La gladiatrice Decimo episodio
di
Davide Sebastiani
genere
dominazione
Per tutta la mattinata seguente mi ero dato da fare per espletare le pulizie
che mi competevano. Insieme a me c'era Liam, ancora dolorante per il
trattamento ricevuto. C'era poco tempo per parlare e anche poca voglia. Sonja
era riuscita a instaurare nella mente di ognuno di questi ragazzi un terrore
incredibile che li portava a chiudersi in sé stessi. Perché io invece avevo
voglia di comunicare? Forse la mia indole da poliziotto, la mia curiosità
innata e anche la mia voglia di fuggire mi facevano comportare in modo diverso rispetto agli altri prigionieri.
Oppure era soltanto il fatto che abitavo in quella villa da appena un giorno e
fra poco sarei stato anch'io come loro? Era inutile che mi ponessi delle domande alle quali non potevo dare una risposta. Anche perché il lavoro incombeva e doveva essere eseguito alla perfezione. Alejandro avrebbe controllato e chi era recidivo nel compiere il proprio lavoro in modo inadeguato, sarebbe stato segnalato a Sonja. E nessuno di noi aveva voglia di passare per le sue mani.
Come il giorno precedente, avevo assistito anche a parte degli allenamenti di
Sonja ed il suo ingresso fu salutato da un aumento del numero dei miei battiti
cardiaci e dalla mia salivazione quasi azzerata. Perché mi accadeva? Era
paura? O era qualche altra cosa? Avevo quasi timore di ciò che mi stava
accadendo ma l'unica cosa certa era che non ero affatto sazio di lei.
Continuavo a desiderarla, a desiderare quel corpo di una bellezza da mozzare
il fiato e che era capace di gesti assolutamente incredibili e unici. Come i
miei compagni, ammirai le sue gesta, la sua inusuale potenza che lei amava
esibire davanti a noi, davanti al suo pubblico, gesta che erano quasi un
monito per tutti noi, a ricordarci ogni giorno ciò che lei sarebbe stata in
grado di fare qualora avesse voluto. Aveva alzato dei pesi che io non sarei
stato in grado nemmeno di spostare e l'aveva fatto con assoluta padronanza e
conoscenza delle sue possibilità dopodiché aveva chiamato tre di noi a
confrontarsi con lei. Tre uomini, grossi, robusti e abili lottatori ma che
nulla poterono fare contro quella donna. Sonja impiegò non più di tre
secondi per colpire ognuno di loro con una velocità degna di una super
eroina, il primo con un calcio circolare che lo prese dal basso in alto sul
mento, alzandolo e spedendolo in volo di diversi metri, il secondo con un
terribile pugno che fece schizzare sangue dappertutto e lo atterrò
immediatamente e il terzo ancora con un calcio pazzesco in pieno volto. Tutto
stilisticamente perfetto, mescolando perfettamente diverse arti marziali come
kick-boxing, karate e kung-fu. I tre uomini giacevano miseramente a terra,
senza nemmeno aver avuto la possibilità di difendersi in qualche modo.
Nessuno di noi ebbe il coraggio di fiatare e dovemmo attendere almeno una
mezz'ora prima che Sonja ci desse l'ordine di spostare quei corpi ancora
svenuti. Fu Joe a dirmi poi che i tre nostri compagni non avevano niente di
rotto e che Sonja si divertiva spesso a combattere contro di noi senza però
ucciderci o menomarci, ma solo per i suoi allenamenti personali e forse per il
suo compiacimento. Quel che mi sembrava certo era che Joe sembrava avere delle
buone conoscenze mediche e infatti si prese cura dei nostri compagni così
come si era preso cura di me il giorno precedente.
Fu circa un'ora dopo il pranzo, quando ero intento come gli altri a ripulire
la cucina, che fece il suo ingresso nella villa il famigerato colonnello
Cartright. Si presentò con una jeep all'ingresso della villa insieme a tre
suoi subalterni, dovette attendere che Sonja togliesse l'allarme e
l'elettrificazione, unica persona in possesso della chiave e del codice.
Dopodiché, mentre i tre uomini, tra cui riconobbi il sergente Kilmer, colui
che mi aveva prelevato e portato a combattere contro Sonja, rimanevano di
guardia alla jeep armati di tutto punto, il colonnello si intrattenne con
Sonja per almeno una mezz'ora. Naturalmente, nessuno di noi aveva la minima
idea su cosa verteva quell'incontro. Fu ancora una volta Joe a dirmi che
quella riunione c'era almeno un paio di volte a settimana e che la cosa non
era quindi affatto insolita. Cercavo intanto di osservare i tre militari sulla jeep quando sentii una voce richiamarmi
" Jason, torna dentro a lavorare"
" Si certo" risposi. Era stato Alejandro a richiamarmi all'ordine ma avevo
fatto in tempo ad avere un quadro abbastanza preciso della situazione. La jeep
non era militare e questo mi aveva fatto ripensare anche ai miei dubbi sulla
divisa del sergente. E se non si fosse trattato di veri militari? C'era
sicuramente qualcosa che ruotava intorno alle forze armate. Alejandro e la
stessa Sonja erano ex militari e tutti gli altri si muovevano e vestivano come
se fossero dei soldati. Ma un conto è reperire delle divise, magari un po'
datate, un altro era avere dei veri mezzi militari a disposizione, cosa che
sarebbe stata molto più complicata. L'idea che mi stavo facendo, quindi, era
che si trattava di un'organizzazione che aveva avuto origine proprio durante
il servizio militare e che era cresciuta proprio come paramilitare, con dei
graduati come il colonnello che sembrava essere il vero e proprio capo della
banda e con soldati semplici che erano la manovalanza della gang. Sonja
sembrava non appartenere a nessuna delle due parti. Era una persona dotata di
eccezionli doti fisiche, probabilmente reclutata proprio per questo motivo dal colonnello per la sua ignobile arena della morte. Cos'altro era Sonja però? Una donna con un incontrollabile desiderio di sottomettere con la violenza degli uomini? Si,
probabilmente era proprio così e lei stessa me lo aveva confermato la sera
precedente.
Ma queste considerazioni, giuste o sbagliate che fossero, non mi facevano
certo uscire da quella situazione. Ero dunque destinato ad essere schiavo di
Sonja per tutto il resto della mia vita, fino a che non sarei stato ucciso
nell'arena da qualcuno? Non conoscevo nessuno degli altri uomini dal punto di
vista sportivo e chiunque di loro avrebbe potuto essermi superiore in un
eventuale combattimento, considerando la loro fisicità notevole e comunque,
ammesso di riuscire a sconfiggere loro o qualche altro avversario, quante
volte avrei potuto vincere? Per non parlare della possibiltà che fosse
proprio Sonja ad uccidermi se avessi commesso qualche errore. Se poi mi
avessero fatto combattere contro di lei, la mia sorte sarebbe stata segnata.
Era impossibile ipotizzare una mia vittoria contro di lei e non volevo nemmeno
pensare all’eventualita' di un combattimento contro di lei. Sarebbe stata una condanna a morte per me.
Per commentare, scrivete a
davidmuscolo@tiscali.it
che mi competevano. Insieme a me c'era Liam, ancora dolorante per il
trattamento ricevuto. C'era poco tempo per parlare e anche poca voglia. Sonja
era riuscita a instaurare nella mente di ognuno di questi ragazzi un terrore
incredibile che li portava a chiudersi in sé stessi. Perché io invece avevo
voglia di comunicare? Forse la mia indole da poliziotto, la mia curiosità
innata e anche la mia voglia di fuggire mi facevano comportare in modo diverso rispetto agli altri prigionieri.
Oppure era soltanto il fatto che abitavo in quella villa da appena un giorno e
fra poco sarei stato anch'io come loro? Era inutile che mi ponessi delle domande alle quali non potevo dare una risposta. Anche perché il lavoro incombeva e doveva essere eseguito alla perfezione. Alejandro avrebbe controllato e chi era recidivo nel compiere il proprio lavoro in modo inadeguato, sarebbe stato segnalato a Sonja. E nessuno di noi aveva voglia di passare per le sue mani.
Come il giorno precedente, avevo assistito anche a parte degli allenamenti di
Sonja ed il suo ingresso fu salutato da un aumento del numero dei miei battiti
cardiaci e dalla mia salivazione quasi azzerata. Perché mi accadeva? Era
paura? O era qualche altra cosa? Avevo quasi timore di ciò che mi stava
accadendo ma l'unica cosa certa era che non ero affatto sazio di lei.
Continuavo a desiderarla, a desiderare quel corpo di una bellezza da mozzare
il fiato e che era capace di gesti assolutamente incredibili e unici. Come i
miei compagni, ammirai le sue gesta, la sua inusuale potenza che lei amava
esibire davanti a noi, davanti al suo pubblico, gesta che erano quasi un
monito per tutti noi, a ricordarci ogni giorno ciò che lei sarebbe stata in
grado di fare qualora avesse voluto. Aveva alzato dei pesi che io non sarei
stato in grado nemmeno di spostare e l'aveva fatto con assoluta padronanza e
conoscenza delle sue possibilità dopodiché aveva chiamato tre di noi a
confrontarsi con lei. Tre uomini, grossi, robusti e abili lottatori ma che
nulla poterono fare contro quella donna. Sonja impiegò non più di tre
secondi per colpire ognuno di loro con una velocità degna di una super
eroina, il primo con un calcio circolare che lo prese dal basso in alto sul
mento, alzandolo e spedendolo in volo di diversi metri, il secondo con un
terribile pugno che fece schizzare sangue dappertutto e lo atterrò
immediatamente e il terzo ancora con un calcio pazzesco in pieno volto. Tutto
stilisticamente perfetto, mescolando perfettamente diverse arti marziali come
kick-boxing, karate e kung-fu. I tre uomini giacevano miseramente a terra,
senza nemmeno aver avuto la possibilità di difendersi in qualche modo.
Nessuno di noi ebbe il coraggio di fiatare e dovemmo attendere almeno una
mezz'ora prima che Sonja ci desse l'ordine di spostare quei corpi ancora
svenuti. Fu Joe a dirmi poi che i tre nostri compagni non avevano niente di
rotto e che Sonja si divertiva spesso a combattere contro di noi senza però
ucciderci o menomarci, ma solo per i suoi allenamenti personali e forse per il
suo compiacimento. Quel che mi sembrava certo era che Joe sembrava avere delle
buone conoscenze mediche e infatti si prese cura dei nostri compagni così
come si era preso cura di me il giorno precedente.
Fu circa un'ora dopo il pranzo, quando ero intento come gli altri a ripulire
la cucina, che fece il suo ingresso nella villa il famigerato colonnello
Cartright. Si presentò con una jeep all'ingresso della villa insieme a tre
suoi subalterni, dovette attendere che Sonja togliesse l'allarme e
l'elettrificazione, unica persona in possesso della chiave e del codice.
Dopodiché, mentre i tre uomini, tra cui riconobbi il sergente Kilmer, colui
che mi aveva prelevato e portato a combattere contro Sonja, rimanevano di
guardia alla jeep armati di tutto punto, il colonnello si intrattenne con
Sonja per almeno una mezz'ora. Naturalmente, nessuno di noi aveva la minima
idea su cosa verteva quell'incontro. Fu ancora una volta Joe a dirmi che
quella riunione c'era almeno un paio di volte a settimana e che la cosa non
era quindi affatto insolita. Cercavo intanto di osservare i tre militari sulla jeep quando sentii una voce richiamarmi
" Jason, torna dentro a lavorare"
" Si certo" risposi. Era stato Alejandro a richiamarmi all'ordine ma avevo
fatto in tempo ad avere un quadro abbastanza preciso della situazione. La jeep
non era militare e questo mi aveva fatto ripensare anche ai miei dubbi sulla
divisa del sergente. E se non si fosse trattato di veri militari? C'era
sicuramente qualcosa che ruotava intorno alle forze armate. Alejandro e la
stessa Sonja erano ex militari e tutti gli altri si muovevano e vestivano come
se fossero dei soldati. Ma un conto è reperire delle divise, magari un po'
datate, un altro era avere dei veri mezzi militari a disposizione, cosa che
sarebbe stata molto più complicata. L'idea che mi stavo facendo, quindi, era
che si trattava di un'organizzazione che aveva avuto origine proprio durante
il servizio militare e che era cresciuta proprio come paramilitare, con dei
graduati come il colonnello che sembrava essere il vero e proprio capo della
banda e con soldati semplici che erano la manovalanza della gang. Sonja
sembrava non appartenere a nessuna delle due parti. Era una persona dotata di
eccezionli doti fisiche, probabilmente reclutata proprio per questo motivo dal colonnello per la sua ignobile arena della morte. Cos'altro era Sonja però? Una donna con un incontrollabile desiderio di sottomettere con la violenza degli uomini? Si,
probabilmente era proprio così e lei stessa me lo aveva confermato la sera
precedente.
Ma queste considerazioni, giuste o sbagliate che fossero, non mi facevano
certo uscire da quella situazione. Ero dunque destinato ad essere schiavo di
Sonja per tutto il resto della mia vita, fino a che non sarei stato ucciso
nell'arena da qualcuno? Non conoscevo nessuno degli altri uomini dal punto di
vista sportivo e chiunque di loro avrebbe potuto essermi superiore in un
eventuale combattimento, considerando la loro fisicità notevole e comunque,
ammesso di riuscire a sconfiggere loro o qualche altro avversario, quante
volte avrei potuto vincere? Per non parlare della possibiltà che fosse
proprio Sonja ad uccidermi se avessi commesso qualche errore. Se poi mi
avessero fatto combattere contro di lei, la mia sorte sarebbe stata segnata.
Era impossibile ipotizzare una mia vittoria contro di lei e non volevo nemmeno
pensare all’eventualita' di un combattimento contro di lei. Sarebbe stata una condanna a morte per me.
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