La casa di Angela

La casa di Angela aveva sempre avuto un silenzio particolare nel tardo pomeriggio. Non era vuoto, era pieno di cose non dette.
Luisa lo sentiva ogni volta che varcava la soglia: nei corridoi ordinati, nel profumo tenue di pulito, nel modo in cui la luce si fermava sulle pareti chiare.

Angela aveva quarantadue anni e un’eleganza che non chiedeva conferme. Il corpo morbido, vissuto, non esibito. I capelli raccolti senza fretta, come se il tempo non fosse un nemico ma un alleato. Quando parlava, lo faceva piano. Quando guardava, lo faceva fino in fondo.

Quel giorno la bambina dormiva.
E il silenzio diventò improvvisamente complice.

Si sedettero vicine sul divano, troppo vicine per essere casuale. Nessuna delle due fece il primo gesto evidente. Fu il respiro a tradirle. Fu la pelle, che sembrava cercarsi prima ancora del tocco.

Angela abbassò lo sguardo, come se stesse concedendo qualcosa senza dirlo.
Luisa capì. Si muoveva così, con rispetto e fame insieme.

Quando tutto si quietò, Angela rimase immobile, gli occhi chiusi, come chi ha finalmente ascoltato una parte vera di sé.
Luisa si alzò piano, senza rumore. Si avvicinò e lasciò che le mani parlassero prima delle parole. Le accarezzò il corpo con lentezza, come si fa con ciò che non si vuole perdere. Scivolò sotto la maglietta, cercando consenso non nel gesto ma nello sguardo.
Angela lo trovò subito. Aprì gli occhi. Non disse nulla.
Le mani di Luisa sentirono il seno di Angela, caldo, reale, e il mondo si ridusse a quel punto preciso. Si lasciarono andare in un bacio profondo, di quelli che non chiedono spiegazioni, solo verità.

Alcuni incontri non chiedono promesse.
Chiedono solo presenza.

E in quella casa, per un tempo che non aveva bisogno di essere misurato, entrambe furono esattamente dove volevano essere.
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