“Budapest nel Culo – La Notte in Cui Sara Fu Solo Mia”

di
genere
prime esperienze

Prefazione

C’è un amore che non ha paura di sporcarsi.
Un amore che si concede tutto: parole, carne, liquidi, morsi, sudore.
Un amore che sa urlare senza chiedere scusa.
Questo è il nostro.
Quello tra me e Sara.
Una donna che sul palco canta, ma tra le mie mani… geme.

Questa è la storia di una notte e di un giorno.
Una città testimone.
Un letto testimone.
E il corpo di lei… strumento e tempio.



Il Racconto

La camera era immersa nel silenzio.
La città fuori respirava ancora, ma noi… eravamo in un tempo tutto nostro.
Sara, davanti allo specchio, indossava un body nero trasparente, autoreggenti e tacchi alti.
Nulla sotto.
I capelli sciolti.
Il rossetto sbavato di proposito.

Si voltò lentamente.
Mi guardò.
Poi si inginocchiò al centro della stanza, con le gambe aperte, la schiena dritta.

— “Per una notte…
non sarò la tua sposa.
Non la madre di tuo figlio.
Non la cantante applaudita.
Sarò solo la tua puttana.
Quella che vuoi scopare ovunque.
Come vuoi.
Senza dolcezza.
Solo con fame.
Perché mi piace.
Perché ti appartengo.”

Mi avvicinai.
Le passai due dita sulle labbra.
Lei le prese in bocca. Le succhiò lentamente.
Poi disse:

— “Fammelo.
Dritto in bocca.
Nel culo.
In piedi. A terra. Contro la finestra.
Usami.
Rovinami.
E poi stringimi.
Perché anche quando sono la tua troia…
sono solo tua.”

E così feci.

La sollevai.
La sbattei sul letto.
La sfilai.
Ogni pezzo.

Le mani sul collo.
La lingua dentro.
Il cazzo duro, pronto, a dominare ogni parte di lei.

La presi in bocca, fino a sentirla tossire.
Poi la voltai.
Il suo lato B si apriva perfetto, invitante.
Lo lubrificai appena.
Poi lo occupai tutto.

— “Sì! Così! Fammi tua… lì!
Spingi più forte!
Fammi godere come una cagna…
Perché stasera lo sono.”

Glielo lasciai dentro.
In fondo.
Con rispetto.
Ma anche con possesso.

Poi, alla fine, la presi in braccio.
La portai in bagno.
Le lavai il viso.
Il corpo.
Le baciai ogni segno.
Ogni arrossamento.
Ogni angolo.

Lei mi abbracciò.
Nuda.
Sfinita.
Felice.

— “Grazie.
Perché mi hai fatto sentire tutto.
Anche sporca.
Ma amata.
Solo da te.”



La luce entrava appena dalla finestra dell’hotel.
Le tende mosse da una brezza lieve.
Il letto sfatto.
I cuscini sparsi.
Il profumo del sesso ancora nell’aria.

Io, steso sul fianco, gli occhi ancora mezzi chiusi.
Lei, Sara, già sveglia.
Nuda.
Sudata.
Sopra di me.

Mi stava leccando il collo.
Le cosce calde sui miei fianchi.
Il seno premuto sul mio petto.

— “Non è finita.
Stanotte sono stata la tua troia.
Ma stamattina… voglio essere la tua ossessione.
Voglio che mi prendi ancora.
Con le dita.
Con la lingua.
Con tutto.
E voglio venire nel cuscino.
Nel culo.
E sulla tua bocca.”

Mi svegliai del tutto.
Le mani sulle sue anche.
Il mio cazzo si risvegliava sotto di lei.

— “Fai di me quello che vuoi.
Ma non smettere.
Fino a che il corpo non chiede pietà.”

La voltai.
Le aprii le gambe.
Le leccai lentamente.
Poi la voltai ancora.
Le aprii il culo.

Senza toys.
Senza parole.
Solo noi.

Ogni spinta era più profonda.
Più bagnata.
Più affamata.

Sara gemeva in faccia al cuscino.
I capelli le coprivano il viso.
Il mio seme colava lungo le sue cosce.

— “Sì… fammi tua! Ancora!
Nel mio culo.
Voglio che il tuo primo orgasmo della giornata sia dentro lì.
Perché io sono nata per questo.
Per essere riempita da te.”

E così fu.

La sfinii.
Ma lei mi chiese ancora.

Mi inginocchiai sopra di lei.
Le venni in bocca.
Le mani tra i capelli.
Gli occhi negli occhi.

— “Adesso sì…
adesso sono vuota.
E piena.
Di te.
Di noi.”



Budapest — Capitolo Extra

La sera era scesa su Budapest con eleganza decadente.
Dalla finestra della suite si vedeva il Danubio scorrere lento, con i suoi riflessi dorati sulle acque scure. Le strade erano ancora vive, ma dentro quella stanza sembrava di essere in un altro mondo.

Sara era sdraiata sul divano in pelle, una coppa di vino rosso tra le dita, le gambe nude intrecciate come serpenti, il corpo coperto solo da una camicia bianca mia, sbottonata fino all’ombelico. I segni sulla pelle raccontavano tutto: la notte feroce, la mattina sfinita, il cazzo che l’aveva scopata in ogni angolo del corpo. La figa arrossata. Il culo segnato dal piacere.

— “Stasera non c’è palco,” disse lei con voce roca.
— “Niente pubblico. Solo te. E il tuo cazzo. Quello che mi ha sfinita e che voglio ancora dentro. Ovunque.”

Mi avvicinai.
Le tolsi la coppa dalle mani.
La baciai sulle labbra, assaporando quel vino che sapeva di lei.
Poi la tirai su. La camicia le scivolò giù dalle spalle.

Lei si mise in ginocchio sul letto, girandosi lentamente.
Si passò le mani sul culo, aprendosi da sola, mostrando la figa gonfia e lucida.

— “Inizia da qui.
Lecchiamela. Aprimela.
E poi distruggimi.
Fammi sbattere contro Budapest.
Con il culo contro il vetro.
Che tutta la città senta le mie urla.”

E così feci.

Le leccai la figa a lungo.
Lentamente.
Sentivo i suoi gemiti profondi, le mani aggrappate alle lenzuola.
Poi scesi ancora.
Le aprii il culo.
Ci passai la lingua.
Lei gemeva forte, si piegava, si offriva.

La presi e la sbattei contro il vetro.
I suoi seni sul vetro freddo.
I suoi capezzoli duri.
Il suo culo teso.
La sua figa aperta.

Le entrai dentro.
Forte.
Profondo.

— “Così! Fammi godere! Spaccami la figa! Voglio sentirtelo in pancia!”

Ogni colpo era una carezza violenta.
Lei venne una volta.
Poi ancora.

La voltai.
La inginocchiai.
Glielo infilai in gola.
Lo prese tutto.
Senza paura.
Fino a che non le venni in bocca.
Tutto.
Fino all’ultima goccia.

Ci sdraiammo sfiniti.
Sudati.
Appiccicati.
Complici.

— “Domani il palco,” sussurrò lei.
— “Ma stanotte… è stata solo cazzo, figa e noi.”
— “E il bis… lo faremo in silenzio. Dove nessuno ci vede.”



Epilogo

Sara dorme adesso.
La figa ancora umida.
Il suo culo pieno di me.
Il suo cuore tra le mie mani.

Domani ci guarderanno cantare.
Ma stanotte…
abbiamo scritto un’altra canzone.
Solo nostra.
Con il mio cazzo.
Con la sua voce.
Con il piacere che non chiede permesso.

Budapest, stanotte, non dimenticherà.
scritto il
2025-07-10
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