Noi lavoratrici schiave troviamoun nuovo lavoro

di
genere
sadomaso

Il nostro amico imprenditore ci ha trovato un nuovo lavoro per la domenica successiva.
Era rimasto contento dalla nostra prestazione precedente e voleva vederci al lavoro come schiave su un altro cantiere.
Così diceva nelsuo messaggio.
Io e mia sorella eravamo contente di aver soddisfatto quel porco, che ci aveva sfruttate sia sessualmente che materialmente per ilsuointeresse economico.
Rispondemmo prontamente che eravamo disposte a farci sfruttare come lui voleva.
Lui contento della nosttra decisione ci diede l'indirizzo e l'orario in cui presentarci.
Ci svegliammo alle cinque di domenica mattina per essere presenti alle sei sul cantiere dove avremmo dovuto lavorare e soffrire come schiave.
Partimmo per tempo ed alle sei in punto ci presentammo.
Lo schiavista era già l'i e ci ci ordinò di spogliarci nude; la mattinata era freschina e piovvigginosa e noi ci ritrovammo con i piedi scalzi nella fanghiglia di un cantiere, con i nostri corpi nudi che venivano colpiti e raggelati dalle gocce fresche della pioggia di autunno.
Il porco, ben vestito con un impermeabile, ci disse che avremmo dovuto svolgere un lavoro all'aperto.
Ci portò sul luogo di lavoro mostrandoci una larga lunga trincea che era alla base di un muro di contenimento.
La cavita doveva essere riempita di ghiaia; il cumulo di pietrame a cui attingere era a circa cento metri di distanza al centro del piazzale del cantiere.
Ci spiegò che con una pala meccanica il lavoro avrebbe potuto essere svolto in due o tre ore.
Ma avrebbe comportato la spesa dell'affitto di un macchinario; noi schiave ci avremmo potuto mettere dodici o quattordici ore ma gli avrebbero fatto risparmiare parecchi soldi.
Ci sentivamo entusiaste ad essere considerate come delle schiave lavoratrici che potevano sostituirsi a delle macchine meccaniche e fargli risparmiare dei soldi.
Il maiale ci portò all'enorme cumulo di ghiaia che dovevamo trasportare e riversare nella trincea.
C'erano due o tre carriole; ci disse che le carriole dovevano essere riempite di ghiaia da una di noi e trasportate e riversate nella trincea.
Ci permise di decidere chi doveva essere la caricatrice e chi la traspotatrice.
Io e mia sorella decidemmo facemmo pari o dispari con le mani per decidere a chi sarebberò spettati i compiti.
Da quella riffa risultò che io avrei dovuto portare le carriole e mia sorella con la pala avrebbe dovuto riempirle.
Cominciammo così il nostro lavoro di schiave lavoratrici.
Mia sorella riempiva le carriole, io le portavo affrontando la fanghiglia ed il giaietto che feriva i miei piedi scalzi fino alla fossa.
Dopo poco tempo di quel lavoro massacrante non sentivo più il freddo, e l'acquerugiala della pioggia che ricopriva il mio corpo.
Anzia cominciai a surriscaldarmi ed a sudare per la fatica.
I miei piedi scalzi si ferivano ad ogni percorso sui ciottoli, il pietrame e le radici delle piante che coprivano il mio percorso.
Il compito di mia sorella non era meno gravoso del mio, con la pala con i piedi scalzi sulla ghiaia bagnata dalla pioggia doveva riempire le carriole di decine e decine di chili di pietrame, una cosa così faticosa che la portò a lacrimare per lo sforzo.
Il maiale osservava il nostro lavoro e valutava i tempi; riscontrando che io ero troppo lenta cominciò a picchiarmi con un bastone per farmi andare più veloce.
Ero entusiasta di quel trattamento, mi sentivo una vera schiava ed il mio cazzo cominciò ad indurirsi.
Mi piaceva lavorare con il cazzo semiduro mentre venivo picchiata duramente.
Ero veramente felice, entusiasta, realizzata; notai che anche mia sorella distrutta dalla fatica colava liquidi dalla figa.
Dopo molte ore di lavoro il padrone ci concesse una pausa; era spuntato il sole e la pioggia era cessata.
Noi sudate, sporche, esauste e dolornti ci inginocchiammo davanti al nostro "datore di lavoro" mentre lui comodamente si gustava un grosso panino alla mortadella e bevendo una fresca birretta.
Noi affamate ed assetate guardammo il padrone gustare il suo pasto sperando che ci avrebbe dato qualcosa per nutrirci.
Finito il suo panino e la sua birretta il padrone aprì due scatolette di carne che gettò per terra dicendoci che quello era il nostro pasto.
Noi ci gettammo su quella carne sporca di fango come dele cagnette affamate ingoiando ogni pezzo sporco e schifoso pur di sfamarci.
Riempì uno sporco contenitore di cantiere di acqua proveniente da un rubinetto di cantiere; senz'altro acqua non potabile.
C'è lo lancio con disprezzo, noi ci affannammo e litigammo per dissettarci da quella lurida acqua.
Poi contente, orrendamente sazie e dissetate ci gettammo per terra nella fanghiglia per riposarci.
Dopo alcun minuti di pausa il maiale tirò fuori il suo cazzo eretto e senza tante parole cominciò a montare mia sorella chiavandola nella figa.
Quella porca ed il maiale cominciarono ad emettere suoni e gemit di godimento.
Io cominciai a masturbarmi guardando mia sorella che veniva chiavata brutalmente.
Il tizio arrivvò brevemente e quando si sfilò, mentre mia sorella cominciava a toccarsi per arrivarre all'orgasmo io gli infilai prontamente il mio cazzo in bocca.
Lei cominciò a succhiarmelo mentre si masturbava e dopo poco le sborrai in bocca.
Anche lei godette e poi ci abbandonammo nella fanghiglia esauste.
Ma quel porco del nostro "datore di lavoro" ci concesse una pausa molto breve.
Prendendo il suo bastone cominciò a picchiarci per farci alzare, ed urlando ci riportò al lavoro.
Noi doloranti, affatticate ritornammo al nostro posto.
Stavolta stava a me riempire le carriole di ghiaia mentre mia sorella avrebbe dovuto portare i contenitori alla trincea.
Lavorammo come bestie per tutto i pomeriggio; alle volte il padrone ci invogliava a fare più veloci con il suo bastone.
Quanto ci piaceva ci sentivamo veramente delle schiave totali, avremmo voluto lavorare a quel cantiere nelle stese condizioni anche per il giorno dopo.
Ma il nostro padrone ci aveva detto che all'indomani sarebbero arrivati i normali operai e noi dovevamo scomparire.
Quando arrivò la sera non avevamo ancora finito il nostro compito; la fossa non era ancora riempita.
Eravamo distrutte dalla fatica, nonostante il nostro impegno e la nostra fatica e le bastonate non avevamo ancora risolto il nostro compito.
Fù solamente verso verso mezzanotte che riuscimmo a completare il nostro lavoro.
Eravamo distrutte.
Il "datore di lavoro" si considerò soddisfatto.
Noi peò rispondemmo che eravamo troppo distrutte per poter tornare a casa.
Lui comprese e ci indicò un casotto di servizio dove avremmo potuto passare la notte fino a riprenderci.
Entrammo in quel lurido ambiente; ma noi dopo tutte quelle ore di lavoro sfiancnte eravamo ancora più sporche.
Pregammo per del cibo e dell'accqua perchè eravamo affamate ed assetate.
Il padrone aprì delle scatollette di carne che gettò sul lurido pavimento di quello sgabuzzino, noi come delle bestie ci gettammo sopra quei pezzi di carne lerci.
Poi ci porse un contenitore di acqua lurida da cui bevemmo come disperate asettate come eravamo.
Poi ci disse che potevamo passare lì la notte, ma che lui sarebbe arrivatto la mattina dopo prima dell'arrivo degli operai per sloggiarci.
Noi semincoscenti per la fatica acconsentimmo.
Poi lui se ne andò trovammo degli spessi teli di nylon sporchi e puzzolenti con cui ricoprirci e scaldarci.
Passammo le prime ore di quella nottata gemendo e contorcendoci per i dolori dovuti alla fatica ed alle bastonate; poi gradualmente cominciammo a scivolare il un sonno sempre più profondo e gradevole.

scritto il
2025-10-14
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