Sonia & Tommaso - Capitolo 9 Il Sapore Acre della Menzogna

di
genere
tradimenti

Luca, con un ultimo sguardo che mescolava delusione e una punta di divertimento malizioso, mi ha salutata con un cenno e ci ha lasciati. Mi ha lasciata sola, esposta, proprio nel momento in cui il mio mondo stava per crollare.
Mentre ero lì, immobilizzata come un coniglio sotto i fari, Tommaso mi ha visto. Il suo viso si è illuminato di quella sua beata, irritante ingenuità. «Amore, guarda che sorpresa!» mi ha detto, con un sorriso da ebete. «Mario ed Enzo! Sono passati qui per caso e mi hanno visto. Gentilissimi, si sono offerti di recuperare la serata che avevo mandato a monte!»
L'ho ascoltato, la bocca asciutta, incredula di tanta stupidità. Passati per caso? Gentilissimi? Ma quale ingenuità! Quei due bastardi erano qui apposta, l'avevano pianificato, e si stavano godendo ogni fottuto secondo della mia reazione. La furbizia di Mario ed Enzo era quasi ammirevole, e mi ha colpito come uno schiaffo in faccia. La loro faccia di bronzo, mentre ridevano e scherzavano con il mio fidanzato, ignaro di tutto, era qualcosa che mi faceva bollire il sangue nelle vene e, allo stesso tempo, mi eccitava da morire. Era il brivido della menzogna, il mio feticismo più puro.
Sono rimasta lì, un'idiota, con la faccia in fiamme, tra la rabbia e l'imbarazzo. Mario ed Enzo mi lanciavano occhiate di fuoco, sguardi che promettevano dolore e piacere in egual misura, mentre Tommaso continuava a chiacchierare come se nulla fosse.
Poi, l'inevitabile. «Andiamo al bar, che vi offro da bere!» ha esclamato Tommaso, sempre nel suo mondo. E così, ci siamo incamminati. Lui davanti, ignaro come sempre, seguito da Enzo. Io dietro, e alle mie spalle, la presenza incombente di Mario.
Ho sentito il suo fiato sul collo, e poi, la sua mano. Senza alcun preavviso, l'ha fatta scivolare sul mio culetto, tastandolo palesemente, con una sfrontatezza che mi ha tolto il respiro. La stoffa bagnata del costume si è incollata alla pelle sotto la sua pressione. Un tocco lungo, possessivo, che ha fatto vibrare ogni nervo del mio corpo. Non era un gesto discreto, no. Era una chiara dichiarazione di proprietà, una dimostrazione di forza proprio sotto il naso del mio fidanzato.
«Tieniti pronta, puttana,» mi ha sussurrato all'orecchio, la sua voce roca che mi ha fatto venire i brividi. Era una minaccia e una promessa, e sentivo già la mia fica grondare per il misto di terrore e sottomissione che mi stava assalendo. Ero sua, e lui me lo stava dimostrando in ogni modo possibile.
Seduta lì al bar, tra Mario ed Enzo, mi sentivo in trappola, proprio come una schiava del piacere in gabbia. La loro presenza mi avvolgeva, mi opprimeva, ma in un modo che mi faceva fremere. Ogni risata di Tommaso, ogni sua battuta innocente, mi ricordava quanto fossi invischiata in questo gioco perverso. Mi sentivo completamente sottomessa alla loro volontà, e una parte di me, la più profonda e perversa, ne godeva immensamente.
Poi, il momento è arrivato. Tommaso si è alzato per andare a pagare, e in quel preciso istante, la mano di Mario è scivolata sulla mia coscia. Non un tocco leggero, no. Una presa ferma, proprio all'altezza dello slip, come a voler tastare la mia figa che già si bagnava al suo solo pensiero. Ho sentito il calore delle sue dita sulla mia pelle, la pressione che mi ha fatto sussultare. Era un gesto così palese, così sfrontato, e il brivido del rischio mi ha percorso tutta.
Si è chinato, la sua voce bassa e roca, solo per le mie orecchie. Le parole che mi ha detto mi hanno trafitto come lame affilate, ma ogni lama era intrisa di un piacere proibito.
«Stasera, zoccola,» ha sibilato, «te la facciamo pagare. Te la faremo pagare cara, per averci fatto aspettare. La mia minchia è già dura solo a pensare a come ti infilerò dentro, ti farò gemere così forte che quell'idiota poi non sentirà niente. E ti prometto che ti farò strisciare, ti farò implorare come la cagna che sei. Ti farò scopare fino a farti sputare l'anima. Sei pronta a leccare?»
Le sue parole erano una marea di sporcizia, una promessa di sottomissione totale che mi ha fatto impazzire. La mia reazione è stata immediata e viscerale. Ho sentito la mia fica inondarsi, un fiume di piacere caldo che mi scorreva tra le gambe. I miei capezzoli si sono induriti all'istante, quasi a voler bucare il tessuto del costume. Ho trattenuto il respiro, i miei occhi si sono spalancati, un misto di terrore e una lussuria folle. Ho stretto le cosce, cercando di contenere l'esplosione che sentivo dentro, ma era inutile. La sua mano sulla mia coscia mi teneva inchiodata, la sua voce mi entrava dentro come un veleno dolce. Volevo dirgli di smetterla, ma la mia bocca non emetteva alcun suono. Volevo scappare, ma ero incapace di muovermi. Ero completamente sua, sottomessa, desiderosa di ogni singola parola, di ogni minaccia. Il mio corpo era un fascio di nervi, pronto a tremare, a gemere, a implorare.
Durante la cena, ero nervosa per quello che sarebbe successo. Ogni boccone mi si bloccava in gola, ogni risata di Tommaso mi rimbombava in testa come un tamburo assordante. Lui era euforico, il povero illuso, convinto di farmi felice, di aver organizzato la serata perfetta con "nuovi amici". E io? Io ero una bomba a orologeria, la mia mente correva già a quello che Mario mi avrebbe fatto. Sentivo il mio corpo teso, i muscoli contratti, la fica che pulsava in attesa di essere usata.
Poi, un incrocio veloce con Marco e Luca. Avevano saputo dei nostri piani per la serata, e mentre Marco ci augurava un divertimento sincero, gli occhi di Luca erano una fiamma. Era arrabbiato, sì, ma in quello sguardo c'era anche un misto di desiderio e delusione che mi fece sentire una donna trasgressiva ancora più scaltra. Non una parola, solo quello sguardo che mi promise che non l'avrebbe dimenticata.
Salimmo in camera, e lì iniziò il mio vero dilemma. Tommaso si buttò sul letto, parlottando dei suoi programmi per la serata. Io dovevo fingere, essere la fidanzata credibile, entusiasta. Ma la mia testa era altrove, già immersa nel brivido che mi aspettava. Sapevo cosa volevano da me Mario ed Enzo. E il pensiero... il pensiero di essere portata di nuovo a dare piacere, di essere una schiava del sesso usata e abusata, mi provocò quasi un orgasmo lì per lì. La mia fica diede un sussulto, bagnandosi all'istante, le mie gambe tremarono.
Sì, ma dovevo essere vestita in modo appropriato. Non potevo certo presentarmi con un abito da sera. Dovevo essere la trasgressiva che si nascondeva sotto la brava ragazza, pronta a svelarsi al momento giusto. Mi meravigliai di me stessa, di come la mia mente fremesse all'idea di quell'umiliazione, di come desiderassi essere esposta, vissuta.
Aprii la mia borsetta, la stessa che avevo usato quella notte. E lì, ritrovai le mie piccole prove del crimine: i soldi spiegazzati, ancora lì, ricordo tangibile del mio "mondo segreto". E un paio di preservativi, spiegazzati anch'essi, segno inequivocabile dei piaceri che avevo provato. Li toccai con le dita, annusando un leggero odore di sperma secco rimasto sulla busta, sentendo un brivido di perversione.
Mi guardai allo specchio, la mente che correva veloce. Cosa avrei messo? Qualcosa che fosse facile da togliere, certo. Qualcosa che suggerisse senza urlare. E poi, ebbi un'idea.
Tirai fuori dall'armadio un miniabito aderente di un tessuto leggero, di un colore scuro, forse blu notte, così da non dare troppo nell'occhio ma che mi segnava ogni curva. Non troppo elegante, ma abbastanza da sembrare "di classe" per una cena. Sotto, scelsi un perizoma di pizzo nero, una strisciolina quasi invisibile, e lo indossai con cura. Niente reggiseno, i miei capezzoli sarebbero stati liberi di indurirsi sotto il tessuto sottile, visibili a chiunque sapesse guardare. Ai piedi, un paio di sandali con un tacco medio, comodi per camminare ma abbastanza per slanciarmi. I capelli li avrei sciolti, una cascata selvaggia sulle spalle.
E nella borsetta? Nascosi i soldi spiegazzati tra la biancheria e lasciai i preservativi. Un mio piccolo segreto, una mia piccola arma. Sarei stata la fidanzata perfetta per Tommaso, ma per Mario ed Enzo... oh, per loro sarei stata la donna più desiderosa e sottomessa che potessero immaginare.
Vestita e truccata, con il mio miniabito che mi fasciava le curve e il perizoma invisibile che mi solleticava la pelle, scesi nella hall. Trovai Tommaso, come al solito, intento a chiacchierare, ma questa volta in compagnia di Luca e Marco. I loro sguardi si posarono subito su di me. Tommaso mi fece un complimento entusiasta, Marco sorrise, ma Luca... oh, Luca mi guardò in un modo strano. I suoi occhi bruciavano di una scintilla che era un misto di desiderio, delusione e un non so che di avvertimento. Sentii il suo sguardo penetrarmi, capire il mio segreto anche senza una parola.
Poi, due colpi secchi di clacson risuonarono fuori. Erano loro. Salutammo i ragazzi, con un'ondata di mano e un «divertitevi» da parte di Tommaso che suonò così ironico alle mie orecchie. Mentre uscivo, incrociai di nuovo lo sguardo di Luca. Un'ultima scintilla tra noi, prima che le porte scorrevoli si chiudessero alle mie spalle.
La loro macchina ci aspettava.
Salimmo sul sedile posteriore, e Mario ed Enzo partirono subito, veloci, lasciandosi la confusione di Rimini alle spalle. Prendemmo la litoranea, il vento che entrava dal finestrino scompigliava i miei capelli e mi portava via i pensieri. Il viaggio fu breve, ma ogni metro mi faceva sentire sempre più prigioniera, sempre più eccitata.
Arrivammo a Gabicce. Il primo locale era un disco pub, con musica dal vivo che pompava forte. L'atmosfera era densa di fumo e odore di alcol. Ci sedemmo a un tavolo e Mario ordinò da bere per tutti. Iniziarono subito a far bere Tommaso. Quell'idiota tentennò, «Non voglio esagerare, non voglio rovinarvi la serata,» disse con la sua solita ingenuità. Ma loro insistevano, con sorrisi amichevoli che non mi convincevano affatto. Erano bravi, dovevo ammetterlo, a recitare la parte degli amici generosi.
Mentre Tommaso era voltato, intento a seguire la band sul palco, vidi Mario che, con un movimento fulmineo, versò una polverina bianca nel suo bicchiere. Il mio cuore fece un balzo. Sentii la gola secca, un misto di paura e una perversa anticipazione. Sapevo cosa stava succedendo, e la mia fica si bagnò istantaneamente.
Pochi sorsi, e la polverina fece subito effetto. Tommaso iniziò a sragionare, i suoi occhi vitrei. Poi, Mario ed Enzo si guardarono con un sorriso d'intesa. «Basta con questa lagna,» disse Enzo, alzandosi. Pagate le consumazioni, uscimmo. Tommaso non si reggeva già più in piedi. Barcollava, e Mario ed Enzo lo spinsero senza troppa delicatezza sul sedile anteriore della macchina, quello del passeggero.
Mario, con un sorrisetto che mi gelò il sangue e mi fece fremere allo stesso tempo, salì dietro con me.
Tommaso era fuori combattimento. Completamente andato, la testa ciondolante sul sedile anteriore, un pupazzo inerme. Enzo guidava, i suoi occhi fissi sulla strada buia, ma ero sicura che un sorriso malizioso gli increspasse le labbra. E Mario... Mario non perse un solo istante.
Seduto accanto a me, il suo sguardo era puro veleno, un maligno desiderio che mi penetrava fin dentro l'anima. «Ora, puttana,» mi sibilò, la sua voce un ringhio rauco che mi fece tremare la fica, «voglio un pompino. Subito.» Non era una richiesta, era un ordine, e io sentii la mia bocca aprirsi quasi da sola, obbediente. Afferrai il suo cazzo, la pelle calda e dura sotto le mie dita, e lo presi in bocca, sentendo il sapore acre della sua eccitazione. La mia lingua si mosse, obbedendo, mentre il mio sguardo si posava per un istante su Tommaso, ignaro di tutto, e un brivido di perversione mi percorse. La sua cecità era il mio afrodisiaco più potente.
Poi, senza alcuna delicatezza, Mario mi afferrò e mi fece sdraiare sul sedile posteriore. Sentii il tessuto del mio miniabito tirare, ma non mi importava. Le sue mani furono veloci, sfrontate. Con uno strappo secco, mi lacerò il perizoma di pizzo nero, sentendo il tessuto cedere con un suono che mi fece gemere. Il perizoma strappato rimase appeso a un mio fianco come un trofeo. La mia figa era completamente esposta, bagnata e pulsante, pronta per lui.
E non perse tempo. Senza preamboli, senza un minimo di pietà, mi penetrò. Sentii il suo cazzo grosso e scuro spingere dentro di me, un'invasione dolorosa e al tempo stesso incredibilmente eccitante. La macchina si addentrava per strade sempre più buie, i fari che illuminavano a tratti alberi e campi sconosciuti, mentre Mario mi scopava furiosamente. Ogni spinta era un'onda di piacere che mi travolgeva, facendomi inarcare la schiena, le gambe che si stringevano attorno ai suoi fianchi. Gemevo, sì, gemevo senza vergogna, un suono che si perdeva nel rumore del motore e nella musica bassa che Enzo aveva lasciato accesa.
Mi insultava, mi chiamava «puttana», «cagna», «zoccola», e ogni parola era un colpo di frusta che mi accendeva ancora di più. Sentivo la mia fica contrarsi, stringerlo, implorare di più. E mentre lui mi scopava e mi umiliava, il mio povero fidanzato, Tommaso, dormiva beato sul sedile anteriore, la testa appoggiata al finestrino, ignaro di come la sua ragazza stesse venendo usata e godendo di ogni singolo istante di quella violenza. La sua innocenza rendeva il mio piacere lussurioso e assoluto.
Il suo cazzo continuava a spingere dentro di me, un ritmo folle che mi scuoteva tutta, mentre la macchina sfrecciava nell'oscurità. Mario mi teneva ferma con una mano sulla mia coscia, l'altra afferrata ai miei capelli, tirandomi la testa indietro per esporre il mio collo, per farmi sentire ancora più indifesa. Ogni spinta era accompagnata da un grugnito, da una parola sporca che mi entrava dentro più del suo membro. «Sei una troia in calore, Sonia,» mi sibilava, il suo fiato caldo sul mio orecchio, «una puttana che non aspetta altro che essere scopata.» E io, con la mia fica che si stringeva intorno a lui, sentivo un piacere perverso in quelle parole, una conferma di ciò che ero diventata.
La mia schiena premeva contro il sedile, il tessuto del vestito che si arricciava sotto di me, e sentivo il mio umore mescolarsi al suo sudore, creando un odore acre, di sesso selvaggio e intimo, che mi inebriava. Le mie gambe erano aperte, inermi, mentre lui mi possedeva con una forza brutale, eppure così desiderata. I miei gemiti si facevano più forti, incontrollabili, ma ero sicura che il rumore del motore e la musica soffocassero ogni suono.
Ogni tanto, un lampione illuminava l'interno della macchina, e vedevo la testa di Tommaso ciondolare sul sedile anteriore, il suo respiro regolare. Era lì, il mio fidanzato, a pochi centimetri da me, completamente ignaro, mentre venivo usata, scopata, come una puttanella, e godevo di ogni singolo istante. La sua presenza, la sua innocenza, rendevano tutto ancora più eccitante, più proibito. Era il mio segreto più sporco, la mia perversione più grande, e la stavo vivendo proprio sotto il suo naso.
Sentivo il suo cazzo pulsare dentro di me, gonfio, duro, e sapevo che stava per venire. Le sue spinte si fecero più profonde, più disperate, e un ultimo, potente affondo mi fece inarcare la schiena in un gemito strozzato. Un'ondata calda mi invase, e sentii il suo seme riversarsi dentro di me, caldo, denso, a riempirmi. Era finito.
Mario si tirò su, il suo respiro affannoso. Mi guardò, un sorriso soddisfatto e maligno sulle labbra. Non disse nulla, si limitò a sistemarsi i pantaloni, mentre io giacevo lì, la fica ancora pulsante, le gambe tremanti, il miniabito arricciato e il perizoma strappato che pendeva da una parte. Mi sentivo sporca, usata, e incredibilmente desiderosa di altro.
La macchina si fermò bruscamente, e il silenzio della campagna ci avvolse, rotto solo dal fruscio del vento tra gli alberi. Eravamo arrivati alla cascina.
scritto il
2025-12-02
4 3
visite
1
voti
valutazione
9
il tuo voto
Segnala abuso in questo racconto erotico

Continua a leggere racconti dello stesso autore

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.