“Salsa, corso intermedio” - Capitolo 19
di
penna
genere
confessioni
Questa serie di racconti prende spunto da un’esperienza dell’autore che, attraverso la penna, confessa con fantasia l’evoluzione della realtà.
Per contatti: pennaefantasia@gmail.com
Loretta e Carlo si iscrissero assieme al nuovo corso intermedio di salsa. La sala della scuola di ballo aveva quell’odore familiare. Erano tornati. Dopo i mesi estivi di pausa. Senza Mauro.
Loretta, in una gonna fluida color ciliegia e una blusa nera che le lasciava scoperta la curva morbida delle spalle. Carlo, con una polo sbottonata e la postura di chi si sente ancora in gioco.
Quando l’insegnante diede il via alla musica, fu come se il tempo si piegasse su se stesso: i passi ritrovati, il calore della mano di lui sul fianco di lei, la guida appena percettibile ma ferma. Loretta seguiva con naturalezza, gli occhi negli occhi, sorridendo come chi conosce un segreto.
La lezione scorreva liscia, a tratti quasi ipnotica. C’era complicità nei loro movimenti, nei giri improvvisi, nei corpi che si sfioravano con misura. Non c’era bisogno di parole: i corpi raccontavano abbastanza. E intorno a loro, gli altri sembravano muoversi a rallentatore.
Verso la fine della lezione, quando il ritmo si fece più serrato e i corpi cominciarono a brillare di sudore e desiderio trattenuto, Carlo vide Loretta abbassare lo sguardo verso l’ingresso. Mauro era lì.
Appoggiato allo stipite della porta, le mani in tasca, osservava in silenzio. I suoi occhi erano fissi su Loretta, non per gelosia, ma con una calma quasi misteriosa. Un cenno appena accennato, un mezzo sorriso. Poi si fece da parte mentre la musica si spegneva.
Loretta raccolse la borsa, si avvicinò a Carlo.
«Vieni?» chiese, come se non avessero già deciso tutto.
La strada verso la villetta fu breve e silenziosa. Mauro guidava, Loretta accanto a lui. Carlo dietro, in un silenzio carico di presagi. Nessuno parlava. La tensione era sottile ma palpabile. Non c’era bisogno di spiegare nulla: la sera si sarebbe svolta come doveva.
Entrarono in casa. Le luci basse, l’ambiente caldo. Mauro si tolse la giacca, si versò un bicchiere di vino e si sedette sul divano, lasciando che fossero loro due a muoversi.
Loretta si voltò verso Carlo e senza parlare lo prese per mano, conducendolo nella camera da letto. I movimenti erano misurati, quasi rituali. Lui la seguiva con lo stesso passo del ballo, fidandosi del ritmo che lei dettava.
Nella penombra della stanza, la luce filtrava appena dalla porta socchiusa. Loretta si spogliò lentamente, lasciando che i tessuti scivolassero via uno a uno. Lo fece senza fretta, lasciando che ogni gesto avesse il suo peso, la sua intensità. Carlo si avvicinò, sfiorandole il fianco, baciandole le spalle, scoprendo piano la pelle che già conosceva, ma che ora sembrava nuova, pronta.
Fu un incontro morbido, consapevole. Lei si muoveva con una grazia sicura, come se ogni gesto fosse già scritto in uno spartito silenzioso. I corpi si cercavano e si trovavano, si univano in un ritmo lento, poi più deciso, poi ancora più dolce.
E nel momento in cui Loretta si voltò e sussurrò il nome di Mauro, fu lui ad apparire sulla soglia. Nessun imbarazzo, nessuna sorpresa. Si avvicinò, e Loretta gli tese una mano, invitandolo. Era chiaro che quella sera non apparteneva a un solo uomo.
Mauro la baciò con lentezza, sfiorandole il viso, accarezzandole i fianchi, prima di abbracciarla da dietro. Lei si voltò verso di lui e lo condusse sul letto, accanto a Carlo. Il resto fu fatto di carezze incrociate, sospiri incerti e respiri che si mescolavano.
Fu una notte lunga, di pelle, di sguardi e parole sussurrate all’orecchio. Dove nulla era improvvisato, ma tutto era profondamente vissuto.
E quando, molto più tardi, il silenzio calò nella stanza, e il buio avvolse i tre corpi stesi e intrecciati sul letto, non c’era più nulla da spiegare.
Solo il battito ancora accelerato di chi aveva danzato, dentro e fuori dal tempo.
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Loretta e Carlo si iscrissero assieme al nuovo corso intermedio di salsa. La sala della scuola di ballo aveva quell’odore familiare. Erano tornati. Dopo i mesi estivi di pausa. Senza Mauro.
Loretta, in una gonna fluida color ciliegia e una blusa nera che le lasciava scoperta la curva morbida delle spalle. Carlo, con una polo sbottonata e la postura di chi si sente ancora in gioco.
Quando l’insegnante diede il via alla musica, fu come se il tempo si piegasse su se stesso: i passi ritrovati, il calore della mano di lui sul fianco di lei, la guida appena percettibile ma ferma. Loretta seguiva con naturalezza, gli occhi negli occhi, sorridendo come chi conosce un segreto.
La lezione scorreva liscia, a tratti quasi ipnotica. C’era complicità nei loro movimenti, nei giri improvvisi, nei corpi che si sfioravano con misura. Non c’era bisogno di parole: i corpi raccontavano abbastanza. E intorno a loro, gli altri sembravano muoversi a rallentatore.
Verso la fine della lezione, quando il ritmo si fece più serrato e i corpi cominciarono a brillare di sudore e desiderio trattenuto, Carlo vide Loretta abbassare lo sguardo verso l’ingresso. Mauro era lì.
Appoggiato allo stipite della porta, le mani in tasca, osservava in silenzio. I suoi occhi erano fissi su Loretta, non per gelosia, ma con una calma quasi misteriosa. Un cenno appena accennato, un mezzo sorriso. Poi si fece da parte mentre la musica si spegneva.
Loretta raccolse la borsa, si avvicinò a Carlo.
«Vieni?» chiese, come se non avessero già deciso tutto.
La strada verso la villetta fu breve e silenziosa. Mauro guidava, Loretta accanto a lui. Carlo dietro, in un silenzio carico di presagi. Nessuno parlava. La tensione era sottile ma palpabile. Non c’era bisogno di spiegare nulla: la sera si sarebbe svolta come doveva.
Entrarono in casa. Le luci basse, l’ambiente caldo. Mauro si tolse la giacca, si versò un bicchiere di vino e si sedette sul divano, lasciando che fossero loro due a muoversi.
Loretta si voltò verso Carlo e senza parlare lo prese per mano, conducendolo nella camera da letto. I movimenti erano misurati, quasi rituali. Lui la seguiva con lo stesso passo del ballo, fidandosi del ritmo che lei dettava.
Nella penombra della stanza, la luce filtrava appena dalla porta socchiusa. Loretta si spogliò lentamente, lasciando che i tessuti scivolassero via uno a uno. Lo fece senza fretta, lasciando che ogni gesto avesse il suo peso, la sua intensità. Carlo si avvicinò, sfiorandole il fianco, baciandole le spalle, scoprendo piano la pelle che già conosceva, ma che ora sembrava nuova, pronta.
Fu un incontro morbido, consapevole. Lei si muoveva con una grazia sicura, come se ogni gesto fosse già scritto in uno spartito silenzioso. I corpi si cercavano e si trovavano, si univano in un ritmo lento, poi più deciso, poi ancora più dolce.
E nel momento in cui Loretta si voltò e sussurrò il nome di Mauro, fu lui ad apparire sulla soglia. Nessun imbarazzo, nessuna sorpresa. Si avvicinò, e Loretta gli tese una mano, invitandolo. Era chiaro che quella sera non apparteneva a un solo uomo.
Mauro la baciò con lentezza, sfiorandole il viso, accarezzandole i fianchi, prima di abbracciarla da dietro. Lei si voltò verso di lui e lo condusse sul letto, accanto a Carlo. Il resto fu fatto di carezze incrociate, sospiri incerti e respiri che si mescolavano.
Fu una notte lunga, di pelle, di sguardi e parole sussurrate all’orecchio. Dove nulla era improvvisato, ma tutto era profondamente vissuto.
E quando, molto più tardi, il silenzio calò nella stanza, e il buio avvolse i tre corpi stesi e intrecciati sul letto, non c’era più nulla da spiegare.
Solo il battito ancora accelerato di chi aveva danzato, dentro e fuori dal tempo.
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