Oltre le apparenze Reprise terza parte

di
genere
dominazione

Procedevano a braccetto lungo il corridoio, lentamente, come se passeggiassero in un palazzo reale, ma con una complicità carica di promesse oscene. Le luci morbide delle applique accarezzavano i loro profili e riflettevano sulle superfici lucide, mentre i tacchi di Martina battevano sul pavimento con un suono deciso, elegante, spaventosamente erotico.

Era nuda.
Nuda in un modo che non lasciava spazio a pudore, ma neppure a volgarità. Indossava solo le autoreggenti nere con la riga che correva dritta, verticale, a tagliare le sue gambe come un invito al peccato, e le Louboutin nere, lucide, dal tacco altissimo, che la facevano camminare come se il mondo intero fosse il suo palcoscenico.

Il corpo di Martina si muoveva con una grazia animalesca, piena, rotonda, vibrante.
Il seno sobbalzava a ogni passo, sostenuto e teso, pieno di vita e sfida, come se ogni oscillazione fosse fatta per distrarre, per far perdere la rotta a chi la guardava.
I glutei si muovevano in un contrappeso perfetto, lenti, sensuali, ipnotici, il bacino che disegnava curve continue ad ogni falcata.

Martina si muoveva con naturalezza assoluta, ma ogni gesto – ogni sporgersi per guardare un dettaglio, ogni girarsi improvviso per fare una domanda, ogni appoggio del fianco nudo contro Vittorio – era una carezza mascherata da innocenza. Una volta fu un capezzolo sfiorato sulla sua mano, un’altra un gluteo teso contro il suo fianco, poi ancora una coscia calda che lo toccava mentre lei si piegava a osservare un intaglio nel legno.

Era un tormento.
Un godimento continuo. Una morsa.

E Vittorio non sapeva più dove guardare.

Il cuore gli batteva più forte di quanto volesse ammettere.
Ogni dettaglio di lei lo faceva impazzire.
Ogni sussurro, ogni profumo, ogni movimento di carne viva sotto la seta della luce…
Temeva davvero di perdere il lume della ragione.

Quella donna non era solo bellissima.
Era l’incarnazione del desiderio.
Eppure rideva, domandava, commentava con naturalezza, come una bambina curiosa in un mondo nuovo, completamente ignara – o forse fin troppo consapevole – del delirio che stava provocando.

Ogni sfioramento era benzina.
Ogni sorriso una scintilla.
E Vittorio… era sul punto di esplodere di nuovo.

Il passo elegante di Martina, quel corpo nudo che sembrava danzare con ogni oscillazione dei fianchi, fu l’ultima goccia.

Vittorio esplose.

Non ci fu più filtro, non ci fu più attesa.

Le saltò addosso, con un movimento felino, quasi violento nella sua fame. La spinse contro il muro vellutato del corridoio, una parete rivestita di seta e legno che sembrò tremare al contatto dei corpi. Le mani si chiusero sul suo viso, le labbra cercarono le sue, e subito iniziarono a divorarla.

Non era un bacio.
Era una presa. Una pretesa.
La bocca di lui affondava nella sua, la lingua cercava la sua con frenesia, la leccava, la mordicchiava, la seguiva come se volesse inghiottirla. Le mani non stavano ferme un secondo: afferravano i seni, li stringevano, le pizzicavano i capezzoli, poi scivolavano lungo il ventre, con la furia di chi ha trattenuto troppo.

Un attimo dopo, le dita erano su di lei.
Il pollice a massaggiarle il clitoride, con movimenti veloci, circolari. Poi due dita spinsero dentro, senza avvertimento, trovandola calda, pronta, bagnata, ma non per questo meno sorpresa.

«Vittorio…» mormorò Martina, colta alla sprovvista da quell'assalto. Cercò di respirare, di restare in equilibrio tra l'eccitazione che le stava salendo addosso e la necessità di frenare quella tempesta.

Con una calma tutta femminile, gli sussurrò all’orecchio, dolcemente:
«Tesoro… abbiamo tutto il tempo…stai calmo… rilassati…»

Le sue parole furono come dita sulla pelle scottata.
Non lo calmarono subito. Anzi, per un attimo sembrarono esacerbare il fuoco.

Vittorio le baciò il collo, le leccò le labbra, tornò ai seni, li succhiò, li baciò, li adorò con una fame disordinata, e ancora tornò sui capezzoli, come un uomo perduto tra sete e bisogno.

Poi… un respiro.
Un altro.
Un attimo di lucidità.

Si staccò da lei, le mani ancora tremanti, il petto che ansimava. Passò una mano tra i capelli e la fissò, con un lampo misto di desiderio e autocritica negli occhi.

«Se vai in giro così… sempre nuda… l’effetto sarà questo, ogni volta.»

Martina inclinò il capo, il viso ancora arrossato, il trucco lievemente sbavato, ma il sorriso disarmante.
«Potrei anche vestirmi, se preferisci…» mormorò, accarezzandogli il petto con la punta delle dita.
«Ma lo sai bene anche tu: molto spesso, i vestiti… sono più eccitanti della pelle nuda.»

Poi, con un gesto spontaneo e sfrontato, gli diede una bella tastata, sentendo il membro ancora duro e presente sotto i pantaloni.

«Insomma…» aggiunse con tono ironicamente offeso, riprendendolo sotto braccio come se nulla fosse successo,
«questa casa me la fai visitare o no?»

Il resto della visita proseguì senza ulteriori intoppi, almeno in apparenza.

Vittorio si sforzò con ogni fibra del proprio corpo di mantenere un tono didattico e distaccato, ma Martina al suo fianco, completamente nuda, ogni passo un invito, ogni sorriso un richiamo, gli metteva a dura prova l’autocontrollo. Più di una volta si ritrovò con la voce rotta, lo sguardo perso tra le curve che ondeggiavano accanto a lui, le cosce fasciate dalle calze, il seno che sobbalzava a ogni passo, il profumo della pelle calda appena lavata… e già nuovamente eccitata.

Le mostrò tutto.

La sala da pranzo, con un tavolo in legno massiccio per venti persone e lampadari veneziani che illuminavano l’ambiente con luce d’ambra.
Il soggiorno, raccolto e silenzioso, con poltrone profonde e una biblioteca privata.
La palestra, affacciata sul giardino interno, dove ogni attrezzo sembrava scolpito per il culto del corpo.
E poi ancora: la sauna, il bagno turco, e infine, con un gesto che sembrò più una cerimonia che una presentazione, aprì la porta della Sala Rossa.

Martina trattenne un respiro.

La stanza era vasta, calda, silenziosa, inondata da luce indiretta e toni scarlatti.
Al centro, un grande letto rotondo, rivestito in pelle morbida color rubino, e sopra di esso, un enorme specchio incastonato nel soffitto, a riflettere ogni gesto, ogni espressione, ogni amplesso.

Lungo le pareti, attrezzature di ogni tipo, ordinate, pulite, raffinate anche nella perversione: croci di Sant’Andrea, sedili, ganci, corde, bende in seta, strumenti per dare e ricevere piacere, ogni oggetto pensato non per umiliare… ma per esaltare.

Dopo un ultimo sguardo, Vittorio la accompagnò nei suoi alloggi, un intero appartamento privato ricavato nel cuore della villa.
Stanza da letto ampia, intima, con luci calde e lenzuola in raso color perla.
Soggiorno con camino, bagno con vasca idromassaggio, sauna, bagno turco, e una cabina armadio degna di un atelier: abiti, tacchi, corsetti, vestaglie, completi intimi e accessori, tutto nella sua taglia, tutto già organizzato per colore, occasione, provocazione.

Vittorio si lasciò cadere sul bordo del letto, per la prima volta cedendo un istante alla stanchezza, o forse alla pienezza dell’esperienza.

La guardò.

«Allora…» disse con voce più bassa, ma ancora rotonda.
«Questa gabbia dorata… potrebbe starti bene?»

Martina si voltò, lo osservò un attimo in silenzio, poi si avvicinò con passo lento. Salì sul letto, a cavalcioni su di lui, affondando le mani sulle sue spalle, i seni che ondeggiavano a pochi centimetri dal suo viso.

Lo guardò negli occhi, e sorrise con una malizia che sembrava quasi tenera.

«Vuoi il terzo round… o vuoi riprendere fiato, vecchietto?»

Alla parola “vecchietto”, Vittorio si irrigidì all’istante.
Non fu rabbia. Fu orgoglio ferito, fu l’ombra di una sfida lanciata nel momento più vulnerabile.
I suoi occhi si fecero improvvisamente più scuri, accesi da una fiamma primitiva.

In un solo movimento, la rovesciò sul letto, il corpo di lei che rimbalzò morbido sulle lenzuola, e le si posizionò sopra, a cavalcioni del suo ventre, le ginocchia a bloccarle le braccia, schiacciandole i polsi contro il materasso.

Il respiro si fece corto.
I suoi occhi erano puntati nei suoi, dilatati, brucianti.
Le mani ferme, ma pronte a stringere.
Il suo corpo teso, tra controllo e pericolo.

«Ma tu… chi sei?» sibilò con voce roca, spezzata dalla tensione.
Non era solo una domanda.
Era la resa dell’uomo che, per un attimo, non riesce più a dominare ciò che ha creato.

Nella sua mente, una tempesta.

Timore. Per il potere che quella donna aveva su di lui.
Desiderio. Fisico, mentale, devastante.
Voglia di possederla. Di cancellarne la superiorità con il corpo.
Volontà di sottometterla. Di spegnerle il sorriso.
Bisogno disperato… di non perderla.

Martina, inchiodata al letto, nuda sotto di lui, non si agitò.
Non si ribellò.
Non tentò di liberarsi.

Sorrise.
Candida come la neve. Inaspettata. Fatale.

Lo guardò dritto negli occhi, e con voce calma, dolce, ma affilata come vetro sottile, rispose:

«Il tuo più bell’incubo.»

Fece una pausa, lenta. Poi aggiunse, con un sussurro che sembrava una profezia:

«Non dimenticherai mai questi giorni, Vittorio.
E la tua punizione sarà questa:
non avrai mai più, in tutta la tua vita, una donna come me.»

Martina restò ferma per un istante sotto di lui, le braccia bloccate, il corpo teso sotto il suo peso. Lo guardava con quel sorriso che Vittorio cominciava a temere più di qualsiasi arma: dolce, disarmante, letale.

Poi, con una calma irreale, iniziò a muoversi.

Liberò lentamente le braccia, senza forza, senza scatti. Solo con grazia. Vittorio la lasciò fare, ipnotizzato, come se ogni gesto di lei fosse parte di un rituale misterioso a cui non sapeva più opporsi.

Le sue mani scivolarono lungo il corpo di lui, aprendo la cerniera dei pantaloni con un movimento fluido, quasi elegante. Nessuna fretta. Solo intenzione.

Lo estrasse con lentezza, e lo trovò ancora parzialmente flaccido, stanco forse, ma non domo.
Lo prese tra le dita, lo guidò con maestria nel solco tra i suoi seni, li avvolse attorno al membro come due labbra morbide, calde, tese da eccitazione e piacere passato.

Cominciò a farlo scivolare tra quelle curve, stringendole attorno, massaggiandolo col respiro, con la pelle, con ogni piccola vibrazione del proprio corpo.

Lo guardò dritto negli occhi, mentre sotto di lui, nuda, con le cosce aperte e i capezzoli duri, si prendeva la scena ancora una volta.

«Vuoi provare anche il mio seno, oggi?»
La voce era bassa, ma cristallina, come una melodia solo per lui.

Fece un altro lento affondo, stringendo i seni ancora di più, stimolandolo con la carne e con lo sguardo.

Poi aggiunse, inclinando la testa, il sorriso più seducente ancora sulle labbra lucide:

«O tieni qualcosa anche per la sera, Vittorio?»

Martina sentiva il battito del cuore di Vittorio rallentare, poi accelerare di nuovo sotto di lei. Il suo respiro si era fatto più profondo, mescolato a un silenzio carico di tensione, di aspettativa, di desiderio trattenuto.

Non lo guardava con sfida, non più.
Lo accarezzava con gli occhi. Lo accoglieva. Lo cullava.

Con infinita dolcezza, continuò a far scorrere il suo sesso tra i seni, stretti e vellutati, i movimenti lenti, avvolgenti, un avanti e indietro morbido come un sussurro, caldo come il ventre di una promessa.

Le mani accompagnavano il gesto, guidando il piacere con devozione, mentre il suo viso si manteneva calmo, quasi in estasi, come se stesse donando qualcosa di sacro.

Ogni volta che il glande emergeva tra le curve lucide della pelle, Martina chinava leggermente il capo, depositando un bacio leggero sul bordo. Poi lo faceva rientrare nel solco, più stretto, più avvolgente, sentendolo crescere sotto le dita, indurirsi, gonfiarsi, vivere.

Vittorio ansimava piano, la testa riversa all’indietro, le mani che ora tremavano appena sui fianchi di lei, come se fosse lui a chiedere silenziosamente di continuare. Di portarlo fino al limite. Di lasciarlo crollare.

Martina lo guardò un’ultima volta negli occhi.
Poi abbassò il volto.

Si chinò.
E lo prese tra le labbra.
Solo un istante. Un gesto tenero. Un bacio aperto e umido sulla punta carica e palpitante.
Poi tornò a stringerlo tra i seni, più lentamente, facendolo scivolare sempre più avanti, fino a che non sentì i muscoli di lui contrarsi.

Il respiro si spezzò. Il corpo tremò.
E poi, Vittorio si lasciò andare.

Il piacere esplose tra loro.
Con una forza trattenuta troppo a lungo, con un bisogno che aveva bruciato ogni resistenza.
La calda colata di seme schizzò sul collo di Martina, che inclinò appena la testa, lasciando che la investisse, che le rigasse la pelle, che la marcasse con quel dono silenzioso, che si riversò sul mento, sulla guancia, tra i seni, e rimase lì, come una firma.

Martina non si mosse subito.
Respirava lentamente.
Sentiva la pelle calda, il corpo di lui ancora scosso, il battito che pulsava tra le sue mani.
Poi alzò gli occhi, lucidi, fieri, completamente donna.

Vittorio si alzò dal letto a fatica. Barcollante.
Il corpo sudato, il respiro ancora disordinato, le gambe molli come dopo un abbandono assoluto.

Fece un passo. Poi un altro. Ma non riusciva a staccare gli occhi da lei.

Martina era ancora lì, sdraiata tra le lenzuola stropicciate, i seni lucidi di piacere e sudore, il collo rigato dal suo seme, le gambe aperte con la disinvoltura di una creatura che non ha più confini da difendere, solo spazi da vivere.

Eppure, non era finita.

La guardava.

E lei si accarezzava.
Con infinita dolcezza, una mano affondata tra le cosce, le dita lente, sensuali, che tracciavano un ritmo solo suo.
L'altra mano risaliva lungo il ventre, spalmava il piacere che lui aveva lasciato, come fosse unguento sacro, lo portava tra i seni, sulle labbra, sul mento.

Poi ne raccolse un velo con le dita, e se lo portò alla bocca.
Lo assaporò.

Lo sguardo fisso su di lui.
Socchiuso.
Languido.
Famelico.

Le labbra si mordevano da sole, in un’estasi silenziosa.
I suoi fianchi si muovevano appena, le dita acceleravano tra le gambe, e da lei uscivano singhiozzi sommessi, di piacere crescente, di un orgasmo che nasceva da sé, libero, potente, senza bisogno di nessuno.

Vittorio sentì qualcosa spezzarsi.

Un brivido gelido.
Come se la stanza fosse diventata all’improvviso troppo piccola.
Come se quella donna non fosse più fatta solo di carne, ma di qualcosa di inafferrabile.

Troppo.
Troppo bella.
Troppo viva.
Troppo pericolosa.

Fuggì.

Non corse. Ma si voltò di scatto, uscì dalla stanza a passi rapidi, senza una parola, senza voltarsi.
Scomparve dietro la soglia, come se dovesse salvarsi.

Martina non lo fermò.
Non smise.
Il suo corpo tremava sempre di più, e quel sorriso sulle labbra, tra un gemito e una leccata lenta delle dita, diceva tutto.

Era lei il centro.
Era lei il fulcro.

Spero che vi stia piacendo, come per la scorsa serie prediligo l'approccio mentale e non quello fisico per la descrizione dei miei racconti. Se avete commenti li leggerò volentieri qui o via mail a mogliemonella2024@gmail.com
scritto il
2025-05-19
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