I vicini (parte 1)
di
Petulka
genere
orge
Petra si stiracchiò sulla sdraio del giardino, il sole pomeridiano che le scaldava la pelle nuda. Indossava solo un microbikini nero, ormai abituata a crogiolarsi in giardino senza curarsi del cancello basso che separava la sua proprietà da quella dei vicini. Quando il marito non c'era in casa per lavoro, aveva trovato conforto nell’essere libera, nel sentirsi osservata mentre si abbronzava—sapeva di essere guardata, e quel brivido segreto la eccitava. Ma quel giorno aveva esagerato: si era tolta anche il reggiseno, lasciando i seni pieni esposti all’aria, e aveva allargato le gambe per far scivolare via l’ultimo lembo di stoffa tra le cosce. Che guardino pure, pensò, mentre si passava le dita tra le pieghe della fica, bagnata dal caldo e dall’adrenalina del rischio.
Non si accorse degli occhi che la fissavano da dietro la siepe finché non sentì il cancello cigolare. Alzò lo sguardo, il cuore in gola: tre uomini—i vicini di casa, quelli che aveva sempre salutato con un cenno distratto—erano già nel giardino, con in mano bottiglie di birra vuote e sorrisi da lupi. Uno di loro, Marco, un omone muscoloso del civico 42, avanzò per primo, i pantaloncini da ginnastica tirati in avanti da un’erezione evidente. «Ciao, Petra… non ti sei vestita per noi?» ghignò, mentre gli altri due, due fratelli gemelli con la pelle abbronzata e i capelli rasati, le bloccavano le vie di fuga.
«Cosa cazzo volete?» provò a dire, ma la voce le uscì tremante mentre cercava di coprirsi i seni con le mani. Marco scoppiò a ridere, afferrandole i polsi con una stretta ferrea. «Dai, non fare la vergognosa… ti vediamo ogni giorno strusciarti qua fuori, con quelle tettone e quel culo stretto. Sai quanto ci fai eccitare troia?» Prima che potesse reagire, le strappò il bikini dalle mani, gettandolo lontano. I gemelli le afferrarono le caviglie, spalancandole le gambe con forza, mentre Marco le sputava in faccia. «Apri bene quelle labbra, puttana, che ti facciamo un bel lavaggio!»
Petra urlò quando le infilarono dentro, tutti insieme. Marco le premette il cazzo nella bocca, spingendo fino a farle toccare con la gola, mentre uno dei gemelli le sbatteva il membro nella fica già bagnata, strappandole un gemito strozzato. «VEDI? È TUTTA UMIDA PER NOI!» ruggì l’altro gemello, infilandole due dita nell’ano e allargandolo con un rumore viscido. Petra scalciò, graffiò, ma erano troppi: sentiva i cazzi pompare dentro di lei, i corpi sudati che la schiacciavano sulla sdraio, le mani che le strappavano peli pubici e le pizzicavano i capezzoli fino a farli sanguinare.
«NO, BASTA, MI STATE DISTRUGGENDO!» implorò, ma le sue parole furono soffocate dal cazzo di Marco che le riempiva la gola. Lui non rallentò: pompava con affondi violenti, il glande che le graffiava la trachea, mentre il seme gli colava già lungo la coscia di Petra. «INGOIA TUTTO, SCHIFOSA!» ringhiò, eiaculando una sborra densa che le inondò la bocca, costringendola a deglutire tra i conati. Intanto, il gemello nella fica accelerò il ritmo, le mani che le afferravano i fianchi fino a lasciarle lividi, mentre l’altro le allargava il culo con una forza tale da farle temere di strapparsi in due. «TI PIACE ESSERE RIEMPITA DA TRE?» le sibilò all’orecchio, sborrando dentro il suo ano un getto caldo che le fece bruciare le viscere.
La trascinarono in casa, Petra ormai ridotta a un sacco di carne tremante, la fica lacerata che sanguinava sulla moquette del salotto. Marco la girò a pecora, afferrandole i capelli per spingere il cazzo ancora dentro, mentre i gemelli le pisciavano addosso, l’urina giallastra che le colava lungo la schiena e le cosce. «SEI LA NOSTRA CUM-DUMPSTER ORA!» rise uno di loro, infilandole il cazzo in bocca mentre Marco continuava a scoparla da dietro. Petra sentì il seme alieno—no, non alieno, quello dei vicini, reale, disgustoso—colarle fuori dalla vagina, mischiandosi al sangue e alle lacrime.
Passarono ore. Petra perse il conto delle volte in cui fu scopata: in cucina, con Marco che le sbatteva la testa contro il frigorifero mentre le veniva in faccia; in bagno, con i gemelli che la tenevano sotto la doccia fredda mentre le infilavano il sapone nell’ano; sul divano, dove Marco le strappò una mutandina che aveva lasciato in giro e gliela ficcò in bocca per soffocare i suoi urli. Ogni volta che provava a divincolarsi, uno di loro le dava uno schiaffo o le mordeva un capezzolo fino a farla sanguinare. «SEI NOSTRA ORA, PUTTANA!» le sibilavano, mentre le sborravano addosso dosi sempre più abbondanti di sperma, marchiandola come proprietà.
Alla fine, quando il sole tramontò e le bottiglie di birra furono vuote, i vicini se ne andarono, lasciandola nuda e sanguinante sul pavimento. Petra strisciò verso il telefono, le dita tremanti che componevano il numero della polizia, ma si fermò. E se racconto cos’è successo?, pensò, guardandosi allo specchio: il viso gonfio, le labbra spaccate, la fica dilatata da cui colava sperma misto a sangue. Mi chiederanno perché stavo mezza nuda in giardino. Mi daranno la colpa.
Si lavò in silenzio, strofinandosi la pelle fino a farla diventare rossa, ma non servì. Il sapore di sperma le rimase in gola, il bruciore nell’ano non accennava a passare, e dentro di lei c'era ancora un desiderio oscuro, perverso. Perché mentre urlava, mentre la dilaniavano, aveva goduto. Aveva sentito il piacere mescolarsi al dolore, il suo corpo tradirla con orgasmi incontrollabili ogni volta che un cazzo le strappava un gemito.
Il giorno dopo, Petra tornò in giardino. Indossava di nuovo il microbikini, ma questa volta lasciò la porta finestra aperta. E quando vide i vicini affacciarsi oltre la siepe, non si coprì. Sorrise, allargando le gambe. Perché sapeva che sarebbero tornati. E questa volta, non avrebbe urlato.
Non si accorse degli occhi che la fissavano da dietro la siepe finché non sentì il cancello cigolare. Alzò lo sguardo, il cuore in gola: tre uomini—i vicini di casa, quelli che aveva sempre salutato con un cenno distratto—erano già nel giardino, con in mano bottiglie di birra vuote e sorrisi da lupi. Uno di loro, Marco, un omone muscoloso del civico 42, avanzò per primo, i pantaloncini da ginnastica tirati in avanti da un’erezione evidente. «Ciao, Petra… non ti sei vestita per noi?» ghignò, mentre gli altri due, due fratelli gemelli con la pelle abbronzata e i capelli rasati, le bloccavano le vie di fuga.
«Cosa cazzo volete?» provò a dire, ma la voce le uscì tremante mentre cercava di coprirsi i seni con le mani. Marco scoppiò a ridere, afferrandole i polsi con una stretta ferrea. «Dai, non fare la vergognosa… ti vediamo ogni giorno strusciarti qua fuori, con quelle tettone e quel culo stretto. Sai quanto ci fai eccitare troia?» Prima che potesse reagire, le strappò il bikini dalle mani, gettandolo lontano. I gemelli le afferrarono le caviglie, spalancandole le gambe con forza, mentre Marco le sputava in faccia. «Apri bene quelle labbra, puttana, che ti facciamo un bel lavaggio!»
Petra urlò quando le infilarono dentro, tutti insieme. Marco le premette il cazzo nella bocca, spingendo fino a farle toccare con la gola, mentre uno dei gemelli le sbatteva il membro nella fica già bagnata, strappandole un gemito strozzato. «VEDI? È TUTTA UMIDA PER NOI!» ruggì l’altro gemello, infilandole due dita nell’ano e allargandolo con un rumore viscido. Petra scalciò, graffiò, ma erano troppi: sentiva i cazzi pompare dentro di lei, i corpi sudati che la schiacciavano sulla sdraio, le mani che le strappavano peli pubici e le pizzicavano i capezzoli fino a farli sanguinare.
«NO, BASTA, MI STATE DISTRUGGENDO!» implorò, ma le sue parole furono soffocate dal cazzo di Marco che le riempiva la gola. Lui non rallentò: pompava con affondi violenti, il glande che le graffiava la trachea, mentre il seme gli colava già lungo la coscia di Petra. «INGOIA TUTTO, SCHIFOSA!» ringhiò, eiaculando una sborra densa che le inondò la bocca, costringendola a deglutire tra i conati. Intanto, il gemello nella fica accelerò il ritmo, le mani che le afferravano i fianchi fino a lasciarle lividi, mentre l’altro le allargava il culo con una forza tale da farle temere di strapparsi in due. «TI PIACE ESSERE RIEMPITA DA TRE?» le sibilò all’orecchio, sborrando dentro il suo ano un getto caldo che le fece bruciare le viscere.
La trascinarono in casa, Petra ormai ridotta a un sacco di carne tremante, la fica lacerata che sanguinava sulla moquette del salotto. Marco la girò a pecora, afferrandole i capelli per spingere il cazzo ancora dentro, mentre i gemelli le pisciavano addosso, l’urina giallastra che le colava lungo la schiena e le cosce. «SEI LA NOSTRA CUM-DUMPSTER ORA!» rise uno di loro, infilandole il cazzo in bocca mentre Marco continuava a scoparla da dietro. Petra sentì il seme alieno—no, non alieno, quello dei vicini, reale, disgustoso—colarle fuori dalla vagina, mischiandosi al sangue e alle lacrime.
Passarono ore. Petra perse il conto delle volte in cui fu scopata: in cucina, con Marco che le sbatteva la testa contro il frigorifero mentre le veniva in faccia; in bagno, con i gemelli che la tenevano sotto la doccia fredda mentre le infilavano il sapone nell’ano; sul divano, dove Marco le strappò una mutandina che aveva lasciato in giro e gliela ficcò in bocca per soffocare i suoi urli. Ogni volta che provava a divincolarsi, uno di loro le dava uno schiaffo o le mordeva un capezzolo fino a farla sanguinare. «SEI NOSTRA ORA, PUTTANA!» le sibilavano, mentre le sborravano addosso dosi sempre più abbondanti di sperma, marchiandola come proprietà.
Alla fine, quando il sole tramontò e le bottiglie di birra furono vuote, i vicini se ne andarono, lasciandola nuda e sanguinante sul pavimento. Petra strisciò verso il telefono, le dita tremanti che componevano il numero della polizia, ma si fermò. E se racconto cos’è successo?, pensò, guardandosi allo specchio: il viso gonfio, le labbra spaccate, la fica dilatata da cui colava sperma misto a sangue. Mi chiederanno perché stavo mezza nuda in giardino. Mi daranno la colpa.
Si lavò in silenzio, strofinandosi la pelle fino a farla diventare rossa, ma non servì. Il sapore di sperma le rimase in gola, il bruciore nell’ano non accennava a passare, e dentro di lei c'era ancora un desiderio oscuro, perverso. Perché mentre urlava, mentre la dilaniavano, aveva goduto. Aveva sentito il piacere mescolarsi al dolore, il suo corpo tradirla con orgasmi incontrollabili ogni volta che un cazzo le strappava un gemito.
Il giorno dopo, Petra tornò in giardino. Indossava di nuovo il microbikini, ma questa volta lasciò la porta finestra aperta. E quando vide i vicini affacciarsi oltre la siepe, non si coprì. Sorrise, allargando le gambe. Perché sapeva che sarebbero tornati. E questa volta, non avrebbe urlato.
3
voti
voti
valutazione
3.7
3.7
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
L'ex monastero
Commenti dei lettori al racconto erotico