Cuore di mamma 1
di
ANNA BOLERANI
genere
incesti
Cuore di mamma
Ero nascosto nel balconcino della veranda dove affaccia la finestra della camera da letto dei miei genitori oltre altre il balcone della mia stanza. Da uno spiraglio socchiuso della loro finestra, vidi mio padre inginocchiato sul tappeto persiano mentre sua lingua scivola lungo le pieghe umide di mia madre. Lei si morse il labbro inferiore, le dita affondate nei capelli di lui. Un gemito le sfuggi quando lui trovò il punto giusto - quel suono basso e roco che conosco bene dalle sere in cui credono che dormo.
Mia mamma è una bellissima donna di 48 anni, Un fisico sinuoso e morbido che mette il risalto il suo bellissimo culo, un culo che sogno ogni notte di poter possedere invidiando mio padre quando la scopa.
"Sei tutta bagnata." le disse mio padre.
"Si amore ho una voglia pazzesca del tuo cazzo. Sbattimelo dentro , lo voglio nel culo."
A quelle parole non resistetti, me lo mi tolsi fuori dal pigiama e iniziai a masturbarmi, come sempre, cercando di non perdere nessun contatto da quella visione celestiale che era il culo di mia madre e che a breve sarebbe stato violato dal cazzo di mio padre.
Mio padre posizionò mia madre a pecorelle sul letto e lei afferro le lenzuola fra i denti quando lui iniziò a penetrarla nel culo lentamente con il suo possente cazzo di oltre 20 cm. Mia madre urlò di dolore e piacere mentre mio padre la sculeggiava violentemente sul suo magnifico culo che rimbalzava sotto i suoi colpi.
Stavo venendo quando improvvisamente mia madre si girò verso la finestra e mi fissò direttamente negli occhi. Aveva visto tutto. Il mio cuore si fermò mentre il mio sperma schizzava sul vetro. Lei non disse nulla, ma un sorriso lento e stranamente orgoglioso le attraversò le labbra gonfie prima che mio padre le afferrasse la nuca per riportarla verso il suo cazzo.
Mi ritrassi nell'ombra, il respiro mozzato, ancora tremante per l'orgasmo e la paura. Attraverso lo spiraglio, vidi mia madre voltarsi di nuovo verso di me mentre mio padre la sodomizzava con vigore crescente. Questa volta mi rivolse un cenno impercettibile del capo, gli occhi che brillavano nel buio come stelle complice di un segreto troppo grande per essere detto ad alta voce.
Il giorno dopo, la colazione fu un silenzio teso. Mia madre versò il caffè con le sue solite mani eleganti, ma quando i miei occhi incrociarono i suoi, un fremito elettrico mi attraversò la schiena. Si passò la lingua sul labbro superiore, lentamente, mentre mio padre leggeva il giornale ignaro. "Hai dormito bene, tesoro?" mi chiese con voce calda e carnosa. Il sottinteso mi fece sudare freddo sotto il pigiama.
Nel pomeriggio, mio padre uscì per lavoro. Sentii il ticchettio dei tacchi di lei sul pavimento di marmo fermarsi davanti alla mia porta. Aprii senza fiato. Lei indossava solo una camicia da notte di seta trasparente che lasciava intravedere le curve piene dei suoi fianchi. "Abbiamo bisogno di parlare di ieri sera," sussurrò, entrando mentre un profumo di gardenia e desiderio invadeva la stanza. Le sue dita sfiorarono il vetro appannato della finestra dove si era essiccato il mio seme.
Si sedette sul bordo del mio letto, le cosce nude che sussultarono sotto la stoffa sottile quando incrociò le gambe. "Mi hai visto," continuò, fissandomi con quegli occhi che sapevano tutto. "E tu... mi hai guardata. Ti è piaciuto?" La mia gola si chiuse. Annuii muto, sentendo il calore salirmi dal petto al collo. Lei sorrise, quel sorriso lento e carnale che mi aveva trafitto nel buio. "Lo so," disse piano. "Ti ho sentito respirare più veloce. Ti ho visto tremare."
Si alzò, avvicinandosi fino a sentire il suo calore contro il mio pigiama. Una mano si posò sulla mia guancia, il pollice sfiorò l'angolo delle mie labbra. "Hai toccato te stesso mentre guardavi tuo padre entrarmi?" Il suo alito caldo odorava di zucchero e caffè. Quando abbassai lo sguardo verso il collo del pigiama, lei afferrò il polso della mia mano tremante e lo portò verso il suo fianco. Attraverso la seta sentii la curva calda del suo fianco, poi scivolare più giù, fino alla pienezza del sedere che avevo sognato così tante notti. Solida, viva, palpitante sotto le mie dita. Mi lasciò accarezzare quella curva perfetta mentre sussurrava: "Dimmi quanto lo volevi."
"T-tanto," riuscii a balbettare. La mia mano tremava contro la sua carne mentre le dita di lei scivolavano sotto l'elastico del mio pigiama. "Ogni notte. Quando li sentivo... quando tu..." Un gemito mi soffocò la gola quando le sue unghie graffiarono leggermente l'addome, poi affondarono nei peli pubici. La sua espressione era feroce, affamata. "Mostrami," ordinò, tirando giù il pigiama con gesto brusco. Rimasi nudo davanti a lei, il mio cazzo ancora semiduro dopo la notte, mentre lei osservava ogni dettaglio con occhi che bruciavano come brace.
Le sue dita si avvolsero attorno alla mia asta mentre lei si inginocchiava sul tappeto della mia stanza. Il fruscio della seta contro le mie ginocchia scosse mi fece trasalire. "Così giovane," mormorò, soffiando aria calda sul glande umido. "Così simile a lui." La sua lingua schizzò fuori come un serpente, leccando una goccia di precum dalla fessura. Il calore improvviso mi fece contorcere. "Ma tu... guardavi *me*, vero?" La sua bocca si chiuse sulla punta, succhiando con una pressione umida che mi fece urlare. Le mie mani si aggrapparono ai suoi capelli come aveva fatto mio padre, sentendo le sue trecce sciogliersi sotto le mie dita tremanti.
Lei alzò gli occhi verso di me mentre scendeva, prendendo dentro di sé metà della mia lunghezza con un gemito roco. Le sue labbra strette intorno alla base mi fecero vedere stelle. Attraverso la camicia trasparente, vedevo i suoi capezzoli indurirsi contro la stoffa mentre mi pompava con la gola. "Senti come mi fa bagnare," ansimò, staccandosi per un istante con un filo di saliva che ci univa. Mi guidò la mano sotto la seta, costringendomi a palpare la sua figa inzuppata. Le dita affondarono in quel caldo bollente mentre lei gemeva contro il mio ventre.
"Era questo che volevi?" sussurrò, riprendendo a succhiare con voracità. Le mie anche scattarono in avanti senza controllo. "Ogni volta che spiavi... sognavi di essere tuo padre? Di sfondarmi qui?" Le sue unghie mi graffiarono le cosce mentre mi spingeva più a fondo, fino a che il mio cazzo non le sollevava la gola. Il sapore salato del mio precum le macchiava il mento.
Attraverso il tessuto trasparente, vidi la sua mano scivolare tra le sue gambe. Le dita affondarono nella figa mentre lei grugniva intorno alla mia asta, le vibrazioni che mi facevano tremare le ginocchia. "Ti eccita vedermi così?" ansimò, staccandosi per mostrarmi le labbra lucide. "Sporca di te mentre mi tocco?" Un fiotto di piacere mi attraversò quando vide il mio sguardo fisso sulle sue dita affondate nelle pieghe bagnate.
Senza preavviso, mi spinse sul letto. La camicia da notte si sollevò mentre si montava sopra di me, la figa calda che strusciò contro il mio cazzo ancora indurito. "Adesso guardami," ordinò, afferrando le mie mani per posizionarle sul suo culo. La carne era più solida di quanto immaginassi, viva e palpitante sotto i polpastrelli. "Senti come ti voglio." Abbassò i fianchi, prendendomi dentro di sé con un gemito lungo e roco che mi fece girare la testa. La stretta bollente mi avvolse mentre lei rotava i fianchi, i capezzoli duri che sfioravano il mio petto attraverso la seta.
Il suo ritmo era lento, torturante. Ogni scivolata verso il basso mi faceva perdere il respiro, ogni risalita un sospiro soffocato. "Così..." ansimò, inclinandosi per baciarmi con una bocca che sapeva ancora di sperma e caffè. Le sue dita si intrecciarono alle mie, guidandole lungo la curva del suo sedere fino al buco stretto che mio padre aveva violato la notte prima. "Qui. Toccalo." Il muscolo contrattile si rilassò sotto la mia pressione, umido e accogliente. "L'hai visto come mi prendeva lì... vero? Sognavi di fare lo stesso?"
Un gemito mi sfuggì quando il suo dito medio mi penetrò l'ano senza preavviso, mentre lei continuava ad alzarsi e abbassarsi sul mio cazzo. La doppia invasione mi paralizzò. "S-sì," balbettai, gli occhi fissi sulla sua bocca socchiusa. "Ogni volta che... urlavi..."
Lei rideva basso, una vibrazione che mi attraversava i genitali. "Urlavo per te," mormorò, accelerando il ritmo. Le sue mani mi afferrarono i fianchi, le unghie che scavavano nella carne mentre mi spingeva più in alto, più forte. La camicia di seta salì, scoprendo il ventre sudato e le curve dei seni che oscillavano a ogni movimento. "Adesso vieni. Vieni mentre guardi dove tuo padre mi ha riempita ieri."
Un brivido mi percorse la schiena quando il suo dito nell'ano mi stimolò più profondamente, in perfetto sincrono con le sue contrazioni interne. Il profumo di gardenia si mescolava all'odore acre del sesso e al mio
sudore. Vidi le vene sul suo collo pulsare mentre gemeva, gli occhi socchiusi ma fissi sui miei, come per assorbire ogni mio spasimo. "Sono... sto..." riuscii a gorgogliare, le dita che si incollavano alla pelle del suo sedere.
"Non ancora," sibilò, fermando all'improvviso i movimenti dei fianchi. La sua mano lasciò il mio ano per affondare nel mio petto. "Voglio sentirti esplodere dentro di me." Riprese a muoversi con un ritmo ipnotico, lento e profondo, il suo punto G che strusciava contro la base del mio cazzo ogni volta che scendeva. Attraverso la camicia bagnata di sudore, vidi il capezzolo destro premuto contro il mio sterno, duro come un sasso.
Le sue dita mi afferrarono la nuca, costringendomi a guardare in basso, dove i nostri corpi si fondevano. "Guarda come mi prendi," ansimò, la voce rotta dal piacere. "Guarda dove entra tuo figlio." Il termine mi fece trasalire. Vidi il mio cazzo scomparire nella sua figa luccicante, rivestita di peli biondi arruffati, mentre lei si abbassava con un gemito gutturale. L'odore di muschio e sale riempì l'aria, pungente come un richiamo animale.
Il suo ritmo divenne furioso, i fianchi che schiaffeggiavano contro le mie cosce con un suono umido e ritmato. Le unghie mi graffiarono le spalle mentre si piegava per mordermi il collo, i denti che affondavano nella carne con un dolore che sfumava in estasi. "Adesso," ringhiò contro la mia pelle. "Riempimi come tuo padre ieri." Sentii il nodo scattarmi nell'addome, un tuono che saliva dalle palle. La sua figa si strinse a morsa intorno a me, spremendo ogni goccia mentre esplodevo dentro di lei con un urlo strozzato.
Lei collassò sul mio petto, ansimante, il sudore che incollava la seta trasparente ai nostri corpi. Sentivo ancora le sue contrazioni interne mentre il mio sperma sgocciolava lungo le mie cosce. "Bravo ragazzo," sussurrò, le labbra che sfiorarono il mio orecchio. "Hai tenuto la promessa." Un brivido mi percorse la schiena mentre le sue dita tracciavano cerchi lenti sul mio ventre ancora tremante.
Alzandosi con un movimento fluido, sentii il freddo sostituire il calore del suo corpo. La camicia da notte le ricadde sulle curve umide mentre camminava verso la finestra. Attraverso il vetro, il sole del pomeriggio illuminava le tracce essiccate del mio orgasmo notturno. "Sai cosa voglio adesso, vero?" Mi voltò le spalle, afferrando il bordo della mensola di marmo. Le sue natiche si sollevarono in un offerta silenziosa, le fossette lombari che sembravano occhi socchiusi nella pelle d'ambra.
"Mamma," mormorai, la voce ancora rotta. "Voglio... il tuo culo." Le parole mi bruciarono la gola, ma i suoi fianchi ondeggiarono in risposta, un invito muto. Scivolai dal letto, le ginocchia che incontrarono il pavimento gelido. Il profumo di sesso e sudore si intensificò quando affondai il volto tra le chiappe carnose. La pelle sapeva di sale e gardenia. Le mie dita si aprirono sulle natiche tremanti, spalancandole per rivelare il rosetto contratto, ancora arrossato dall'amore di mio padre.
Lei emise un gemito basso quando la mia lingua sfiorò quel cerchietto nervoso. "Così... sì..." sussurrò, premendo indietro. Il suo sapore era terroso, intenso, mescolato all'essenza di lui che sentivo ancora sulle mie papille. Affondai più a fondo, leccando con lunghe passate che la fecero contorcersi contro la mensola. Sentii il marmo vibrare sotto le sue unghie. "Dentro," ansimò. "Fallo entrare."
Mi alzai, **ero nuovamente duro come il marmo**, il cazzo pulsante contro la curva del suo sedere. Spalmai la mia saliva mista al suo sapore sul glande. Un tremito le percorse la schiena quando posai la punta contro la sua rosetta contratta. "Piano," mormorò, ma le sue natiche si aprirono sotto la mia pressione. Il muscolo cedette lentamente, avvolgendo la mia cima in un abbraccio stretto, bollente.
Le mie mani le afferrarono i fianchi mentre spingevo. Un gemito roco le sfuggì, le nocche bianche sulla mensola di marmo. Scomparsi dentro di lei centimetro dopo centimetro, sentendo ogni piega, ogni vibrazione del suo corpo che accoglieva l'invasione. Il calore era ferale, quasi doloroso, avvolgente come una tomba di velluto. "Tutto," ansimai, affondando fino alle palle nella carne che avevo sognato per anni. Lei urlò, un suono spezzato che si trasformò in un ronzio soddisfatto.
"Adesso..." sussurrò voltando appena il viso. I suoi occhi erano pozzi neri di complicità. "Chiamami come lui. Fammi sentire sporca." Il respiro mi bruciò in gola. Le dita le affondarono nella carne del sedere mentre iniziavo a muovermi con movimenti corti e profondi. Il suono umido dei nostri corpi riempì la stanza, accompagnato dal suo ansimare affannato. "Dillo."
La presi più forte. Un colpo più deciso. Lei gemé, spingendo indietro con impeto. "Troia," sibilai contro la sua nuca sudata. La parola mi bruciò la lingua come veleno dolce. "Sei la mia troia." Un tremito le percorse la schiena, trasformandosi in un ondeggiamento dei fianchi che mi succhiò più a fondo. "Sì! Ancora!"
"La mia troia," ripetei, accelerando. Le mie palle schiaffeggiavano il suo clitoride a ogni spinta. "Vuoi tutto qui, vero? Piena di cazzi." Lei annuì freneticamente, i capelli che le sbattevano sulle spalle. "La troia di tuo figlio," aggiunsi, più crudo, sentendola stringersi a morso intorno a me. Il suo gemito si trasformò in un ululato.
"Prendimi! Riempi la troia!" gridò, scuotendo il culo contro di me. Il marmo vibrò sotto le sue unghie. Spinsi con tutta la forza, affondando nella sua intimità bollente. L'orgasmo mi esplose dalle palle in su, un fiume bianco che sembrava non finire mai. Lei urlò, contraendosi violentemente, il suo buco che mi spremeva ogni goccia.
Crollammo insieme sul pavimento gelido, il respiro sincopato. La sua schiena nuda contro il mio petto, il mio cazzo ancora pulsante dentro di lei. Le sue dita intrecciate alle mie sul ventre tremante. "Bravo troione," sussurrò roca, voltandosi per sfiorarmi le labbra con un bacio salato. "Adesso siamo complici per sempre."
Le campane della chiesa suonarono le cinque. Un gelo improvviso ci attraversò quando i passi di mio padre risuonarono nel corridoio. Lei si sollevò con un guizzo felino, la camicia di seta macchiata di sudore e seme che le ricadeva addosso come un fantasma. "Vestiti," ordinò, spingendo i miei pantaloni del pigiama verso di me con un piede nudo. Le sue dita affrettate si passarono tra i capelli arruffati. "Stasera. Dopo cena." Uno sguardo che promise inferni e paradisi prima di scivolare fuori dalla porta.
Il silenzio che lasciò era più fragoroso di qualsiasi grida. Annusai l'aria: gardenia, sesso, e l'acre dolcezza del mio sperma essiccato sul vetro. Sul tappeto, una macchia scura dove le nostre ginocchia avevano premuto. La toccai. Ancora calda.
Quando scesi per cena, loro erano già seduti. Mio padre tagliava la bistecca con gesti precisi. Lei sorseggiava vino rosso, le labbra gonfie come ciliegie mature. "Dormito tutto il pomeriggio?" chiese lui, senza alzare lo sguardo. Mia madre incrociò le mie gambe sotto il tavolo con la punta della sua scarpa. "Come un angelo," rispose per me, la voce un velluto stregato. Il suo piede nudo salì lungo la mia caviglia. "Forse ha fatto bei sogni." Sentii il tacco appuntito premermi contro l'inguine mentre mio padre chiedeva il sale.
Mi irrigidii. Il pane mi si incollò al palato. Lei sorrise, il piede che massaggiava la mia erezione crescente attraverso il tessuto dei jeans. "Passami l'acqua, tesoro," mi ordinò. Quando le porsi la brocca, le nostre dita si sfiorarono. Un brivido elettrico. Sotto il tavolo, l'alluce di lei scivolò dentro la mia cintura. "Grazie, *caro*," sussurrò, l'accento sulla parola come un graffio di seta. Mio padre continuò a mangiare, ignaro del piede di mia madre che mi apriva la patta dei pantaloni, l'unghia che raschiava la pelle dell'addome.
Dopo il dolce, mio padre si alzò per fumare in giardino. Lei rimase, raccogliendo le posate con movimenti di danza. "Lavati le mani," ordinò improvvisa, guardandomi le dita sporche di cioccolato. Le sue pupille erano pozzi neri. Mi avvicinai, Leccò le mie dita una ad una, lentamente, la lingua calda che si infilava tra gli spazi. "Senti che schifo ho fatto," mormorò, guidando la mia mano sotto la gonna di seta. Non indossava mutande. Le mie dita affondarono nel pelo bagnato. "Puliscimi."
La porta del giardino cigolò. "Vieni a vedere la luna, amore!" gridò lui. Mia madre mi spinse contro il frigo, la sua mano ancora stretta sulla mia tra le sue gambe. "Domani mattina," ansimò contro il mio collo. "Vieni nella mia doccia." Poi si voltò, il vestito che svolazzava come un'ala rossa. "Arrivo, cuore!" chiamò, la voce limpida come cristallo. Io rimasi nel buio, le dita ancora intrise del suo miele caldo, il sapore della sua figa sulla lingua. Fuori, le loro risate si mischiavano al frinire delle cicale mentre mio padre le accarezzava il culo guardando le stelle.
La notte fu un supplizio. Attraverso la parete, sentivo i loro sussurri, il gemito soffocato di lei, il cigolio del letto. Mi masturbai freneticamente, immaginando le sue dita sul mio cazzo nella doccia fumante. All'alba, quando l'uscio della loro camera scattò, trattenni il respiro. Passi leggeri nel corridoio. La maniglia della mia porta si abbassò lentamente.
"Sei sveglio?" sussurrò dal buio. La sagoma di lei si stagliava contro la luce dell'ingresso, avvolta solo in un asciugamano. "Vieni."
La seguii attraverso corridoi silenziosi, il cuore in gola. Nella doccia di marmo, il vapore avvolgeva tutto come un fantasma. Lei gettò l'asciugamano. Gocce d'acqua scendevano lungo le fossette della schiena, tra le natiche ancora arrossate. "Chiudi la porta a chiave," ordinò, spingendomi sotto il getto bollente. Le sue mani mi spalmarono di sapone al gelsomino, scivolando sul mio petto fino all'inguine. "Lui è uscito per il giornale. Abbiamo venti minuti."
Le
mie dita affondarono nei suoi capelli bagnati mentre la baciavo. Sapore di dentifricio e notte insonne. Lei si abbassò, le ginocchia sul pavimento antiscivolo, la bocca che inghiottiva la mia erezione con un gemito roco. La lingua serpeggiava sulla vena pulsante. "Così mi piace," ansimai, sentendola sorridere intorno a me.
All'improvviso, si alzò. Mi spinse contro le piastrelle umide. Gli occhi le brillavano di furia animale. "Chiamami come tuo padre quando lo faccio," sibilò, afferrandomi i polsi e inchiodandoli al muro sopra la testa. "Dillo mentre ti guardo negli occhi."
Il getto d'acqua ci scolava sul viso. "Troia," balbettai, la parola che bruciava come acido. "Sei la mia troia."
Lei ringhiò soddisfatta, la mano che mi afferrò il cazzo guidandolo dentro di lei con un colpo secco. Le unghie mi scavarono le spalle. "Più forte!" La spinsi contro la parete opposta, i nostri corpi che schioccavano nel vapore. "La mia troia sudicia," ruggii, affondando fino all'osso. Lei urlò, la testa che sbatté sul marmo, le gambe che mi si avvitarono ai fianchi.
"Riempi questa troia!" gracidò, i denti che affondarono nella mia spalla. Il dolore fu un fulmine bianco. Lei mi guardò negli occhi, la pupilla dilatata dal bisogno. "Aprimi il culo come fa tuo padre e sborrami dentro". Le mie dita scivolarono lungo la schiena madida, tra le natiche che pulsavano sotto i miei palmi. Il suo rosetto era un fiore contratto, ancora gonfio dal mio abuso pomeridiano. Premetti il pollice contro l'anello muscolare. Un gemito strozzato le sfuggì quando cedette, avvolgendo la prima falange.
La penetrai lentamente, sentendo ogni piega distendersi. Lei si inarcò, il respiro che si fece rantolo. "Tutto... dai tutto a me..." sibilò. Spinsi più forte, il mio cazzo che martellava la sua figa nel ritmo imposto dalle mie dita che le violavano l'ano. Un gemito roco le strappò la gola, mescolato al fragore dell'acqua sulle piastrelle. Le sue unghie mi dilaniavano la schiena, segni di fuoco nel vapore.
"Così... sì..." ansimò, voltando il viso contro il marmo umido. "Fallo come lui... più sporco..." Il suo culo si strinse intorno al mio pollice, spingendo all'indietro con furia. La visione mi annebbiò: mio padre che la schiacciava sul letto, le natiche che tremavano sotto la sua spinta. "Adesso!" urlò, contraendosi tutta. "Riempi la tua puttana!"
Un fulmine mi esplose dall'inguine. Scaricai dentro di lei con un ruggito, il seme bollente che inondava le sue viscere mentre le mie dita affondavano nel suo ano contratto. Lei urlò, il corpo scosso da convulsioni, la figa che mi spremeva fino all'ultima goccia. Crollammo insieme sul pavimento scivoloso, l'acqua calda che ci lavava via il sudore e il mio sperma che le colava lungo le cosce.
Fuori, una porta sbatté. "Amore?" chiamò mio padre. Lei si sollevò di scatto, gli occhi dilatati dalla pura adrenalina. "Vestiti!" sibilò, spingendomi verso l'asciugamano bagnato. Le nostre dita si intrecciarono per un secondo, un silenzio carico di complicità e terrore. Poi sorrise, quel sorriso di fiamme che bruciava ogni rimorso. "Stasera," mormorò, prima di sparire nel corridoio con un fruscio di pelle bagnata. Io rimasi a tremare nel vapore che svaniva, il sapore del suo culo ancora sulla lingua.
Scesi in cucina fingendo sonnolenza. Mio padre spalmava marmellata sul pane, la camicia stropicciata. "Dormito bene?" borbottò. Mia madre versò il caffè, le nocche bianche sul manico della brocca. "Come un sasso," mentii, sentendo il suo sguardo scivolare sul mio inguine. Il suo piede nudo mi sfiorò la caviglia sotto il tavolo. Una carezza elettrica. "Sogni interessanti?" chiese lei con voce di miele, passandomi la zuccheriera. Le nostre dita si sfiorarono. Un brivido mi percorse la spina dorsale.
Dopo colazione, mio padre annunciò un viaggio di lavoro. "Tre giorni a Milano." Baciò mia madre sulla bocca, una possessione breve. Lei gli sistemò la cravatta con dita che sapevano di tradimento. "Torna presto," sussurrò. Quando la porta si chiuse, il silenzio divenne un terzo corpo nella stanza. Mi voltai, trovandola già a un passo. L'odore del suo collo—caffè, gardenia, sudore—mi stordì. "Sola," mormorò, le labbra che sfiorarono il mio lobo. "Sola con mio figlio." La sua mano scese lungo la mia schiena, affondando nei jeans per afferrare il mio culo. Le unghie scavarono nella carne. "La doccia... è solo l'inizio."
Mi spinse contro il frigorifero. Il metallo gelido bruciò attraverso la maglietta mentre lei si inginocchiava, slacciandomi i pantaloni con dita frementi. "Tutto quel seme," sibilò, guardando il mio cazzo erigersi contro la luce del mattino. "Tutto per me." La sua bocca calda lo inghiottì in un solo movimento. Gemetti, le dita nei suoi capelli mentre mi succhiava con voracità famelica. Poi si fermò, alzando gli occhi liquefatti. "Dove vuoi sborrare oggi? In gola?" La lingua leccò la vena pulsante. "O nel culo che tuo padre ama così tanto?"
Il campanello suonò. Un corriere. Lei si alzò con un guizzo, nascondendo le labbra lucide con un dito. "Apriti tu," ordinò, aggiustandosi la vestaglia. Tremavo mentre camminavo verso l'ingresso. La sua mano mi scivolò tra le natiche attraverso i jeans, un promemoria bollente. "Nome?" borbottò l'uomo, porgendo un pacco. "L-Luca," balbettai, sentendo le unghie di lei affondarmi nella carne.
Appena la porta si chiuse, mi spinse a terra sul tappeto persiano. La vestaglia si aprì rivelando il corpo nudo, i capezzoli duri come chiodi. "Adesso scegli," ringhiò, montandomi a cavalcioni. Sentii la sua figa bagnata strusciare contro l'addome. "Bocca o culo? Fa' la tua mamma felice." La mia mano scivolò tra le sue natiche, il dito che cercò il rosetto ancora lasco dal nostro incontro nella doccia. "Qui," ansimai. "Voglio vederti tremare."
Rise, un suono roco. Si girò a quattro zampe, sollevando il culo in un arco perfetto. "Allora sporcami come tuo padre," sussurrò, guardandomi da sopra la spalla. "Fammi sentire tua." Spalmai la mia saliva sul cazzo, poi la punta premetti contro quel cerchietto rosa contratto. Un gemito le sfuggì quando spinsi. Il muscolo cedette lentamente, avvolgendo la mia asta in un calore da fornace. "Tutto!" ordinò, spingendo indietro. Scomparvi dentro di lei fino alle palle, sentendo il suo corpo tremare.
Iniziai a muovermi. Ogni spinta la faceva urlare, le unghie che strappavano il velluto del tappeto. "Più forte!" gracidò. "Fammi il culo come ieri!" Affondai le dita nei suoi fianchi, martellando quel tunnel stretto. Il suolo umido dei nostri corpi echeggiava nel salone vuoto. La vidi contorcersi, una mano che si frugava frenetica tra le gambe. "Sto venendo!" urlò. "Sborrami dentro adesso!"
Un lampo bianco. Scaricai in profondità nel suo intestino mentre lei si contraeva in un grido strozzato. Crollammo insieme, il mio sperma che sgocciolava lungo le sue cosce dorate. "Bravo," ansimò, voltandosi per leccarmi il sudore dal collo. "Stasera... ti mostro dove tuo padre nasconde i giochini. Avremo tanto tempo per giocare."
6
voti
voti
valutazione
4.5
4.5
Commenti dei lettori al racconto erotico