Come sono diventato sottomesso a mia moglie Quinto episodio STORIA VERA
di
Davide Sebastiani
genere
dominazione
Ma torniamo a quel periodo. Mi divertivo davvero. Mi ero iscritto all’università e cominciavo a dare i primi esami. Non erano trenta e lode ma erano esami più che dignitosi. Continuavo anche a giocare a calcio, ad uscire con gli amici e me la cavavo piuttosto discretamente con le ragazze. E finalmente irruppe nella mia vita lei, la ragazza che sarebbe diventata mia moglie e colei che avrebbe fatto diventare realtà la maggior parte dei miei sogni. Avevo compiuto 21 anni da pochissimi giorni e mio padre mi aveva appena fatto il regalo più grande della sua vita. O forse è più esatto dire quello più costoso. Una Wolswagen Golf nera che aveva quindi preso il posto della mia Mini usata e mezza scassata che aveva esalato l’ultimo respiro un paio di mesi prima. E quello fu il mio ultimo compleanno senza di lei accanto. Ero tornato da circa un mese da una vacanza coi miei amici del cuore a Tenerife. Una vacanza che ancora adesso ricordiamo quando ci incontriamo per le tante avventure piacevoli che avemmo durante quei diciotto giorni. Incluse ovviamente diverse ragazze. Per quanto mi riguarda, me la feci con un paio di inglesine rimediate abbastanza comodamente in discoteca che sembravano non aspettare altro, una spagnola bellissima che portai in discoteca insieme a una sua amica altrettanto bella e a un mio amico ma dalla quale fummo costretti a scappare perché tutti i maschi presenti rompevano loro le scatole, e persino una ragazza di Monza che rimorchiai sul pullman durante una gita sul Teide, il bellissimo vulcano che si erge sopra Puerto De La Cruz che ci regalò sensazioni uniche quando superammo le nuvole e al posto di una leggera pioggerellina trovammo un sole meraviglioso ad attenderci. Veramente bello. Ad ogni modo, a quel tempo il testosterone viaggiava a fiumi nelle mie arterie e con quella vacanza placai almeno in parte il forte desiderio sessuale che, come tutti i ragazzi della mia età, possedevo.
Ma torniamo all’incontro con mia moglie. La conobbi tramite le nostre sorelline che stavano in classe insieme proprio pochi giorni dopo il mio ventunesimo compleanno. Facevano le medie, forse la seconda adesso non ricordo bene, ed era capitato che dovessero studiare insieme a casa mia e M, l’iniziale del nome di quella ragazza, era venuta a riprendere sua sorella minore. Non sapevo chi fosse. Anzi, cosa facesse. Per me era solo una bella ragazza che mi colpì immediatamente. Innanzi tutto era abbastanza alta e l'altezza è la prima caratteristica fisica che mi intriga in una donna. Si esatto, guardo prima quanto è alta e poi, a scalare, se è proporzionata fisicamente, il culo, le tette e soltanto dopo le osservo il viso. E lei, pur calzando scarpe senza tacchi, era più o meno della mia stessa altezza e quindi notevolmente superiore alla media femminile, cosa che mi attrasse subito come una calamita col ferro. Era snella ma non certo scheletrica, caratteristica che non riscontra invece il mio interesse, con un bel culetto che rubò gran parte della mia attenzione visto il jeans aderente che indossava. E anche le tette non erano affatto male. Non enormi ma consistenti, in linea con il resto del suo fisico e che in seguito avrei scoperto trattarsi di una bella terza misura. Ma possedeva anche un bel visino contornato da lunghi capelli castani e da una bocca piacevole. Potrei dire che la trovassi deliziosamente dolce. Insomma, posso affermare, anche a distanza di tanti anni, che lei rappresentava per molti versi il mio ideale femminile. E parlo di ideale terreno, reale, non di quelle bellissime modelle e donne di spettacolo fuori dalla mia portata. In quel periodo, da quando frequentavo l’università, avevo diradato molto le mie uscite, soprattutto in prossimità degli esami, e questo mi diede modo di incontrarla visto che mi stavo appunto preparando a un esame ed ero a casa a studiare. E pensare che quel pomeriggio sarei dovuto uscire con un mio amico che però rinunciò all’ultimo minuto perché gli era venuta la febbre. Quando si dice il destino…….Quando fece il suo ingresso a casa mia, da perfetto ospite ma soprattutto da marpione interessato, abbandonai il libro di diritto privato e cominciai a farle compagnia. Mi accorsi subito che era timida e introversa, oltre che molto semplice nell’abbigliamento e con un trucco praticamente inesistente e l’unico spazio alla sensualità, se così vogliamo chiamarla, era appunto quel jeans aderente che comunque riusciva a mettere in mostra un fisico davvero niente male. Malgrado tutta la mia insistenza, riuscii a scambiarci solo quattro parole, il tempo di sapere il suo nome e l’età, diciassette anni e mezzo, e che frequentava il secondo liceo classico, ovvero il quarto anno visto che nel liceo classico i primi due anni sono considerati ginnasio, guarda caso proprio lo stesso tipo di liceo che avevo frequentato io, anche se in un altro istituto. Per farla parlare, dovetti quasi tirarle fuori le parole con le pinze tanto da farmi pensare che non le interessavo oppure che fosse di una timidezza infinita. Certo, anche se mi piaceva molto, era assai lontana dalla visione immaginaria che mi ero fatto sulla mia donna ideale che doveva essere altera, sicura di se stessa e ovviamente dominante ma, come ho detto più volte, sapevo distinguere la realtà dalla fantasia e quella per me era semplicemente una bella ragazza della quale avrei voluto approfondire la conoscenza. Eravamo a fine settembre, con le scuole iniziate da pochi giorni. Quando se ne andò via con sua sorella, non potevo certo sapere che quell’incontro mi stava per cambiare completamente la vita.
Passò un po’ di tempo ed era ormai novembre e a quella ragazza avevo smesso di pensare, preso dai pensieri e dai problemi di tutti i giorni ma il fato era in agguato. Toccò alla sorellina di M contraccambiare l’invito nei confronti di mia sorella e mia madre non sapeva come fare per andare a riprenderla avendo preso un appuntamento in precedenza con sua sorella, ovvero con mia zia, proprio nello stesso orario. Quando mi resi conto della situazione, venendo cioè a sapere che mia sorella sarebbe dovuta andare a fare i compiti proprio in casa di quella ragazza che così tanto mi piaceva, presi la palla al balzo e, tra la meraviglia di mia madre, mi offrii di andarla a riprendere se lei l’avesse accompagnata. Credo che mamma dovette pensare che mi sentissi male visto che ero il tipo che non faceva un favore a nessuno nemmeno a pregarmi. Mi preparai, mi docciai, mi misi al meglio e con un’ora di anticipo mi presentai dinanzi la porta di quella che sarebbe diventata mia suocera che ovviamente si scusò dicendo che era presto, che le ragazzine ancora stavano facendo i compiti e che se volevo potevo andarmi a fare un giro altrimenti mi avrebbe offerto qualcosa da bere e avrei dovuto attendere che le due ragazzine terminassero di studiare. Studiare? Nella stanza dove c’erano le due fanciulle sentivo dei gridolini che mi fecero pensare che quelle due tutto stavano facendo tranne studiare. Ma la cosa più importante è che della ragazza che mi piaceva nemmeno l’ombra. Maledicendomi, accettai l’offerta di bere una cosa e trascorsi oltre mezz’ora a guardare la stanza senza fare nulla ma proprio qualche minuto prima di riprendere mia sorella ed andarmene, sentii la chiave nella toppa e poi dei passi. Ancora qualche secondo e lei si materializzò dinanzi a me in compagnia di sua madre. Era vestita in tuta da ginnastica azzurra, di quelle tute acetate con la zip a chiudere la parte inferiore del pantalone e sopra indossava un pesante giaccone verde impermeabilizzato a tre quarti. Un look non certo sensuale. Aveva i capelli raccolti a coda di cavallo, scarpe da tennis e viso senza ombra di trucco ma io la trovavo ugualmente maledettamente adorabile, con quel visetto fresco dai lineamenti dolci che offriva un contrasto particolarmente piacevole col suo fisico atletico. Ci salutammo e poi la madre ci lasciò soli chiedendole di farmi compagnia. Stranamente, non si tolse il giaccone e scambiammo qualche frase di circostanza dopodiché le chiesi se, visto il tipo di abbigliamento, fosse andata ad allenarsi. Non pensavo alle arti marziali. Immaginavo, anche considerando l’altezza, che facesse pallavolo o basket e glie lo chiesi ma lei scosse la testa in segno di diniego
“ E allora? Cosa fai di bello?” insistetti, per curiosità ma soprattutto per parlare e per cercare poi di trovare una scusa per invitarla ad uscire, cosa che era il motivo primario per cui ero andato a riprendere mia sorella.
“ Niente di che” rispose comunque lei. Era agitata e nervosa e questo mi fece sperare che le potessi piacere. Si mordicchiava le unghie che aveva molto corte ( ma che in seguito si fece crescere un po’ dedicandoci molta cura) ed evitava il mio sguardo. Per il momento, ero abbastanza calmo. Non era certo la prima volta che provavo ad attaccar bottone con una ragazza. Ero abbastanza scafato e sapevo controllarmi. E soprattutto avevo una gran parlantina sapendo rigirare i discorsi per portarli dove volevo
“ Intendevo se fai sport. A me piace moltissimo lo sport” Si schiarì la gola
“ Si, in effetti sono andata ad allenarmi” ammise dopo un po’
“ Ah bene. E cosa pratichi?” le chiesi di nuovo. M. rimase alcuni secondi in silenzio, come se avesse paura di rivelarmi chissà quale segreto di stato
“ Judo” rispose dopo quegli interminabili secondi. Io rimasi quasi di stucco. Il cuore cominciò a battermi ancora più forte. Cercai di calmarmi dicendomi di non correre troppo con la fantasia. Sicuramente era una principiante
“ Ma davvero? “ dissi cercando di non far capire quanto invece la cosa mi interessasse “E dimmi, te la cavi? Sei brava?” Mi ricordo la scena come se fosse accaduta ieri. Eravamo seduti su un divano, uno di fronte all’altra, piuttosto lontani, lei ancora con il giaccone verde indosso e con gli occhi bassi e io che invece continuavo a guardarmela. E più la guardavo, più mi dicevo che mi piaceva. E per assurdo che potesse essere considerando la mia passione per le ragazze altere e sicure dei propri mezzi, mi intrigava proprio quella sua dolce timidezza, quella semplicità. Aspettai la sua risposta, ancora convinto che doveva trattarsi di una ragazza alle prime armi e invece mi stupì
“ Abbastanza. Me la cavo” Se la cavava? Ma quanto se la cavava? Adesso cominciavo ad essere piuttosto nervoso
“ Che brava! E quindi? Che cintura sei?” Lei alzò le spalle e la sua risposta mi mise ko peggio di una delle sue mosse
“ Nera” rispose dopo alcuni interminabili secondi. Oh cazzo. Non era possibile. Non poteva essere! Avevo incontrato una ragazza che mi piaceva da morire e scoprivo che era cintura nera di judo. Come nei miei desideri nascosti. Mi sembrava assurdo, come uno dei miei tanti sogni ad occhi aperti. Rimasi praticamente paralizzato, incredulo. Quante probabilità potevano esistere che uno come me, uno con le mie fantasie, incontrasse davvero una come lei? Per di più in un frangente assolutamente casuale. La guardavo incredulo. Impossibile spiegare a parole quello che stavo provando
“ Nera?” Ripetei quasi in un sussurro
“ Si” rispose lei. In seguito scoprii che era 2° dan e scoprii anche che nel judo i livelli delle cinture nere sono dati spesso per meriti agonistici, ovvero in base ai risultati ottenuti nei vari campionati, dai cadetti in poi e non tramite un esame come avviene fino alla cintura nera normale e lei di meriti agonistici ne aveva in gran quantità, come stavo per scoprire. In quel momento però, la mia attenzione verteva esclusivamente sul fatto che stavo parlando con una ragazza che mi piaceva e che era una cintura nera di judo. Lei intanto cominciò a sciogliersi e mi chiese se mi andava di vedere una cosa e mi portò in un’altra stanza. La sua stanza. C’erano alcune sue foto giganti ed altre invece più piccole ma tutte con lei con il suo kimono candido e quella splendida cintura nera che le fasciava la vita e alcune premiazioni, con tanto di podio e lei su uno di quei gradini, quasi sempre su quello più alto
“ Accidenti! Ma allora sei proprio una campionessa” esclamai sempre più frastornato ma ancora non del tutto conscio di chi avessi di fronte. Lei finalmente sorrise. Evidentemente, la stavo mettendo a suo agio
“ Beh, credo di si. Sono campionessa italiana juniores” disse alzando le spalle quasi per scusarsi. Credo che in quel momento il cuore, che fino ad allora mi stava battendo a ritmi forsennati, si fosse bloccato. Avevo di fronte a me la ragazza sotto i 18 anni più forte d’Italia nel judo
“ Ma va? Davvero? Sarai orgogliosa di te stessa” le dissi cercando di nascondere il mio ovvio nervosismo. Avevo infatti il cuore che se ne andava per conto suo e addirittura un leggero tremore e dovetti faticare un bel po’ per nascondere queste mie sensazioni e addirittura per far uscire parole comprensibile. Ero nel pallone più totale
“ Si. E’ stata una magnifica sensazione. Peccato però che poi agli europei abbia perso in finale”
“ No aspetta, fammi capire. Sei arrivata seconda ai campionati europei?” le chiesi spalancando gli occhi
“ Si. Medaglia d’argento. Sempre a livello juniores. Peccato perché avevo la vittoria in mano ma me la sono fatta sfuggire” Ero quasi in trance. Avevo di fronte a me una ragazza carina da morire che era la seconda ragazza più forte in Europa sotto i diciotto anni. E forse la prima visto che aveva detto di aver avuto la vittoria a portata di mano. Tanti anni ad immaginare di trovare una ragazza con quelle potenzialità e in quel momento ce l’avevo di fronte a me. Era incredibile! Non sapevo come comportarmi. La mia mente faceva davvero fatica a mandare impulsi al resto del corpo. Dopo qualche secondo di silenzio per entrambi, decisi di metterla sul piano dell’ironia. Indietreggiai fingendo paura
“ Oh, mi raccomando, non ti arrabbiare con me” M. invece ci rimase invece un po’ male non accettando completamente l’ironia. Disse che era solo uno sport e che le davano fastidio certe esagerazioni. Anzi, non le tollerava proprio e questo era il motivo per cui non amava parlare molto dello sport che praticava ed anzi, aveva addirittura proibito alla sua sorellina di dire ad altri ciò che faceva. Lei si sentiva una ragazza normale e non certo una che si divertiva ad attaccar briga. Mi diedi del coglione ma mi ripresi e mi scusai dicendole infatti che era stata ironia stupida ma oramai l’avevo contrariata. Malgrado ciò, riprendemmo a parlare di tutt’altro e riuscii a farla ridere un paio di volte, cosa che mi diede dei punti a favore che sfruttai per chiederle di scambiarci il numero di telefono appena in tempo perché poi le nostre sorelline, terminati i loro compiti, fecero irruzione nella stanza di M. Tornai a casa accompagnando mia sorella completamente frastornato. Malgrado non fossi più di fronte a lei, non riuscivo ad elaborare un pensiero di senso compiuto. A parte uno. Io dovevo rivederla assolutamente.
Continua...
Ma torniamo all’incontro con mia moglie. La conobbi tramite le nostre sorelline che stavano in classe insieme proprio pochi giorni dopo il mio ventunesimo compleanno. Facevano le medie, forse la seconda adesso non ricordo bene, ed era capitato che dovessero studiare insieme a casa mia e M, l’iniziale del nome di quella ragazza, era venuta a riprendere sua sorella minore. Non sapevo chi fosse. Anzi, cosa facesse. Per me era solo una bella ragazza che mi colpì immediatamente. Innanzi tutto era abbastanza alta e l'altezza è la prima caratteristica fisica che mi intriga in una donna. Si esatto, guardo prima quanto è alta e poi, a scalare, se è proporzionata fisicamente, il culo, le tette e soltanto dopo le osservo il viso. E lei, pur calzando scarpe senza tacchi, era più o meno della mia stessa altezza e quindi notevolmente superiore alla media femminile, cosa che mi attrasse subito come una calamita col ferro. Era snella ma non certo scheletrica, caratteristica che non riscontra invece il mio interesse, con un bel culetto che rubò gran parte della mia attenzione visto il jeans aderente che indossava. E anche le tette non erano affatto male. Non enormi ma consistenti, in linea con il resto del suo fisico e che in seguito avrei scoperto trattarsi di una bella terza misura. Ma possedeva anche un bel visino contornato da lunghi capelli castani e da una bocca piacevole. Potrei dire che la trovassi deliziosamente dolce. Insomma, posso affermare, anche a distanza di tanti anni, che lei rappresentava per molti versi il mio ideale femminile. E parlo di ideale terreno, reale, non di quelle bellissime modelle e donne di spettacolo fuori dalla mia portata. In quel periodo, da quando frequentavo l’università, avevo diradato molto le mie uscite, soprattutto in prossimità degli esami, e questo mi diede modo di incontrarla visto che mi stavo appunto preparando a un esame ed ero a casa a studiare. E pensare che quel pomeriggio sarei dovuto uscire con un mio amico che però rinunciò all’ultimo minuto perché gli era venuta la febbre. Quando si dice il destino…….Quando fece il suo ingresso a casa mia, da perfetto ospite ma soprattutto da marpione interessato, abbandonai il libro di diritto privato e cominciai a farle compagnia. Mi accorsi subito che era timida e introversa, oltre che molto semplice nell’abbigliamento e con un trucco praticamente inesistente e l’unico spazio alla sensualità, se così vogliamo chiamarla, era appunto quel jeans aderente che comunque riusciva a mettere in mostra un fisico davvero niente male. Malgrado tutta la mia insistenza, riuscii a scambiarci solo quattro parole, il tempo di sapere il suo nome e l’età, diciassette anni e mezzo, e che frequentava il secondo liceo classico, ovvero il quarto anno visto che nel liceo classico i primi due anni sono considerati ginnasio, guarda caso proprio lo stesso tipo di liceo che avevo frequentato io, anche se in un altro istituto. Per farla parlare, dovetti quasi tirarle fuori le parole con le pinze tanto da farmi pensare che non le interessavo oppure che fosse di una timidezza infinita. Certo, anche se mi piaceva molto, era assai lontana dalla visione immaginaria che mi ero fatto sulla mia donna ideale che doveva essere altera, sicura di se stessa e ovviamente dominante ma, come ho detto più volte, sapevo distinguere la realtà dalla fantasia e quella per me era semplicemente una bella ragazza della quale avrei voluto approfondire la conoscenza. Eravamo a fine settembre, con le scuole iniziate da pochi giorni. Quando se ne andò via con sua sorella, non potevo certo sapere che quell’incontro mi stava per cambiare completamente la vita.
Passò un po’ di tempo ed era ormai novembre e a quella ragazza avevo smesso di pensare, preso dai pensieri e dai problemi di tutti i giorni ma il fato era in agguato. Toccò alla sorellina di M contraccambiare l’invito nei confronti di mia sorella e mia madre non sapeva come fare per andare a riprenderla avendo preso un appuntamento in precedenza con sua sorella, ovvero con mia zia, proprio nello stesso orario. Quando mi resi conto della situazione, venendo cioè a sapere che mia sorella sarebbe dovuta andare a fare i compiti proprio in casa di quella ragazza che così tanto mi piaceva, presi la palla al balzo e, tra la meraviglia di mia madre, mi offrii di andarla a riprendere se lei l’avesse accompagnata. Credo che mamma dovette pensare che mi sentissi male visto che ero il tipo che non faceva un favore a nessuno nemmeno a pregarmi. Mi preparai, mi docciai, mi misi al meglio e con un’ora di anticipo mi presentai dinanzi la porta di quella che sarebbe diventata mia suocera che ovviamente si scusò dicendo che era presto, che le ragazzine ancora stavano facendo i compiti e che se volevo potevo andarmi a fare un giro altrimenti mi avrebbe offerto qualcosa da bere e avrei dovuto attendere che le due ragazzine terminassero di studiare. Studiare? Nella stanza dove c’erano le due fanciulle sentivo dei gridolini che mi fecero pensare che quelle due tutto stavano facendo tranne studiare. Ma la cosa più importante è che della ragazza che mi piaceva nemmeno l’ombra. Maledicendomi, accettai l’offerta di bere una cosa e trascorsi oltre mezz’ora a guardare la stanza senza fare nulla ma proprio qualche minuto prima di riprendere mia sorella ed andarmene, sentii la chiave nella toppa e poi dei passi. Ancora qualche secondo e lei si materializzò dinanzi a me in compagnia di sua madre. Era vestita in tuta da ginnastica azzurra, di quelle tute acetate con la zip a chiudere la parte inferiore del pantalone e sopra indossava un pesante giaccone verde impermeabilizzato a tre quarti. Un look non certo sensuale. Aveva i capelli raccolti a coda di cavallo, scarpe da tennis e viso senza ombra di trucco ma io la trovavo ugualmente maledettamente adorabile, con quel visetto fresco dai lineamenti dolci che offriva un contrasto particolarmente piacevole col suo fisico atletico. Ci salutammo e poi la madre ci lasciò soli chiedendole di farmi compagnia. Stranamente, non si tolse il giaccone e scambiammo qualche frase di circostanza dopodiché le chiesi se, visto il tipo di abbigliamento, fosse andata ad allenarsi. Non pensavo alle arti marziali. Immaginavo, anche considerando l’altezza, che facesse pallavolo o basket e glie lo chiesi ma lei scosse la testa in segno di diniego
“ E allora? Cosa fai di bello?” insistetti, per curiosità ma soprattutto per parlare e per cercare poi di trovare una scusa per invitarla ad uscire, cosa che era il motivo primario per cui ero andato a riprendere mia sorella.
“ Niente di che” rispose comunque lei. Era agitata e nervosa e questo mi fece sperare che le potessi piacere. Si mordicchiava le unghie che aveva molto corte ( ma che in seguito si fece crescere un po’ dedicandoci molta cura) ed evitava il mio sguardo. Per il momento, ero abbastanza calmo. Non era certo la prima volta che provavo ad attaccar bottone con una ragazza. Ero abbastanza scafato e sapevo controllarmi. E soprattutto avevo una gran parlantina sapendo rigirare i discorsi per portarli dove volevo
“ Intendevo se fai sport. A me piace moltissimo lo sport” Si schiarì la gola
“ Si, in effetti sono andata ad allenarmi” ammise dopo un po’
“ Ah bene. E cosa pratichi?” le chiesi di nuovo. M. rimase alcuni secondi in silenzio, come se avesse paura di rivelarmi chissà quale segreto di stato
“ Judo” rispose dopo quegli interminabili secondi. Io rimasi quasi di stucco. Il cuore cominciò a battermi ancora più forte. Cercai di calmarmi dicendomi di non correre troppo con la fantasia. Sicuramente era una principiante
“ Ma davvero? “ dissi cercando di non far capire quanto invece la cosa mi interessasse “E dimmi, te la cavi? Sei brava?” Mi ricordo la scena come se fosse accaduta ieri. Eravamo seduti su un divano, uno di fronte all’altra, piuttosto lontani, lei ancora con il giaccone verde indosso e con gli occhi bassi e io che invece continuavo a guardarmela. E più la guardavo, più mi dicevo che mi piaceva. E per assurdo che potesse essere considerando la mia passione per le ragazze altere e sicure dei propri mezzi, mi intrigava proprio quella sua dolce timidezza, quella semplicità. Aspettai la sua risposta, ancora convinto che doveva trattarsi di una ragazza alle prime armi e invece mi stupì
“ Abbastanza. Me la cavo” Se la cavava? Ma quanto se la cavava? Adesso cominciavo ad essere piuttosto nervoso
“ Che brava! E quindi? Che cintura sei?” Lei alzò le spalle e la sua risposta mi mise ko peggio di una delle sue mosse
“ Nera” rispose dopo alcuni interminabili secondi. Oh cazzo. Non era possibile. Non poteva essere! Avevo incontrato una ragazza che mi piaceva da morire e scoprivo che era cintura nera di judo. Come nei miei desideri nascosti. Mi sembrava assurdo, come uno dei miei tanti sogni ad occhi aperti. Rimasi praticamente paralizzato, incredulo. Quante probabilità potevano esistere che uno come me, uno con le mie fantasie, incontrasse davvero una come lei? Per di più in un frangente assolutamente casuale. La guardavo incredulo. Impossibile spiegare a parole quello che stavo provando
“ Nera?” Ripetei quasi in un sussurro
“ Si” rispose lei. In seguito scoprii che era 2° dan e scoprii anche che nel judo i livelli delle cinture nere sono dati spesso per meriti agonistici, ovvero in base ai risultati ottenuti nei vari campionati, dai cadetti in poi e non tramite un esame come avviene fino alla cintura nera normale e lei di meriti agonistici ne aveva in gran quantità, come stavo per scoprire. In quel momento però, la mia attenzione verteva esclusivamente sul fatto che stavo parlando con una ragazza che mi piaceva e che era una cintura nera di judo. Lei intanto cominciò a sciogliersi e mi chiese se mi andava di vedere una cosa e mi portò in un’altra stanza. La sua stanza. C’erano alcune sue foto giganti ed altre invece più piccole ma tutte con lei con il suo kimono candido e quella splendida cintura nera che le fasciava la vita e alcune premiazioni, con tanto di podio e lei su uno di quei gradini, quasi sempre su quello più alto
“ Accidenti! Ma allora sei proprio una campionessa” esclamai sempre più frastornato ma ancora non del tutto conscio di chi avessi di fronte. Lei finalmente sorrise. Evidentemente, la stavo mettendo a suo agio
“ Beh, credo di si. Sono campionessa italiana juniores” disse alzando le spalle quasi per scusarsi. Credo che in quel momento il cuore, che fino ad allora mi stava battendo a ritmi forsennati, si fosse bloccato. Avevo di fronte a me la ragazza sotto i 18 anni più forte d’Italia nel judo
“ Ma va? Davvero? Sarai orgogliosa di te stessa” le dissi cercando di nascondere il mio ovvio nervosismo. Avevo infatti il cuore che se ne andava per conto suo e addirittura un leggero tremore e dovetti faticare un bel po’ per nascondere queste mie sensazioni e addirittura per far uscire parole comprensibile. Ero nel pallone più totale
“ Si. E’ stata una magnifica sensazione. Peccato però che poi agli europei abbia perso in finale”
“ No aspetta, fammi capire. Sei arrivata seconda ai campionati europei?” le chiesi spalancando gli occhi
“ Si. Medaglia d’argento. Sempre a livello juniores. Peccato perché avevo la vittoria in mano ma me la sono fatta sfuggire” Ero quasi in trance. Avevo di fronte a me una ragazza carina da morire che era la seconda ragazza più forte in Europa sotto i diciotto anni. E forse la prima visto che aveva detto di aver avuto la vittoria a portata di mano. Tanti anni ad immaginare di trovare una ragazza con quelle potenzialità e in quel momento ce l’avevo di fronte a me. Era incredibile! Non sapevo come comportarmi. La mia mente faceva davvero fatica a mandare impulsi al resto del corpo. Dopo qualche secondo di silenzio per entrambi, decisi di metterla sul piano dell’ironia. Indietreggiai fingendo paura
“ Oh, mi raccomando, non ti arrabbiare con me” M. invece ci rimase invece un po’ male non accettando completamente l’ironia. Disse che era solo uno sport e che le davano fastidio certe esagerazioni. Anzi, non le tollerava proprio e questo era il motivo per cui non amava parlare molto dello sport che praticava ed anzi, aveva addirittura proibito alla sua sorellina di dire ad altri ciò che faceva. Lei si sentiva una ragazza normale e non certo una che si divertiva ad attaccar briga. Mi diedi del coglione ma mi ripresi e mi scusai dicendole infatti che era stata ironia stupida ma oramai l’avevo contrariata. Malgrado ciò, riprendemmo a parlare di tutt’altro e riuscii a farla ridere un paio di volte, cosa che mi diede dei punti a favore che sfruttai per chiederle di scambiarci il numero di telefono appena in tempo perché poi le nostre sorelline, terminati i loro compiti, fecero irruzione nella stanza di M. Tornai a casa accompagnando mia sorella completamente frastornato. Malgrado non fossi più di fronte a lei, non riuscivo ad elaborare un pensiero di senso compiuto. A parte uno. Io dovevo rivederla assolutamente.
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