“Lago di piaceri in gabbia N.2” – Capitolo 13
di
penna
genere
confessioni
Questa serie di racconti prende spunto da un’esperienza dell’autore che, attraverso la penna, confessa con fantasia l’evoluzione della realtà.
Per contatti: pennaefantasia@gmail.com
Il giorno successivo il rapporto emotivo tra i tre proseguì con una naturalezza che avrebbe potuto sembrare disarmante, se non fosse stata così profondamente vera. Ogni gesto, ogni parola, sembrava nascere da un equilibrio appena scoperto ma già solido, come se avessero sempre vissuto così, insieme, su quella barca. La luce del mattino filtrava attraverso l’oblò, riflettendosi sul legno caldo della cabina.
Loretta si stiracchiò pigramente tra le lenzuola, il corpo ancora profumato di sonno e crema idratante al cocco. Carlo era già sveglio, disteso al suo fianco, un braccio intorno alla sua vita nuda. Mauro era steso poco più in là, nella stessa posizione in cui si era addormentato dopo aver ricevuto, la sera prima, carezze dolci ma ferme, parole sussurrate che gli avevano riscaldato l’anima più ancora del corpo.
Fu Loretta a rompere il silenzio, con un sorriso che sapeva di intesa.
«Vieni qui, amore,» disse, tendendo una mano verso Mauro. «Non restare lì a guardare, non stamattina.»
Lui si avvicinò sereno. Carlo gli rimise la gabbia intima. Mauro provava un piacere profondo in quella rinuncia. Un piacere che Carlo e Loretta sapevano coltivare con sapienza.
Le effusioni mattutine tra i tre ripresero lente, fatte di sguardi e di piccole risate. Loretta accarezzava Mauro, ma sempre sopra la gabbia, con un gesto che era insieme affettuoso e dominante. Poi si voltò verso Carlo, lo baciò con desiderio crescente, mentre Mauro, su invito silenzioso, si sistemava tra di loro, un tramite vivo della loro passione fisica e mentale.
Dopo il pranzo - un’insalata fresca, qualche oliva, del pane rustico - i tre tornarono sul ponte, dove il sole scaldava la pelle senza bruciarla. Era pomeriggio inoltrato. La calma del lago era quasi irreale. Il silenzio, interrotto solo dal fruscio delle onde e dal canto di qualche uccello, rendeva tutto più intenso, più presente.
Loretta si sdraiò su un telo bianco, accavallando le gambe. Indossava solo la parte inferiore del costume. I seni, nudi, si sollevavano appena al ritmo del respiro. Aveva lo sguardo fisso su Carlo e Mauro, che nel frattempo si erano spostati verso poppa.
«Voglio vedervi giocare,» disse lei, come se stesse ordinando un brindisi, un gesto semplice e naturale.
Mauro si avvicinò a Carlo con un’esitazione fatta desiderio. Si inginocchiò davanti a lui e gli sfiorò le cosce con le mani. Carlo lo incoraggiò con un cenno, fece scivolare alle caviglie i suoi boxer da bagno, Mauro lui iniziò a baciarlo, a prendersi cura di lui con la bocca, con lentezza, con rispetto.
Loretta osservava, un braccio dietro la testa, l’altro tra le gambe. Il tocco delle sue dita era lieve, quasi distratto, ma l’effetto era immediato. Il suo corpo rispondeva a ogni movimento, a ogni sospiro che le arrivava da quei due corpi maschili in adorazione reciproca.
La visione l’aveva completamente rapita. Sentiva il piacere montare lento, come una marea che non teme la riva. Il respiro si fece più profondo. Le dita si fecero più insistenti. I suoi occhi non lasciavano mai quella scena: Mauro inginocchiato, obbediente, devoto. Carlo rilassato, forte, presente.
Ogni tanto Loretta gemeva, piano, come se parlasse con se stessa. Sentiva il potere che scorreva in lei, e quel potere la faceva vibrare. La gabbia di Mauro, l’erezione contenuta, la devozione nei suoi occhi: tutto contribuiva a un piacere che non era solo fisico. Era mentale, emotivo, simbolico.
Quando Carlo gemette sommessamente e spinse la testa di Mauro più a fondo, Loretta raggiunse il culmine senza bisogno di altro. Si irrigidì appena, chiuse gli occhi, poi li riaprì subito, per non perdersi neanche un secondo di quella comunione.
Prima del tramonto, i tre ormeggiarono la barca vicino a una piccola spiaggia nascosta da alberi bassi e canne palustri. Le ultime luci dorate scivolavano sull’acqua, e il mondo sembrava respirare piano.
Seduti sul ponte, con un bicchiere di vino ciascuno, guardavano in silenzio il cielo tingersi d’arancio.
Loretta si voltò verso Mauro, ancora serrato nella sua gabbia, gli accarezzò la guancia.
«Domani all’alba torneremo a riva, ma stanotte… stanotte sarà ancora nostra.»
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Il giorno successivo il rapporto emotivo tra i tre proseguì con una naturalezza che avrebbe potuto sembrare disarmante, se non fosse stata così profondamente vera. Ogni gesto, ogni parola, sembrava nascere da un equilibrio appena scoperto ma già solido, come se avessero sempre vissuto così, insieme, su quella barca. La luce del mattino filtrava attraverso l’oblò, riflettendosi sul legno caldo della cabina.
Loretta si stiracchiò pigramente tra le lenzuola, il corpo ancora profumato di sonno e crema idratante al cocco. Carlo era già sveglio, disteso al suo fianco, un braccio intorno alla sua vita nuda. Mauro era steso poco più in là, nella stessa posizione in cui si era addormentato dopo aver ricevuto, la sera prima, carezze dolci ma ferme, parole sussurrate che gli avevano riscaldato l’anima più ancora del corpo.
Fu Loretta a rompere il silenzio, con un sorriso che sapeva di intesa.
«Vieni qui, amore,» disse, tendendo una mano verso Mauro. «Non restare lì a guardare, non stamattina.»
Lui si avvicinò sereno. Carlo gli rimise la gabbia intima. Mauro provava un piacere profondo in quella rinuncia. Un piacere che Carlo e Loretta sapevano coltivare con sapienza.
Le effusioni mattutine tra i tre ripresero lente, fatte di sguardi e di piccole risate. Loretta accarezzava Mauro, ma sempre sopra la gabbia, con un gesto che era insieme affettuoso e dominante. Poi si voltò verso Carlo, lo baciò con desiderio crescente, mentre Mauro, su invito silenzioso, si sistemava tra di loro, un tramite vivo della loro passione fisica e mentale.
Dopo il pranzo - un’insalata fresca, qualche oliva, del pane rustico - i tre tornarono sul ponte, dove il sole scaldava la pelle senza bruciarla. Era pomeriggio inoltrato. La calma del lago era quasi irreale. Il silenzio, interrotto solo dal fruscio delle onde e dal canto di qualche uccello, rendeva tutto più intenso, più presente.
Loretta si sdraiò su un telo bianco, accavallando le gambe. Indossava solo la parte inferiore del costume. I seni, nudi, si sollevavano appena al ritmo del respiro. Aveva lo sguardo fisso su Carlo e Mauro, che nel frattempo si erano spostati verso poppa.
«Voglio vedervi giocare,» disse lei, come se stesse ordinando un brindisi, un gesto semplice e naturale.
Mauro si avvicinò a Carlo con un’esitazione fatta desiderio. Si inginocchiò davanti a lui e gli sfiorò le cosce con le mani. Carlo lo incoraggiò con un cenno, fece scivolare alle caviglie i suoi boxer da bagno, Mauro lui iniziò a baciarlo, a prendersi cura di lui con la bocca, con lentezza, con rispetto.
Loretta osservava, un braccio dietro la testa, l’altro tra le gambe. Il tocco delle sue dita era lieve, quasi distratto, ma l’effetto era immediato. Il suo corpo rispondeva a ogni movimento, a ogni sospiro che le arrivava da quei due corpi maschili in adorazione reciproca.
La visione l’aveva completamente rapita. Sentiva il piacere montare lento, come una marea che non teme la riva. Il respiro si fece più profondo. Le dita si fecero più insistenti. I suoi occhi non lasciavano mai quella scena: Mauro inginocchiato, obbediente, devoto. Carlo rilassato, forte, presente.
Ogni tanto Loretta gemeva, piano, come se parlasse con se stessa. Sentiva il potere che scorreva in lei, e quel potere la faceva vibrare. La gabbia di Mauro, l’erezione contenuta, la devozione nei suoi occhi: tutto contribuiva a un piacere che non era solo fisico. Era mentale, emotivo, simbolico.
Quando Carlo gemette sommessamente e spinse la testa di Mauro più a fondo, Loretta raggiunse il culmine senza bisogno di altro. Si irrigidì appena, chiuse gli occhi, poi li riaprì subito, per non perdersi neanche un secondo di quella comunione.
Prima del tramonto, i tre ormeggiarono la barca vicino a una piccola spiaggia nascosta da alberi bassi e canne palustri. Le ultime luci dorate scivolavano sull’acqua, e il mondo sembrava respirare piano.
Seduti sul ponte, con un bicchiere di vino ciascuno, guardavano in silenzio il cielo tingersi d’arancio.
Loretta si voltò verso Mauro, ancora serrato nella sua gabbia, gli accarezzò la guancia.
«Domani all’alba torneremo a riva, ma stanotte… stanotte sarà ancora nostra.»
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