Anna suo figlio e sua nuora
di
AngelicaBellaWriter
genere
incesti
Sapevo che sarebbe tornato. Tornano tutti, alla fine. Anche quelli che fanno i bravi ragazzi, che dicono no con la bocca mentre il cazzo urla sì. E lui, povero stronzo, era già mio dal primo istante.
Avevo addosso solo una vestaglietta di merda, trasparente quanto basta per fargli venire l’acquolina. Niente reggiseno. Niente mutande. Solo figa pronta e tette tese. Ogni mio movimento era fatto apposta per fargli salire il sangue nel cazzo.
«Come stai?» mi fa, provando a fare lo gnorri. Ma bastava guardargli l’occhio vitreo e la patta gonfia per capire che era già mezzo venuto.
Mi sistemai i capelli con un gesto lento, calcolato, poi mi mollai sul bracciolo, gambe aperte, figa praticamente in vista.
«Uno schifo. Ieri ho provato a farmi tuo padre, ma il suo cazzo era morto. Un mollusco. Mi ha guardata come si guarda un cartone del latte scaduto. Ti rendi conto? Mi sono spogliata, gliel’ho messa sotto al naso, e niente. Nemmeno un guizzo.»
Lui si grattava la testa, rosso, muto come un coglione. Ma il cazzo premeva sotto i jeans come se volesse scappare da lì dentro.
«E tu invece…» sussurrai, lasciando la frase a penzoloni, come la lingua di un cane arrapato.
Deglutì. Cercava di guardare il soffitto, il muro, il pavimento, ma sempre lì tornava: tra le mie gambe.
«Non dovremmo… È sbagliato…» balbettò.
Mi alzai e gli andai addosso, sentiva il mio alito, il profumo del sesso fresco. Gli presi la mano e gliela sbatté sulle tette, con forza. Il capezzolo era già in tiro, pronto a farsi mordere.
«Io me ne sbatto del giusto e dello sbagliato. Ho voglia di cazzo. Sempre. È come un buco nero dentro di me. E tu lo senti. Ce l’hai duro, no? Vuol dire che mi vuoi.»
Provò a parlare, ma gli uscì solo un mugolio. Gli slacciai i pantaloni senza chiedere. Lui non fece niente per fermarmi. Aveva le mani che tremavano, e il cazzo che pulsava sotto le mutande.
Glielo tirai fuori e sorrisi.
«Ma guarda te che bastone ti porti dietro… per una troia come me, eh?»
E glielo presi in bocca. Subito. Fino in gola. Godevo nel sentirlo vibrare mentre succhiavo con rabbia, affamata, sputando, sbavando, stringendo le labbra sul glande mentre lui mi afferrava i capelli e mugolava come un cane bastonato.
Quando lo mollai, avevo la bava sul mento. Lasciai cadere la vestaglia, rimasi nuda, la figa lucida, le tette sode.
Mi misi sul divano, gambe spalancate, dita a tenermi aperta.
«Guardami. Dimmi che non mi scoperesti. Guardami negli occhi e prova a dirmelo. Dai. Cazzone.»
Lui venne avanti, tremava, ma il cazzo era lì, grosso, teso, pronto a sfondarmi. Lo afferrai, me lo puntai contro e me lo infilai da sola. Affondai fino in fondo.
«Oh sì… così…»
Gemetti, lo sentivo che mi riempiva, che spingeva come un dannato. Pelle contro pelle, botte di culo, sudore e bestemmie sussurrate. Mi affondava dentro come se mi volesse bucare l’anima. E io stringevo, lo cavalcavo, gli graffiavo la schiena, gli mordevo il collo.
Venni. Urlando. Senza pudore. Mentre lui si svuotava dentro, con le mani sulle mie chiappe.
Quando finì, era fradicio, tremante, con lo sguardo perso.
Lo guardai, sporca di sperma e saliva.
«Stai zitto. Tua moglie ti dà il bacio della buonanotte. Io ti scopo l’anima. Non confondere le due cose.»
Non era passato nemmeno un quarto d’ora che il suo cazzo era di nuovo in tiro. Lo vedevo contorcersi nel silenzio imbarazzato, a sedere sul divano come se niente fosse, ma io lo conosco quel tipo d’erezione: è quella che preme, che pulsa, che grida voglio ancora. E io gliela do. Sempre.
Mi chinai davanti a lui, senza dire una parola, gli scostai il cazzo già duro fuori dai pantaloni, e cominciai a leccarlo piano. Lingua sulla cappella, sughetto salato del primo sborrone ancora lì. Mi sporcai le labbra apposta, come una puttana affamata. Lui ansimava, le mani nei capelli, le cosce che tremavano.
«Ancora? Ma sei una dannata…» sussurrò, boccheggiando.
Me lo infilai in bocca di nuovo, più a fondo, mentre con l’altra mano mi stuzzicavo la figa, bagnatissima. Le dita entravano senza fatica, e ogni tanto gliele facevo annusare. Non diceva niente. Godeva. Era mio. Tutto.
Poi lo guardai negli occhi, mi sollevai di scatto e mi girai.
«Fottimi. Di nuovo. Voglio che mi spacchi. Che mi lasci i lividi.»
Mi chinai sul divano, culo all’aria, la figa aperta e pronta.
E lui entrò. Forte. Senza pietà. Le mani sui miei fianchi, i colpi secchi, duri, il rumore di carne che sbatte su carne. Mi prendeva come un animale, ed era proprio quello che volevo. Il cazzo mi scivolava dentro come un ariete, e ogni colpo era un’esplosione.
Poi successe.
La porta si spalancò. Uno schianto.
«MA CHE CAZZO—?!»
La voce della moglie. Fredda, stridula, incazzata come una furia.
Lui si bloccò, il cazzo ancora dentro. Io non mi girai nemmeno. Rimasi lì, a quattro zampe, con la figa all’aria e lo sguardo sprezzante.
«Ciao tesoro» dissi. «Guarda che roba. Guarda come me lo sbatte.»
Lei era lì, in piedi, con gli occhi sgranati e la faccia paonazza.
«Figlio di puttana! Nella casa di tua madre? Con lei?!»
«Con me» ripetei. «Con la troia di sua madre. E sai perché? Perché io lo faccio godere come nessuna. Manco tu, col tuo pigiamino da suora e la fica asciutta da funerale.»
«Stai zitta, puttana!» urlò lei, ma non se ne andava. Non si muoveva. Fissava. La bocca aperta, il respiro corto.
Mi alzai, piano, col cazzo che mi scivolava fuori gocciolante. Andai verso di lei, nuda, il corpo sudato, il sapore del figlio ancora in bocca.
«Guardami. Lo vuoi sapere perché lo faccio? Perché mi piace fottere. Mi piace che mi vengano dentro. E mi piace vedere la faccia delle mogli represse che si accorgono che il loro uomo non è mai stato loro davvero.»
Lei tremava. Rabbia. Paura. Ma anche qualcos’altro.
Mi avvicinai. Le presi la mano. Gliela misi tra le gambe. Era calda. Bagnata.
«Vedi? Anche tu hai voglia. Non è rabbia quella. È invidia. Curiosità. Hai voglia di sapere com’è, vero? Di essere toccata così. Spaccata così. Di non dover più fingere.»
Lei non rispose. Deglutì. Gli occhi lucidi.
«Facciamo così. Rimani. Guarda. Toccalo anche tu, se vuoi. Non serve litigare. Si può godere in tre. Basta volerlo.»
Silenzio. Poi fece un passo avanti. Guardò il marito. Guardò me.
E si spogliò.
Il reggiseno cadde a terra, poi le mutandine. Aveva un corpo stretto, giovane, con le tette piccole e i capezzoli già duri.
«Che cazzo sto facendo…» mormorò.
«Stai smettendo di far finta. E finalmente, brava ragazza… ti fai scopare.»
Mi girai verso di lui, con un sorriso sporco stampato in faccia.
«Allora? Sei pronto a fotterci tutte e due, o dobbiamo prendere qualcun altro con un cazzo più duro del tuo?»
Lei era lì, nuda, con gli occhi ancora indecisi, ma il corpo già parlava. I capezzoli duri come chiodi, le cosce che tremavano, il fiato spezzato. Aveva voglia. Una voglia che non sapeva di avere, o che aveva represso per troppo, troppo tempo.
«Vieni» le dissi. «Mettiti in ginocchio. Toccalo. Leccalo. Fallo tuo.»
Lei esitò solo un secondo. Poi si piegò, e prese in mano il cazzo del marito, ancora lucido dei miei succhi, bagnato di sborra e saliva. Lo guardava come se non l’avesse mai visto prima. E forse era vero: non l’aveva mai visto così.
«Leccalo» le dissi. «Leccalo mentre io ti guardo. Fai la brava, troietta.»
E lei lo fece. Aprì la bocca, e gli passò la lingua sulla cappella, lentamente, poi più a fondo, finché glielo succhiava davvero. Lui mugolava, con le mani che stringevano i fianchi della moglie come se non riuscisse a crederci. Io mi massaggiavo la figa, seduta sul bordo del divano, guardando lo spettacolo.
«Sei brava» le dissi. «Forse troppo. Quante seghe gli hai fatto sotto le coperte mentre facevi finta di essere una signora per bene?»
Lei si staccò un attimo, gli occhi lucidi, la bocca impiastricciata.
«Poche» rispose. «Mi vergognavo.»
«Ora non più. Ora fai la puttana. E ti piace, vero?»
Annuì. Era cambiata. Le si leggeva in faccia.
Mi alzai, andai dietro di lei, e mentre continuava a succhiare lo toccai. Le presi le tette. Le strinsi forte. Le pizzicai i capezzoli finché non gemette. Poi le passai una mano tra le cosce, e la trovai fradicia. Una fottuta fontana.
«Ti stai bagnando per tua suocera, piccola troia. Non è meraviglioso?»
Lei ansimava. Stava per venire già così.
La tirai su, le infilai due dita dentro e gliele muovevo come una sega rovesciata, mentre con l’altra mano la costringevo a guardarmi.
«Vuoi il mio cazzo?» chiesi, mettendole la mano sul membro di suo marito.
«Sì…» sussurrò.
«Allora mettiti sopra. Cavalcalo. Fallo come non hai mai fatto. Fallo con me che ti guardo.»
Lei si sedette su di lui, si infilò il cazzo dentro con un gemito, e cominciò a muoversi. Prima piano, poi più veloce, sempre più forte. Gli occhi chiusi, la bocca aperta, una puttana nata.
Io mi sedetti dietro di lei, le baciai il collo, le morsi la spalla, poi le infilai un dito nel culo. Lei si inarcò, urlò.
«Ti piace, eh? Non te l’aveva mai fatto nessuno, vero?»
«No… nessuno…»
«Adesso sì. Adesso sei mia.»
Lui sotto gemeva, vicino a venire. Lei scoppiò in un orgasmo tremendo, con le gambe che le cedevano, e io glielo infilai tutto in bocca subito dopo, per completare il quadro.
Ci venne in gola mentre lei ancora tremava.
E io? Io godevo solo a guardarli. Godevo del potere. Di averli in pugno. Di aver trasformato una coppia normale in due puttane pronte a tutto.
Quando si calmò tutto, la guardai. Lei era piegata, nuda, stremata, ma con un sorriso che non avevo mai visto sul suo viso.
«Benvenuta tra le troie, tesoro» le dissi. «Vedrai che qui si sta da Dio.»
Avevo addosso solo una vestaglietta di merda, trasparente quanto basta per fargli venire l’acquolina. Niente reggiseno. Niente mutande. Solo figa pronta e tette tese. Ogni mio movimento era fatto apposta per fargli salire il sangue nel cazzo.
«Come stai?» mi fa, provando a fare lo gnorri. Ma bastava guardargli l’occhio vitreo e la patta gonfia per capire che era già mezzo venuto.
Mi sistemai i capelli con un gesto lento, calcolato, poi mi mollai sul bracciolo, gambe aperte, figa praticamente in vista.
«Uno schifo. Ieri ho provato a farmi tuo padre, ma il suo cazzo era morto. Un mollusco. Mi ha guardata come si guarda un cartone del latte scaduto. Ti rendi conto? Mi sono spogliata, gliel’ho messa sotto al naso, e niente. Nemmeno un guizzo.»
Lui si grattava la testa, rosso, muto come un coglione. Ma il cazzo premeva sotto i jeans come se volesse scappare da lì dentro.
«E tu invece…» sussurrai, lasciando la frase a penzoloni, come la lingua di un cane arrapato.
Deglutì. Cercava di guardare il soffitto, il muro, il pavimento, ma sempre lì tornava: tra le mie gambe.
«Non dovremmo… È sbagliato…» balbettò.
Mi alzai e gli andai addosso, sentiva il mio alito, il profumo del sesso fresco. Gli presi la mano e gliela sbatté sulle tette, con forza. Il capezzolo era già in tiro, pronto a farsi mordere.
«Io me ne sbatto del giusto e dello sbagliato. Ho voglia di cazzo. Sempre. È come un buco nero dentro di me. E tu lo senti. Ce l’hai duro, no? Vuol dire che mi vuoi.»
Provò a parlare, ma gli uscì solo un mugolio. Gli slacciai i pantaloni senza chiedere. Lui non fece niente per fermarmi. Aveva le mani che tremavano, e il cazzo che pulsava sotto le mutande.
Glielo tirai fuori e sorrisi.
«Ma guarda te che bastone ti porti dietro… per una troia come me, eh?»
E glielo presi in bocca. Subito. Fino in gola. Godevo nel sentirlo vibrare mentre succhiavo con rabbia, affamata, sputando, sbavando, stringendo le labbra sul glande mentre lui mi afferrava i capelli e mugolava come un cane bastonato.
Quando lo mollai, avevo la bava sul mento. Lasciai cadere la vestaglia, rimasi nuda, la figa lucida, le tette sode.
Mi misi sul divano, gambe spalancate, dita a tenermi aperta.
«Guardami. Dimmi che non mi scoperesti. Guardami negli occhi e prova a dirmelo. Dai. Cazzone.»
Lui venne avanti, tremava, ma il cazzo era lì, grosso, teso, pronto a sfondarmi. Lo afferrai, me lo puntai contro e me lo infilai da sola. Affondai fino in fondo.
«Oh sì… così…»
Gemetti, lo sentivo che mi riempiva, che spingeva come un dannato. Pelle contro pelle, botte di culo, sudore e bestemmie sussurrate. Mi affondava dentro come se mi volesse bucare l’anima. E io stringevo, lo cavalcavo, gli graffiavo la schiena, gli mordevo il collo.
Venni. Urlando. Senza pudore. Mentre lui si svuotava dentro, con le mani sulle mie chiappe.
Quando finì, era fradicio, tremante, con lo sguardo perso.
Lo guardai, sporca di sperma e saliva.
«Stai zitto. Tua moglie ti dà il bacio della buonanotte. Io ti scopo l’anima. Non confondere le due cose.»
Non era passato nemmeno un quarto d’ora che il suo cazzo era di nuovo in tiro. Lo vedevo contorcersi nel silenzio imbarazzato, a sedere sul divano come se niente fosse, ma io lo conosco quel tipo d’erezione: è quella che preme, che pulsa, che grida voglio ancora. E io gliela do. Sempre.
Mi chinai davanti a lui, senza dire una parola, gli scostai il cazzo già duro fuori dai pantaloni, e cominciai a leccarlo piano. Lingua sulla cappella, sughetto salato del primo sborrone ancora lì. Mi sporcai le labbra apposta, come una puttana affamata. Lui ansimava, le mani nei capelli, le cosce che tremavano.
«Ancora? Ma sei una dannata…» sussurrò, boccheggiando.
Me lo infilai in bocca di nuovo, più a fondo, mentre con l’altra mano mi stuzzicavo la figa, bagnatissima. Le dita entravano senza fatica, e ogni tanto gliele facevo annusare. Non diceva niente. Godeva. Era mio. Tutto.
Poi lo guardai negli occhi, mi sollevai di scatto e mi girai.
«Fottimi. Di nuovo. Voglio che mi spacchi. Che mi lasci i lividi.»
Mi chinai sul divano, culo all’aria, la figa aperta e pronta.
E lui entrò. Forte. Senza pietà. Le mani sui miei fianchi, i colpi secchi, duri, il rumore di carne che sbatte su carne. Mi prendeva come un animale, ed era proprio quello che volevo. Il cazzo mi scivolava dentro come un ariete, e ogni colpo era un’esplosione.
Poi successe.
La porta si spalancò. Uno schianto.
«MA CHE CAZZO—?!»
La voce della moglie. Fredda, stridula, incazzata come una furia.
Lui si bloccò, il cazzo ancora dentro. Io non mi girai nemmeno. Rimasi lì, a quattro zampe, con la figa all’aria e lo sguardo sprezzante.
«Ciao tesoro» dissi. «Guarda che roba. Guarda come me lo sbatte.»
Lei era lì, in piedi, con gli occhi sgranati e la faccia paonazza.
«Figlio di puttana! Nella casa di tua madre? Con lei?!»
«Con me» ripetei. «Con la troia di sua madre. E sai perché? Perché io lo faccio godere come nessuna. Manco tu, col tuo pigiamino da suora e la fica asciutta da funerale.»
«Stai zitta, puttana!» urlò lei, ma non se ne andava. Non si muoveva. Fissava. La bocca aperta, il respiro corto.
Mi alzai, piano, col cazzo che mi scivolava fuori gocciolante. Andai verso di lei, nuda, il corpo sudato, il sapore del figlio ancora in bocca.
«Guardami. Lo vuoi sapere perché lo faccio? Perché mi piace fottere. Mi piace che mi vengano dentro. E mi piace vedere la faccia delle mogli represse che si accorgono che il loro uomo non è mai stato loro davvero.»
Lei tremava. Rabbia. Paura. Ma anche qualcos’altro.
Mi avvicinai. Le presi la mano. Gliela misi tra le gambe. Era calda. Bagnata.
«Vedi? Anche tu hai voglia. Non è rabbia quella. È invidia. Curiosità. Hai voglia di sapere com’è, vero? Di essere toccata così. Spaccata così. Di non dover più fingere.»
Lei non rispose. Deglutì. Gli occhi lucidi.
«Facciamo così. Rimani. Guarda. Toccalo anche tu, se vuoi. Non serve litigare. Si può godere in tre. Basta volerlo.»
Silenzio. Poi fece un passo avanti. Guardò il marito. Guardò me.
E si spogliò.
Il reggiseno cadde a terra, poi le mutandine. Aveva un corpo stretto, giovane, con le tette piccole e i capezzoli già duri.
«Che cazzo sto facendo…» mormorò.
«Stai smettendo di far finta. E finalmente, brava ragazza… ti fai scopare.»
Mi girai verso di lui, con un sorriso sporco stampato in faccia.
«Allora? Sei pronto a fotterci tutte e due, o dobbiamo prendere qualcun altro con un cazzo più duro del tuo?»
Lei era lì, nuda, con gli occhi ancora indecisi, ma il corpo già parlava. I capezzoli duri come chiodi, le cosce che tremavano, il fiato spezzato. Aveva voglia. Una voglia che non sapeva di avere, o che aveva represso per troppo, troppo tempo.
«Vieni» le dissi. «Mettiti in ginocchio. Toccalo. Leccalo. Fallo tuo.»
Lei esitò solo un secondo. Poi si piegò, e prese in mano il cazzo del marito, ancora lucido dei miei succhi, bagnato di sborra e saliva. Lo guardava come se non l’avesse mai visto prima. E forse era vero: non l’aveva mai visto così.
«Leccalo» le dissi. «Leccalo mentre io ti guardo. Fai la brava, troietta.»
E lei lo fece. Aprì la bocca, e gli passò la lingua sulla cappella, lentamente, poi più a fondo, finché glielo succhiava davvero. Lui mugolava, con le mani che stringevano i fianchi della moglie come se non riuscisse a crederci. Io mi massaggiavo la figa, seduta sul bordo del divano, guardando lo spettacolo.
«Sei brava» le dissi. «Forse troppo. Quante seghe gli hai fatto sotto le coperte mentre facevi finta di essere una signora per bene?»
Lei si staccò un attimo, gli occhi lucidi, la bocca impiastricciata.
«Poche» rispose. «Mi vergognavo.»
«Ora non più. Ora fai la puttana. E ti piace, vero?»
Annuì. Era cambiata. Le si leggeva in faccia.
Mi alzai, andai dietro di lei, e mentre continuava a succhiare lo toccai. Le presi le tette. Le strinsi forte. Le pizzicai i capezzoli finché non gemette. Poi le passai una mano tra le cosce, e la trovai fradicia. Una fottuta fontana.
«Ti stai bagnando per tua suocera, piccola troia. Non è meraviglioso?»
Lei ansimava. Stava per venire già così.
La tirai su, le infilai due dita dentro e gliele muovevo come una sega rovesciata, mentre con l’altra mano la costringevo a guardarmi.
«Vuoi il mio cazzo?» chiesi, mettendole la mano sul membro di suo marito.
«Sì…» sussurrò.
«Allora mettiti sopra. Cavalcalo. Fallo come non hai mai fatto. Fallo con me che ti guardo.»
Lei si sedette su di lui, si infilò il cazzo dentro con un gemito, e cominciò a muoversi. Prima piano, poi più veloce, sempre più forte. Gli occhi chiusi, la bocca aperta, una puttana nata.
Io mi sedetti dietro di lei, le baciai il collo, le morsi la spalla, poi le infilai un dito nel culo. Lei si inarcò, urlò.
«Ti piace, eh? Non te l’aveva mai fatto nessuno, vero?»
«No… nessuno…»
«Adesso sì. Adesso sei mia.»
Lui sotto gemeva, vicino a venire. Lei scoppiò in un orgasmo tremendo, con le gambe che le cedevano, e io glielo infilai tutto in bocca subito dopo, per completare il quadro.
Ci venne in gola mentre lei ancora tremava.
E io? Io godevo solo a guardarli. Godevo del potere. Di averli in pugno. Di aver trasformato una coppia normale in due puttane pronte a tutto.
Quando si calmò tutto, la guardai. Lei era piegata, nuda, stremata, ma con un sorriso che non avevo mai visto sul suo viso.
«Benvenuta tra le troie, tesoro» le dissi. «Vedrai che qui si sta da Dio.»
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