paura. Solo un desiderio acuto, un vuoto che urlava per essere riempito da lui, da quel potere che era diventato la sua salvezza e la sua forza.
Con un gesto sicuro, possessivo, Luca la penetrò. Non fu un’invasione, ma un’affermazione. Un’unione. La sua entrata fu decisa, profonda, un’ondata di pienezza che trafisse Elena fino al midollo. Un gemito le sfuggì, lungo, roco, che si trasformò in un respiro spezzato di estasi. Era diverso da tutto. Non la violenza greve di Paolo, ma il dominio consapevole di Luca, che conosceva ogni fibra del suo essere e la desiderava così, aperta, vulnerabile eppure potente nella sua sottomissione scelta. "Sì," sibilò Elena contro il legno, le dita che si aggrappavano al bordo della scrivania. "Amore… prendi quello che è tuo. Sfondami. Aprimi." Ogni parola era un inno, una preghiera. Sentiva il suo corpo aprirsi, accogliere, bruciare. Era un atto d’amore feroce, un sigillo sul patto di sangue e desiderio che li legava.
Luca non tratteneva il respiro, lo espirava in sibili caldi contro la sua nuca. Le sue mani, salde sui suoi fianchi, la guidavano all’indietro contro di lui con ritmo implacabile. Ogni spinta era una conquista, ogni ritiro una promessa di ritorno. "Sei mia," ringhiò, la voce un tuono soffocato carico di una passione primordiale. "Tutta mia. Per sempre." Le sue dita si insinuarono tra le sue, sopra la scrivania, intrecciandosi in una presa che era ancoraggio e sfida. Elena sentì l’orgasmo montare non come un’esplosione improvvisa, ma come una marea inesorabile, alimentata dal possesso totale di Luca, dalla sicurezza delle sue braccia, dalla ferocia del suo amore. Urlò quando la raggiunse, un suono libero che echeggiò nello studio austero, mentre il corpo le si irrigidiva in un arco perfetto sotto la sua spinta.
Luca non rallentò. La sentì stringersi intorno a sé, spasimare, e affondò ancora più profondamente, come se volesse fondersi con lei. Il suo respiro divenne un rantolo, le dita che serravano le sue fino a farle male. "Ecco... prendi tutto," gemette contro la sua schiena sudata, il corpo che iniziava a tremare. "Il mio seme... il mio marchio... dentro di te. Per sempre." L’ultima spinta fu un colpo secco, un’immissione profonda, caldissima, che fece sobbalzare Elena. Un lungo, basso gemito gli sfuggì dalle labbra mentre la riempiva, onda dopo onda, un torrente caldo che sigillava la sua promessa, il suo dominio, la sua appartenenza. Lei sentì quel calore diffondersi, un fiume di possesso che non umiliava, ma consacrava. Chiuse gli occhi, abbandonandosi al tremore che li scuoteva entrambi, uniti in quel momento feroce e sacro.
Rimasero così, appoggiati alla scrivania, mentre il respiro affannoso si placava lentamente. Il calore del seme di Luca le colava lungo le cosce interne, una sensazione primitiva, un sigillo. Lui si ritrasse con un sospiro roco, le mani che le carezzarono i fianchi con una possessività nuova, più profonda. "Alzati," sussurrò, aiutandola con ferma dolcezza. Quando lei si voltò, le labbra di Luca la catturarono in un bacio che non era più furia, ma un’affermazione solenne. Gustò il sale del suo sudore, la sua stessa essenza su quelle labbra. "Ora sei veramente mia," mormorò, gli occhi azzurri che la trafiggevano con un’intensità bruciante. "Nessuno ti toccherà mai più. Sei libera. Sei forte. Sei mia signora." Le sue dita tracciarono una linea di seme sulle sue cosce, poi lo portarono alle sue labbra. "Assapora la tua vittoria."

Elena obbedì, chiudendo gli occhi. Il sapore era acre, maschile, potente. Non le ricordò Paolo. Le ricordò la resa di Paolo, il terrore nei suoi occhi mentre ripeteva quelle parole umilianti. Le ricordò la propria forza, riflessa nello specchio, mentre Luca la prendeva. Aprì gli occhi, fissandolo con uno sguardo che non chiedeva più, ma comandava. "Il mio culo è tuo, amore. E il tuo seme è mio. Perché io lo voglio." Un sorriso feroce le sfiorò le labbra. "Ora, portami a letto. Voglio che mi addormenti dentro di me. Voglio svegliarmi piena di te."

Luca la sollevò come un giocattolo prezioso. Nella camera da letto, la luce lunare filtrava dalle imposte. La adagiò sul letto, l'accappatoio che si aprì come un fiore di seta scura. Non ci fu fretta. Le mani di lui esplorarono ogni curva, ogni cicatrice, ogni segno del passato che ora era solo una mappa della sua rinascita. Quando la penetrò di nuovo questa volta nella sua fica calda e umida, fu un possesso lento, profondo, un ritmo ipnotico che sembrava scandire "mio-tua-mio-tua". Elena lo avvolse con le gambe, le unghie che gli scavarono la schiena. "Più forte," sussurrò. "Fammi sentire chi sono. Chi siamo." Luca obbedì, il respiro che diventò un ringhio. "Riempimi, mettimi incinta, voglio un figlio da te." Luca la riempì con amore per fecondarla, Un figlio che avrebbe riempito la loro vita e reso viva quella villa da troppo tempo silenziosa.

L'alba trovò Elena sveglia, il corpo ancora vibrante, il grembo ancora caldo del seme di Luca che dormiva profondamente accanto a lei, un braccio possessivo intorno alla sua vita. Si alzò in silenzio, nuda, e si affacciò alla finestra. Il cancello era chiuso, il vialetto deserto. Paolo era un fantasma dissolto nella notte. Sentiva il peso di Luca dentro di lei, non come una catena, ma come una radice. Scese in cucina. Preparò il caffè, i movimenti sicuri, fluidi. Quando tornò nella camera, Luca si era svegliato. La guardò avvicinarsi, il vassoio in mano, i suoi occhi azzurri che la scrutavano con un misto di desiderio e orgoglio. "Buongiorno, amore," disse Elena, posando il vassoio sul comodino. "La tua signora ti serve il caffè." Sorrise, un sorriso che non aveva più ombre. "E dopo, forse, potrei servirti in altro modo."

Luca sorrise a sua volta, un lampo di feroce tenerezza. La tirò a sé sul letto, rovesciando quasi il caffè. "Prima il caffè," sussurrò contro il suo collo, le dita che già esploravano la curva del suo fianco. "Poi... tutto il resto." Bevvero in silenzio, gli sguardi che si incrociavano carichi di un'intesa nuova, fatta di dominio condiviso e di una complicità che bruciava più forte di ogni violenza subita. Elena sentiva il potere scorrere nelle sue vene. Non era più la vittima, né la schiava. Era la compagna. La complice. La signora di quella villa e del suo signore. Il vuoto non urlava più. Era colmo. Di Luca. Di sé stessa. Di un futuro che, per la prima volta, non aveva paura di desiderare. "Ora," disse Luca, posando la tazza con un tintinnio preciso. "Mostrami come la mia signora vuole essere servita oggi."

Elena non esitò. Si alzò in piedi, davanti a lui, nel chiarore dell'alba che entrava dalla finestra. Con gesto lento, deliberato, allargò le gambe. La seta dell'accappatoio si aprì, rivelando il cuore umido e palpitante del suo sesso, già lucido di desiderio. "Voglio questo," dichiarò, la voce ferma, senza vergogna, carica di una sfida che era un'offerta. "Ogni giorno. Finché non mi avrai messo incinta. Riempimi la fica, Luca. Riempila fino a traboccare. Con il tuo seme. Con la tua forza. Con la tua promessa." Lo fissò negli occhi azzurri, un fuoco verde nei suoi. "Poi, quando sarò piena della tua vita dentro di me... allora potrai avere anche il resto. Il mio culo. La mia gola. Tutto ciò che sono. Ma prima, la mia fica deve essere la tua coppa, ogni giorno, finché non germoglierà il nostro futuro."

Luca la osservò, immobile per un attimo. Il sole nascente accarezzava il triangolo scuro dei suoi peli, il luccichio della sua umidità. Un brivido di possesso assoluto gli attraversò lo sguardo, mescolato a un'ammirazione feroce. Non si alzò subito. Rimase seduto sul bordo del letto, bevendo la sua immagine, il potere di quella richiesta esplicita, quel comando velato di offerta. "Ogni giorno," ripeté, la voce un basso ruggito. "Un inno al mattino. Un sigillo alla sera. Finché il mio seme attecchirà nel tuo grembo e farà di te la madre del mio sangue." Si alzò, la sua ombra che avvolse Elena. Le mani, calde e sicure, le presero i fianchi. "Sì, mia signora. La tua fica sarà il mio altare. E io il tuo sacerdote devoto."

Non ci furono più esitazioni. Ogni giorno divenne un rituale sacro e carnale. La sveglia non era un suono, ma le labbra di Luca che esploravano il suo collo, le sue mani che aprivano l'accappatoio di seta. La prima offerta del mattino avveniva spesso contro il muro freddo della cucina, mentre l'acqua bolliva per il caffè, o sul tavolo della sala da pranzo, con la luce dell'alba che dipingeva d'oro la sua schiena inarcata. Luca la prendeva con una dedizione implacabile, a volte lenta e profonda, come per assaporare ogni centimetro del suo calore, altre volte con una furia concentrata, spingendola verso l'orgasmo con colpi precisi che la facevano urlare contro il legno o il marmo. Sentiva il suo seme scorrere dentro di lei, una colata calda che sigillava la promessa. "Per il nostro futuro," sussurrava lui, affondando fino all'osso, mentre lei annuiva, incapace di parlare, piena di lui.

I pomeriggi erano più lenti, più sensuali. Nello studio, dopo che Luca aveva finito di lavorare, lei si presentava. Nuda sotto l'accappatoio che lasciava cadere a comando. "Il mio altare, amore," diceva, aprendosi per lui sul divano di pelle. Era un possesso che non era mai routine. Ogni volta era una scoperta, una sfumatura nuova nella sua fame reciproca. Luca la osservava mentre entrava in lei, fissando il punto in cui i loro corpi si univano, il suo sesso che accoglieva il suo con una voracità che li faceva entrambi gemere. "Così piena," mormorò Elena una volta, le dita intrecciate alle sue mentre il suo grembo veniva inondato. "Sempre più piena di te." Era un atto di creazione, un culto quotidiano alla vita che speravano di generare.

Le sere erano consacrate al letto. Nella penombra, Luca la adagiava sul dorso, le ginocchia aperte verso il soffitto, un'offerta totale. "Vedimi," ordinava Elena, gli occhi fissi sui suoi. "Vedimi mentre mi possiedi. Mentre mi semini." Lui obbediva, gli occhi azzurri che non si staccavano dai suoi mentre spingeva, lentamente, profondamente, come per tracciare ogni millimetro del suo territorio. Sentiva il suo corpo stringersi intorno a sé, un abbraccio umido e caldo che lo succhiava fino all'ultima goccia. "Per il nostro futuro," ripeteva lui, mentre il seme fluiva in onde calde, sigillando il patto. Elena chiudeva gli occhi, concentrandosi su quel calore che si spandeva dentro, immaginando una radice minuscola che forse, finalmente, attecchiva.

I giorni si fusero in settimane, un flusso ininterrotto di possesso e offerta. La villa divenne il loro tempio, ogni stanza un altare dove Luca la riempiva con devozione implacabile. Contro il bancone della cucina all'alba, sul tavolo di quercia dello studio al tramonto, sul tappeto persiano del salotto sotto la luce della luna. Elena non contava più le volte. Era un respiro, un battito. Il suo grembo era costantemente caldo, pesante della sua essenza. Sentiva il corpo cambiare, non ancora visibilmente, ma in una pienezza interiore, una sensibilità nuova. Il profumo del caffè le faceva voltare lo stomaco. Un odore di pesce, una volta, la costrinse a correre in bagno. Luca la osservava, gli occhi attenti, una domanda muta che bruciava in quello sguardo di ghiaccio e fuoco.

Due mesi dopo quella prima alba di libertà, Elena rimase immobile davanti allo specchio dell’en suite. Le mani tremavano leggermente mentre reggeva il piccolo stick di plastica. Due linee rosa, nitide, inconfondibili. Un brivido le corse lungo la spina dorsale, non di paura, ma di un terrore gioioso, primordiale. Si portò una mano al ventre ancora piatto. Lì. Dentro. La radice del loro futuro. La prova vivente del suo potere ritrovato. Attraversò la camera da letto in silenzio, il cuore che le martellava così forte da sembrare che volesse uscire dal petto. Luca era alla scrivania, concentrato su uno schermo. Lei si fermò davanti a lui, il test nascosto nel pugno chiuso. "Amore," chiamò, la voce un filo di seta tesa.

Luca alzò lo sguardo. I suoi occhi azzurri, sempre così penetranti, si posarono sul suo volto, poi scivolarono al pugno serrato. Un sopracciglio si sollevò, impercettibile. Un silenzio elettrico si depositò tra loro. Elena aprì la mano lentamente, rivelando il test. Le due linee rosa sotto la luce del lampadario. "È qui," sussurrò. "Il nostro futuro. È iniziato." Vide il lampo che attraversò lo sguardo di lui – incredulità, poi un’ondata di possesso così feroce che l’aria sembrò vibrare. Si alzò dalla sedia, un movimento fluido di
potenza contenuta. Le sue mani, grandi e sicure, le cinsero i fianchi, scivolarono sul ventre ancora liscio con una reverenza mai vista. "Mia," la parola fu un ringhio soffocato, carico di un’emozione grezza. "Tutta mia. E ora... anche sua." Un dito tracciò una linea invisibile sotto l’ombelico.

Elena sorrise, un sorriso che illuminò la stanza. "Sì, tuo. Per sempre." Poi, il suo sguardo si fece sfida, una scintilla verde di audacia. "E per celebrare... oggi puoi riavere il mio culo." La dichiarazione cadde netta, senza vergogna, un’offerta e una rivendicazione. Non era la sottomissione di un tempo, ma il dono di una regina al suo signore. "È il tuo premio. Il sigillo su questa vita nuova." Sentì il tremito nelle sue dita, non di paura, ma di eccitazione bruciante. Era diverso. Tutto era diverso, ora. Il potere scorreva nelle sue vene insieme al sangue di Luca e del bambino.

Si staccò dalle sue braccia con un movimento fluido. Si voltò, lentamente, deliberatamente, offrendogli la schiena. Le sue dita afferrarono i lembi dell’accappatoio di seta scura che indossava. Con un gesto teatrale, lo fece scivolare dalle spalle. Il tessuto cadde in un fruscio sommesso ai suoi piedi, come un sipario che si aprisse su un palcoscenico sacro. La luce che filtrava dalle imposte accarezzò le curve perfette dei suoi glutei, alti, sodi, levigati dal desiderio e dalla nuova vita che portava dentro. Non c’erano mutandine a nascondere nulla. Solo pelle nuda, offerta. Un’esposizione che era un trionfo. Si inarcò leggermente, accentuando la pienezza, la splendida rotondità che Luca aveva tanto desiderato e dominato. "Prendi il tuo premio, cavaliere," sussurrò, gettando le parole alle sue spalle, la voce un miele roco. "Fatti onore."

Luca trattenne il respiro. La vista di quel culo così fieramente esposto, un monumento alla sua vittoria e alla loro unione, gli bruciò le vene. Un ringhio basso gli sfuggì dalle labbra. Non ci fu preambolo, nessuna carezza preparatoria. Le sue mani, grandi e calde, si posarono con possesso brutale sui suoi fianchi, le dita che affondarono nella carne morbida ma tonica. Si piegò leggermente in avanti, il calore del suo corpo che avvolse Elena, il pene già rigido, impaziente, che sfiorò il solco tra le natiche. Un brivido di anticipazione le percorse la schiena. "Sì," sibilò lei, premendo indietro contro di lui, un’offerta attiva. "Prendilo. È tuo. Sempre."

Con un movimento fluido e potente, Luca allineò la punta del suo membro alla rosetta stretta, ancora lucida dell’olio che Elena usava ogni sera in segreta attesa di questo momento. Non ci fu esitazione. Un’unica, profonda spinta. Elena gridò, un suono strozzato di stupore e piacere immediato, mentre lui si insinuava dentro, aprendola con una determinazione che era puro dominio. Era una strettoia ardente, un’abbraccio di fuoco che lui sfidò, affondando fino alla radice in un solo, glorioso colpo. La sua presa sui fianchi di lei si fece di ferro, immobilizzandola mentre lei cercava di adattarsi alla pienezza improvvisa, alla sensazione di essere scardinata e riempita in quel luogo così intimo. "Cazzo... quanto mi stai stretta," gemette lui, la voce roca, carica di un’ammirazione feroce. "Il mio premio... perfetto."

Cominciò a muoversi. Non con la furia cieca di Paolo, ma con un ritmo potente, misurato, ogni ritiro una promessa, ogni affondo un’affermazione di proprietà. Elena sentiva ogni centimetro scivolare dentro e fuori, una fiamma che si allargava dal culo al basso ventre, fondendosi con il calore del seme mattutino ancora dentro la sua fica. Si inarcò di più, offrendosi, spingendo indietro contro di lui con un desiderio attivo che era una forma di potere. Le sue dita artigliarono il bordo della scrivania, il legno solido sotto le unghie. "Sì... così... riempimi quel buco," ansimò, le parole frammentate dai respiri corti. "Fallo tuo... per sempre." Ogni spinta di Luca sembrava spingerla più vicino al bordo, un’onda di piacere grezzo che saliva dalle profondità dove lui la possedeva.

Luca affondò le dita nelle sue anche, tirandola a sé con forza bruta. Il suo respiro era un rantolo caldo contro la sua nuca. "Il tuo culo... è una prigione di velluto," ringhiò, il ritmo che si faceva più veloce, più profondo, ogni colpo un martello che batteva su un’incudine di carne. "E tu... la mia prigioniera... voluta." Elena urlò quando una mano di lui le afferrò una natica, spalancandola, esponendola ancora di più alla sua penetrazione feroce. Sentiva la sua potenza scorrere in lei, un fiume che travolgeva ogni confine. Il piacere esplose senza preavviso, un terremoto che le scosse la colonna, le fece contrarre violentemente il canale anale intorno a lui in una stretta agonizzante e gloriosa. "Luca!" Il suo grido fu un riconoscimento, una resa trionfante.

Lui la seguì all’istante. Un ruggito soffocato, poi un’ondata di calore che le inondò le viscere, un torrente di seme che sigillava il suo dominio su quel territorio conquistato. Rimase immobile, profondamente piantato in lei, mentre il suo corpo tremava contro il suo. "Mia," sibilò, le labbra contro la sua spalla. "Tutta mia. Anche qui." Le mani di lui scivolarono dal suo culo al ventre ancora piatto, adagiate con una possessività nuova, quasi reverenziale. "E sua."


FINE
scritto il
2025-10-28
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