“Maschere e desideri” – Capitolo 25
di
penna
genere
confessioni
Questa serie di racconti prende spunto da un’esperienza dell’autore che, attraverso la penna, confessa con fantasia l’evoluzione della realtà.
Per contatti: pennaefantasia@gmail.com
La notte del 31 ottobre arrivò col suo carico di promesse non dette e brividi di attesa. La scuola di salsa si era trasformata per l’occasione: tende rosse sulle finestre, ragnatele finte che pendevano dagli angoli del soffitto, zucche intagliate sparse lungo il corridoio d’ingresso, e una musica latina remixata con suoni sinistri che usciva da casse nascoste tra le decorazioni. Il profumo di rum speziato e incenso dolce galleggiava nell’aria. Il locale affittato per l’evento era ampio, con un pavimento piastrellato perfetto per ballare, una pista centrale illuminata da faretti arancioni e porpora, e tavoli disposti lungo le pareti, coperti da tovaglie nere e candelabri con candele tremolanti.
Loretta era ansiosa come una bambina in attesa del suo cavaliere per la serata. Il suo costume da infermiera sexy – un vestitino bianco cortissimo con rifiniture rosse, calze autoreggenti, tacchi alti e un cappellino inclinato su un lato – le fasciava il corpo con audacia. Il trucco era teatrale: occhi intensi, labbra rosso sangue, un piccolo taglio finto sulla guancia che le dava un'aria trasgressiva. Si sentiva splendida.
Quando Carlo arrivò a prenderla indossava un camice bianco, pantaloni scuri e una maschera chirurgica calata sotto il mento. Il suo costume non era ben curato, ma appeno Loretta lo vide lo sguardo gli si accese.
«Infermiera, ho bisogno urgente di un consulto,» le disse, con un sorriso inclinato e una scintilla di gioco negli occhi.
«Mi sa che la sua pressione è già altissima, dottore,» replicò lei, poggiando una mano sul suo petto, mentre gli sistemava il camice con lentezza.
Le risate e la musica li avvolsero subito. Presero posto a uno dei tavoli vicini alla pista, bevendo un primo mojito mentre osservavano gli altri ballerini arrivare: vampiri in gilet rossi, zombie ballerine, una coppia di Frankenstein in versione salsera. Ogni travestimento aggiungeva una nota di follia gioiosa alla serata.
Poco dopo, iniziarono le prime danze. Loretta e Carlo si gettarono in pista come due predatori in sintonia perfetta. I passi erano più sciolti del solito, liberi, sensuali. Il modo in cui lui la faceva girare, per poi trattenerla stretta, il modo in cui lei si lasciava andare, con il corpo morbido che si incollava al suo, generava un’energia elettrica che attirava gli sguardi. Non c’erano più freni. Non quella notte.
I cocktail continuarono a scorrere: caipirinha, cuba libre, margarita. Le risa si fecero più frequenti, gli sguardi più lenti, le mani più audaci. A un certo punto, mentre stavano fuori a prendere aria, Carlo si avvicinò da dietro, infilò le mani sotto il completino di Loretta e le sussurrò all’orecchio:
«Siamo ubriachi il giusto. Fermiamoci prima di tornare. Godiamoci.»
Lei non rispose. Lo guardò appena, con uno sguardo lungo, liquido. Poi fece un cenno con il capo e gli indicò l’auto parcheggiata.
Si chiusero dentro, sedili reclinati, il buio interrotto solo dai lampioni lontani. I vetri si appannarono subito. I costumi diventarono una barriera da strappare via, tra baci umidi e mani impazienti. Loretta si sfilò gli stivali con movimenti lenti, offrendosi sul sedile posteriore mentre Carlo le toglieva le mutandine con i denti.
Le gambe di lei si aprirono con naturalezza, accogliendolo. L’auto dondolava appena sotto i colpi lenti e profondi di un amplesso carico di risa sussurrate e gemiti trattenuti. Loretta cavalcava il suo piacere con decisione, i capelli sciolti, il trucco appena sbavato, gli occhi fissi su quelli di Carlo.
A un certo punto, il cellulare vibrò. Era un messaggio di Mauro.
“Sto arrivando. Voi due, fate i bravi.”
Loretta lo lesse e lo mostrò a Carlo con un sorriso complice.
«Ci trova così,» disse, senza muoversi. «Caldi. Appiccicati. Sudati. E ancora non sa che… voglio continuare, con lui che ci guarda. Come quella notte.»
Carlo ansimò, ormai quasi al limite. Loretta si chinò su di lui, prendendolo tra le mani e stringendolo con forza. Quando arrivò al piacere, lo fece con un urlo sommesso e vibrante, il respiro tremante. Lui la seguì subito dopo, il corpo che si inarcava sotto di lei.
Restarono abbracciati, con i corpi ancora intrecciati, mentre il rumore dell’auto che si avvicinava annunciava Mauro.
Loretta si ricompose appena, le cosce ancora umide, il busto ancora scoperto. Carlo si rimise la camicia a metà, i capelli scompigliati, lo sguardo sereno.
I due salirono mentre Mauro li guardò nello specchietto, con un sorriso ironico e pieno di desiderio.
«Vi siete divertiti?»
Loretta si voltò verso di lui e gli accarezzò la guancia. «Abbiamo solo cominciato.»
E mentre Mauro guidava nella notte ancora illuminata da qualche zucca luminosa sui balconi, la macchina era carica di promesse. La festa era finita, ma la notte, stava per ricominciare.
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La notte del 31 ottobre arrivò col suo carico di promesse non dette e brividi di attesa. La scuola di salsa si era trasformata per l’occasione: tende rosse sulle finestre, ragnatele finte che pendevano dagli angoli del soffitto, zucche intagliate sparse lungo il corridoio d’ingresso, e una musica latina remixata con suoni sinistri che usciva da casse nascoste tra le decorazioni. Il profumo di rum speziato e incenso dolce galleggiava nell’aria. Il locale affittato per l’evento era ampio, con un pavimento piastrellato perfetto per ballare, una pista centrale illuminata da faretti arancioni e porpora, e tavoli disposti lungo le pareti, coperti da tovaglie nere e candelabri con candele tremolanti.
Loretta era ansiosa come una bambina in attesa del suo cavaliere per la serata. Il suo costume da infermiera sexy – un vestitino bianco cortissimo con rifiniture rosse, calze autoreggenti, tacchi alti e un cappellino inclinato su un lato – le fasciava il corpo con audacia. Il trucco era teatrale: occhi intensi, labbra rosso sangue, un piccolo taglio finto sulla guancia che le dava un'aria trasgressiva. Si sentiva splendida.
Quando Carlo arrivò a prenderla indossava un camice bianco, pantaloni scuri e una maschera chirurgica calata sotto il mento. Il suo costume non era ben curato, ma appeno Loretta lo vide lo sguardo gli si accese.
«Infermiera, ho bisogno urgente di un consulto,» le disse, con un sorriso inclinato e una scintilla di gioco negli occhi.
«Mi sa che la sua pressione è già altissima, dottore,» replicò lei, poggiando una mano sul suo petto, mentre gli sistemava il camice con lentezza.
Le risate e la musica li avvolsero subito. Presero posto a uno dei tavoli vicini alla pista, bevendo un primo mojito mentre osservavano gli altri ballerini arrivare: vampiri in gilet rossi, zombie ballerine, una coppia di Frankenstein in versione salsera. Ogni travestimento aggiungeva una nota di follia gioiosa alla serata.
Poco dopo, iniziarono le prime danze. Loretta e Carlo si gettarono in pista come due predatori in sintonia perfetta. I passi erano più sciolti del solito, liberi, sensuali. Il modo in cui lui la faceva girare, per poi trattenerla stretta, il modo in cui lei si lasciava andare, con il corpo morbido che si incollava al suo, generava un’energia elettrica che attirava gli sguardi. Non c’erano più freni. Non quella notte.
I cocktail continuarono a scorrere: caipirinha, cuba libre, margarita. Le risa si fecero più frequenti, gli sguardi più lenti, le mani più audaci. A un certo punto, mentre stavano fuori a prendere aria, Carlo si avvicinò da dietro, infilò le mani sotto il completino di Loretta e le sussurrò all’orecchio:
«Siamo ubriachi il giusto. Fermiamoci prima di tornare. Godiamoci.»
Lei non rispose. Lo guardò appena, con uno sguardo lungo, liquido. Poi fece un cenno con il capo e gli indicò l’auto parcheggiata.
Si chiusero dentro, sedili reclinati, il buio interrotto solo dai lampioni lontani. I vetri si appannarono subito. I costumi diventarono una barriera da strappare via, tra baci umidi e mani impazienti. Loretta si sfilò gli stivali con movimenti lenti, offrendosi sul sedile posteriore mentre Carlo le toglieva le mutandine con i denti.
Le gambe di lei si aprirono con naturalezza, accogliendolo. L’auto dondolava appena sotto i colpi lenti e profondi di un amplesso carico di risa sussurrate e gemiti trattenuti. Loretta cavalcava il suo piacere con decisione, i capelli sciolti, il trucco appena sbavato, gli occhi fissi su quelli di Carlo.
A un certo punto, il cellulare vibrò. Era un messaggio di Mauro.
“Sto arrivando. Voi due, fate i bravi.”
Loretta lo lesse e lo mostrò a Carlo con un sorriso complice.
«Ci trova così,» disse, senza muoversi. «Caldi. Appiccicati. Sudati. E ancora non sa che… voglio continuare, con lui che ci guarda. Come quella notte.»
Carlo ansimò, ormai quasi al limite. Loretta si chinò su di lui, prendendolo tra le mani e stringendolo con forza. Quando arrivò al piacere, lo fece con un urlo sommesso e vibrante, il respiro tremante. Lui la seguì subito dopo, il corpo che si inarcava sotto di lei.
Restarono abbracciati, con i corpi ancora intrecciati, mentre il rumore dell’auto che si avvicinava annunciava Mauro.
Loretta si ricompose appena, le cosce ancora umide, il busto ancora scoperto. Carlo si rimise la camicia a metà, i capelli scompigliati, lo sguardo sereno.
I due salirono mentre Mauro li guardò nello specchietto, con un sorriso ironico e pieno di desiderio.
«Vi siete divertiti?»
Loretta si voltò verso di lui e gli accarezzò la guancia. «Abbiamo solo cominciato.»
E mentre Mauro guidava nella notte ancora illuminata da qualche zucca luminosa sui balconi, la macchina era carica di promesse. La festa era finita, ma la notte, stava per ricominciare.
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