Runner 3

di
genere
dominazione

La porta si richiuse alle sue spalle con un tonfo sordo, quasi un colpo di scena senza pubblico. Leda, senza nemmeno accendere la luce, si liberò in fretta degli abiti, lasciandoli cadere a terra come un involucro sporco, estraneo, che doveva essere tolto prima ancora di respirare. La minigonna, la camicetta, le scarpe: tutto finì a terra in un disordine che non aveva bisogno di spiegazioni.

Si fiondò in bagno, aprì il miscelatore con un gesto rapido e salì subito sotto il getto bollente della doccia, senza aspettare che l’acqua si stabilizzasse. Come se non potesse perdere nemmeno un secondo.

Il calore le bruciava la pelle, ma non bastava.

Si strofinava con forza, con rabbia.
Le mani le correvano lungo il corpo come spugne abrasive, tentando di cancellare ogni traccia di quanto vissuto. Si passava le dita sui fianchi, sulle cosce, tra le scapole, con movimenti duri, quasi punitivi. Come se potesse, fisicamente, cancellare la memoria dal corpo.

Poi, lentamente, le ginocchia cedettero. Scivolò verso il pavimento, raccogliendosi su se stessa, rannicchiata come una bambina, con l’acqua che le scendeva sulla schiena e sui capelli come una pioggia ininterrotta.

E fu lì, nel calore umido e nel silenzio interrotto solo dallo scroscio, che cominciò a pensare. A ricordare ogni istante, ogni ordine, ogni gesto.

Non poteva negarlo. Non più. Non lì, da sola, nuda, senza scuse.

Aveva avuto paura. Una paura reale, tangibile. Era stata umiliata, manipolata, spinta oltre i suoi limiti. Aveva pianto. Aveva pregato. Aveva obbedito.

Eppure… nel punto più oscuro della notte, aveva provato qualcosa che non aveva mai sentito prima.
Un piacere profondo. Violento. Spaventoso nella sua intensità.

E questo la sconvolgeva più di ogni altra cosa.

Non era solo la scena. Non solo il buio, i flash, la voce. Era la dinamica stessa dell’essere vista, comandata, usata, e al tempo stesso protagonista, senza poter controllare nulla eppure totalmente nel centro di tutto.

Aveva goduto.
E quel piacere non era stato un errore. Non era venuto per caso.

Era stato suo. Solo suo.

Questo la spaventava. La disgustava. Eppure… la incuriosiva.
Cosa significava davvero? Era un segnale della sua fragilità? Una ferita aperta nel desiderio? O era un lato di sé che aveva sempre tenuto sepolto sotto il controllo, la compostezza, il pudore?

Le mani ora stavano ferme sulle ginocchia, il viso inclinato verso l’acqua che le colava sulla fronte. Il trucco era andato. I pensieri no.

Quella notte non era stata un incidente. Non era stata solo una punizione.
Era una soglia.
Qualcosa era cambiato dentro di lei.
Non sapeva ancora cosa. Ma sapeva di non poterlo ignorare.

Rimase lì a lungo, fino a che il vapore non annebbiò ogni superficie, fino a che il calore non cominciò a diventare insopportabile.

E solo allora, con le gambe ancora tremanti e la pelle arrossata, si alzò e si guardò allo specchio, dove non c’era più trucco, né bellezza, né maschera.

C’era lei. Bellissima e inarrivabile, intoccabile e inafferrabile, impalpabile e inafferrabile.
Eppure sedotta dal piacere.

Uscì dalla doccia avvolta nel vapore, la pelle ancora rossa per il calore, i piedi nudi che lasciavano impronte fugaci sul pavimento freddo. Il telo bianco le aderiva addosso in modo imperfetto, più simbolico che protettivo, e in quell’imperfezione c’era una nuova forma di verità.

Non aveva fretta. Per la prima volta in quella sera, non doveva obbedire a nessuno.

Prese un asciugamano più piccolo e cominciò ad asciugarsi i capelli, lentamente, ciocca per ciocca. I movimenti erano lenti, misurati, quasi solenni. Come se ogni gesto servisse a riconciliarsi con sé stessa, a riprendere possesso di un corpo che fino a poco prima sembrava appartenere ad altri.

Le dita passavano tra i capelli bagnati con delicatezza, riordinando la chioma, eliminando l’acqua in eccesso. Ogni carezza era un gesto di riconquista, un ritorno al silenzio dopo l’assalto. E quando finalmente smise, si tolse il telo dal corpo, lasciandolo cadere a terra con naturalezza, senza più pudore.

Attraversò il corridoio nuda, la pelle lucida e umida che si asciugava lentamente nell’aria notturna della casa. In cucina accese una sola luce, fioca, dorata. Prese un bicchiere e bevve acqua, come se quell’elemento semplice potesse purificare ciò che l’acqua calda della doccia non era riuscita a lavare via.

Ma non bastava.

Aprì lo sportello in alto, cercò senza esitazione la bottiglia dal tappo nero. Gin aromatizzato ai fiori d’arancio e rosmarino. Versò due dita abbondanti nel bicchiere ancora bagnato, e lo bevve tutto d’un fiato. Senza ghiaccio, senza mediazioni. Bruciava, ma era esattamente ciò che cercava.

Il corpo era stanco, svuotato. Ma la mente ancora piena.

Spense la luce e raggiunse la camera, lasciando la bottiglia sul ripiano come un testimone silenzioso della notte.

Si sdraiò sul letto nuda, senza lenzuola. Non coprì nulla. Si lasciò cadere sul materasso come fosse acqua anche lei, lasciando che la gravità la reclamasse completamente.

Il sonno arrivò improvviso, potente, assoluto.

Dormiva profondamente.

Il corpo finalmente disteso, nudo tra le lenzuola ancora calde. Le braccia rilassate lungo i fianchi, i capelli sparsi sul cuscino, il viso disteso. Il gin aromatizzato le scivolava ancora dentro con un calore sottile, confuso, quasi amico.
Respirava piano. Serenamente.

Non c’erano pensieri. Solo il silenzio dolce del sonno.
Poi, come un rumore lontano, un lampo bianco.
Un flash.

FLASH.

Lei che si alza sulla punta dei piedi, scalza.
Il cancello del parco davanti a sé, alto, freddo.
Le dita che lo afferrano. Le gambe che si sollevano.

La gonna che si alza.
E l’aria della notte che le sfiora l’intimità nuda.

Un brivido. Non di paura, non ancora. Solo esposizione.
Un brivido che s'insinua tra le cosce.

FLASH.

La posizione. Il ventre appoggiato sul legno.
Le mani sulle assi. Le spalle rilassate.
Una gamba che si solleva lentamente.

Quel gesto tenero, involontario, come nei vecchi film.
Come se stesse per ricevere un bacio.
Ma non c’è nessuno.

Solo luce.

FLASH.

La raffica.
L’improvvisa pioggia di luce che la investe.
Il respiro che si blocca. Le palpebre che si chiudono.

Il cuore che si stringe. Le mani che tremano.
Eppure il corpo… si tende.

C’è terrore.
Ma anche qualcosa di più scuro, più profondo.

FLASH.

La voce. L’ordine.
Sedere sulla spalliera. Accavallare le gambe.

Leda obbedisce.

Il legno freddo sotto la pelle.
La tensione delle cosce. Il busto che si apre.
Le luci che la colpiscono ancora.

Esposta. Totale. Senza difesa.

FLASH.

Le gambe che si aprono.
La minigonna che non contiene più nulla.
Il corpo che si offre, mentre la mente implora pietà.

Le lacrime. Ma anche il calore.
Una contraddizione viva.

Ogni scatto è un colpo.
Ogni luce una lama.

FLASH.

Le mani sul corpo.
Un ordine.
Un gesto lento.

Il contatto.

Non obbligato. Non del tutto.
Una parte di lei si rifiuta.
Un’altra… si abbandona.

FLASH.

Il piacere.
Arriva violento. Inatteso.
Non come una conquista, ma come una resa.

Il corpo che esplode. La mente che si spezza.
Le dita che affondano. Il volto stravolto.

E poi il buio.

Leda si svegliò di colpo.

Il respiro spezzato. Il petto che si solleva e si abbassa.
Sudata. Completamente.

Le lenzuola bagnate sotto di lei. Le cosce tese.
Le dita immobili accanto al corpo. Non si era mai toccata.
Eppure aveva goduto.

Un orgasmo intero.
Nel sogno.
Nel ricordo.
Nel suo stesso abisso.

Ansante. Scossa. Ancora dentro il sogno.

Il petto si sollevava in cerca d’aria, come dopo una corsa, come dopo un abbraccio troppo stretto. Le cosce serrate. Il ventre contratto. E sul viso… di nuovo, le lacrime.

Non se ne era accorta.
Il calore dell’orgasmo era ancora lì, profondo, vivo, pulsante. Ma insieme a quello… il freddo. Il gelo. Quello della coscienza.

Portò una mano al viso. Lo toccò.
Umido. Bagnato.

Gli occhi erano sbarrati, fissi, ma non vedevano nulla.
Terrore e piacere.
Ancora. Insieme. Inscindibili.

Cosa mi sta succedendo?

La domanda non era nemmeno un pensiero.
Era un sussurro dentro il petto. Una voce bassa, spezzata, che cercava un appiglio nella notte.
Il cuore le batteva in gola. Le mani tremavano, anche se non faceva freddo.
Aveva appena provato un piacere intenso, eppure era lì, a piangere. Nuda. Da sola. In preda a un vuoto più grande di lei.

Poi, un suono secco.
Il “pling” familiare del suo iPad.

Si voltò d’istinto. Il dispositivo era lì, sul comodino, illuminato nel buio come un faro. Un punto fermo. Una minaccia.

Allungò il braccio e lo prese. Una rapida occhiata all’orario.
3:42.

Il battito accelerò ancora.
Non aveva bisogno di leggere il mittente.
Lo sapeva.
Era lui.

Le dita tremavano mentre toccavano lo schermo. Il messaggio era lì. Ancora chiuso. Ancora muto.
Eppure già parlava, prometteva, comandava.

Leda strinse l’iPad al petto.
Terrore e attrazione si fronteggiavano dentro di lei, come due onde opposte che si infrangono l’una contro l’altra, senza annullarsi mai.
Una parte di lei voleva spegnerlo, cancellare tutto, chiudersi in se stessa.

Ma un’altra parte, quella che si era risvegliata nel parco, quella che aveva goduto mentre piangeva, voleva leggere.

Lo schermo illuminava il suo viso come un nuovo flash.
E tutto stava per ricominciare.

Spero che vi stia piacendo. Se avete commenti li leggerò volentieri qui o via mail a mogliemonella2024@gmail.com
scritto il
2025-06-11
6 3 9
visite
1 3
voti
valutazione
7.9
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

Runner 2

racconto sucessivo

Runner 4
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.