Oltre le apparenze Reprise quarta parte

di
genere
dominazione

Dopo ore di attenzioni riservate e silenziose — ceretta totale, massaggio rilassante, trucco e parrucco impeccabili — Martina rientrò in camera. Il corpo era leggero, la pelle liscia, calda, il profumo sottile di ambra e seta ancora sulla pelle. Indossava solo una vestaglia rossa trasparente.

Sul letto, in perfetto ordine, notò una busta avorio con un piccolo nastro nero. La aprì.

Gentilissima Signora,

Questa sera la Sua presenza è attesa nella sala principale della Villa, in compagnia del Signor Vittorio e di due ospiti selezionati.
L’inizio della cena è previsto tra un’ora.

Sarà gradita l’eleganza che meglio La rappresenta.

P.S. Una consulente d’immagine è a Sua disposizione qualora lo desiderasse.

Martina sollevò la cornetta del telefono.
«Vorrei l’assistenza per l’outfit.»
«Subito, Signora.»

Poco dopo, una porta laterale si aprì. Entrò una cameriera molto giovane, bellissima, con un miniabito nero corto e scollato, che lasciava intuire un corpo scolpito e provocante. Si avvicinò in silenzio, slacciò la vestaglia di Martina e la posò con cura sul letto.

La osservò da vicino, poi iniziò a toccarla con attenzione, soppesando i seni, pizzicandole le cosce, accarezzandole i fianchi. I gesti erano professionali, ma ricchi di una grazia velata, mentre il suo profumo dolce e muschiato invadeva la distanza.

«Desidera indicazioni o preferisce affidarsi al mio consiglio? Conosco bene il gusto del padrone di casa.»
«Vediamo cosa mi proponi.»

La ragazza sparì nella cabina armadio e tornò con una selezione precisa: calze in seta nera velata, reggicalze in raso nero, perizoma rosso fuoco, e un abito lungo in seta rossa con due spacchi frontali in corrispondenza delle cosce, che a ogni passo lasciavano scorgere l’elastico del reggicalze e il bordo della calza. Sopra, solo una fascia annodata dietro la schiena.

Martina indossò tutto, poi infilò con cura le sue Louboutin nere lucide. Si fermò un momento davanti allo specchio: il caschetto nero tagliato netto, il trucco perfetto, le labbra rosso fuoco, lo sguardo deciso.

Aprì la porta ed uscì. I tacchi risuonavano secchi sul marmo della villa.

Entrò nella sala.

La luce, calda e ovattata, colpiva la seta del suo abito come una carezza. Il suono secco dei tacchi sul marmo tagliò l’aria come un comando. Vittorio e l’altro uomo smisero di parlare, ma fu più di un silenzio: fu l’istinto primordiale di chi sa che qualcosa sta accadendo. Qualcosa di irripetibile.

Martina avanzava lentamente, con passo calcolato e assolutamente naturale, come se la sala fosse stata costruita attorno a lei. La seta rossa si apriva a ogni falcata sullo spacco profondo fino all'inguine, scoprendo gli elastici neri del reggicalze e il bordo sottile delle calze di seta, che aderivano alle cosce come un’estensione della pelle.

Ad ogni passo, il seno si muoveva con un’oscillazione lieve, ritmica, ipnotica, contenuto appena dalla fascia dell’abito. La stoffa seguiva la curva naturale, le cuciture tirate appena dalla tensione del respiro e del passo. Si intuiva la forma piena, orgogliosa, e sotto, i capezzoli, già turgidi, premevano contro il tessuto con una traccia viva, sensibile, che sembrava cercare attenzioni.

Il caschetto nero, lucido, rifletteva la luce a ogni movimento del capo. Le ciocche danzavano appena sulle guance e sulla nuca, in perfetto accordo con il resto del corpo. Il trucco era scolpito con la stessa perizia con cui si decora un’arma: gli occhi intensi, profondi, sfumati di scuro e bronzo, lo sguardo sicuro e liquido. Le labbra, rosso fiamma, lucide e piene, si muovevano appena a ogni respiro.

Vittorio non si mosse.
Non poteva. Era immobile, ma dentro di lui ogni barriera cedeva.
La stava bevendo con gli occhi.

L’uomo accanto a lui la guardò con espressione neutra. Non indifferente, ma calcolata. Non era immune, ma non si lasciava travolgere. Uno sguardo che pareva dire: vediamo fino a dove arrivi.

Martina si avvicinò a Vittorio con lentezza, senza mai distogliere lo sguardo dal suo viso. Si fermò a un passo da lui, sollevò una mano e, con un gesto fluido, gli passò le dita dietro la nuca, affondando tra i capelli con naturalezza. Lo attirò a sé, senza esitazione, senza alcuna richiesta silenziosa.

Le loro labbra si incontrarono in un bacio pieno, sensuale, profondo.
Non c’era urgenza, ma una fame che sapeva aspettare.
Le bocche si cercarono con calma, le lingue si intrecciarono in un abbraccio lento.
Il corpo di Martina si premette appena contro il suo, sufficiente a far sentire la stoffa cedere dove i seni premevano.
Il bacio durò più di quanto fosse concesso in una sala da pranzo.
Ma nessuno osò interromperlo.

Quando si staccò, Martina si voltò con grazia verso l’altro uomo. Lo guardò con attenzione.

Era alto, elegante, i tratti decisi, la mascella netta e lo sguardo attento. I capelli, brizzolati e corti, incorniciavano un volto ancora vigoroso, marcato dal tempo con misura, eppure imponente, fermo, indiscutibilmente virile.

Martina tese la mano con un sorriso.
«Piacere. Sono Martina.»

Lui la guardò un istante prima di rispondere, poi strinse la mano con decisione e controllo, la pelle calda, la forza trattenuta ma presente sotto il tessuto raffinato della giacca.
«Ettore.»

Martina fece un mezzo passo indietro, lasciando che le dita si sciogliessero lentamente dalla stretta. Si voltò verso Vittorio, lo sguardo ironico, la voce morbida ma perfettamente udibile.

«Quindi sarebbe lui… a dovermi piegare?»

Il tono era quasi innocente, ma il finto cruccio sul suo volto e il fuoco nei suoi occhi dicevano tutt’altro.

Vittorio sorrise appena, senza replicare. Le fece un cenno e le spostò la sedia, invitandola ad accomodarsi con un gesto composto, quasi cerimoniale.

Martina si sedette con eleganza, le gambe che si piegarono come se l’abito fosse stato progettato per quel gesto preciso, gli spacchi che si aprivano sulle cosce, perfettamente esposte allo sguardo dei maschi, le gambe che si incrociarono lentamente, le calze e parte della coscia esposte con studiata casualità. Lo sguardo vagò un istante sulla sala, poi tornò su Vittorio con un’ombra di curiosità.

«Vittorio… manca un ospite, o sbaglio?»

Prima che lui potesse rispondere, fu Ettore a intromettersi, senza perdere il tono pacato e controllato.

«La mia… dolce metà preferisce osservare da lontano.»

Martina colse la sfumatura. La parola “dolce” era stata pronunciata con un'ironia sottile, appena velata da una nota amara o divertita — difficile da decifrare. Ma fu abbastanza per farle alzare un sopracciglio con interesse.

«Quindi non cenerà con noi?»

Ettore non rispose. Si limitò a voltarsi leggermente verso Vittorio.
«Possiamo iniziare?»

Vittorio fece un cenno impercettibile e, come se fossero attesi da ore, due camerieri comparvero in silenzio. I piatti iniziarono a susseguirsi con discrezione, accompagnati da una selezione di vini perfettamente abbinati, che bagnarono con generosità le portate e, progressivamente, anche le difese.

Il tempo scivolò via con morbidezza, come il tessuto dell’abito di Martina sulla pelle. La tensione iniziale si sciolse in sorrisi più frequenti, sorsi più lunghi, parole più fluide. I tre chiacchieravano amabilmente, muovendosi in equilibrio tra allusione e raffinatezza, senza mai abbandonare quella sottile elettricità che si era accesa fin dal primo istante.

Durante la cena, Martina aveva giocato con entrambi.
Aveva sorriso ad Ettore con la lentezza di una danza, tenendo il contatto visivo appena un istante più del necessario. Aveva inclinato la testa, sfiorato le labbra con un dito, fatto oscillare leggermente il piede.

Poi, in un momento di conversazione tra i due uomini, aveva sfilato lentamente una delle Louboutin, e, sotto il tavolo, aveva fatto scivolare il piede lungo la gamba di Vittorio, risalendo fino al ginocchio, tenendolo lì per alcuni istanti, come se nulla fosse.

Vittorio non parlò. Ma sollevò il calice e bevve più a lungo del solito.

Alla fine del dolce, Ettore appoggiò il tovagliolo sul tavolo, senza fretta.
«Che ne dite di accomodarci sulle poltrone?» disse. «Un amaro potrebbe accompagnare la fine di questa piacevole cena.»

Martina lo guardò, poi guardò Vittorio.

Si alzarono con naturalezza, lasciandosi alle spalle la tavola ormai spoglia. Raggiunsero la zona salotto, disposta intorno a un grande caminetto di pietra scura dove il fuoco, già acceso, ardeva lento. Due poltrone in pelle e un divano profondo, rivestito di velluto ambrato.

I due uomini si accomodarono nelle poltrone. Martina invece scelse il divano, posandovisi con una grazia studiata ma non forzata, lasciando scoprire abbondantemente le gambe, che si piegarono lentamente, lasciando che i due spacchi dell’abito rivelassero le cosce, l’elastico delle calze, il sottile bordo del perizoma rosso, intravisto appena. Il fuoco rifletteva sulla seta del vestito e sulla pelle liscia come un riverbero liquido.

Notò lo sguardo di Ettore, un guizzo fugace nei suoi occhi, non sorpresa, non desiderio curioso, ma bramosia pura. Repressa, trattenuta, ma viva.
Martina sorrise appena, come se avesse appena letto un pensiero.
Poi si voltò verso Vittorio, inclinando il capo con finta innocenza.

«Vittorio… mi concedi di fare gli onori di casa con il nostro ospite?»

Non aspettò risposta.
Si alzò, e con un passo morbido e felino, si avvicinò a Ettore.
Gli si mise accanto, poi lentamente gli salì in grembo, una gamba da una parte e una dall’altra, sedendosi con delicatezza sulle sue cosce, voltata verso di lui.
«È permesso?» chiese con voce bassa, ma senza reale dubbio.

Lo abbracciò con entrambe le mani dietro il collo, le braccia che lo avvolgevano con una naturalezza pericolosa, mentre il suo busto si inclinava appena in avanti, e il seno, contenuto ma teso sotto la seta, si ritrovava esattamente all’altezza del volto dell’uomo.

Martina gli parlò con un tono quasi confidenziale, un sussurro caldo e ironico, a pochi centimetri dalla sua bocca.
«Davvero vuoi spezzarmi?
Davvero preferisci il dominio…
…ai piaceri che potrei donarti?»

Poi si voltò verso Vittorio, con la bocca appena socchiusa, le labbra lucide e ancora tese dal gioco.
«Vittorio, per cortesia… potresti far mettere un po’ di musica?
Gradirei Down in Mexico, dei The Coasters.»

Vittorio si alzò senza una parola, andò verso un piccolo pannello incassato nella parete e lo sfiorò con due dita.
Qualche istante di silenzio. Poi le prime note partirono, calde, ruvide, lente.
Il ritmo era giusto.

Martina si alzò con un solo movimento, fluido e controllato, restando di fronte a Ettore, le mani lungo i fianchi, le gambe leggermente divaricate, lo sguardo basso, poi dritto nei suoi occhi.

Martina rimase in piedi, di fronte a Ettore, il corpo immobile ma teso come una corda d’arco. Le prime note di Down in Mexico cominciavano a riempire la stanza, graffianti e calde, come sabbia e sudore sotto pelle.

Sorrise.
«Sapete perché ho scelto proprio questa?»

Attese che entrambi la guardassero.
Poi continuò, con voce più bassa, più avvolgente, come se stesse raccontando un segreto.

«È da un film di Tarantino… Death Proof. Una delle ragazze, Arlene, viene sfidata da un uomo a improvvisare un ballo per lui. Niente di preparato, solo musica, corpo e sguardo. Lui si siede su una poltrona, lei lo raggiunge, si mette a cavalcioni sulle sue gambe… proprio come ho fatto io… e comincia a ballare.»

Martina fece un mezzo giro su sé stessa, lasciando che la gonna ondeggiasse.

«Non è una danza da palcoscenico. È una provocazione lenta, carnale, un invito inesorabile. Si muove con il bacino, lo guarda negli occhi, si sfiora le cosce, gli sfiora il viso. Gli gira intorno, lo tenta… lo sfianca. Ma a comandare è sempre lei. Sempre lei.»

Fece una pausa.
Lo sguardo tornò su Ettore, lento, magnetico.
«Io trovo… che sia un modo delizioso per conoscersi meglio. Non credete?»

Non fece un passo. Rimase immobile, la schiena dritta, poi diede le spalle a Ettore. La musica continuava a scivolare nella stanza, lenta, viscerale. E con essa Martina cominciò a muoversi, ma non danzando: si piegò lentamente in avanti, un movimento profondo, perfetto, fino a portare le braccia a cingersi intorno alle ginocchia, abbracciandole con naturalezza. I capelli neri seguirono la curva del suo busto, cadendo come seta viva lungo le cosce.

I glutei, protesi verso Ettore, si tendevano sotto la luce del caminetto, esplosivi, nudi sotto gli spacchi dell’abito. Il perizoma rosso spariva tra le linee tese della pelle liscia, mentre il bordo delle calze brillava appena, in quel gioco di ombra e carne.

«Guardami così…» disse, la voce appena udibile, ma chiarissima.
«E ricordalo. Dopo mi dirai come lo preferisci.»

Si sollevò con la stessa lentezza, srotolando la schiena come una danzatrice, fino a ritrovare la posizione eretta. Non si voltò. Ma i fianchi cominciarono a muoversi al ritmo della musica: onde morbide, controllate, come se stesse plasmando l’aria attorno a sé.

Con un gesto preciso, sciolse il nodo dietro la schiena.
L’abito scivolò giù.
Cadde silenzioso, come una foglia spezzata. Rimase solo in perizoma, reggicalze e calze.

Nuda sopra.
Nuda dove contava.
Vestita solo di puro erotismo.

Portò un braccio a coprirsi i seni, non per pudore, ma per disegnare con più forza il confine tra ciò che si mostra e ciò che si concede.

Poi si voltò.

Gli occhi cercarono quelli di Ettore. Lo sguardo era fermo, ardente.
Il braccio ancora sui seni, la bocca aperta in un respiro trattenuto.
E con tono più basso, carico, quasi un sussurro in mezzo al fuoco, disse:

«Ora guardami di nuovo.
E poi dimmi…
se mi preferisci con il vestito.
O senza.»

Mentre pronunciava quell’ultima parola, si piegò di nuovo in avanti, ripetendo il gesto lento e flessuoso di prima, abbracciando le ginocchia, i glutei ancora una volta esposti, offerti, tesi come una minaccia dolce e feroce.

Ma questa volta non si rialzò.
Indietreggiò lentamente, mantenendo i piedi fermi, e lasciò che il corpo si abbassasse lungo una linea perfetta, fino a sedersi in braccio a Ettore, come se lo spazio tra loro fosse sempre stato destinato a quel gesto.

Non serviva voltarsi per capire: sotto di lei, qualcosa era già accaduto.
Lo sentì immediatamente, la risposta chiara, fisica, che nessuna parola avrebbe potuto mascherare.

Iniziò a muovere lentamente il bacino, a tempo con la musica, facendo scivolare il tessuto delle calze sulle sue gambe e facendo scivolare se stessa su di lui, con la naturalezza di chi conosce bene il potere del proprio corpo.

Poi gli prese le mani con delicatezza e le portò sui suoi seni, ancora coperti solo dal braccio, che ora lasciava spazio.
Le dita dell’uomo incontrarono la pelle tesa, viva.
Martina si inclinò verso il suo viso, la bocca a pochi centimetri dal suo orecchio.

«Allora… cosa dici?»
Il tono era un sussurro. Un pugnale di velluto.
«Resto così? O mi rimetto il vestito?»

Non si aspettava una risposta. Non serviva.
Stava già decidendo da sola.

Ma qualcosa cambiò.
Un brivido.

Un istante di gelo, come una lama sottile sulla schiena.
Sentì uno sguardo.
Freddo.
Gelido.
Tagliente.

Voltò appena il capo.
Seduta in disparte, nella penombra, una donna bionda la osservava.

Bellissima.
I capelli lunghi, lisci, biondo platino, lucidi come vetro.
Il corpo prorompente, fasciato in un abito di pelle sottile come un guanto, aderente, lucido, teso.
Le gambe accavallate, una mano guantata che accarezzava lentamente il bicchiere.
Un sorriso maligno. Calmo. Sicuro.
Non gelosia. Non odio. Solo possesso. E gioco.

Martina la guardò per alcuni secondi, poi tornò a parlare.
La voce stavolta era più bassa, più lenta.

«Sarebbe lei… la tua “dolce” metà?»

Il ritmo del suo corpo aumentò appena, quanto bastava a fargli perdere il controllo. Martina sentiva ogni reazione sotto di sé, ogni tremito contenuto, ogni respiro spezzato. Ettore cercava di restare immobile, dignitoso, ma le mani la stringevano con più forza, le dita affondate nei fianchi, il volto teso, il busto che si contraeva sotto la giacca ancora elegantemente chiusa.

Poi accadde.
Lo sentì.
Tutto il suo corpo lo sentì.
Un fremito profondo, un’espansione trattenuta fino all’ultimo istante, e poi liberata, in un silenzio rotto solo dal crepitio del fuoco e dalla coda sensuale della musica.

Martina non mosse un muscolo. Rimase sopra di lui, respirando lentamente, gli occhi ancora fissi su di lei.

La donna bionda.
Quella spettatrice silenziosa.
Quella creatura di pelle nera e sorriso tagliente.

E fu allora che lanciò la sfida.

Con grazia estrema, Martina portò una mano fra i due corpi, la fece scivolare piano, con delicatezza quasi devota, e poi, senza mai distogliere lo sguardo da quello della donna, portò le dita alla bocca.

Sfiorò le labbra.
Le assaggiò.

Un gesto lento, controllato, elegante.
Carico di significato.

Il sorriso che le nacque sul volto non era una provocazione.
Era una promessa.
Un avvertimento.
Una dichiarazione di guerra sensuale.

Le labbra restarono socchiuse, lucide, mentre Martina, ancora seduta sul corpo esausto di Ettore, guardava la donna negli occhi come se avesse appena affermato la propria superiorità con un solo, perfetto gesto.

Martina rimase seduta sopra di lui, ma si girò lentamente di traverso, le gambe ancora appoggiate sulle sue cosce, il busto che si avvicinava, le braccia che gli si avvolgevano attorno al collo, come un gesto d’intimità profonda, quasi tenera. Lo guardò negli occhi, e senza dire nulla lo baciò.

Un bacio pieno. Carico di passione, ma anche di gratitudine, di desiderio sincero.
Lento, caldo, profondo.
Un bacio che non chiedeva il permesso, ma che sapeva esattamente cosa voleva prendere.

Ettore, ancora scosso dal piacere, non fece nulla per opporsi.
Chiuse gli occhi e la baciò a sua volta, lasciando che le mani risalissero sui seni turgidi e pesanti, pieni, che stavano lì, nudi e offerti, ancora segnati dai suoi palmi.
Le dita li stringevano, li accarezzavano con forza appena trattenuta, mentre l’altra mano si posava sui glutei morbidi e tesi, appoggiati sulle sue gambe ancora tese.

Quando le loro bocche si separarono, Ettore restò immobile un istante, poi inclinò appena il capo verso l’orecchio di lei.

Il suo sussurro era basso, asciutto, quasi affettuoso.
«Ora capisco perché Vittorio ci ha chiamati…»
Una pausa.
Poi, più serio, con una nota oscura nella voce:
«…ma hai sbagliato a sfidarla.
Te la farà pagare.»

Spero che vi stia piacendo, come per la scorsa serie prediligo l'approccio mentale e non quello fisico per la descrizione dei miei racconti. Se avete commenti li leggerò volentieri qui o via mail a mogliemonella2024@gmail.com
scritto il
2025-05-23
7 0 9
visite
1 5
voti
valutazione
7.1
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.