Voglia di scopare

di
genere
etero

Ieri mattina avevo voglia di scopare. È da quando mi sono sposata con Pierre e mi sono trasferita in questa città che mi capita spesso. Ma non è vero, mi capitava anche prima.
Pierre era a Parigi per lavoro, sarebbe rientrato a casa soltanto a pranzo e anche se la sera prima mi ero masturbata davanti allo schermo del computer mentre lui mi guardava, comunque, ieri avevo voglia di sentire le mani di un uomo sul corpo. Mani che mi tastassero i seni, il culo. Mi sono messa un abito al ginocchio, ben scollato e con la cerniera davanti, un vestitino nuovo che mi ero appena comprata. Me lo sono prima provato senza reggiseno e poi ho deciso che invece me lo sarei messo, magari un po’ imbottito, anche. E i tacchi, non troppo alti. Poi ho preso il telefono, due preservativi e sono uscita.
Camminavo per la città tenendo le braccia incrociate e controllavo che mi si vedesse bene il seno nelle vetrine dei negozi che a quell’ora erano ancora chiusi. Si vedeva, lo spacco era alto, grande, veniva voglia di infilarci la mano dentro. Volevo che venisse voglia. È grande il mio seno, di solito non uso roba imbottita, non mi serve, però a volte esagerare è divertente. Forse sono anche un po’ ingrassata, ma a Pierre piace così il mio corpo.
Camminavo per le strade e vedevo che gli occhi degli uomini mi seguivano, ma a quell’ora chi c’era in giro, spedizionieri, il postino, gente che si affrettava in ufficio.
Allora sono andata al fiume, c’è un fiume bellissimo in questa città, è per questo che ho insistito con Pierre di abitare qui, lui ci è nato ma preferiva abitare a Parigi, a me Parigi non piace, è troppo grande e poi la casa dei suoi genitori è splendida, molto più bella di quella che ha a Parigi.
C’era anche il sole, era il giorno giusto, già sentivo le mani di uno sconosciuto che mi avrebbero preso i seni al sole, le mani vogliose di uno che non si aspetta un corpo giovane per lui, mi stavo bagnando. Incrociai un paio di uomini in strada e li guardai, è così che faccio, ammicco, faccio capire di essere in cerca di qualcosa, due parole e poi che sia chiaro che mi devono seguire. Come farebbe un animale, una cagna.
Il primo era carino, nero, molto giovane, aveva una tuta bianca e mi immaginai di abbassargliela e tirargli fuori il cazzo, mi leccai le labbra all’idea, ma doveva andare, mi salutò. Attraversai la strada, ormai davanti a me c’erano soltanto il fiume e il sole. Chiusi gli occhi e sentii il vento che mi alzava la gonna, mi chinai in avanti e pensai a come sarebbe stato bello farmi leccare il buco del culo. Dio, che qualcuno mi mettesse le mani sul culo volevo.
E fu allora che dietro di me passò una coppia di uomini. Uno era un po’ più basso e più grasso, l’altro alto, magro. Vestiti semplicemente, il basso aveva una maglietta arancione, vecchia, aveva la pancia. L’altro aveva una polo bianca e indossava quei pantaloni probabilmente da qualche giorno. Forse erano indiani, pakistani, avevano la pelle scura, sorrisi loro e mi incamminai per la strada che scendeva verso l’argine del fiume. Avevano in mano dei sacchetti di carta, forse erano lì per fare una pausa di colazione. Io camminavo davanti a loro, ma non ero sicura che mi guardassero, parlavano. Allora mi fermai, e sorrisi loro leccandomi le labbra.
Mi avevano visto e io li volevo, attaccai bottone finché trovammo un posto dove sederci in terra sull’erba. Ero seduta in mezzo a loro, erano arabi del Maghreb, parlavano un ottimo francese, anche se tra di loro parlavano arabo, ma non avevo voglia di perdere tempo, presi le loro mani e me le misi sulle cosce. Quello più basso mi salì subito con la mano tra le gambe e prese a muovermi le dita dentro le labbra della fica, mentre con l’altra mano mi aveva preso i capelli e mi stava leccando il collo. L’altro era più cauto, allora allungai io una mano sul suo cazzo e lui mi aiutò con una mano a tirarlo fuori. Mi aprii la cerniera del vestito e mi tirai fuori il seno dal reggiseno, che qualcuno me lo leccasse. Ero in mano loro, adesso era chiaro che dovevano servirsi di me, avevo le mani sul corpo come volevo, li sentivo da tutte le parti. Chiusi gli occhi e mi feci sorprendere da quei due. Uno di loro prese a leccarmi la fica, ah, come lo sapeva fare, sembrava me la volesse mangiare e io gliela muovevo dentro la bocca. L’altro si fece succhiare il cazzo, non era grande, allora mi girai, mi tolsi le mutande che l’altro aveva soltanto spostato per leccarmi e lo guardai negli occhi, perché fosse chiaro che lo invitavo a scoparmi gli passai il preservativo, poi mi misi carponi e tornai a succhiare il cazzo dell’amico che era rimasto seduto a gambe larghe. Roteavo il culo verso l’altro che me lo toccava e me lo massaggiava, poi mi infilò con forza il pollice dentro il culo, ci sputò dentro e cominciò a scoparmi. Che piacere meraviglioso, lo sentivo che mi affondava dentro e io gli rispondevo perché si facesse spazio, e ancora e ancora. Sentivo le tette che mi ballavano e me le feci toccare da quello a cui lo stavo succhiando. Dopo un po’ vennero entrambi. Prima di andare via mi feci leccare ancora i capezzoli, poi mi alzai e li salutai. Ripresi il telefono e uno di loro mi passò le mutande e il preservativo rimasto, presi in mano le due cose leccandomi le labbra. Mi era venuto in bocca, era vero.
Sul sentiero in salita per tornare in strada pensai che ero felice, soddisfatta, sentii il sole sulla pelle come una benedizione e chiamai Pierre. Volevo dirgli che avevo voglia di lui, che mi mancava il suo corpo. Ogni volta che lo tradivo glielo dicevo, così che non sospettasse mai di nulla e quando mi facevo scopare da un altro correvo da lui, mi piaceva sapere che la mia fica era ancora sporca di un altro. Pierre era in stazione, stava per prendere il treno, in due ore sarebbe stato a casa.
Mentre parlavo con lui vidi un uomo molto grosso, nero, vestito elegante, che mi guardava. Si era slacciato il bottone del colletto della camicia, una camicia a righe, non aveva la cravatta, ma teneva la giacca sulle gambe. Era appoggiato al muretto del sentiero, istintivamente mi voltai per vedere nella direzione in cui lui guardava e vidi i due che avevo lasciato che si stavano rialzando. Da quella posizione ci aveva visto, ci aveva guardato.
Ero al telefono, ma interruppi un attimo la conversazione con Pierre perché mi diceva qualcosa. Era enorme, aveva una grande pancia, i capelli tagliati molto corti e la pelle nerissima.
-Va già via?
Allungai la mano e gli lasciai le mutande.
-Purtroppo devo scappare, ma posso tornare domani. Alle 9?
-Alle 9.
Poi ripresi a parlare con Pierre, di quanto bisogno avevo di sentire le sue mani sulla mia pelle e di come stessi male senza di lui. Manca poco, mi diceva, tra due ore sono a casa. Ma troverai il tempo per me, amore? Eh, lo troverai? Sapevo di farlo felice in quel modo, sapevo che mentre mi ascoltava ripetere quelle cose si sentiva amato, atteso e in fondo era vero.
E poi il giorno dopo alle nove avrei incontrato quel gigante, entrando in casa mi guardai nello specchio, stavo ridendo. Ridevo perché stavo pensando se Pierre mi avrebbe scopato prima o dopo di lui. Ma Pierre mi avrebbe scopato quando volevo io.
-Buongiorno Madame, ma non dovevate comprare dei fiori?
Era Jeanne, la nostra donna delle pulizie. È vero, le avevo detto che sarei uscita per comprare dei fiori.
-Che sciocca! Me lo sono scordato! Le risposi, e nascosi il preservativo che mi era rimasto in mano in un cassetto all’ingresso.
Avevo dell’erba nei capelli.

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scritto il
2020-09-10
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