Runner 5

di
genere
dominazione

Legata, tremante, Leda vide l’uomo avvicinarsi.

Camminava lento, sicuro, in mano un piccolo frustino. Non era minaccioso nei gesti, ma il solo fatto che lo tenesse, come fosse un’estensione naturale del suo corpo, bastava a farle salire un’ondata di gelo lungo la schiena.

Portava un mefisto nero, che gli nascondeva il volto, lasciando visibili solo gli occhi, vivi, guizzanti, troppo accesi.

«Adesso giochiamo, bellina.»

La voce era normale, persino gentile nel tono, ma era quel contrasto tra il timbro e il contenuto a spaventarla di più.

Quando fu davanti a lei, non la toccò subito con le mani.
Passò il cuoio del frustino sulle guance, piano, come fosse seta.
Poi sul collo, con movimenti lenti, misurati.
Scese sul petto, lungo la curva delicata dei seni, il ventre, fino a sfiorare il pube attraverso il perizoma.

Leda rabbrividì.

Il contatto era leggero, quasi inesistente, ma proprio per questo più inquietante.
La sua pelle si contrasse, i brividi si moltiplicavano e convergevano tutti al centro del suo piacere, come onde che si increspavano sullo stesso punto.

La voce dell’uomo tornò, da dietro di lei.

«Bellina... ma lo sai che hai un corpo da sballo?»

Il frustino disegnò la linea del tanga, poi i contorni del gluteo, con una lentezza che era più invasiva di qualsiasi colpo.

Poi, improvvisamente, una mano si posò sulla sua nuca, ferma, decisa, ma non violenta. Solo per farle sentire la presa.

«Questa sera farai divertire molta gente. Oltre a quelli qui, ci sono più di cinquecento persone collegate. Ti stanno guardando adesso. Ogni tuo respiro, ogni tuo tremito. E oggi abbiamo anche un cameraman… che seguirà ogni dettaglio del tuo corpo.»

Leda impallidì.

Il pubblico. Il numero. La consapevolezza che il suo corpo non era più solo suo.

«Quando avrò finito con te... ci sarà una sorpresa.»

Poi, senza preavviso, una frustata improvvisa le colpì il fianco del gluteo.

Un colpo solo. Violento. Preciso.

L’urlo le sfuggì di bocca. Più per lo shock che per il dolore.
Il dolore arrivò dopo. Pulsante. Vivo.

La pelle, bianca e delicata, si arrossò immediatamente, una chiazza accesa che sembrava accendere anche tutto il resto del suo corpo.

Il fiato spezzato. Il cuore impazzito. Il confine tra umiliazione e eccitazione che si faceva sempre più indistinto.

Sciack.

Un altro colpo.
Sull’altro gluteo. Secco. Pieno.
Lo stesso suono. La stessa lama di fuoco.

Poi, senza tregua, altri quattro.
Due per lato.
Uno dopo l’altro.
Senza rabbia. Senza sadismo. Solo con metodo.

La pelle ardeva.
Vibrava sotto il cuoio, sotto la luce, sotto lo sguardo invisibile di decine — forse centinaia — di occhi.

Leda stringeva le dita, anche se le mani erano già chiuse, bloccate.
Il petto si sollevava in cerca d’aria, lo stomaco contratto, come se ogni colpo avesse spinto più a fondo quel nodo che ormai non era più solo paura.

Era qualcosa di più oscuro. Di più antico.
Piacere.

Sì, c’era dolore.
Dolore vero, acuto, che la faceva tremare.
Ma sopra il dolore… c’era altro.
Qualcosa di più potente.
Di più invasivo.

Il piacere le stringeva le viscere, le chiudeva i muscoli in una tensione che non era più solo reazione, ma risposta. Desiderio.

Ogni fitta era una scintilla, ogni bruciore, una fiamma che si aggiungeva all’incendio.
E quell’incendio… non voleva spegnersi.

Leda lo combatteva.
Con tutto ciò che le era rimasto.
Ma dentro di sé…
iniziava a dubitare.

Forse non era un errore.
Forse non era una deviazione.
Forse — e questo pensiero le fece quasi male — era una parte di lei.
Sempre stata lì. Sottile. Silenziosa.
In attesa di un’occasione.

L’umiliazione non la stava spezzando.
La stava aprendo.

E dentro quella fenditura, stava uscendo la verità.

«Ti piace, bellina?»
La voce fu un sussurro caldo, appena dietro l’orecchio.
Quel tono — complice, sfacciato, intimo — fece vibrare qualcosa nel petto di Leda.

Lui si spostò, le girò attorno con calma, come un felino che studia la sua preda, ma anche come un regista che controlla ogni luce, ogni ombra.
Si fermò davanti a lei, a pochi centimetri. La fissava.

Nella luce accecante, i loro sguardi si incrociarono.
Lei avrebbe voluto distogliere gli occhi, ma non ci riuscì.
Era come se la stesse leggendo da dentro.

Poi le mani dell’uomo salirono sul corpetto, e con lentezza studiata, ne abbassò leggermente la parte superiore, scoprendo solo ciò che voleva fosse visto.
Nulla fu tolto.
Solo esposto.

Si chinò. Non con violenza. Non con impeto.
Con una delicatezza spiazzante, quasi tenera.
Le sue labbra sfiorarono la pelle tesa e sensibile.
Un contatto breve. Umano. Carnale.
Poi si ritrasse, come a dire: ora tocca a te capire cosa stai provando.

Il contrasto tra il calore di quella lingua e il fresco improvviso della sera fece il resto.
Leda rabbrividì.
I sensi la stavano tradendo.

Poi le mani tornarono, stavolta non più per offrire, ma per prendere.
Si chiusero con più forza, decise, calcolate.
Un gesto improvviso. Una torsione.
Non violenta, ma nemmeno gentile.

Un colpo. Interno. Profondo.

Leda gemette, di sorpresa e di dolore.
Ma subito dopo, qualcosa si mosse dentro di lei, una nuova fiamma si accese.
Non nel punto del dolore, ma più in basso, dove la pelle e l’anima si incontrano.
Non lo voleva.
Non voleva cedere.
Non voleva dargli la soddisfazione.

Ma più si ribellava con la mente,
più il corpo sembrava bramare l’opposto.

Il piacere saliva, silenzioso, disperato, inarrestabile.

Lui si allontanò appena, come per osservare meglio la sua opera.
Poi sollevò lentamente lo strumento che aveva in mano. Un gesto calmo, privo di fretta. Aveva tutto il controllo. Anche del tempo.

I colpi arrivarono.
Misurati.
Non violenti come quelli iniziali, ma chirurgici. Mirati.
Scivolavano come sferzate leggere sulla pelle più sensibile, là dove il corpo era già vigile, già in allerta.

Leda sussultò al primo, un misto di paura e sorpresa, ma fu il secondo a farle aprire la bocca in un grido che non sapeva nemmeno da dove arrivasse.
Un urlo che non era solo dolore, ma una corrente elettrica che le percorreva la schiena fino al ventre.

Non capiva più cosa stesse sentendo.

Il calore sulla pelle, l’aria che la sfiorava dopo ogni colpo, quel bruciore sottile che diventava febbre, poi morsa, poi brivido.
I suoi capezzoli, già tesi dal freddo e dall’attenzione, sembravano chiedere altro, come se quel trattamento scorretto e spietato li avesse chiamati a raccolta.

Urlò.
Per il dolore, certo.
Ma ancora di più, per ciò che quel dolore le stava facendo.

Era un piacere sporco, indefinibile, sconvolgente.
Un piacere che la faceva sentire sbagliata.
Ma anche viva. Cruda. Vera.

E in quell’istante, più che mai, sapeva di essere osservata.
Scelta.
Spogliata in ogni senso.
Offerta.

Resistette.
Non al dolore — quello ormai era diventato familiare — ma a qualcosa di molto più pericoloso: il piacere che montava, sordo e violento, dentro di lei.
Ogni fibra del suo corpo gridava di lasciarsi andare.
Ma lei resisteva.
Contro tutto.
Contro se stessa.

Due nuove sferzate sulle cosce, là dove la pelle era nuda, vulnerabile, viva.
Altre due sui polpacci.
Fitte brucianti, precise come graffi incisi dal vento.

Non urlava più.
Era un mugolio profondo, quasi un lamento primordiale.
Ma non cedeva.

E quella resistenza — che era ormai puro istinto — irritava l’uomo.

Lo vide gettare il frustino a terra, con gesto secco, contrariato.
Poi avvicinarsi.
I suoi passi, decisi, pieni. Il suo respiro, vicino.
La sua voce, ancora una volta, un sussurro:
«Non puoi resistere, bellina.»

Le poggiò una mano sul pube e scese trovandola bagnata e calda, il perizoma si spostò quasi da solo quando la penetrò violentemente e a fondo con due dita strette, fu deciso e dentro di lei in un attimo, bastarono pochi movimenti e la diga che serviva per spegnere il fuoco cedette inondando la mano dell'uomo.

Non fu un grido.
Non fu un’esplosione.
Fu un’onda. Lunga. Travolgente.
Una resa silenziosa. Totale.

Le gambe cedettero, un tremito visibile la percorse.
Solo le catene la tennero in piedi, come se la sua stessa volontà non fosse più sufficiente.
Un respiro lungo, cavernoso, spezzato in singhiozzi sommessi le uscì dalle labbra.

Il sorriso sul volto dell’uomo non lasciava spazio a dubbi: aveva ottenuto ciò che voleva.
Non solo la resa del corpo.
Ma quella più profonda, silenziosa e invisibile: la resa dell’anima.

Si avvicinò, ancora una volta con lentezza.
Con una cura inquietante, allentò le catene che la sorreggevano, finché le braccia di Leda scesero lungo i fianchi come due rami spezzati, e lei crollò lentamente in ginocchio, stremata, svuotata, ancora sospesa tra il piacere e il disorientamento.

Respirava a bocca aperta, a scatti.
Il volto ancora velato di lacrime e lucidità.
Gli occhi socchiusi, il trucco sciolto sulle guance.
Il cuore rimbombava nel petto come tamburo di guerra.

Non aveva più forza.
Non aveva più difese.
Solo pelle, respiro e battiti.

Lui rimase in piedi davanti a lei.
Non disse nulla. Non c’era più bisogno.

Si abbassò leggermente.
La mano sul suo mento, le sollevò il volto.
I loro occhi si incrociarono.
Un attimo.
Un lampo.

E fu come se l’intero equilibrio si capovolgesse.
Lei, in ginocchio.
Lui, in attesa.

Il rumore della zip dei suoi pantaloni non andava interpretato, senza neanche accorgersene si ritrovò con la bocca invasa dalla sua erezione, dura, pulsante, viva.

Non cercava un ruolo attivo, cominciò ad andare sempre più a fondo, fino a provocarle dei piccoli conati, le fece stringere le labbra sull'asta e poi la usò, come se fosse un buco con la carne intorno deputata al suo mero piacere.

Lei non era in grado di muoversi, di ribellarsi, lui la teneva per le orecchie e la usava come se fosse una bambola, dovette suo malgrado sottomettersi a questa intrusione farlo godere del suo corpo.

Sapeva che sarebbe potuto succedere e non solo ne era consapevole, forse, in cuor suo, sperava che succedesse.

Il ritmo aumentò così come la rigidezza e la dimensione del membro che le usava la bocca, fino a che spinse ancora più a fondo e lei sentì le contrazioni del membro dentro di lei. U primo schizzo finì direttamente nella sua gola, ma poi il maschio fu lesto ad estrarlo, non era solo il finale di un rapporto era il suo marchio per lei, la sua proprietà, la sua schiava.

I successivi finirono sul viso, sui capelli e sul collo, l'odore del piacere del maschio era tutto intorno a lei. Trionfante si girò verso il pubblico riponendo il suo membro ora a riposo esultante e sorridente. Questo è solo l'inizio.




Dopo l'esultanza verso il suo pubblico il maschio disse semplicemente. "Chi vuole essere il primo ad usarla? Concedo il prossimo quarto d'ora con lei al migliore offerente." Un grande brusio si alzò mentre l'aguzzino si avvicinava a prendere le offerta. Leda in ginocchio sentiva solo sprazzi di conversazione. "Non so se sia vergine, ma ha importanza?" "Certo potete farle tutto ciò che volete, ma senza segnarla permanentemente, devo guadagnarci ancora." "No niente escrementi, poi finirebbe la serata." "No non te la posso vendere come schiava, neanche per quella cifra." La stava vendendo, stava lucrando sul suo corpo e quello che aveva di più prezioso, le lacrime scesero copiose sulle sue guance portando via la convinzione di poter gestire la serata. Era solo un oggetto, un pezzo di carne, da usare, degradare e poi buttare.

La notte era semper più buia, e l'oscurità si stava addensando io quel microcosmo fatto di perversione ed umiliazione. Il fruscio dell'aria negli alberi unito al frinire dei grilli nell'erba creavano un contrasto inconcepibile tra la natura che continuava a vivere e la disumanità con cui la ragazza veniva trattata ed usata. Questi pensieri affollavano la sua mente mentre le lacrime amare continuavano a solcarle le guance e rovinare il bel trucco dei suoi occhi. In ginocchio al centro della struttura dell'altalena con le mani ancora tese in alto dalle catene legate ai bracciali, il piacere del maschio oramai secco sul suo corpo, ma sempre profumato di piacere, il piacere perverso e profondo provato suo malgrado la facevano sentire un oggetto.

Fu proprio su questo pensiero che due uomini si fecero avanti verso il suo aguzzino, spiegandogli che avevano partecipato insieme all'asta ed insieme avrebbero abusato della ragazza a loro piacimento.

Le si avvicinarono, il primo che le si presentò di fronte alto circa come lei, ma enormemente grasso, emanava un odore molto sgradevole di uomo sporco, trascurato. Si accucciò di fronte a lei e le sollevò il volto con poca delicatezza prendendola da sotto il mento. "Adesso ci divertiremo con te, che ti piaccia o no". L'uomo alle sue spalle, che lei non poteva vedere, le slacciò il corpetto, che il compare davanti quasi le strappò dalla pelle buttandolo nell'erba.

Entrambe le mani sui capezzoli, ora rilassati, a stimolarli, pollice e indice di entrambe le mani li presero dolcemente cominciando a torcerli senza provocarle dolore.

Mai e poi mai, nella sua vita, avrebbe potuto pensare di essere nelle mani di un essere come quello. A lei piacevano i bei ragazzi, biondi, occhi azzurri, alti e spallati, con un bel fisico da baciare, carezzare e leccare. Questo era tutto l'opposto. Non poteva vederne il viso, coperto dal mefisto, ma fisicamente sembrava un Danni De Vito italiano.

Il riflesso involontario del suo corpo fece tendere i suoi capezzoli, provocando un sorriso malefico sul viso del maschio, l'altro dietro si stava occupando della sua schiena, dei suoi glutei carezzandoli dolcemente, assaporando la consistenza della carne.

Si, perchè quello era, della carne, per il loro piacere.

I capezzoli tesi ora venivano torti con brutalità, con piacere, con sadismo. La sua bocca emetteva gemiti di dolore, ma nuovamente il suo basso ventre rispondeva a modo suo, scaldandosi, bramando il piacere, sognando il dolore.

"Forza dammeli" disse all0uomo dietro di lei. Con la coda dell'occhio vide le mani dietro di lei passare una catenella all'uomo che le stava di fronte. La catenella aveva due pinzette sulle estremità e con sguardo sadico le due pinzette furono fissate, con un dolore straziante, ai suoi capezzoli, stringendoli, pizzicandoli, martoriandoli.

Un urlo accompagnò l'applicazione delle pinzette, questa reazione fece sorridere il maschio che si alzò in piedi, e per la seconda volta nella serata sentì il suono inconfondibile di una cerniera abbassata, vide il membro del maschio, non ancora completamente eretto, circondato da una folta peluria grigia, venire tirato fuori da mani abili e capaci e presentato alla sua bocca.

Si rifiutò di imboccarlo, girando la testa e tenendo serrate le labbra, il membro puzzava di sporco, grosso e molle, non sarebbe entrato nella sua bocca.

Ma poi il dolore improvviso e lancinante ai suoi capezzoli, la catenella tirata con forza e cattiveria le fecero urlare, la bocca spalancata si trovò immediatamente invasa dalla voglia del maschio in rapida erezione.

"Adesso succhialo bene troietta, altrimenti giuro che te li stacco questi capezzoli, e per confermare diede un altro strattone alla cordicella, subito seguita da uno schiaffo forte sordo, violento, a mano aperta, sul seno. Il dolore fù insopportabile, tanto che il suo urlo si perse sulla carne che le stava occupando la bocca, aumentando l'eccitazione del maschio.

Estrasse il membro da lei si avvicinò alle catene che le tenevano legate le mani e la issarono, in piedi, nuovamente con le gambe spalancate.

Da dietro sentì l'altro maschio prendere il filo del perizoma e tirarlo violentemente, la tensione del tessuto lo fece infilare profondamente tra le grandi labbra e sfregare duramente il suo centro del piacere, un nuovo urlo, un nuovo carico di piacere al suo ventre.

La tensione terribile del tessuto lo portò a spaccarsi, fustigando nuovamente le sue parti più sensibili, ma subito dopo arrivò una manata terribile sulla natica, il rumore sordo e pieno si diffuse nell'aria insieme al suo nuovo urlo di dolore, poi non fu più una mano, ma una frusta.

Usata abilmente cominciò a fustigarle i glutei, accendendo dolore e calore, passando poi alle cosce delicate ed esposte per poi passare alla schiena, sentendosi soddisfatto, passò la frusta al compare davanti a lei che presa in mano la situazione diede la catenella al compare che da dietro tirava torceva e torturava i capezzoli, mantre lui la fustigava sul ventre, sul pube per poi concentrarsi sul seno.

Ogni colpo un nuovo marchio, rosso, doloroso, eccitante. Ogni colpo un sospiro, un urlo, un incremento del piacere che si annidava nel suo ventre, un desiderio che non finisse e al contempo che non fosse vero, che fosse solo un sogno. Ma il dolore era reale, era presente, era punsante, era eccitante.

Finirono le frustare, il suo corpo martoriato pativa ogni soffio di aria sui segni lasciati su suo corpo, e i maschio che le era davanti, lascivamente si avvicinò al suo viso, laeccandole le labbra, forzandole ad aprirsi per saggiare la sua lingua all'interno della sua bocca. L'alito pesante il corpo enorme, la lingua come una lumaca che si intrufolava in lei, ma anche questo la accendeva, le donava piacere.

Si trovò a guerreggiare con quella lingua con la sua, a fronteggiarla come se fosse una spadaccina, a prendere piacere da quell'intrusione. Mentre lottava con la lingua sentì il maschio dietro di lei allargarle le natiche, spalmarle qualcosa di freddo sul suo pertugio più segreto, forzare l'ingresso con un dito.

Poi ebbe solo la lingua, fino a che qualcosa, di grosso, duro e caldo cominciò a farsi strada in lei, lentamente ma inesorabilmente sentiva il suo intestino riempirsi, allargarsi per accogliere l'intrusione, rilassarsi per rendere meno dolorosa la profanazione. Continuò a entrare per un tempo che sembrava eterno, la lotta con la lingua era persa, le lacrime avevano ripreso a scendere copiose, il maschio dietro di lei, lentamente ma continuamente, usciva e rientrava completamente dentro di lei, usandola, allargandola, abusandola.

Un gemito strozzato prese il ritmo della sodomia, sempre profonda, sempre devastante, sempre più eccitante. Ogni penetrazione la portava sempre più vicina al punto di non ritorno, ogni affondo le donava un dolore sommato al piacere, ogni stilettata alla sua intimità le conferiva sempre più prossimità al suo piacere. Sentì il maschio davanti prenderla per le cosce, alzarle lasciandola appesa per le mani e per il membro che incessantemente la profanava e sentì l'altro nel suo mondo segreto, bagnato, umido aperto.

Si fece strada in ei anche il maschio che le stava davanti, e sincronizzando il movimento con l'altro la presero doppiamente, totalmente, incessantemente. Fino a che il suo piacere esplose in lei. Profondo e inaspettato, quanto non immaginato e voluto, ma intenso, forte, potente. Urlò con tutta la forza che aveva in gola e le contrazioni del suo ventre portarono anche i due uomini a scaricare tutto il loro piacere in lei.

Tale, tanto e di inaudita intensità fu l'orgasmo che la lasciò senza forze, senza volontà. Quanto successe dopo lo ricordò come un sogno appena svegliati. mani che la slegavano e le toglievano i bracciali, braccia che la poggiavano delicatamente sull'erba, lontana dalla struttura dell'altalena e poi un cerchio di uomini intorno a lei.

Prima solo volti coperti, poi corpi ancora vestiti, poi membri esposti e maneggiati, più di dieci, forse venti persone che si masturbavano ammirando il suo corpo inerme sull'erba.

Poi arrivarono, le gocce, profumate, dense, perverse. Tutti vollero omaggiare il suo corpo, il suo viso, tutta lei, con il loro piacere. Si ritrovò coperta del loro piacere, omaggiata e orgogliosa, oltraggiata e usata.

Finito il piacere, uno alla volta se ne andarono, lasciandola lì, coperta di liquido biancastro e odorosa di sesso.

Lentamente le luci si spensero, fino a che solo una restò accesa, sopra di lei apparve il suo aguzzino, la sua voce profonda, una canna dell'acqua in mano. Aprì il rubinetto, acqua gelata ad alta pressione per toglierle parte del liquido da dosso, sadicamente soffermandosi sui punti più martoriati più delicati.

Mentre la martoriava ulteriormente, guardandola dritto in faccia "brava bellina, non pensavo riuscissi a godere anche con questo trattamento, direi che sei proprio adatta all'essere usata, magari la prossima volta ti farò incontrare qualche mio amico come una vera prostituta. chiuse l'acqua, le buttò addosso il vestitino con cui era arrivata, spense l'ultima luce e sparì.

Questa volta rialzarsi, stare in piedi e rivestirsi, oltre a scavalcare il cancello, fù una vera impresa. Mentre camminava verso casa, bagnata, ancora con quell'odore addosso, dolente su tutto il corpo, non si capacitava di quanto era stata capace di subire e di quanto tutto questo le fosse piaciuto, la avesse portata a vette di piacere mai raggiunte prima.

Entrata in casa non ebbe la forza di fare nulla, se non buttarsi sul letto, coprirsi con le lenzuola pulite e crollare in un sonno sereno, il sonno dei giusti, il sonno ristoratore di chi ha scoperto una nuova se stessa. Più perversa, più profonda, più volgare, ma la vera se stessa sempre nascosta al mondo che la circondava.

Spero che vi stia piacendo. Se avete commenti li leggerò volentieri qui o via mail a mogliemonella2024@gmail.com
scritto il
2025-06-11
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