Luci della notte

di
genere
sentimentali

Notte. Illuminata soltanto dalla remota luce delle stelle. E le stelle ruotano lentamente, indifferenti, lungo l'asse dell’eternità.
Un freddo feroce penetra dai finestrini aperti. È oscurità che s’attacca ai vetri come pioggia sporca. In cerca di ispirazione, sente il midollo diventare ghiaccio fragile. Il cervello anestetizzato si arrocca testardo.
I tenui fuochi della città divampano alla sua sinistra. Intorno alla periferia quegli incantesimi sono esche sparpagliate sulla pianura invisibile. Chissà chi ci abita, quali sordidi misteri vieta. Ogni tanto gli anabbaglianti in direzione contraria che sembrano il viatico per un frontale e un funerale.
Chiude gli occhi, li riapre. Segni di vita: gruppo di ragazzi seduti sul muretto sagomato dal lampione solitario – voli stregati nel rogo dei lampioni – ragazze a bordo strada.
Una ogni cento, duecento metri. Ogni chilometro. Lucciole umane appiccicate al buio. Schegge d'occhi bellissimi. Capelli d’oro o di tenebra lunghi fino alle spalle, fino al sedere. Semi svestite, nude. 5°. E dentro?
Alla rotatoria imbocca la terza uscita. Inghiottito nel nulla. Lo stop, di nuovo a destra. Il tornante. La sfilata sull’orlo abissale dei marciapiedi. Alle spalle sagome oscure di cespugli, la griglia delle ombre, l’asfalto che si fa liquido e nero come argento vivo. Striature di ghiaccio screziate di sangue.
Pellicciotto eco leopardato aperto sul petto da cui si indovina tutto. Completo in finta pelle, stivali alti. Gonna rossa. Tre visioni, tre modi d'essere. Quasi un identikit.
Rotatoria, stop, tornante. Pellicciotto leopardato, stivali neri, gonna rossa. Rotatoria, stop, tornante…
Un fantasma intrappolato in un loop temporale, nel buco nero di sé stesso. Sul corso disabitato chiuso nella trappola dei servizi abdicati lontano da tutto e da tutti calderone di ogni incenso e dei preti del diavolo rallenta fino a passo d’uomo, raso cordolo, le osserva una dopo l’altra, le studia esamina giudica. All’ultima tappa – gonna rossa – si ferma. La girl si affaccia dalla portiera. Farfuglia ciao amore. Accento dell’est. Occhi chirghisi, verdi. Capelli neri, di seta. Zigomi pronunciati. Bocca naturale, polpa rossa le labbra. Ovale perfetto, maiolica pronta a frantumarsi.
Quanto?
Spara una cifra. Va bene. Chiedere sconti ad una che ha la notte stellata dell’inverno come tetto…
Sali.
Apre, sguscia dentro, l’abitacolo di colpo acceso le scaraventa addosso spigoli angoli strombi di qualche sofferenza interiore. Magra, anoressica. Belle gambe lunghe, coronate dalle autoreggenti.
La porta lontano. Per un po' non si dicono nulla. Ha visto una piazzola. Deserta. Ma non c’è nessuno in quell'altrove? Sotto una macchia di alberi piegati, mai potati. Qualche frase smozzicata, buttata giù a caso – come quelle che ha provato a inanellare ma tant’è, il blocco dello scrittore non è un babau. Parla come una bambina delle elementari. Trema in modo incontrollato. Veste carta velina. Da quanto tempo è arrivata qui? Si tira giù i calzoni, lei lo lavora di bocca, fa tanto che la riempie. Ingoia. Ha un sorriso in cui si vede tutto lo scheletro. Denti come montagne, il palato una grotta, la gola una fossa oceanica. Fame atavica.
Dopo.
La fa scendere per prendere il suo posto lato passeggero. Nel breve tragitto che percorre intorno all'auto si accartoccia, si abbraccia con quelle alucce di braccia senza piume, senza carne. Sul sedile abbattuto si spogliano, lei lo cavalca. Impacciata, bellissima, segreta sconosciuta fata del sesso a pagamento. Chiude gli occhi. Viene una seconda volta. Si sente una bottiglia vuota. Per qualche manciata di minuti restano così, in silenzio e in pace. Sdraiata sul corpo del maschio, a succhiarne vampirica il sangue ed il calore, lo sperma e la salute. Dove? Impaurita. Fa un cenno che indica il punto di partenza. Annuisce. Procede per tutto il ritorno a passo d’uomo, come se ancora cercasse, frugasse tra i sogni rimasti impigliati nei fili rosati dell’alba lontana. La gonna rossa ricompare d’incanto sopra l’asfalto liquefatto, contornata di elitre e richiami selvaggi, in attesa che un’altra auto passi, che un altro le faccia una domanda ma più dolce, più gentile.
La testa è una bolla, scoppierebbe a sfiorarla col calore di un accendino. Nel baretto il transfert fuori dentro ammazza. Caffè. Minuti. Altri caffè. Ore. Lo schermo sfarfalla, senza voce. Titoli, immagini, volti. La guerra… le guerre – casini del mondo – tragici destini individuali impigliati nella rete dell’indifferenza –
“Rinvenuto cadavere prostituta”.
Titolo, immagine, volto.
Destino.
Il bagno?
Dietro la porta ingiallita, nel fetore del cesso per ubriachi e camionisti.
Vomita.
Quello che non ha mangiato, bevuto, risolto. Ora c’è anche traccia della sua indifferenza. Non basta non fare del male per essere buoni?
scritto il
2025-07-12
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