La vita di una ninfomane perversa – Confessioni di Lucrezia a Bregnano

di
genere
prime esperienze

Racconto integrale in prima persona – solo per chi non ha paura del desiderio



Prefazione
Mi chiamo Lucrezia, ho ventun anni, e vivo a Bregnano. Un paesino tranquillo, silenzioso, dove le famiglie portano i figli al catechismo e i mariti tornano a casa alle sette.
Io non sono una di quelle brave ragazze.
Io voglio godere.
Io voglio farmi usare.
Io voglio sentirmi viva mentre una mano mi stringe i capelli e un’altra mi allarga il culo.



Il racconto

Sono sempre stata diversa. Da piccola infilavo le dita sotto le coperte e godevo in silenzio. A dodici anni già sognavo di inginocchiarmi davanti a qualcuno e aprire la bocca. A quindici, ho preso il mio primo cazzo in gola. Da lì in poi, non mi sono più fermata.

Ora ho ventun anni. Vivo da sola. Lavoro al bar. E ho il vizio di farmi scopare ovunque.
Ovunque.
Bagni pubblici. Parcheggi. Cantine. Ascensori. Chiesette abbandonate.
E il mio culo è diventato il mio punto debole.
Non solo perché è sodo e alto — me lo dicono tutti — ma perché mi piace farmelo aprire. Sfondare. Riempire.

Quella sera è iniziato tutto con un messaggio:
“Ci vediamo dietro la scuola elementare. Porto l’olio.”
Era Luca, trentotto anni, sposato, padre di due figli. Mi aveva vista al bar e non aveva resistito.
Io ci stavo. Sempre. Ma quella sera ero in calore. Volevo di più.

Mi presento in gonna corta, senza mutande. Mi inginocchio appena arriva. Glielo lecco come una cagna in calore, lo guardo mentre mi prende per la testa e me lo spara in bocca senza nemmeno chiedere. E io godo.
Ma poi lo giro.
Mi piego sul cofano.
Mi apro il culo con due dita e lo guardo.
«Sfondami. Non piano. Fai male.»
E lui lo fa.
Mi entra tutto. A secco. Urlo. Gemo. Gocce di saliva e sborra sul cofano, il culo che brucia e pulsa, la mia figa che cola da sola.
Quella notte torno a casa con il buco aperto. Ma felice.

Non mi basta. Mai.

Passano giorni.
Incontro Gabriele, 25 anni, con la fissa per il controllo.
Gli propongo un gioco.
Mi benda. Mi lega al letto. Mi spalanca le gambe. E poi, uno alla volta, entrano.
Non so quanti siano. Ma so cosa vogliono.
Uno mi scopa in bocca, l’altro mi apre la figa, un terzo entra dietro.
Tripla penetrazione.
Godo come una troia.
La mia pelle è piena di liquidi, schiaffi, dita che entrano ovunque. E io chiedo solo:
«Ancora, non fermatevi.»

E quando resto da sola?
Uso tutto.
Dildo anali, palline, plug in acciaio, a volte mi siedo su una bottiglia, e mi masturbo davanti allo specchio.
Mi guardo.
Mi scopo da sola.
E urlo il mio nome.

Un giorno mi sorprende una coppia — marito e moglie. Lei vuole guardare.
Io mi metto in ginocchio, me lo faccio in bocca mentre lei mi lecca il culo. Poi si siedono entrambi su di me. E io li tengo entrambi dentro.
Uno davanti, uno dietro.
Il culo mi scoppia.
Il corpo mi trema.
Ma io godo.
Sporca. Umiliata. Amata.



Epilogo
Mi chiamo Lucrezia. Ho ventun anni.
Vivo a Bregnano.
E non ho vergogna.
Perché ogni mio buco ha una storia.
E ogni notte, ne scrivo una nuova.
scritto il
2025-05-09
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