“Il controllo dello stress” – Capitolo 26
di
penna
genere
confessioni
Questa serie di racconti prende spunto da un’esperienza dell’autore che, attraverso la penna, confessa con fantasia l’evoluzione della realtà.
Per contatti: pennaefantasia@gmail.com
Novembre non era mai stato gentile con Mauro. Il suo calendario anche questa volta si era riempito di appuntamenti, call e meeting, trasferte brevi e pranzi istituzionali che lasciavano poco spazio al respiro. Ogni mattina, ancora prima del caffè, Mauro scorreva l’agenda digitale come un soldato che controlla la mappa del fronte. I suoi occhi, seppur svegli, erano più spenti, il tono di voce meno caldo. Loretta lo osservava. Sempre.
Non c’erano stati litigi. Nessun lamento esplicito. Ma Loretta, che conosceva ogni piega del marito, ne percepiva la stanchezza come si sente l’umidità prima della pioggia. E fu una sera, dopo la lezione di salsa, che si confidò con Carlo per condividere una nuova proposta allettante.
«Sta tornando in quella zona d’ombra che conosco bene», sussurrò, mentre fuori il parcheggio si svuotava. «Ha bisogno di essere riportato al centro.»
Carlo annuì. Non aveva bisogno di chiedere altro.
Fu deciso in silenzio. Un accordo tra adulti, tra complici. Una scelta d’amore, e di controllo.
La domenica sera, Loretta preparò la camera da letto in modo diverso: luci basse, lenzuola chiare stirate con cura e, sopra il comodino, la piccola scatola che Mauro ormai riconosceva al primo sguardo. Appena lui uscì dalla doccia, il suo corpo ancora umido di vapore, vide Loretta seduta sul bordo del letto, le gambe accavallate, vestita con una vestaglia trasparente che lasciava intravedere il seno nudo.
«Hai bisogno di contenimento», disse con calma. «Di uno spazio preciso in cui stare. Una forma che ti protegga.»
Non era una richiesta. Era un decreto.
Mauro si avvicinò e si inginocchiò davanti a lei, lasciando che le sue mani guidassero l’indosso della gabbia. L’acciaio tornò al suo posto. Freddo, rassicurante.
Lei gli accarezzò i capelli. «Ora puoi affrontare anche la settimana più piena.»
La settimana successiva fu effettivamente dura. Incontri su incontri, cene in ambienti formali dove ogni parola pesava quanto un contratto. Ma Mauro si sentiva più calmo. Come se la sua vera energia fosse stata incanalata altrove, come se potesse reggere tutto perché sapeva a chi apparteneva davvero.
Fu durante un importante pranzo di lavoro, in un ristorante elegante nel cuore del cpoluogo, che accadde.
Seduto al tavolo con due clienti e un collega, Mauro cercava di mantenere lucidità, ma qualcosa lo distraeva. Una tensione fisica. Impellente. Fastidiosa. La gabbia, fino ad allora alleata, stava diventando limite.
«Scusate, un attimo solo. Un'urgenza», disse con educazione, lasciando la giacca sulla sedia e dirigendosi verso i servizi.
Il bagno era ampio, silenzioso, con specchi grandi e luci soffuse. Mauro si sciacquò il viso, cercando di trovare sollievo. Poi sentì la porta aprirsi alle sue spalle.
Carlo. Indossava un jeans sportivo e una polo scura, lo sguardo tranquillo.
«Ti ho seguito. Loretta mi ha mandato un messaggio...» Si avvicinò lentamente.
Mauro restò immobile. Non era pronto. Quella situazione gli si presentava per la prima volta in un momento lavorativo.
«Hai bisogno di scaricare la pressione. Ma non da solo.» La voce di Carlo era un ordine sussurrato.
Con movimenti rapidi ma misurati, Carlo lo prese per i fianchi e lo spinse nel bagno chiudendo la serratura. Gli sfilò i pantaloni con maestria, lo fece piegare leggermente in avanti, sollevando la camicia senza sfiorarla. Mauro tremava. Il metallo della gabbia vibrava appena.
Con un gesto fermo, Carlo sbloccò la serratura magnetica. Un clic discreto, ma potente. La gabbia si aprì. Mauro gemette piano, il corpo attraversato da una scarica di tensione. Con il membro già pulsante. Il tocco di Carlo fu prolungato e intenso. Lo fece venire con precisione chirurgica, tenendolo con una mano sul torace per contenere ogni scossa. Mauro ansimò, ma in silenzio.
«Ora puoi tornare al tavolo.» mormorò Carlo, chiudendo con cura la gabbia.
Poi gli sistemò la camicia e lo lasciò solo, senza voltarsi.
Mauro restò lì per qualche istante. Si appoggiò al lavandino riflettendosi allo specchio. I suoi occhi brillavano. Si sistemò la giacca, respirò profondamente e tornò al tavolo con un’espressione più rilassata.
«Scusate l’attesa», disse. «Problema risolto.»
Il pranzo proseguì senza intoppi. I clienti risero più volte alle sue battute, la trattativa si chiuse con una stretta di mano calorosa.
Loretta, che sedeva a un altro tavolo del ristorante con un’amica, l’aveva osservato tutto il tempo da lontano. Quando vide Mauro rientrare, lo sguardo calmo e la postura rilassata, sorrise appena.
Sapeva. Aveva sentito tutto, anche da lontano.
A fine pasto si alzò, si avvicinò al tavolo di Mauro con la scusa di salutare.
«Come è andata la riunione?», chiese civettuola.
Mauro le prese la mano. «Molto bene. Perfettamente gestita.»
Loretta si avvicinò all’orecchio. «Domani, doppia riunione... mattina con me. Pomeriggio con Carlo. E nessun ritardo ammesso.»
Mauro chinò leggermente il capo. «Dovere.»
Loretta si allontanò con passo lento, lasciando dietro di sé una scia di profumo e dominio. Raggiunse Carlo e uscirono assieme.
E Mauro... tornò alle ultime battute con i clienti, più leggero. Perché il suo vero linguaggio, quello che contava, lo aveva già parlato. Tra le pareti silenziose di un bagno elegante. Tra le mani di chi lo possedeva davvero.
Per contatti: pennaefantasia@gmail.com
Novembre non era mai stato gentile con Mauro. Il suo calendario anche questa volta si era riempito di appuntamenti, call e meeting, trasferte brevi e pranzi istituzionali che lasciavano poco spazio al respiro. Ogni mattina, ancora prima del caffè, Mauro scorreva l’agenda digitale come un soldato che controlla la mappa del fronte. I suoi occhi, seppur svegli, erano più spenti, il tono di voce meno caldo. Loretta lo osservava. Sempre.
Non c’erano stati litigi. Nessun lamento esplicito. Ma Loretta, che conosceva ogni piega del marito, ne percepiva la stanchezza come si sente l’umidità prima della pioggia. E fu una sera, dopo la lezione di salsa, che si confidò con Carlo per condividere una nuova proposta allettante.
«Sta tornando in quella zona d’ombra che conosco bene», sussurrò, mentre fuori il parcheggio si svuotava. «Ha bisogno di essere riportato al centro.»
Carlo annuì. Non aveva bisogno di chiedere altro.
Fu deciso in silenzio. Un accordo tra adulti, tra complici. Una scelta d’amore, e di controllo.
La domenica sera, Loretta preparò la camera da letto in modo diverso: luci basse, lenzuola chiare stirate con cura e, sopra il comodino, la piccola scatola che Mauro ormai riconosceva al primo sguardo. Appena lui uscì dalla doccia, il suo corpo ancora umido di vapore, vide Loretta seduta sul bordo del letto, le gambe accavallate, vestita con una vestaglia trasparente che lasciava intravedere il seno nudo.
«Hai bisogno di contenimento», disse con calma. «Di uno spazio preciso in cui stare. Una forma che ti protegga.»
Non era una richiesta. Era un decreto.
Mauro si avvicinò e si inginocchiò davanti a lei, lasciando che le sue mani guidassero l’indosso della gabbia. L’acciaio tornò al suo posto. Freddo, rassicurante.
Lei gli accarezzò i capelli. «Ora puoi affrontare anche la settimana più piena.»
La settimana successiva fu effettivamente dura. Incontri su incontri, cene in ambienti formali dove ogni parola pesava quanto un contratto. Ma Mauro si sentiva più calmo. Come se la sua vera energia fosse stata incanalata altrove, come se potesse reggere tutto perché sapeva a chi apparteneva davvero.
Fu durante un importante pranzo di lavoro, in un ristorante elegante nel cuore del cpoluogo, che accadde.
Seduto al tavolo con due clienti e un collega, Mauro cercava di mantenere lucidità, ma qualcosa lo distraeva. Una tensione fisica. Impellente. Fastidiosa. La gabbia, fino ad allora alleata, stava diventando limite.
«Scusate, un attimo solo. Un'urgenza», disse con educazione, lasciando la giacca sulla sedia e dirigendosi verso i servizi.
Il bagno era ampio, silenzioso, con specchi grandi e luci soffuse. Mauro si sciacquò il viso, cercando di trovare sollievo. Poi sentì la porta aprirsi alle sue spalle.
Carlo. Indossava un jeans sportivo e una polo scura, lo sguardo tranquillo.
«Ti ho seguito. Loretta mi ha mandato un messaggio...» Si avvicinò lentamente.
Mauro restò immobile. Non era pronto. Quella situazione gli si presentava per la prima volta in un momento lavorativo.
«Hai bisogno di scaricare la pressione. Ma non da solo.» La voce di Carlo era un ordine sussurrato.
Con movimenti rapidi ma misurati, Carlo lo prese per i fianchi e lo spinse nel bagno chiudendo la serratura. Gli sfilò i pantaloni con maestria, lo fece piegare leggermente in avanti, sollevando la camicia senza sfiorarla. Mauro tremava. Il metallo della gabbia vibrava appena.
Con un gesto fermo, Carlo sbloccò la serratura magnetica. Un clic discreto, ma potente. La gabbia si aprì. Mauro gemette piano, il corpo attraversato da una scarica di tensione. Con il membro già pulsante. Il tocco di Carlo fu prolungato e intenso. Lo fece venire con precisione chirurgica, tenendolo con una mano sul torace per contenere ogni scossa. Mauro ansimò, ma in silenzio.
«Ora puoi tornare al tavolo.» mormorò Carlo, chiudendo con cura la gabbia.
Poi gli sistemò la camicia e lo lasciò solo, senza voltarsi.
Mauro restò lì per qualche istante. Si appoggiò al lavandino riflettendosi allo specchio. I suoi occhi brillavano. Si sistemò la giacca, respirò profondamente e tornò al tavolo con un’espressione più rilassata.
«Scusate l’attesa», disse. «Problema risolto.»
Il pranzo proseguì senza intoppi. I clienti risero più volte alle sue battute, la trattativa si chiuse con una stretta di mano calorosa.
Loretta, che sedeva a un altro tavolo del ristorante con un’amica, l’aveva osservato tutto il tempo da lontano. Quando vide Mauro rientrare, lo sguardo calmo e la postura rilassata, sorrise appena.
Sapeva. Aveva sentito tutto, anche da lontano.
A fine pasto si alzò, si avvicinò al tavolo di Mauro con la scusa di salutare.
«Come è andata la riunione?», chiese civettuola.
Mauro le prese la mano. «Molto bene. Perfettamente gestita.»
Loretta si avvicinò all’orecchio. «Domani, doppia riunione... mattina con me. Pomeriggio con Carlo. E nessun ritardo ammesso.»
Mauro chinò leggermente il capo. «Dovere.»
Loretta si allontanò con passo lento, lasciando dietro di sé una scia di profumo e dominio. Raggiunse Carlo e uscirono assieme.
E Mauro... tornò alle ultime battute con i clienti, più leggero. Perché il suo vero linguaggio, quello che contava, lo aveva già parlato. Tra le pareti silenziose di un bagno elegante. Tra le mani di chi lo possedeva davvero.
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