Nella legnaia
di
john coltrane
genere
confessioni
È tua cognata. Non fare cazzate. Non rovinare tutto. Così mi dicevo. Ed è un’amica. La sorella di tua moglie e un’amica. Viene spesso a trovarvi, passate delle belle giornate assieme, a provare ricette di cucina o a parlare di cinema. Non metterti in testa idee. È vero che ha confessato a tua moglie che è stufa del marito, ma lo dice tanto per dire. Perciò fa il bravo. Soprattutto, non esporti al ridicolo. Se per caso ci provi, e lei ti respinge, e poi lo va a raccontare a sua sorella, sei finito.
Sì, questo continuavo a dirmi ogni volta che Marlene veniva a trovarci. Quando mia moglie Marina annunciava: domenica viene a trovarci mia sorella (a volte da sola, a volte con il marito), sentivo qualcosa accendersi nella mia pancia. Mi sembrava che i testicoli mi si gonfiassero, persino.
Marlene era più vecchia di mia moglie di quattro anni, aveva passato da poco i quarant’anni. Bionda anche lei, non troppo alta, un corpo morbido, di donna che non perde tempo con sport e diete ma riesce a mantenersi sempre così. Aveva fatto un figlio molto giovane, e aveva avuto tutto il tempo di tornare come e anche meglio di quando era ragazza, come succede a certe donne, che danno il meglio di sé nella maturità. Vestiva artistica, un mix di roba comprata al mercato dell’usato e firme. Mia moglie ne parlava con condiscendenza, diceva che era incorreggibile. Mi aveva raccontato varie cose nel corso del tempo. Che a sedici anni era stata con un uomo di quaranta, il suo professore di latino. Che una volta le aveva confessato di essere stata con quattro uomini, a una festa. Non riuscivo a togliermi dalla testa quelle immagini. Mia cognata con quattro uomini, riempita in tutti i buchi, da grossi cazzi di sconosciuti, con le vene pulsanti in evidenza. I capelli dorati, i peli della figa, imbrattati dal loro sperma. La sborra che colava fuori di lei. Ma magari avevano usati i preservativi, anzi, era molto probabile e in quel caso prima di venire fossero usciti fuori, sì, se li erano tolti e avevano schizzato sulle sue tette, il suo grembo.
Erano pensieri che mi facevano impazzire. Quando pranzavamo assieme, e sentivo il suo ginocchio a pochi centimetri dal mio, dovevo sforzarmi per tenere a freno il desiderio che provavo. Sognavo di prenderla come prendevo mia moglie, ma con ancora maggiore foga. Sognavo di prendermi il suo culo, che mia moglie mi negava da troppo tempo. Non avevo mai tradito Marina e mi dicevo: perché dovrei farlo proprio con sua sorella?
Un giorno tirò fuori che le toccava andare a teatro da sola. Marina le disse: telefonaci.
Così, un paio di volte andammo a teatro assieme, io, Marina e lei. Ma lei si sedeva di fianco alla sorella, lontano da me. Solo saperla così vicino mi provocava un’erezione.
La prima volta fu molto bello, dopo cenammo assieme a casa nostra, rimanemmo a parlare sui divani fino all’una. Dopodiché Marina le disse di fermarsi a dormire lì, avevamo una stanza degli ospiti.
- Non ho lo spazzolino – rise lei.
- Te lo troviamo.
- Non ho le mutande di ricambio!
- Stai senza.
Quella notte mi rigirai nel letto, disperato. Alla fine sveglia mia moglie, mi misi in ginocchio fra le sue gambe, che sollevai appoggiandole sulle mie spalle, e la presi, lentamente. All’inizio era asciutta, ma quasi subito iniziò a bagnarsi. La penetrai piano, centimetro dopo centimetro, sentendola allargarsi, aprirsi. Poi, dopo averla riempita, dopo che il mio cazzo iniziò a scorrere meglio, dentro di lei, accelerai il ritmo, strappandole gemiti sempre più forti, fino a fare sbattere il letto contro il muro. Scopavo mia moglie ma pensavo a sua sorella senza mutande nella stanza accanto, separata da noi solo per pochi centimetri. Volevo che ci sentisse. Che desiderasse di essere sbattuta così. Che si masturbasse ascoltandosi. Quando venni non trattenni un ringhio strozzato. Riempii mia moglie e poi mi sdraiai fra le sue cosce a leccarla, a volte lo facevo perché Marina non veniva se non stimolata esternamente. La feci godere e continuai a pulirla per bene, aggiungendo alla mia lingua anche le dita. Andammo avanti a lungo e alla fine mi chiese: cosa ti è successo? È per mia sorella?
Ma no, risposi.
Lei mi sorrise, e non proseguì il discorso.
Una volta andammo in sauna. Eravamo in cinque, io e Marina, un’altra coppia di amici, e Marlene. Entrammo nella finlandese con gli accappatoi, addosso. Poi li facemmo scendere. Le donne mostrarono i seni, noi uomini praticamente niente. Ma ad un certo punto Marlene sbuffò, togliendosi l’accappatoio del tutto, e mettendoselo sotto di sé, come un asciugamano. Quindi si sdraiò sulla schiena. Facevamo finta di niente ma io non riuscivo a non guardarla, intravvedevo il cespuglietto della sua figa e avevo paura che mi venisse duro. Marina le fece un complimento, le disse: amore, sei bellissima. L’altra nostra amica, una donna sui cinquanta, magra e mascolina, lo confermò, con il suo accento tedesco: Marlene, tu sì ke sei una gran fika. Scoppiammo a ridere.
Poi uscimmo, fradici. Una fugace visione del sudore che le scorreva nel solco fra i seni, belli pieni, diversi da quelli di Marina che è quasi piatta.
Andammo a farci le docce, uno di fianco all’altro. Il mio cazzo si stava alzando. Ho dovuto chiudere il rubinetto e uscire ma lei se n’era accorta, eccome, mi aveva lanciato uno sguardo eloquente.
Quella notte, un’altra notte insonne. Ma non svegliai Marina, stavolta, dormiva alla grossa e comunque non ne avevo voglia. Ad un certo punto andai in bagno, mi sedetti sul water e mi masturbai, immaginandomi che la mano che me lo strizzava fosse quella di Marlene, che mi stesse masturbando nello spogliatoio della sauna, guardandomi negli occhi e intimandomi di fare silenzio perché gli altri non se ne accorgessero. Lo schizzo finì fino al lavandino. Decisamente, mi stavo ammalando di mia cognata.
La mattina dopo Marina andò al lavoro presto, mentre io avevo un turno pomeridiano-serale. Quando rimasi da solo in casa mi buttai su youporn, ma non c’era nessuna che assomigliasse a Marlene. Così mi masturbai di nuovo, stavolta non con la mano ma, come facevo a volte, strusciandomi contro il materasso, dopo avere piazzato un asciugamano fra me e il lenzuolo. Mi piaceva masturbarmi così perché era un’imitazione del coito più fedele di quella concessa dalla mano. Stavolta pensai di penetrarla, la pensai con le gambe aperte sotto di me, le sue mani che stringevano il mio culo.
Marina iniziò a stuzzicare. Diceva che si era accorta come guardavo le tette di sua sorella. Anch’io iniziai a stuzzicarla: perché non facciamo qualcosa in tre? Lei rideva. Poi come al solito tornava alla sua vita, non dava mai seguito a queste fantasie.
Una sera, dopo una delle solite cene in casa di qualcuno, a letto, infilai una mano sotto la sua sottoveste.
Oh, no, disse. Al solito non aveva voglia. Io però continuai ad accarezzarla sotto il monte di venere, con la punta del dito.
Le chiesi: ti piacerebbe che Carlo ti accarezzasse così? Carlo era il padrone di casa dove eravamo stati a cena.
Mh, gemette. Si stava bagnando.
Andai avanti piano ad accarezzarla, solo sul clitoride, e a volte passando il dito fra le grandi labbra, adesso il dito scivolava che era un piacere.
Sì, vorresti che ti toccasse, lo so, che avvicinasse il suo viso alla tua figa e te la leccasse….
Le parlavo così. Lei non commentava. Solo alla fine ha detto sì, sì…e poi è venuta.
Quindi è rimasta immobile nel letto. Dopo un po’ ha allungato una mano per sentire se ce l’avevo dritto. E a te chi ti piacerebbe che te lo prendesse così, eh, porco? Intanto stava iniziando una lenta masturbazione, sfiorandomelo appena, con le dita.
Tua sorella, ho mormorato.
Ti piace proprio il nostro tipo, insomma. E poi cosa gli diresti: prendimelo in bocca, vero? Come fai con me…
Sì.
Le diresti: fammi un pompino come quelli che mi fa tua sorella.
Sì.
Adesso pensa a lei.
E scese a farmi un pompino, con un’attenzione che non ci metteva da un pezzo.
Sotto natale degli amici ci invitarono nella loro casa in montagna. Marlene come al solito era sola e mia moglie decise di portarsela dietro. Eravamo otto persone. Tre coppie, di cui una con un figlio di 13 anni, e Marlene.
Prima di cena bisognava andare a prendere la legna. Mi sono offerto volontario, mi piacciono i lavori manuali e poi sapevo dov’era, dietro la casa.
Marlene ha detto che non aveva mai visto una legnaia.
Non c’è niente da vedere, ha detto ironicamente il padrone di casa, ma se vuoi accompagnalo!
Ho incrociato lo sguardo di Marina. Poi, mi sono avviato.
Marlene mi venne dietro. Indossava un maglione pesante, eravamo in montagna. Il fiato si condensava in nuvolette. In cielo le stelle di dicembre scintillavano.
Siamo entrati nella legnaia, un luogo angusto che profumava di resina. Ho acceso la luce, una lampadina appesa al soffitto.
Ecco qui, ho detto.
Fa freddo.
Vieni che ti scaldo. Che cosa banale. Ma l’ho stretta a me, finalmente. I nostri corpi attaccati, mi sembrava stessero trovando finalmente la loro conformazione. Si riconoscevano. Si parlavano. Ma non vuol dire ancora niente, mi sono ripetuto, in un soprassalto di lucidità, lei è molto fisica, si abbraccia sempre tutti. Però non si staccava.
Ho affondato il naso fra i capelli e il collo, aspirando il suo profuso. L’ho sentita farsi più molle fra le mie braccia, cedere, accomodarsi. I suoi seni contro il mio petto.
Le ho cercato il viso e l’ho baciata. Lei ha accolto il bacio immediatamente, ricambiandolo. Che io adesso avessi la mia lingua dentro la sua bocca, e lei la sua dentro alla mia, mi sembrava un miracolo.
Poi le è sfuggito un gemito. Mh. E non ci ho più visto, le ho infilato le mani sotto al maglione, alla canottiera, e al reggiseno, le ho stretto i seni, quei seni, quei seni che avevo sognato tanto spesso, quei seni che il professore di latino si era goduto prima di suo marito, quei seni con cui quattro uomini contemporaneamente si erano divertiti, lisci, pieni, caldi, tesi, sotto le mie mani. Lei ha reclinato la testa all’indietro, ha tirato su il maglione da sé e me li ha offerti. Le ho leccato i capezzoli, duri per l’eccitazione e il freddo, anche il lucore della mia saliva su quella pelle rosea mi sembrava un miracolo.
Ho sentito il bisogno di violarla, di sporcarla. L’ho girata.
Co-sa…vuoi fare?
Appoggiati al muro.
Lo ha fatto. L’ho afferrata per i fianchi tirandola verso di me, facendola abbassare.
No…ha detto debolmente
Da dietro le ho slacciato la cintura, il bottone dei jeans. Non mi aiutava ma non mi fermava. Quando alla fine ci sono riuscito ho tirato tutto giù, pantaloni e mutande. Ed ecco il suo culo. Bianco, sodo, improbabile in quel luogo di legna accatastata, un muro grigio come sfondo, ragnatele sul tetto, la temperatura bassa. Mi sono slacciato a mia volta i pantaloni, e l’ho tirato fuori, per un istante ho pensato di sodomizzarla, ma no, ci voleva troppo tempo. L’ho puntato sul solco della sua figa, largo, le labbra piene, e ho spinto, piano.
Ah.
Sono entrato facilmente con la cappella, era eccitata quanto me. Mi sono fatto strada in lei e poi l’ho tirata per i fianchi contro la mia pancia, impalandola fino in fondo. Ho iniziato a pompare, prima con cautela, poi sempre più velocemente, e profondamente.
Ah, ah, ah…
Il rumore di me che schiaffeggio il suo sedere con il bassoventre, il rumore della sua figa ormai allagata.
Ah, ah, ah.
Ciac, ciac, ciac.
Ti vengo dentro, le ho detto.
Sì, sì, vienimi dentro.
È partito un fiotto di sperma, poi un altro, un altro. Mi sono svuotato dentro di lei.
Quando ho finito si è tirata su. Si è voltata con il viso a cercare la mia lingua, mentre io le afferravo i seni con entrambe le mani. Poi si è girata del tutto e ci siamo baciati.
E adesso?
Dobbiamo prendere la legna, le ho detto.
Aveva dei fazzoletti nella tasca dei pantaloni. Se ne è passato uno fra le gambe, un gesto a suo modo altrettanto intimo di quelli in cui ci eravamo impegnati poco prima. Poi lo ha guardato e ha detto, sorridendo: questo lo conservo.
Io ho iniziato a riempire in fretta il sacco che mi ero portato dietro.
Prima di uscire le ho detto: la prossima volta lo faremo su un letto.
Lei non ha risposto. Ma mi ha stretto brevemente la mano.
Più tardi, nella notte, dopo la cena, dopo le chiacchiere, la tv, i “buonanotte”, Marina, nel letto, si è girata verso di me.
Allora? mi ha chiesto.
Cosa.
Ci avete impiegato un bel po’ con la legna.
Ma no.
È successo qualcosa?
E se fosse?
Allora è successa. L’hai baciata?
E se fosse?
Non te la sarai mica fatta.
E se fosse?
Ti sei fatto mia sorella?
E se fosse? Tanto è come te, è sangue del tuo sangue.
Sei un porco.
Come te.
Vorrei che mi raccontassi tutto, mi ha detto. E ha allungato una mano a prendere il mio cazzo.
Mi piacerebbe scambiare fantasie, confessioni e racconti con qualche donna che sappia scrivere almeno benino: coltranejohn39@gmail.com
Sì, questo continuavo a dirmi ogni volta che Marlene veniva a trovarci. Quando mia moglie Marina annunciava: domenica viene a trovarci mia sorella (a volte da sola, a volte con il marito), sentivo qualcosa accendersi nella mia pancia. Mi sembrava che i testicoli mi si gonfiassero, persino.
Marlene era più vecchia di mia moglie di quattro anni, aveva passato da poco i quarant’anni. Bionda anche lei, non troppo alta, un corpo morbido, di donna che non perde tempo con sport e diete ma riesce a mantenersi sempre così. Aveva fatto un figlio molto giovane, e aveva avuto tutto il tempo di tornare come e anche meglio di quando era ragazza, come succede a certe donne, che danno il meglio di sé nella maturità. Vestiva artistica, un mix di roba comprata al mercato dell’usato e firme. Mia moglie ne parlava con condiscendenza, diceva che era incorreggibile. Mi aveva raccontato varie cose nel corso del tempo. Che a sedici anni era stata con un uomo di quaranta, il suo professore di latino. Che una volta le aveva confessato di essere stata con quattro uomini, a una festa. Non riuscivo a togliermi dalla testa quelle immagini. Mia cognata con quattro uomini, riempita in tutti i buchi, da grossi cazzi di sconosciuti, con le vene pulsanti in evidenza. I capelli dorati, i peli della figa, imbrattati dal loro sperma. La sborra che colava fuori di lei. Ma magari avevano usati i preservativi, anzi, era molto probabile e in quel caso prima di venire fossero usciti fuori, sì, se li erano tolti e avevano schizzato sulle sue tette, il suo grembo.
Erano pensieri che mi facevano impazzire. Quando pranzavamo assieme, e sentivo il suo ginocchio a pochi centimetri dal mio, dovevo sforzarmi per tenere a freno il desiderio che provavo. Sognavo di prenderla come prendevo mia moglie, ma con ancora maggiore foga. Sognavo di prendermi il suo culo, che mia moglie mi negava da troppo tempo. Non avevo mai tradito Marina e mi dicevo: perché dovrei farlo proprio con sua sorella?
Un giorno tirò fuori che le toccava andare a teatro da sola. Marina le disse: telefonaci.
Così, un paio di volte andammo a teatro assieme, io, Marina e lei. Ma lei si sedeva di fianco alla sorella, lontano da me. Solo saperla così vicino mi provocava un’erezione.
La prima volta fu molto bello, dopo cenammo assieme a casa nostra, rimanemmo a parlare sui divani fino all’una. Dopodiché Marina le disse di fermarsi a dormire lì, avevamo una stanza degli ospiti.
- Non ho lo spazzolino – rise lei.
- Te lo troviamo.
- Non ho le mutande di ricambio!
- Stai senza.
Quella notte mi rigirai nel letto, disperato. Alla fine sveglia mia moglie, mi misi in ginocchio fra le sue gambe, che sollevai appoggiandole sulle mie spalle, e la presi, lentamente. All’inizio era asciutta, ma quasi subito iniziò a bagnarsi. La penetrai piano, centimetro dopo centimetro, sentendola allargarsi, aprirsi. Poi, dopo averla riempita, dopo che il mio cazzo iniziò a scorrere meglio, dentro di lei, accelerai il ritmo, strappandole gemiti sempre più forti, fino a fare sbattere il letto contro il muro. Scopavo mia moglie ma pensavo a sua sorella senza mutande nella stanza accanto, separata da noi solo per pochi centimetri. Volevo che ci sentisse. Che desiderasse di essere sbattuta così. Che si masturbasse ascoltandosi. Quando venni non trattenni un ringhio strozzato. Riempii mia moglie e poi mi sdraiai fra le sue cosce a leccarla, a volte lo facevo perché Marina non veniva se non stimolata esternamente. La feci godere e continuai a pulirla per bene, aggiungendo alla mia lingua anche le dita. Andammo avanti a lungo e alla fine mi chiese: cosa ti è successo? È per mia sorella?
Ma no, risposi.
Lei mi sorrise, e non proseguì il discorso.
Una volta andammo in sauna. Eravamo in cinque, io e Marina, un’altra coppia di amici, e Marlene. Entrammo nella finlandese con gli accappatoi, addosso. Poi li facemmo scendere. Le donne mostrarono i seni, noi uomini praticamente niente. Ma ad un certo punto Marlene sbuffò, togliendosi l’accappatoio del tutto, e mettendoselo sotto di sé, come un asciugamano. Quindi si sdraiò sulla schiena. Facevamo finta di niente ma io non riuscivo a non guardarla, intravvedevo il cespuglietto della sua figa e avevo paura che mi venisse duro. Marina le fece un complimento, le disse: amore, sei bellissima. L’altra nostra amica, una donna sui cinquanta, magra e mascolina, lo confermò, con il suo accento tedesco: Marlene, tu sì ke sei una gran fika. Scoppiammo a ridere.
Poi uscimmo, fradici. Una fugace visione del sudore che le scorreva nel solco fra i seni, belli pieni, diversi da quelli di Marina che è quasi piatta.
Andammo a farci le docce, uno di fianco all’altro. Il mio cazzo si stava alzando. Ho dovuto chiudere il rubinetto e uscire ma lei se n’era accorta, eccome, mi aveva lanciato uno sguardo eloquente.
Quella notte, un’altra notte insonne. Ma non svegliai Marina, stavolta, dormiva alla grossa e comunque non ne avevo voglia. Ad un certo punto andai in bagno, mi sedetti sul water e mi masturbai, immaginandomi che la mano che me lo strizzava fosse quella di Marlene, che mi stesse masturbando nello spogliatoio della sauna, guardandomi negli occhi e intimandomi di fare silenzio perché gli altri non se ne accorgessero. Lo schizzo finì fino al lavandino. Decisamente, mi stavo ammalando di mia cognata.
La mattina dopo Marina andò al lavoro presto, mentre io avevo un turno pomeridiano-serale. Quando rimasi da solo in casa mi buttai su youporn, ma non c’era nessuna che assomigliasse a Marlene. Così mi masturbai di nuovo, stavolta non con la mano ma, come facevo a volte, strusciandomi contro il materasso, dopo avere piazzato un asciugamano fra me e il lenzuolo. Mi piaceva masturbarmi così perché era un’imitazione del coito più fedele di quella concessa dalla mano. Stavolta pensai di penetrarla, la pensai con le gambe aperte sotto di me, le sue mani che stringevano il mio culo.
Marina iniziò a stuzzicare. Diceva che si era accorta come guardavo le tette di sua sorella. Anch’io iniziai a stuzzicarla: perché non facciamo qualcosa in tre? Lei rideva. Poi come al solito tornava alla sua vita, non dava mai seguito a queste fantasie.
Una sera, dopo una delle solite cene in casa di qualcuno, a letto, infilai una mano sotto la sua sottoveste.
Oh, no, disse. Al solito non aveva voglia. Io però continuai ad accarezzarla sotto il monte di venere, con la punta del dito.
Le chiesi: ti piacerebbe che Carlo ti accarezzasse così? Carlo era il padrone di casa dove eravamo stati a cena.
Mh, gemette. Si stava bagnando.
Andai avanti piano ad accarezzarla, solo sul clitoride, e a volte passando il dito fra le grandi labbra, adesso il dito scivolava che era un piacere.
Sì, vorresti che ti toccasse, lo so, che avvicinasse il suo viso alla tua figa e te la leccasse….
Le parlavo così. Lei non commentava. Solo alla fine ha detto sì, sì…e poi è venuta.
Quindi è rimasta immobile nel letto. Dopo un po’ ha allungato una mano per sentire se ce l’avevo dritto. E a te chi ti piacerebbe che te lo prendesse così, eh, porco? Intanto stava iniziando una lenta masturbazione, sfiorandomelo appena, con le dita.
Tua sorella, ho mormorato.
Ti piace proprio il nostro tipo, insomma. E poi cosa gli diresti: prendimelo in bocca, vero? Come fai con me…
Sì.
Le diresti: fammi un pompino come quelli che mi fa tua sorella.
Sì.
Adesso pensa a lei.
E scese a farmi un pompino, con un’attenzione che non ci metteva da un pezzo.
Sotto natale degli amici ci invitarono nella loro casa in montagna. Marlene come al solito era sola e mia moglie decise di portarsela dietro. Eravamo otto persone. Tre coppie, di cui una con un figlio di 13 anni, e Marlene.
Prima di cena bisognava andare a prendere la legna. Mi sono offerto volontario, mi piacciono i lavori manuali e poi sapevo dov’era, dietro la casa.
Marlene ha detto che non aveva mai visto una legnaia.
Non c’è niente da vedere, ha detto ironicamente il padrone di casa, ma se vuoi accompagnalo!
Ho incrociato lo sguardo di Marina. Poi, mi sono avviato.
Marlene mi venne dietro. Indossava un maglione pesante, eravamo in montagna. Il fiato si condensava in nuvolette. In cielo le stelle di dicembre scintillavano.
Siamo entrati nella legnaia, un luogo angusto che profumava di resina. Ho acceso la luce, una lampadina appesa al soffitto.
Ecco qui, ho detto.
Fa freddo.
Vieni che ti scaldo. Che cosa banale. Ma l’ho stretta a me, finalmente. I nostri corpi attaccati, mi sembrava stessero trovando finalmente la loro conformazione. Si riconoscevano. Si parlavano. Ma non vuol dire ancora niente, mi sono ripetuto, in un soprassalto di lucidità, lei è molto fisica, si abbraccia sempre tutti. Però non si staccava.
Ho affondato il naso fra i capelli e il collo, aspirando il suo profuso. L’ho sentita farsi più molle fra le mie braccia, cedere, accomodarsi. I suoi seni contro il mio petto.
Le ho cercato il viso e l’ho baciata. Lei ha accolto il bacio immediatamente, ricambiandolo. Che io adesso avessi la mia lingua dentro la sua bocca, e lei la sua dentro alla mia, mi sembrava un miracolo.
Poi le è sfuggito un gemito. Mh. E non ci ho più visto, le ho infilato le mani sotto al maglione, alla canottiera, e al reggiseno, le ho stretto i seni, quei seni, quei seni che avevo sognato tanto spesso, quei seni che il professore di latino si era goduto prima di suo marito, quei seni con cui quattro uomini contemporaneamente si erano divertiti, lisci, pieni, caldi, tesi, sotto le mie mani. Lei ha reclinato la testa all’indietro, ha tirato su il maglione da sé e me li ha offerti. Le ho leccato i capezzoli, duri per l’eccitazione e il freddo, anche il lucore della mia saliva su quella pelle rosea mi sembrava un miracolo.
Ho sentito il bisogno di violarla, di sporcarla. L’ho girata.
Co-sa…vuoi fare?
Appoggiati al muro.
Lo ha fatto. L’ho afferrata per i fianchi tirandola verso di me, facendola abbassare.
No…ha detto debolmente
Da dietro le ho slacciato la cintura, il bottone dei jeans. Non mi aiutava ma non mi fermava. Quando alla fine ci sono riuscito ho tirato tutto giù, pantaloni e mutande. Ed ecco il suo culo. Bianco, sodo, improbabile in quel luogo di legna accatastata, un muro grigio come sfondo, ragnatele sul tetto, la temperatura bassa. Mi sono slacciato a mia volta i pantaloni, e l’ho tirato fuori, per un istante ho pensato di sodomizzarla, ma no, ci voleva troppo tempo. L’ho puntato sul solco della sua figa, largo, le labbra piene, e ho spinto, piano.
Ah.
Sono entrato facilmente con la cappella, era eccitata quanto me. Mi sono fatto strada in lei e poi l’ho tirata per i fianchi contro la mia pancia, impalandola fino in fondo. Ho iniziato a pompare, prima con cautela, poi sempre più velocemente, e profondamente.
Ah, ah, ah…
Il rumore di me che schiaffeggio il suo sedere con il bassoventre, il rumore della sua figa ormai allagata.
Ah, ah, ah.
Ciac, ciac, ciac.
Ti vengo dentro, le ho detto.
Sì, sì, vienimi dentro.
È partito un fiotto di sperma, poi un altro, un altro. Mi sono svuotato dentro di lei.
Quando ho finito si è tirata su. Si è voltata con il viso a cercare la mia lingua, mentre io le afferravo i seni con entrambe le mani. Poi si è girata del tutto e ci siamo baciati.
E adesso?
Dobbiamo prendere la legna, le ho detto.
Aveva dei fazzoletti nella tasca dei pantaloni. Se ne è passato uno fra le gambe, un gesto a suo modo altrettanto intimo di quelli in cui ci eravamo impegnati poco prima. Poi lo ha guardato e ha detto, sorridendo: questo lo conservo.
Io ho iniziato a riempire in fretta il sacco che mi ero portato dietro.
Prima di uscire le ho detto: la prossima volta lo faremo su un letto.
Lei non ha risposto. Ma mi ha stretto brevemente la mano.
Più tardi, nella notte, dopo la cena, dopo le chiacchiere, la tv, i “buonanotte”, Marina, nel letto, si è girata verso di me.
Allora? mi ha chiesto.
Cosa.
Ci avete impiegato un bel po’ con la legna.
Ma no.
È successo qualcosa?
E se fosse?
Allora è successa. L’hai baciata?
E se fosse?
Non te la sarai mica fatta.
E se fosse?
Ti sei fatto mia sorella?
E se fosse? Tanto è come te, è sangue del tuo sangue.
Sei un porco.
Come te.
Vorrei che mi raccontassi tutto, mi ha detto. E ha allungato una mano a prendere il mio cazzo.
Mi piacerebbe scambiare fantasie, confessioni e racconti con qualche donna che sappia scrivere almeno benino: coltranejohn39@gmail.com
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