Grande Troia

di
genere
etero

Le parole di lui, roca la voce, risuonarono nell'aria densa: "Grande Troia". La pronunciò con un misto di riverenza e brama pura, gli occhi fissi su di lei, sul rigoglio della sua carne esposta. Il suo membro, già in piena erezione, pulsava come un desiderio autonomo, un testimone della pulsione primordiale che li legava in quel momento. Davanti a quella fica succosa, la promessa di un piacere indicibile, lui non riusciva a contenere la sua esuberanza.

Lei, con un gesto lento e deliberato, diede seguito all'attesa. Le sue dita sfiorarono i bottoni, li sbottonarono con studiata lentezza. L'abito scivolò via come una seconda pelle, rivelando un corpo che era un inno alla sensualità. Si denudò senza fretta, la sua nudità non era timida, ma una dichiarazione. Aprì le gambe, un invito tangibile, mentre il bicchiere di vino teneva ancora stretto tra le dita. "Se mi fai godere prima che finisca il vino", disse, la sua voce un miele amaro, "potrò essere la tua Troia". L'ultima goccia di quel nettare ambrato sarebbe stata il sigillo del loro patto.

Lui si gettò nell'impresa con una ferocia studiata. Ogni stimolo era calcolato, ogni movimento un passo verso l'apice. Lei, sicura del suo potere, monitorava l'avanzata, certi che il tempo avesse reso i suoi ritmi perfetti, il controllo saldo nelle sue mani. Ma l'uomo aveva altri piani. Con una tecnica che sfidava la sua comprensione, non si concentrò dove lei si aspettava. Il suo cazzo, in un movimento tanto inaspettato quanto audace, si insinuò in un punto che non sapeva esistesse, un nervo segreto, un centro del piacere nascosto.

Un urlo prolungato squarciò l'aria. Non era un grido di dolore, ma l'esplosione pura di una sensazione inimmaginabile. Il bicchiere le sfuggì, il vino rosso si sparse sul tappeto in una macchia violacea crescente. Tre orgasmi, concentrati in un unico istante, le fecero tremare ogni fibra del corpo. "Ma cosa diavolo è stato?", balbettò, gli occhi sgranati, ancora scossa dalla tempesta che l'aveva travolta.

Lui accennò un sorriso, il sudore che gli imperlava la fronte. "Tecnica orientale", mormorò. La sua voce era un sospiro soddisfatto. Si ripromise nel suo sguardo: "Allora, sarai la mia Troia?".

Lei scolò l'ultima, amara goccia di vino, il gesto definitivo. Si alzò, la certezza del suo corpo riaffermata, ma con una nuova consapevolezza di territori inesplorati. Senza esitazione, si pose a quattro zampe sul tavolo di legno massiccio, la schiena inarcata come un ponte, i capelli lunghi che le ricadevano sulle spalle. "Sono la tua Troia", disse, la voce roca, profonda, ridestata. E poi aggiunse, senza filtri, senza un'ombra di esitazione: "Scopami nel culo".

Lui non si fece pregare. Con un ringhio gutturale, si posizionò dietro di lei. Il caldo umido tra le natiche fu il preludio. Il suo cazzo, duro e prepotente, trovò la sua via con una decisa brutalità. Ogni spinta era un colpo secco, uno scontro di carni che riempiva l'aria di suoni umidi e gutturali. Lei si aggrappò al bordo del tavolo, le dita che scavavano nel legno, mentre le sue urla si mescolavano al ritmo implacabile dell'uomo. Era un'unione cruda, primordiale, senza fronzoli, pura forza e istinto che si scontravano e si fondevano nel buio della stanza. Non c'era arte, solo la necessità fisica, la fame di entrambi che trovava sfogo in un atto animalesco, senza compromessi.
scritto il
2025-12-11
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