“Quella bocca da cazzo – Una notte con Angelina”

di
genere
etero

Prefazione

Io mi chiamo Angelo. Cinquantanove anni suonati.
Non mi considero un santo, né uno stronzo, ma una cosa è certa: di donne ne ho avute. Tante.
Curiose, affamate, disperate, esperte. Alcune cercavano amore, altre solo un modo per sentirsi vive. E qualcuna, lo ammetto, voleva solo il mio cazzo.
E io gliel’ho dato. Sempre.

Ma niente, niente mi aveva mai travolto come quella bocca.
Una bocca nata per ingoiare.
Una bocca di fuoco, di peccato puro.

La bocca di Angelina.

Ventiquattro anni, arrogante come solo le regine del cazzo sanno essere.
Bellissima, sicura, sfrontata. Una puttanella elegante, con l’aria di chi ti sta già fot**ndo con lo sguardo.

Quella notte mi ha svuotato. Di tutto.
Mi ha risucchiato l’anima e il seme.
E io gliel’ho lasciato fare.
Anzi, gliel’ho offerto.



Una notte con Angelina

L’ho conosciuta a una cena privata.
Tavolo lungo, luci soffuse, musica morbida.
Lei stava in fondo, da sola, le gambe accavallate con una sicurezza che ti tagliava il fiato.
Minigonna, labbra lucide, movimenti lenti. Si leccava il bordo del bicchiere con la punta della lingua.
Non stava flirtando. Stava provocando.
Una danza da mignotta professionista.

Mi ha guardato. Senza sorridere. Senza imbarazzo.
Solo voglia pura negli occhi.

Mi sono alzato, ho attraversato la sala, e lei ha parlato per prima.

«Tu sei Angelo?»
«Sì.»
«Io sono Angelina. E ti voglio adesso.»

Semplice. Netta. Senza poesia.
Mi prese la mano, me la spinse sotto la minigonna.
Senza mutandine.
Figa calda, bagnata. Palpitante.

«Portami via. Subito. Ho bisogno di cazzo.»

Salimmo nella stanza del piano di sopra. Non chiudemmo neanche la porta.
Appena dentro, lei si inginocchiò. Non per rispetto, ma per fame.
Mi sbottonò i pantaloni e se lo tirò fuori.
Il mio cazzo le sbatté sulla guancia.
Lei lo prese in mano e se lo strofinò sulle labbra, sugli zigomi, sul mento. Come se fosse crema da stendere.

«Ora taci. Lascia fare a me.»

E lo ingoiò.
Fino in fondo.
Un colpo solo. Nessuna esitazione.
Mi arrivò in gola una risata secca, la sua. Aveva già capito tutto.

La sentivo tossire, sbavare, ma non si fermava. Anzi, ci godeva.
Mi leccava le palle, mi apriva le gambe con le mani, mi massaggiava il buco con un dito lubrificato dalla sua saliva.

Non era un pompino.
Era una dichiarazione di guerra.
Un’aggressione. Una celebrazione del cazzo.

Le presi i capelli, la guidai più a fondo.
Lei gemeva ansimando, si faceva strozzare come una cagna in calore.

«Sì, succhialo. Prendilo tutto, troia. Te lo meriti.»

Il mio corpo tremava, il piacere era troppo.
E quando venni, le sparai un getto in gola così forte che quasi la sollevai.
Lei ingoio tutto. Fino all’ultima goccia.
Poi si pulì le labbra col dito e se lo leccò.

«Questo era solo l’inizio, vecchio mio.»



Il resto della notte

Si spogliò lentamente, un capo alla volta.
Tette piene, alte. Capezzoli duri e scuri.
Figa liscia, lucida, con le labbra gonfie e appena spalancate.
Si sedette sulla mia faccia, le cosce tese, il bacino che spingeva.

«Leccamela come se ti servisse per vivere.»

E lo feci.
Le aprii le labbra con le dita, le succhiai il clitoride fino a farle perdere il respiro.
Due dita dentro. Poi tre.
Cercai e trovai il punto.
Lei urlava, si contorceva, si aggrappava al mio petto con le unghie.

Mi pisciò addosso nel culmine. Un’esplosione calda, liquida.
Non mi fermai. Continuai a leccarla, a morderla, a penetrarla con la lingua.

Poi si alzò, mi salì sopra.
Si infilò il cazzo con un gemito profondo.
E mi cavalcò come se volesse uccidermi.

«Ti piace la troia giovane? Vuoi farmi godere, porco? Dimmelo!»

«Sì, cazzo. Sei una dea. Spaccami.»

Lei si piegò in avanti, mi baciò sulla bocca con sapore di sé.
Si toccava mentre la scopavo. Si guardava da sopra, fiera.
Era lei a comandare.
Ed era bellissimo.

«Mi sborri dentro. Tutto. Riempimi di te.»

E lo feci.
Ancora. Più forte. Più lungo.
Lei tremava, rideva, si mordeva le labbra.

Ma non bastava.
Mi succhiò di nuovo sul divano, lo volle in culo sul pavimento, si addormentò con la mia lingua fra le chiappe.



Epilogo

Quando si rivestì, aveva le cosce sporche del mio seme.
I capelli arruffati. Gli occhi lucidi.

«Mi ringrazierai per tutta la vita.»

Aveva ragione.
Perché ogni volta che chiudo gli occhi, ogni volta che mi tocco…
Non penso a ex, né a porno.

Penso a lei.
Alla bocca da pompino, alla figa affamata, all’arroganza di una ventiquattrenne che ha scopato meglio di tutte le altre messe insieme.

E sì.
Ho 59 anni.
Ma quella notte…
quella notte ero un dio.
scritto il
2025-06-11
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